Tra le conclusioni del Convegno di dicembre scorso sul Concilio Vaticano II è emersa la consapevolezza che nella difficoltà ermeneutica in cui ci dibattiamo si nasconde la carenza della metafisica. E’ un problema di forma e di sostanza: la modernità fa perdere chiarezza accusando il dogmatismo normativo, ma accantonare la metafisica è significato accantonare la fede che è messa in un angolo.
E’ appena uscito un nuovo libro di Enrico Maria Radaelli (*), un autore che ha la peculiarità di intraprendere percorsi metafisici di rara profondità e suggestione intellettuale e spirituale, sviluppando e proseguendo sia l'opera di Romano Amerio che la sua personale elaborazione su dove e come sia avvenuto il «disorbitare della Chiesa dal suo fine primario» e individuando le soluzioni secondo la Tradizione perenne, non quella “vivente” in senso storicistico.
Abbiamo la ventura di immergerci in 300 pagine che flagellano e svuotano di ogni sua più ridicola pretesa di ragionevolezza e persuasività il liberalismo massonico: La Bellezza che ci salva. La forza di Imago, il secondo Nome dell’Unigenito di Dio, che, con Logos, può dar vita a una nuova civiltà, fondata sulla bellezza.
Avrebbe potuto chiamarsi La Verità che ci salva (soprattutto dal liberalismo massonico), ma l’Autore ha voluto riferirsi alla nota affermazione dostoevskjiana in primo luogo per mostrarne una volta per tutte la futilità, in secondo per portare finalmente alla ribalta le devastanti nuove eresie iconologiche propalate dalle diaboliche vesti cementizie delle nuove chiese, che sono lo specchio di quelle logiche che stanno oscurando la Tradizione perenne, unica portatrice della Verità.
Nelle nuove chiese impera da decenni l’«assenza di immagini» di Cristo e delle sue schiere di angeli e santi, impera cioè l’iconoclasmo, e Radaelli dimostra che esso è il risultato visivo e appariscente dell’attuale ostinata e grave sospensione della pastorale dogmatica nel magistero della Chiesa, dunque è doppiamente «incompatibile con l’Incarnazione» (p. 156).
La sospensione del munus dogmatico a favore di un insegnamento meramente “pastorale”, denunciato da mons. Gherardini come il più grave intorbidamento del magistero attuale, è dichiarato da Radaelli un vero e proprio «peccato di pastoralità del magistero» (p. 54) sia contro la fede che contro la carità, iniziato da Giovanni XXIII e tenuto dai Papi fino ai giorni nostri: «Ma – mette in guardia Radaelli – senza chiarezza dogmatica anche l’arte sacra sarà confusa, relativista e gnostica» (p. 285).
Lo si vede nella Messa, dove, dopo aver spesso «annientato e distrutto gli antichi altari con incredibile e furioso scempio, spiegabile solo con l’odio per la sacra liturgia Tridentina» (p. 170), si è riversata tutta sulle variazioni liturgiche, ognuna cangiante dal più al meno riguardo alla sacralità alla nobiltà e alla religiosità, studiate con scientifica circospezione dalla commissione liturgica istituita da Paolo VI, col dichiarato scopo di raggiungere fratellanza ecumenica con chi quei cangiamenti, se non anche tagli selvaggi, aveva già fatti propri secoli fa.
Il testo è frutto di uno sforzo intellettuale intriso di preghiera, anzi di Adorazione, diretto ad affrettare il tempo in cui il Trono più alto stabilisca che il linguaggio immerso nell’orizzonte Trinitario dell’arte sacra, discendente dal Nome Imago, ha la stessa potenza veritativa del linguaggio magisteriale discendente dal Nome Logos – e a questo obbediente – proteggendo oggi i fedeli dalle nuove eresie iconologiche come da sempre li ha difesi da quelle logiche, anch’esse tuttavia da ricondurre nei loro argini dai quali sono esondate, invadendo territori che dovevano e devono essere invece custoditi con sacro timore.
Le sue pagine scalano pareti di roccia dogmatica con la forza attrattiva di un linguaggio chiarificatore ed icastico che ne scava e porta alla luce lo splendore della verità. Riconosciamo il sistema teologico-filosofico propriamente scolastico, insieme ai lampi di luce del ‘Sensus Communis’, in cui l’autore si muove con grande levità ed eleganza, nello sgorgare di parole incandescenti, che conservano tutta la loro pregnanza semantica originaria, dalla quale i correnti linguaggi ateoretici mutuati dalle filosofie immanentiste e lo stile colloquiale che rende i discorsi ambigui ed approssimativi rischiano di allontanarci. Esse immediatamente destano l’intuizione e lo stupore che sempre si accompagna alla conoscenza per riposare, poi, nella riflessione e nell’assimilazione di vere e proprie melodie fatiche, che aprono alla scoperta di quello che ci appare il nostro paesaggio più naturale, si spingono fino al nocciolo più profondo della nostra ricerca a partire dai sacri Nomi del sommo Intelletto per riconfluirvi ricolmi dell’acqua delle sorgenti celesti. Ed ecco configurarsi il paesaggio, nuovo della germinale fioritura: «audacia» che nasce dalla sua intrinseca fecondità: «Tradizione», denso del realismo incantato ed incantevole, di una filosofia dell’estetica propriamente e gioiosamente trinitaria.
Tre gli obiettivi, o “proposte forti”, di questo libro scritto per ridare animo a una civiltà fondata sulla bellezza:
- primo obiettivo (Proposta preliminare): ripristinare gli argini del Fiume della bellezza, le cui Sorgenti sono nelle relazioni trinitarie, dimostrando che essi, legata com’è la bellezza alla verità, si trovano soltanto nella guida “dogmatica” che la Chiesa ha tenuto da sempre (nella quale la verità è riconosciuta nella sua limpida, univoca e splendida realtà), e non in una guida meramente “pastorale”;
- secondo obiettivo (Prima proposta): individuare le Origini della Bellezza scoperte quasi senza saperlo da san Tommaso d’Aquino settecento anni fa individuando i quattro Nomi dell’Unigenito di Dio (Imago, Splendor, Logos e Filius), specie il primo, che, in quanto Volto, Aspetto ed Espressione del Logos, cioè del Pensiero, è anche la prima Fonte della conoscenza;
- terzo obiettivo (Seconda proposta): rendere esplicito il criterio da sempre utilizzato dalla Chiesa per fare bellezza, cioè per insegnare, individuato dall’Autore nel binomio «tradizione-audacia» (e come tale autorevolmente riconosciuto anche dal cardinal Ravasi in un seminario tenuto nella Biblioteca del Pontificio Consiglio per la Cultura il 14-7-2010). Infatti “il dittico «tradizione-audacia» rappresenta la forte muraglia intorno all’Hortus conclusus dell’insegnamento della Chiesa – stavolta sul piano metodologico – per tenere avventuristi da una parte e abitudinari dall’altra fuori comunque entrambi dalla cerchia della sua fervorosa città dove regna solo la vita, l’operosità costruttiva dell’attenzione, lo slancio calmo di chi sa che ogni buon insegnamento, ogni buon progetto armonico, ogni santa parola, è una maternità, una straordinaria maternità che dà i suoi frutti soprannaturali tutti pronti per l’eternità” (p. 245).
Con queste tre “proposte forti” riprendere la costruzione della Civiltà della Bellezza non è più un sogno, ma un lieto, sacro dovere.
................................................
>L'Autore
La Bellezza che ci Salva. Edizione pro manuscripto, Milano 2011, pp. XX + 306, euro 35; si può richiedere all’Autore (328.83.42.142), via San Sisto, 3 -20123 Milano, oppure con e-mail a: info@enricomariaradaelli.it, o a: www.hoepli.it.
>L'Autore
(*) Enrico Maria Radaelli, docente di Filosofia dell’estetica, e direttore del Dipartimento di Estetica della Associazione Internazionale “Sensus Communis” (Roma), ha collaborato per tre anni alla cattedra di Filosofia della conoscenza (sezione Conoscenza estetica) della Pontificia Università Lateranense. Opere precedenti: Ingresso alla Bellezza, Fede & Cultura, Verona 2007; Sacro al Calor bianco. La Messa di san Pio V e la Messa di Paolo VI alla luce della Filosofia dell'Estetica trinitaria, Edizione pro manuscripto 2008; Romano Amerio. Della verità e dell'amore, Marco Editore, Lungro di Cosenza 2005; Teomachia ultima. Teologia delle tre grandi religioni monoteiste, pro manuscripto Milano 2005; Il mistero della sinagoga bendata, Effedieffe 2002; Per l'Opera Omnia di Romano Amerio in corso di uscita per la Lindau, ha curato finora i primi tre valumi, Iota unum, Stat Veritas e Zibaldone, con tre ampie e appropriate Postfazioni.
>Il Libro
«Giovani in estinzione. L’Italia ne ha persi due milioni in dieci anni» (così il rapporto del «Censis» nella primavera del 2011). Da qui si può capire il titolo «La bellezza che ci salva»: la bellezza non è «leggera come una farfalla» (cfr. p. 47), ma è la bellezza della verità: una bellezza di contenuti.
Si parla di arte, si parla di paesaggi e di chiese, ma il vero soggetto è l’uomo, cui qui, sulle orme di san Tommaso d’Aquino, vengono mostrate le Origini della bellezza (primo capitolo) e il criterio per realizzarla a sua volta anche nella vita più quotidiana (secondo capitolo).
Futuro, positività, «sorridenza», Paradiso, sono obiettivi raggiungibili se, mantenendosi nell’equilibrio del senso comune dato dalla ragione vivificata dalla grazia, «non si cade nei dirupi di misoneismo o di avventurismo» (terzo capitolo), così riprendendo la costruzione della civiltà a partire ancora dalla bellezza, devastata dai flagelli materiali e morali del «Ciclope del Liberalismo» (p. 17).
La Bellezza che ci Salva. Edizione pro manuscripto, Milano 2011, pp. XX + 306, euro 35; si può richiedere all’Autore (328.83.42.142), via San Sisto, 3 -20123 Milano, oppure con e-mail a: info@enricomariaradaelli.it, o a: www.hoepli.it.
Maria Guarini
poco fa in televisione parlavano di giardino globale, della terra come giardino a partire dai nostri balconi. Un altro modo di parlare di bellezza?
RispondiEliminaGrazie per questa segnalazione e per l’appetitosa recensione. In effetti, gli scritti di Radaelli hanno uno speciale fascino, vale la pena spenderci il tempo e l’attenzione, sedersi al fuoco dei suoi pensieri e lasciarsene sedurre prima e persuadere poi. Se non altro per trarne ristoro, perché quanto al ridare animo a una civiltà fondata sulla bellezza, mi sembra un progetto da coniugare rigorosamente al futuro, da coltivare con pazienza per le generazioni che verranno, per la Chiesa che verrà.
RispondiEliminaper Butterfly
RispondiEliminala terra-giardino è una immagine suggestiva, che ha una valenza biblica profonda contrapposta al "deserto" e che oggi è ripresa soprattutto in chiave ecologista, del tutto orizzontale, al pari dell'umanitarismo, che è altra cosa dall'"umanesimo cristiano" e con cui oggi rischia di essere confuso.
Sul 'giardino globale' non mancano supporti filosofici soprattutto, mi pare, dal versante francese.
Ma mi vengono spontanee due osservazioni:
1. è cosa buona che si pensi in termini positivi al prendersi cura della terra e dell'ambiente che ci circonda (il che dovrebbe portare con sé anche la cura per le persone) e a trasformarlo in giardino: una delle espressioni più belle della Bellezza profusa nella natura e nella capacità dell'uomo di valorizzarla, custodirla e in qualche modo incrementarla.
2. mi piace pensare al giardino della nostra anima, cioè ad una interiorità (e corrispondente esteriorità) dissodata, liberata dalle erbacce e dai macigni e dai dirupi, e coltivata donando frutti copiosi (azioni capaci di risollevare, ristorare, guarire, fecondare con la Grazia ricevuta dal Signore le persone e le situazioni nelle quali la vita ci immerge) e fiori profumati (sentimenti e moti di gioia e gratitudine e creatività e generosa donazione e quant'altro di Bello e di grande si sia capaci di esprimere: il profumo è un'"essenza", cioè l'estratto concentrato di ciò che qualcosa, ma anche qualcuno, è e quindi emana).
E penso fosse a questo cui il Signore si riferisse quando ha detto "le mie delizie sono con i figli degli uomini". Egli ama passeggiare nel nostro giardino e intrattenersi con noi (evocazione stupenda del Cantico...)
3. al "giardino" e alla "città ben costruita ordinata: la città di Dio", che ci ricorda la "nuova Gerusalemme", quella che viene dal cielo, realtà umano-divina in Cristo Signore... si contrappone il "deserto" che, tuttavia -motivo di speranza- non è un luogo completamente senza vita, ma in ebraico deserto="midbar" significa "luogo in cui risuona LA Parola", unica Realtà capace di trasformare ogni deserto (dal nostro cuore umano, all'ambiente che ci ospita e di cui facciamo parte) in giardino pieno di frutti succosi e di fiori profumati...
Cara Jo,
RispondiEliminahai espresso, come sempre, con delicatezza ed efficacia le tue impressioni e riflessioni.
Ti ringrazio. Sai che sono sempre felice di incontrarti e grata al Signore per poter attingere ai tuoi pensieri, che sono in perfetta sintonia con i miei.
Convengo con te che, da quel che possiamo vedere oggi, appare realistica la coniugazione al futuro del progetto di cui si parla.
E, tuttavia, dobbiamo fare lo sforzo e custodire ma anche attivare la tenacia di agire "qui ed ora", anche se la nostra può apparirci una voce che grida nel deserto. Ma se la nostra voce, si fa Voce di quella Parola, che ci ha già salvati e ci salva continuamente, Imago Splendore e Figura del Padre che continua a generarla, dobbiamo esser certi fin da ora che ogni piccolo germe di Bellezza reso presente oggi potrà farla esplodere nel futuro.
Forse in questo tempo oscuro e di grande transizione a noi è dato di tenere acceso il lumicino della Fede e di non lasciarlo soffocare; ma penso che non basta e sono convinta che, se in ogni piccolo gesto e pensiero del nostro quotidiano vivere, abbiamo il cuore ospite e acceso dal Figlio diletto, che è contemporaneamente Verbum, cioè Parola che però è anche Fatto, Immagine ("chi vede me vede il Padre", ricordi?) della Sostanza del Padre, nulla potrà impedire ai teneri germogli che sgorgano anche dalle piccole preziose esperienze quotidiane, di esplodere in un futuro che non vedremo, ma che il Signore sta già costruendo, perché la "Città di Dio" non può essere né espugnata né distrutta: è è una Sua promessa!
Certo che alla Chiesa-istituzione dovrebbe appartenere il Progetto più ampio e consapevole di recuperare la Bellezza, che non può avvenire senza recuperare la Verità, in questo nostro tempo così oscurata...
Vuol dire che noi siamo le formichine che portano nei 'granai dello spirito' le briciole del futuro che ci attende, ma che inizia già qui!
grazie mic per avermi risposto. Non me lo aspettavo.
RispondiEliminaBellissimo il simbolo del giardino e del deserto. Grazie ancora.
Quello che avevo intuito è che la Bellezza ce la portiamo tutti dentro, anche se oggi appare più attraente la bruttezza.
Intanto ieri un paio d'ore di bellezza e profondità culturale le ho vissute ad Ognissanti: S. Messa in rito antico e conferenza sui testi di don Brunero (mons.Gherardini per me rimane sempre don Brunero:l'ho conosciuto nel 1958). Ottimi i relatori, poche ma scolpite nel cuore le parole del Maestro.
RispondiEliminaA suo tempo ebbi un incontro- scontro epistolare e sul bollettino Una Voce Dicentes col vescovo di Pistoia mons. Scatizzi, ora defunto, in cui feci un florilegio non certo esaustivo dell'esaltazione della bellezza nella liturgia con citazioni di Padri, Pontefici, teologi ecc.
Fra l'altro il vescovo in questione sosteneva che la Messa rinnova il rito, non la realtà sacramentale contenuta nel rito, in una breve ma tremendamente confusa e sostanzialmente eretica lettera. Speriamo che nel cielo cui certamente il Signore l'ha chiamato per altri meriti, abbia capito tante cose che non ha capito in terra.
Ricevo via mail questo messaggio:
RispondiElimina"Non possiamo restare indifferenti agli assalti contro ciò che per noi vi è di più prezioso: la nostra Fede, la nostra Religione, il nostro Dio e la Sua Chiesa. Se riusciremo ad essere fedeli alla severità dei princìpi e della disciplina tracciata, nulla potrà atterrirci e la vittoria finale sarà nostra e soprattutto di Dio con noi. Se abbiamo idee vere e non annacquate in testa, amore soprannaturale nel cuore e nella volontà, sangue rigenerato dal Sacrificio di Cristo nelle vene, potremo fare qualcosa di piccolo anche nel mondo presente. Infatti vi è una potenza, che non è nostra ma alla quale possiamo partecipare, in questo mondo che trionfa su tutto e questa è la nostra Fede (I Gv., V, 4)."
Concordo e condivido con voi. Ho evidenziato in neretto ciò che mi sembrava particolarmente in tema con quanto detto negli ultimi post. Che poi è l'annuncio cristiano di sempre.
Ottimi i relatori, poche ma scolpite nel cuore le parole del Maestro.
RispondiEliminanon sai quanto mi sono rammaricata di non riuscire a venire!
Sono però felice per quest'occasione che hai avuto di sano e robusto nutrimento e speriamo di avere un'altra opportunità di incontrarci appena possibile.
Incontrerò Mons. Gherardini qui a Roma mercoledì 25.
Alla prossima, caro Dante.
Quello che avevo intuito è che la Bellezza ce la portiamo tutti dentro, anche se oggi appare più attraente la bruttezza.
RispondiEliminamalsana, drammatica "attrazione", dalla quale abbiamo l'antidoto per sottrarci: lo sguardo e l'anelito del cuore e della mente a quella Imago fatta carne per noi che, proprio nel momento di maggiore sua devastazione esteriore, raffigurando "ecce homo" quel che siamo se ci allontaniamo da Dio, ha il potere di "attrarre" tutti a Sé... il seguito, stupendo, non può mancare.
Grazie per i tuoi pensieri, sono sempre i benvenuti.
"facendo leva poi più sulle emozioni che su ragionamenti puri e corretti"
RispondiEliminatale quale nella Chiesa: abbandono della scolastica e spazio ai movimenti tutta emozione e niente dottrina
riporto un brano del testo recensito, che dà alimento a quanto già venuto fuori fin qui:
RispondiElimina"La natura delle piante dei «Giardini dell'arte» non più sacra aperti nella nuova Città civile, private dell'acqua delle sorgenti celesti, è una natura debilitata, gracile, infestata da malattie, anche se, come avviene per tutte le gramigne, essa pare rigogliosissima, capace di attecchire e svilupparsi con energia insospettata: se la variazione antropologica tanto violentemente regressiva quasi ci sommerge è perché le piante della filosofia regressiva ricevono linfa, appoggi economici e puntelli culturali di ogni tipo, mentre la filosofia e in generale la cultura della Città sacra languono, si disperdono in mille rivoletti, intaccate anch'esse in più punti e fin nel midollo dal morbo virulento del relativismo e, da esso, da quelli del particolarismo, della rivalità, dell'invidia.
Al fondo, il Liberalismo avvince per la promessa appunto di libertà, e conquista per la tecnica subdola ma convincente dell'occupazione centimetro per centimetro attraverso il concetto del «meglio poco che niente», ossia sulla convenienza e sull'utilitarismo invece che sui principi, facendo leva poi più sulle emozioni che su ragionamenti puri e corretti."
Sembra che qui siamo alle prese con le "origini della Bruttezza", ma in realtà è da qui che dobbiamo e vogliamo ripartire, perché è bene affrontare i problemi, sapendo che è la Chiesa, come ben ricorda Radaelli, che riscoprirà di avere ancora e solo essa la conoscenza ultima delle cose, per esempio di dove si trova la Fontana della Conoscenza e della Vita...
Chiedo scusa perché il commento di Memorare risulta sfalsato rispetto al brano che ho cancellato e reinserito, dopo aver tolto alcuni refusi.
RispondiElimina