Lieta di condividere, in sintonia con quanto andiamo dibattendo, il testo che segue di padre Serafino M. Lanzetta FI docente di teologia dogmatica direttore della rivista "Fides Catholica".
Si tratta di un'ampia recensione dell'ultima opera del Card. W. Kasper, dedicata alla misericordia: praticamente il manifesto programmatico che riprende la sua famosa prolusione con la quale sono stati aperti i lavori sinodali durante il concistoro dello scorso febbraio sulla pastorale familiare e dato la stura alle note prese di posizione di molti porporati anche in vista della prossima prima tappa del percorso biennale che condurrà all’esortazione apostolica del Papa.
Digitando le parole chiave nel motore di ricerca del sito potete trovare i numerosi documenti pubblicati sulla scottante tematica.
Si tratta di un'ampia recensione dell'ultima opera del Card. W. Kasper, dedicata alla misericordia: praticamente il manifesto programmatico che riprende la sua famosa prolusione con la quale sono stati aperti i lavori sinodali durante il concistoro dello scorso febbraio sulla pastorale familiare e dato la stura alle note prese di posizione di molti porporati anche in vista della prossima prima tappa del percorso biennale che condurrà all’esortazione apostolica del Papa.
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La misericordia secondo il cardinale Kasper
È da salutare con grande interesse lo sforzo teologico del cardinale Walter Kasper di rimettere il tema della misericordia di Dio non solo al centro della predicazione e della pastorale della Chiesa, ma soprattutto al centro della riflessione teologica. Nel suo recente libro sulla misericordia, apparso in tedesco nel 2012 e poi tradotto in italiano per i tipi della Queriniana (Giornale di Teologia 361) nel 2013, "Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo - Chiave della vita", il cardinale tedesco, per lunghi anni presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, parte da un’amara constatazione: la misericordia, la quale occupa un posto centrale nella Bibbia, è difatti caduta completamente in oblio nella teologia sistematica, trattata solo in modo accessorio. O non occupa un posto centrale nei manuali di teologia sistematica fino alle soglie degli anni 1960, o addirittura manca del tutto in quelli recenti. Se vi compare, occupa un posto del tutto marginale. Nonostante che il pontificato di Giovanni Paolo II avesse dato un grande impulso alla riscoperta della misericordia, come tema teologico e spirituale, grazie soprattutto alla santa polacca Faustina Kowalska, e che Benedetto XVI ne avesse fatto, in un certo modo, la sua direttrice, con la prima enciclica sull’amore, "Deus caritas est", il tema rimane ancora nascosto nel suo potenziale sviluppo per la teologia e quindi per la vita cristiana. Il nostro cardinale, dunque, in questo suo testo, di cui ci occuperemo (5a ed. it. del 2014), raccoglie questa sollecitazione, e presenta a livello sistematico il tema della misericordia di Dio.
Una giustizia che si ritrae nella misericordia?
La misericordia è una medicina indispensabile, è l’ingrediente che purtroppo manca, ma che a ben guardare rappresenta l’unica vera risposta agli ateismi e alle ideologie così perniciose del XX secolo. Come annunciare di nuovo un Dio, di cui, dopo Auschwitz, faremmo solo meglio a tacerne l’esistenza? Storicamente, a giudizio di Kasper, suffragato da O.H. Pesch, "l’idea di un Dio castigatore e vendicativo ha gettato molti nell’angoscia a proposito della loro salvezza eterna. Il caso più noto e foriero di gravi conseguenze per la storia della chiesa è il giovane Martin Lutero, che fu per lungo tempo tormentato dalla domanda: 'Come posso trovare un Dio benigno', finché egli un giorno riconobbe che, nel senso della Bibbia, la giustizia di Dio non è la sua giustizia punitiva, ma la sua giustizia giustificante e, quindi, la sua misericordia. Su di ciò, nel XVI secolo la Chiesa si divise" (p. 25), e così da quel momento, il rapporto giustizia e misericordia divenne una questione centrale della teologia occidentale.
Il nostro cardinale preferisce non entrare nel tema della giustificazione secondo Lutero, solo la loda (come farà poi anche alle pp. 121.137), anche se ci sarebbero molte cose da dire, una tra tutte: la misericordia giustificante è vista dal riformatore tedesco non come perdono ontologico, come integra riconciliazione dell’uomo con Dio, nella verità e nella giustizia, ma come un essere semplicemente rivestiti dei meriti di Cristo (non dell’uomo), quindi in un intrinseco rimanere peccatori seppur dichiarati giusti. Questa è misericordia di Dio? Dove l’uomo rimane inficiato non solo del vulnus della concupiscenza, ma dalla stessa sporcizia del peccato, pur essendo giusto? Giusti nei peccati? Su questo il card. Kasper si mostra benevolo sorvolando, riferendosi solo allo sforzo immane fatto da ambo le parti, quella cattolica e quella luterana, di trovare un consenso fondamentale sulla dottrina della giustificazione con la Dichiarazione ufficiale comune sulla dottrina della giustificazione, del 31 ottobre 1999 [qui], che vedeva attori la Federazione Luterana Mondiale e la Chiesa Cattolica, rappresentata dal Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, presieduto dal nostro cardinale (cf. p. 26). A questa Dichiarazione, seguita alla Dichiarazione congiunta del 1997, era stato necessario premettere, nel 1998, una Risposta ufficiale cattolica (elaborata di comune intesa tra la CDF e il PCUC, ma firmata solo da quest’ultimo), rimanendovi comunque una visione protestante non conciliabile con quella cattolica, nel tentativo ecumenico di non considerare più le condanne di Trento come divisive per le chiese.
In ogni caso Kasper è cosciente, nel suo libro, di un assunto: dobbiamo tirar fuori la misericordia "dalla sua esistenza di cenerentola, in cui essa era caduta nella teologia tradizionale" (p. 26). Certamente misericordia non è una visione sdolcinata di Dio, di un Dio possibilista verso i desideri dell’uomo, accondiscendente, buonista, ma è una vera sfida, non solo teologica, ma anche sociale e politica se vogliamo. Dalla vera misericordia deriva un’immagine di Dio come risposta adeguata all’ideologia ancora in voga, tanto quella marxista quanto quella capitalista.
Il card. Kasper è ben attento nel denunciare tutti i rischi che si nascondono negli accenti quasi ossessivi alla misericordia, ma a volte contro la verità. Un mondo che ha rinunciato a Dio e alla ragione, non può che accontentarsi di buoni sentimenti. Scrive, ad esempio: "La misericordia senza la verità sarebbe priva di onestà; sarebbe semplice consolazione, in definitiva un chiacchierare a vuoto. Viceversa, però, la verità senza misericordia sarebbe fredda, scostante e pronta a ferire" (p. 241).
Fine primario del libro di Kasper sulla misericordia, comunque, rimane un ridare assetto sistematico alla grande assente nel dibattito e nella speculazione teologici, provocando una coscientizzazione più ampia. Il nostro autore offre, così, dopo aver esaminato attentamente il messaggio della misericordia nell’A.T. e nella predicazione di Gesù, importanti riflessioni per un quadro speculativo generale sulla misericordia. Vogliamo occuparci più a lungo proprio di questo, perché a giudizio di chi scrive, in questo quadro sistematico, si insinua qualcosa che potrebbe sconvolgere l’insieme: facilmente esagerando i tratti misericordiosi di Dio, quando non addirittura spingendoli molto a ribasso. Esaminiamo quest’opera per gradi.
Beati i poveri in spirito
C’è una novità quasi radicale di Cristo rispetto al messaggio dell’A.T., commenta Kasper, consistente nel fatto che Gesù, "predica la misericordia definitiva per tutti. No solo a pochi giusti, ma a tutti egli dischiude la via di accesso a Dio… Dio ha messo definitivamente a tacere la propria ira e ha fatto spazio al suo amore e alla sua misericordia" (p. 103). Questa drastica separazione con l’Antica Alleanza, dove sembra, così dicendo, che non ci sia posto per la compassione e l’amore, non appare ben supportata. Basti pensare ai Salmi che lodano l’amore misericordioso del Padre per noi (cf. Sal 117, oltre a quelli che cita anche il nostro autore, convinto che dall’Esodo fino ai Salmi Dio è misericordioso e pietoso, cf. p. 93). La misericordia, in fondo, deriva dallo stesso atto creativo di Dio, che suscita in Lui approvazione e gioia (cf Gen 1,4.10.12.18). Dio non disprezza ciò che ha fatto, non rinnega l’opera delle sue mani.
Ma ciò che preme sottolineare al cardinale, nell’accento misericordioso del N.T., è piuttosto questo passaggio, in verità molto oscuro: "Suoi destinatari (di Gesù) erano in modo particolare i peccatori; essi sono i poveri in spirito" (p. 103). E questo, sembrerebbe, per il fatto che Gesù è amico dei pubblicani e dei peccatori (cf. p. 104). I peccatori sono i poveri in spirito? Quindi, chi commette i peccati è beato perché ha perso qualcosa nello spirito? Si vede a quali conclusioni potrebbe portare una tale considerazione, quando non a veri errori, che difatti sono già noti in tante predicazioni e infatuazioni misericordiose. La povertà di spirito non è una mancanza materiale di qualcosa (della grazia di Dio?), ma è una condizione interiore, un atteggiamento dell’intelligenza e del cuore, semplici, penitenti e umili, che si pongono davanti a Dio, senza mezzi umani, in ascolto della sua Parola (cf. Mt 5,3 alla luce del Sal 69,33ss.).
Su questo punto, invece, ha le idee molto chiare un importante teologo protestante, Heinz Zahrnt, il quale dice così, commentando il ministero pubblico del Signore: "I peccatori non sono scusati e la malattia non viene idealizzata. Gesù è un amico dei peccatori, non il loro compagno… Certamente il ritorno del peccatore rimane indispensabile, ma non è la condizione, è piuttosto la conseguenza del dono grazioso di Dio" ("Jesus aus Nazareth. Ein Leben", Monaco 1987, p. 109). I poveri di spirito sono coloro che si convertono, non i peccatori che rimangono tali.
La misericordia specchio della Trinità?
Kasper rifiuta la visione metafisica classica e fa sua invece la critica di Kant, ben espressa poi in quel “Che cosa possiamo sperare?”. Cioè, la nostra intelligenza è limitata, non può superare il campo del visibile e dell’esperienza umana. Ciò che va oltre non è dato di conoscere, ma è relegato alla speranza, la quale rappresenta un mero postulato (cf. pp. 190-191). Questo anche per Kasper. Infatti, scrive: "Non è possibile superare la critica di Kant ai tentativi di una teodicea; tutti questi tentativi vanno considerati come falliti" (p. 191). Ma ci si pone, almeno qualche volta, il problema che una speranza come semplice presupposizione, ma infatti fondata sul dubbio, è già disperazione?
La teodicea, legata a una visione essenzialista di Dio, che, tra l’altro, escludeva dagli attributi dell’Essere divino la misericordia, riconducendoli invece, solo ad attributi (forti) come l’onnipotenza, la giustizia, l’infinità, ecc., lascerebbe il posto, nella S. Scrittura, a una forma più esistenziale dell’"Ego sum qui sum" (Es 3,14): non Io sono l’Essere, ma Io sono sempre con voi e per voi (cf. p. 129). Però, se la metafisica ha escluso la misericordia tra gli attributi essenziali di Dio (cf. p. 23), perché essa ci è rivelata da Dio nella sua automanifestazione storica a partire dalla Sacra Scrittura – gli attributi metafisici di Dio riguardano ciò che la ragione può cogliere come universale e senza necessità di una rivelazione soprannaturale –, Kasper in realtà si ingegna a voler collocare proprio la misericordia nella stessa essenza di Dio, come proprietà fondamentale di Dio; di più, al dire del nostro, come "specchio della Trinità" (p. 140). Questo, infatti, gli consente di dover guardare ormai e per sempre alla giustizia dalla misericordia: "Se la misericordia è la proprietà fondamentale di Dio, allora essa non può essere un’attenuazione della giustizia, ma bisogna piuttosto concepire la giustizia di Dio partendo dalla sua misericordia. La misericordia è allora la giustizia specifica di Dio" (p. 137).
È qui percepibile lo sforzo ecumenico del nostro autore, in un discorso in cui la visione di Lutero sembra costituire lo sfondo grazioso, ma, in ogni caso, ciò che stride è il tentativo di assorbire la giustizia nella misericordia. In teologia la misericordia è qualificabile come dono, una grazia, non un’esigenza, come invece lo è la giustizia, anche se naturalmente contempla anche l’aristotelica epicheia. La misericordia perfeziona e compie la giustizia ma non l’annulla; la presuppone, altrimenti non avrebbe in sé ragion d’essere. E questo anche perché le proprietà o attributi divini, a livello razionale, sono deducibili da ciò che la ragione è capace di esprimere su Dio. S. Tommaso dice: "La misericordia va attribuita a Dio in modo principalissimo (maxime attribuenda); non per quanto ha di sentimento o passione, ma per gli effetti (che produce)" (S. Th., I, q. 21, a. 3).
Anche se Kant dice di no, la ragione rimane comunque aperta alla realtà come tale, alle cose che sono in quanto sono, alle cose che esistono. Se Dio esiste (come lo sa questo Kasper? Solo dalla fede? Dalla speranza?) la ragione è aperta a tutto l’essere; la ragione è aperta a tutto l’essere perché Dio esiste. Ma questi discorsi possono apparire troppo fissisti, passati di moda.
Al nostro cardinale preme però dimostrare, con S. Luca (6,36), in un modo che sinceramente ci sfugge, che "la misericordia è la perfezione dell’essenza di Dio. Dio non condanna, ma perdona, dà e dona in una misura buona, sollecita, vagliata e sovrabbondante" (p. 105). Se allora la misericordia appartiene all’essenza stessa di Dio, perfezionandola (sic! In realtà, cosa può perfezionare Dio se non Dio stesso? Ad ogni modo bisogna decidersi se fare uso o meno della metafisica), allora, "nella misericordia non viene certo realizzata l’essenza trinitaria di Dio, questa però diventa concretamente realtà per noi e in noi" (p. 144). Kasper riprende la tesi dell’autoritrazione di Dio nella sua kenosi umana, non nel senso protestante di rinuncia alla sua divinità: per Lutero Dio nella sua kenosi è "raumgebend", cioè colui che fa spazio all’autodecisione dell’altro, piuttosto nel senso della sua rivelazione. Dio, infinito in sé, si ritrae per fare spazio all’altro; al Figlio e mediante Lui allo Spirito Santo. In Dio, questa ritrazione, nella sua stessa infinità, è kenosi, è autospogliamento di sé, presupposto poi, perché, Dio infinito, possa fare spazio alla creazione. L’autoritrazione trinitaria conosce il momento del suo sublime rivelarsi nell’incarnazione e nella Croce di Gesù Cristo, rivelazione della sua onnipotenza nell’amore. Così Kasper (cf. p. 144).
Ci chiediamo: se Dio si ritrae per fare spazio all’altro, sia esso una persona divina o il creato, chi sarà l’altro? Dio stesso che si ritrae fino a perdersi nell’altro? L’uomo è l’autospogliamento di Dio? L’umanità di Gesù è l’autospogliamento rivelativo di Dio? Non c’è il rischio che Dio rimanga poi solo il Dio di Gesù Cristo, nella kenosi rivelativa di Dio? E che Gesù Cristo non sia più Dio ma solo la ritrazione del Padre? Domande che crescono e che ci colgono sorpresi. Ma che ci mettono davanti al rischio concreto dell’abbandono della metafisica.
Come possiamo non disperare
Un altro capitolo teologico importante nell’analisi di Kasper è quello riguardante la misericordia in relazione al discorso escatologico. Ancora una volta Kasper, ora suffragato da Hans Urs von Balthasar, si richiede, con la critica della ragion pura di Kant: "Che cosa possiamo sperare?", domanda che riassume, a suo giudizio, "tutte le domande umane" (p. 158). Come per la ragione filosofica anche per l’intellectus fidei però si pone subito un problema: non tanto cosa ma come possiamo sperare? Qual è il modo teologale corretto di esercitare la speranza? Sembra che, come per la metafisica, anche in ambito escatologico l’analisi di Kasper presenti un vulnus.
Nella S. Scrittura scopriamo due diverse serie di affermazioni che per Kasper, come già prima per von Balthasar nel suo "Sperare per tutti" (or. ted. 1986, tr. it. 1989) appaiono inconciliabili. Per von Balthasar difatti rimangono inconciliabili, e cioè, in sintesi: da un lato la dichiarazione incontrovertibile che Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini (1Tm 2,3) e dall’altro, comprensivo di più luoghi scritturistici, il giudizio universale, in cui alcuni andranno alla perdizione eterna e altri alla salvezza eterna (Mt 25,31-46).
A giudizio di Kasper, le affermazioni salvifiche universalistiche sono di speranza per tutti, ma non riguardano la salvezza effettiva di tutti e singoli gli uomini, mentre le affermazioni che parlano di giudizio e dell’effettiva dannazione non intendono dire di nessun uomo che si sia dannato. Questo dà modo al cardinale tedesco di dedurre quanto segue: "Di nessun essere umano concreto ci è stata rivelata la dannazione eterna e la chiesa non ha mai insegnato in modo dogmaticamente vincolante a proposito di nessuno che egli sia caduto nella dannazione eterna" (p. 166). Neppure di Giuda si potrebbe dire ciò con sicurezza. Qui però sembra che si confonda il magistero dogmatico, che insegna senza alcun dubbio l’esistenza dell’inferno e l’effettiva perdizione di chi muore in stato di peccato mortale (si veda, come sintesi di numerosi interventi, il CCC ai nn. 1033-1035), con una sorta di dichiarazione infallibile che quel tale si è dannato. La Chiesa, come ben sappiamo, non fa “canonizzazioni” per chi si danna, ma insegna infallibilmente, sulla base del chiaro insegnamento del Signore, che l’inferno esiste e che non è vuoto.
Per Kasper però, e questo è il vero problema della sua analisi, "non possiamo né interpretare le affermazioni storico-salvifiche universali, piene di speranza, nel senso della dottrina dell’apocatastasi, come conoscenza di fatto dell’effettiva salvezza di tutti i singoli, né dedurre dalla minaccia del giudizio e dalla reale possibilità dell’inferno l’effettiva dannazione eterna di singoli essere umani o addirittura della maggioranza degli uomini" (p. 167). E questa è la posizione di Kasper: "Possiamo sperare nella salvezza di tutti, ma di fatto non possiamo sapere se tutti si salveranno" (p. 169). Questo è l’approdo, difatti, del criticismo kantiano. Non si può sperare, contro la fede, la salvezza di tutti. Come non c’è una speranza contro o senza la ragione, analogamente, non c’è speranza teologale contro o senza la fede. Non si può sperare contro le parole chiarissime del Signore: "… e questi se andranno alla perdizione eterna e i giusti alla vita eterna" (Mt 25,46), come se fossero mere esortazioni a fare i buoni.
Kasper nella sua analisi cerca una via mediana tra la posizione di von Balthasar, da cui vuole distaccarsi, e la dottrina della Chiesa, ma alla fine non ci riesce.
Von Balthasar aveva sostenuto che "non si sa se tutti si salveranno, ma si “può” sperare che nessuno si perderà" ("Sperare per tutti", p. 13). Alla fine, il teologo di Basilea, rispondendo ai suoi critici in modo acceso, dirà che non solo si può, ma addirittura si deve sperare che nessuno si perderà. Chi pensasse che oltre a se stesso anche solo un altro potesse perdersi eternamente non amerebbe più senza riserve ("Breve discorso sull’inferno", or. ted. 1987, tr. it. 1988, p. 57). A conforto della sua idea originaria, più possibilista ma non ancora esclusivista, von Balthasar amava riferirsi a una “nuvola di testimoni”, di mistici, che avrebbero condiviso la sua tesi.
In realtà, fu dimostrato nello stesso anno 1986 dalla rivista tedesca "Theologisches", che nessuno dei mistici indicati da von Balthasar sostiene la sua visione di un “inferno vuoto”, con la sola eccezione di Adrienne von Speyr. Tutti i santi e mistici confermano la visione della dottrina della Chiesa: ci sono dei dannati all’inferno, non ultimo il messaggio della Madonna a Fatima. Qualora ci fosse qualche apparente discrepanza tra le visioni dei mistici circa le realtà ultime – Balthasar ad esempio amava riferirsi alla misericordia della piccola Teresa, più che alla teologia mistica della grande Teresa – la cosa va risolta guardando all’insieme dei santi e non a casi isolati e nell’ottica del Magistero della Chiesa.
Kasper, per rafforzare la sua tesi, cita anch’egli numerose testimonianze di diversi santi, specialmente donne. Ma li cita normalmente secondo von Balthasar. In definitiva, il vero problema di von Balthasar fu la sua dipendenza in toto da Origene, come gli rimproverò Werner Löser: il teologo di Basilea volle svolgere la sua intera opera "nello spirito di Origene"; a differenza di questi, però, non postulò anche la salvezza del diavolo, ma solo quella degli uomini.
Un Dio che soffre per misericordia?
Infine, vorremo soffermarci su un altro aspetto sistematico con cui il card. Kasper lumeggia la misericordia di Dio in se stesso. Ora l’accento è posto sulla sofferenza di Dio e si può subito capire che anche qui la questione diventa molto delicata: da un lato è in agguato il cosiddetto patripassianismo, vecchio errore che ammetteva la sofferenza del Padre nella passione del Figlio e dall’altro una sorta di apatia di Dio, ragion per cui molti si sono allontanati da un Dio che sembra non avere un cuore, un Dio freddo calcolatore che rimane muto dinanzi al mistero del dolore e della sofferenza innocente.
Dio non è apatico, dice Kasper. "Secondo la testimonianza della Bibbia Dio ha un cuore per noi uomini, soffre con noi, gioisce con noi e si affligge per noi e con noi" (p. 183). La Bibbia non conosce un Dio che troneggia in modo insensibile. Venendo al N. T., è lampante l’esempio del Cristo, di colui che assunse per noi la forma di servo umiliando se stesso (cf. Fil 2,6ss.). Un Dio in croce, vero scandalo per il mondo nella stoltezza dei pensieri umani. Il tentativo di Kasper qui è di unire l’insegnamento della Bibbia, cioè di un Dio che soffre per amore con quello della teologia classica e metafisica, secondo cui Dio non può soffrire in se stesso, ciò che sarebbe chiaramente un divenire e perciò una solenne imperfezione.
A giudizio di Kasper, però, "per la Bibbia… la con-sofferenza di Dio non è espressione della sua imperfezione, della sua debolezza e della sua impotenza, ma è espressione della sua onnipotenza… Egli non può quindi essere passivamente e contro la sua volontà colpito dal dolore, però nella sua misericordia si lascia sovranamente e liberamente colpire dal dolore" (pp. 184-185). Dio nella sua misericordia è libero di soffrire e soffre per noi. Così, conclude Kasper, "oggi molti teologi della tradizione cattolica, ortodossa e protestante parlano della possibilità che Dio ha di soffrire e di con-soffrire con noi" (p. 185).
È molto importante spiegare che Dio può soffrire, anzi che si è fatto uomo proprio per poter soffrire per noi e con noi. Perciò non è insensibile o apatico. Ma in che modo però parliamo di Dio quando gli attribuiamo la sofferenza? Quale estensione ha il concetto “Dio” in Kasper e negli altri teologi che sostengono, evidentemente senza distinguere, la “sofferenza di Dio” dal Dio in quanto tale? Sembra, a ragion veduta, che Kasper, per appurare la sofferenza misericordiosa di Dio, utilizzi il concetto “Dio” in modo universale, o se vogliamo, in relazione alla Trinità, in modo piuttosto modale. Bisogna chiedersi: Dio soffre in quanto Dio, in quanto Padre, Figlio e Spirito Santo, o non invece in quanto Figlio e soltanto nella sua natura umana? La sofferenza, in verità, è di Cristo e circoscritta alla sua natura umana. La possiamo attribuire anche alla natura divina del Figlio – in questo senso Dio soffre, Dio muore, Dio è in Croce, ecc. – in virtù della "communicatio idiomatum", comunicazione che non sposta la sofferenza da Cristo a Dio e quindi alla Trinità, ma attribuisce la sofferenza della natura umana del "Christus patiens" alla sua natura divina, nature ipostatizzate dalla persona divina del Verbo e quindi, in ogni caso, delimitata alla seconda persona divina della SS. Trinità. Dio non soffre come Dio ma come uomo in Cristo. L’operazione logicamente scorretta è attribuire in modo improprio ciò che è di Cristo al Dio trino e uno. Certamente vale ciò che dice s. Bernardo di Chiaravalle, che Dio è "impassibilis" ma non "incompassibilis", capace cioè di compatire ma non di patire, ma non è corretto affiancare questa citazione, con quella di S. Agostino in "Enarrationes in Psalmos" 87,3: il Signore assunse la debolezza umana e la morte non per la miseria della sua condizione ma per la volontà della sua compassione, a quella di Origene in "Homilia in Ezechielem" VI,8, secondo cui Dio "prius passus est, deinde descendit. Quae est ista, quam pro nobis passus est, passio? Caritas est passio" (cf. p. 186). Qui Origene non è accettabile: è contro il dogma della Chiesa ammettere una sofferenza in Dio, addirittura prima della sua incarnazione e trasformare la Carità, che è Amore purissimo e semplicissimo, in sofferenza. Se anche Dio soffre nella sua eternità, chi potrà mai liberarci dalla sofferenza, una volta per sempre? E se Dio soffre, ma per amore, chi darà un senso al mio amore, che è essenzialmente richiesta di non più soffrire?
Ne va da sé che per Kasper l’unica vera risposta al male, alle tragedie, alle catastrofi naturali è la speranza, e cioè l’esercizio della misericordia. La ragione non può dirci di più e neanche la fede (cf. pp. 187-199).
Ci si consenta, a questo punto, anche qualche perplessità nel pensare all’impianto della misericordia che soggiacerebbe al "Vangelo della famiglia", tema introduttivo e linea guida per i lavori del prossimo Sinodo sulla famiglia.
Qual è difatti la misericordia che dovrebbe fungere ormai da ponte tra "la dottrina della Chiesa sul matrimonio e le convinzioni vissute di molti cristiani"? Forse che i divorziati risposati, che desidererebbero fare la comunione, sono i poveri in spirito, ai quali non resta altro se non la speranza come esercizio della misericordia?
I santi, in verità, ci insegnano ad essere molto cauti con la misericordia di Dio, a non prenderla sottogamba, né a misconoscerla, chiudendosi in un desiderio di giustizia ad ogni costo. L’apostolo della Germania, S. Pietro Canisio, S.J., dice a tal proposito: "Con la misericordia di Dio vogliamo sempre comportarci in modo da essere conformi alla sua giustizia. Gli uomini ciechi si lasciano sedurre da una confidenza vanitosa nella misericordia di Nostro Signore" (Lettera alla sorella Wandelina van Triest, nata Kanis, Colonia, 23 marzo 1543).
18.9.2014
Magister. Sul prossimo Sinodo sono aperte le scommesse
RispondiEliminahttp://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350874
Qui c'è l'elenco dei partecipanti al sinodo.
RispondiEliminahttp://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/09/09/0620/01369.html
così, brevissima riflessione sulla "Misericordia":
RispondiElimina_Siracide 5,4
Non dire: «Ho peccato, e che cosa mi è successo?»,
perché il Signore è paziente.
_Siracide 5,5
Non esser troppo sicuro del perdono
tanto da aggiungere peccato a peccato.
_2S.Pietro 3,9
Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi.
Quindi non conferma i peccatori nel peccato, ma se attende è perchè ci si ravveda, verso la santità richiesta da sempre.
Corrisponde alla concezione odierna? no. E allora si è già deragliato pure troppo, e da un pezzo.
dal testo del post estraggo
RispondiElimina"la misericordia giustificante è vista dal riformatore tedesco non come perdono ontologico, come integra riconciliazione dell’uomo con Dio, nella verità e nella giustizia, ma come un essere semplicemente rivestiti dei meriti di Cristo (non dell’uomo), quindi in un intrinseco rimanere peccatori seppur dichiarati giusti. Questa è misericordia di Dio? Dove l’uomo rimane inficiato non solo del vulnus della concupiscenza, ma dalla stessa sporcizia del peccato, pur essendo giusto? Giusti nei peccati?"
E' evidente (non solo da questo scritto, è da decenni che nei testi di Kasper ci sono forti debiti luterani) che lui è debitore della dottrina della "giustificazione" per Sola Gratia protestante.
La quale anche in breve si contesta (proprio loro che amano essere Sola Scriptura) con la Scriptura stessa.
Dunque, Giustificati per grazia, accolta per sola fede, senza trasformazione fattiva della propria vita?
vedamo che ne dice S. Paolo:
Romani 6
1 Che diremo dunque? Continuiamo a restare nel peccato perché abbondi la grazia? 2 È assurdo! Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato? 3 O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? 4 Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. 5 Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. 6 Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. 7 Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato.
(...)
1 Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
12 Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; 13 non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio. 14 Il peccato infatti non dominerà più su di voi poiché non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia.
15 Che dunque? Dobbiamo commettere peccati perché non siamo più sotto la legge, ma sotto la grazia? È assurdo! 16 Non sapete voi che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale servite: sia del peccato che porta alla morte, sia dell'obbedienza che conduce alla giustizia? 17 Rendiamo grazie a Dio, perché voi eravate schiavi del peccato, ma avete obbedito di cuore a quell'insegnamento che vi è stato trasmesso 18 e così, liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia."
Se in questi passi uno legge che è solo "reso giusto", ma può restare peccatore senza cambiare, senza le opere, senza rinnovamento e rinascita di mente, anima, corpo e azione.....!
ma è da un errore di questo tipo che non si intendono più le richieste divine di santificazione del dopo-aver-creduto, della vita nuova del cristiano.
Magíster comenta il testo di Padre Lanzetta e conclude:
RispondiElimina...Ed è la misericordia l’oggetto del suo ultimo saggio di teologia, che papa Francesco elogiò in uno dei suoi primissimi discorsi da papa, consigliandone a tutti la lettura.
Ma da valente teologo qual è, Kasper non dovrebbe stupirsi se anche questo suo libro viene ora sottoposto a puntuta e argomentatissima critica.
È ciò che fa padre Serafino M. Lanzetta, frate francescano dell’Immacolata, docente di teologia dogmatica e direttore dal 2006 della rivista “Fides Catholica”, nell’ampia recensione pubblicata in questa pagina di www.chiesa:
> La misericordia secondo il cardinale Kasper
Padre Lanzetta appartiene ai Francescani dell’Immacolata, il fiorente istituto religioso fatto a pezzi durante questo pontificato da un commissariamento vaticano di cui sono incerte le ragioni ma sicura l’assenza di misericordia.
In conclusione Padre Lanzetta lo consiglierebbe il libro di Kasper oppure no? Perchè basta anche solo un pensiero storto per rendere un libro pericoloso.
RispondiEliminaGrazie, Josh, questo è ciò che si dovrebbe fare sempre: trarre spunto dal testo proposto per approfondire.
RispondiEliminaAggiungo che p. Lanzetta non manca di citare anche la Dichiarazione congiunta sulla giustificazione del 1999 ( Kasper è stato uno dei protagonisti dei colloqui che l'hanno preceduta consentendone la formulazione).
Ne ho messo il link.
RIC,
RispondiEliminaLe parole di Magister sui FI, che vedo non ha mancato di nominare,sono precise e taglienti, peraltro condivise urbi et orbi da chi ha un minimo di onestà intellettuale a prescindere dalle implicazioni di fede. Ma il coro unanime non smuove i tiranni.
Annarè non credo che a qualcuno venga in mente di leggere il libro di Kasper se non eventualmente per meglio documentarsi, dovendovi studiar su o se è già nella stessa situazione che Lanzetta definisce di "deragliamento".
RispondiEliminaE, dopo una critica così ampia e argomentata, pensi che dovesse aggiungere altro?
Si hai ragione.
RispondiEliminaTra un teologo protestantizzante ed un VdR che, notoriamente, non è riuscito a conseguire alcun titolo accademico in teologia, siam messi proprio bene…Se non erro, anche GXXIII si definiva ignorante in teologa i, e PVI era laureato in Giurisprudenza.
RispondiEliminaRR
Così, conclude Kasper, "oggi molti teologi della tradizione cattolica, ortodossa e protestante parlano della possibilità che Dio ha di soffrire..."
RispondiEliminaComico questo uso del famoso "oggi" evolutivo delle scienze empiriche nel discorso teologico.
"Non è possibile superare la critica di Kant ai tentativi di una teodicea".
È questo un giudizio sintetico a priori? :) Dire che questa parte della critica di Kant è insuperabile suppone che si veda con chiarezza e distinzione tutte le articolazioni del sistema critico, cio che è un bluff evidente, dunque disonestà intellettuale.
Difficile non vedere in ciò che sta accadendo l'esplicarsi, il concretizzarsi via via più chiaramente di ciò che già davano a capire queste poche righe della Enciclica di Giovanni Paolo II, DIVES IN MISERICORDIA, in cui il pontefice si soffermava, riprendendola in più punti e senza mezzi termini, sulla MISSIONE ANTROPOCENTRICA DELLA CHIESA (sic!) ...e prima di lui ricordiamo naturalmente Paolo VI (ormai tra un mesetto dichiarato beato). Il tutto condito da elogi al "manifesto programmatico del CONCILIO VATICANO II, da attuare senza indugi. Esattamente come spesso ha ribadito pure Benedetto XVI.
RispondiEliminaPerciò, cari miei, si arriva sempre lì: il buon ultimo arrivato non fa altro che sostenere il programma conciliarista, sviluppandolo in modo probabilmente più estremo ancora dei papi conciliari e post-, suoi predecessori...
Ecco che quindi appena qua sotto, nel successivo post, per rifletterci ancora un po' su e vedere un pezzetto di strada fatta per arrivare a questo punto, inserisco appena un mini-estratto di quell'Enciclica di GPII...
Come anticipato sopra, ecco qua un piccolissimo estratto dalla Lettera Enciclica DIVES IN MISERICORDIA di Giovanni Paolo II, in cui tra l'altro egli afferma, sul finale dell'estratto proposto "CI PROPONIAMO COME COMPITO PREMINENTE DI ATTUARE LA DOTTRINA DEL GRANDE CONCILIO"..e questo proponimento sta durando ancora oggi, come ben vediamo e sappiamo, senza avere in qualche modo subito alcuna pausa di arresto, anzi...:
RispondiElimina“Se è vero che OGNI UOMO, in un certo senso, E’ LA VIA DELLA CHIESA [Nota mia: è Gesù Cristo invece, come Egli afferma di se stesso, la VIA, oltre che la Verità e la Vita, non l’uomo e in nessun senso lo è!], come ho affermato nell'enciclica Redemptor hominis, al tempo stesso il Vangelo e tutta la tradizione ci indicano costantemente che dobbiamo percorrere questa via con ogni uomo cosi come Cristo l'ha tracciata, rivelando in se stesso il Padre e il suo amore. In Gesù Cristo OGNI CAMMINO VERSO L’UOMO, quale è stato una volta per sempre assegnato alla Chiesa nel mutevole contesto dei tempi, è simultaneamente un andare incontro al Padre e al suo amore.
Il CONCILIO VATICANO II ha confermato questa verità A MISURA DEI NOSTRI TEMPI
[Nota mia: quindi la verità perenne espressa dal Vangelo deve essere rottamata per adeguarsi ai “tempi attuali”…tutto già sentito in questo mezzo secolo e regolarmente applicato!]
“Quanto più la MISSIONE SVOLTA DALLA CHIESA SI INCENTRA SULL’UOMO, quanto più è, per cosi dire, ANTROPOCENTRICA, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre. Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda. E questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell'ultimo Concilio.
Se dunque nella fase attuale della storia della Chiesa, CI PROPONIAMO COME COMPITO PREMINENTE DI ATTUARE LA DOTTRINA DEL GRANDE CONCILIO, dobbiamo appunto richiamarci a questo principio con fede, con mente aperta e col cuore”.
Almeno GP II si illudeva di coniugare l'antropocentrismo col teocentrismo....
RispondiEliminaAltra chiarificazione di padre Lanzetta
RispondiElimina"È qui percepibile lo sforzo ecumenico del nostro autore, in un discorso in cui la visione di Lutero sembra costituire lo sfondo grazioso, ma, in ogni caso, ciò che stride è il tentativo di assorbire la giustizia nella misericordia. In teologia la misericordia è qualificabile come dono, una grazia, non un’esigenza, come invece lo è la giustizia, anche se naturalmente contempla anche l’aristotelica epicheia. La misericordia perfeziona e compie la giustizia ma non l’annulla; la presuppone, altrimenti non avrebbe in sé ragion d’essere. E questo anche perché le proprietà o attributi divini, a livello razionale, sono deducibili da ciò che la ragione è capace di esprimere su Dio. S. Tommaso dice: "La misericordia va attribuita a Dio in modo principalissimo (maxime attribuenda); non per quanto ha di sentimento o passione, ma per gli effetti (che produce)" (S. Th., I, q. 21, a. 3).
Anche se Kant dice di no, la ragione rimane comunque aperta alla realtà come tale, alle cose che sono in quanto sono, alle cose che esistono. Se Dio esiste (come lo sa questo Kasper? Solo dalla fede? Dalla speranza?) la ragione è aperta a tutto l’essere; la ragione è aperta a tutto l’essere perché Dio esiste. Ma questi discorsi possono apparire troppo fissisti, passati di moda."
Sempre più evidente l'influsso luterano ben esplicitato anche in altri punti...
e da incorniciare:
"La misericordia va attribuita a Dio in modo principalissimo (maxime attribuenda); non per quanto ha di sentimento o passione, ma per gli effetti (che produce)"... la ragione è aperta a tutto l’essere perchè Dio esiste... Ma questi discorsi possono apparire troppo fissisti, passati di moda...
e soprattutto la misericordia NON PUO' assorbire la giustizia, ma la presuppone rendendone possibile il compimento.
RispondiEliminaIn parte sì, mic, ma su questo Paolo VI era ancora più esplicito e pesante, ad esempio nel discorso chiusura CVII, 7 dicembre 1965: "La religione del Dio che si è fatto Uomo s'è incontrata con la religione (PERCHE' TALE E') dell'uomo che si fa Dio"
RispondiEliminaColgo quest'altro spunto:
RispondiEliminaKasper riprende la tesi dell’autoritrazione di Dio nella sua kenosi umana, non nel senso protestante di rinuncia alla sua divinità: per Lutero Dio nella sua kenosi è "raumgebend", cioè colui che fa spazio all’autodecisione dell’altro, piuttosto nel senso della sua rivelazione. Dio, infinito in sé, si ritrae per fare spazio all’altro; al Figlio e mediante Lui allo Spirito Santo. In Dio, questa ritrazione, nella sua stessa infinità, è kenosi, è autospogliamento di sé, presupposto poi, perché, Dio infinito, possa fare spazio alla creazione.
Non ci ritroviamo piuttosto l'eco dello tzim tzum della qabalah = "ritrazione" o "contrazione" riferita all'atto della creazione?
Ma nella Santissima Trinità e nella "generazione" del Figlio, noi vediamo non tanto una "ritrazione", quanto un'effusione... e così pure in tutta la comunicazione Trinitaria.
La kenosi, invece, è lo spogliamento (più che altro abbassamento, nascondimento) della sua natura divina da parte del Verbo, per farsi uomo nella persona di Gesù...
Il "far spazio all'altro", invece, che poi riguarda anche noi, più che "ritrazione" è "assunzione" consentita dalla trasformazione effetto della redenzione, che libera guarisce e allarga il cuore rendendolo 'capace' nella misura sempre più vicina a quella del Signore (l'"uomo vecchio" che muore in Cristo accettando la Croce, perché sia rigenerato, in Lui l'"uomo nuovo").
RispondiEliminaE più che "ritrazione" la misericordia diventa "assunzione" che presuppone anche il ripristino della giustizia. Cristo stesso - mentre ha preso su di sé (tollit), "assumendolo", il nostro peccato, ripristinando la giustizia nell'obbedienza fino alla fine - così, nella sua Ascensione "assume" la nostra natura redenta (anche se attualmente siamo nel "già e non ancora").
E per assumere a nostra volta in Cristo il peso del peccato nostro e di altri non c'è "ritrazione", ma "assunzione" consapevole e possibile solo in virtù della redenzione e trasformazione (termine molto usato da Benedetto XVI) operata dal Signore nei "suoi" attraverso la vita di fede e sacramentale.
Assumere il peso del peccato presuppone anche il riconoscimento dello stesso nella verità: (1Gv,1: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa. Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi.
Vale per ognuno e nei confronti degli altri, soprattutto da parte dei pastori nei confronti delle anime da guidare e da edificare nella Verità oltre che nella Misericordia (e nella Giustizia).
Altrimenti perché il Sl 84 ci dice:
Misericordia e verità s'incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Del resto Rachamim, la parola che designa la misericordia in ebraico non è altro che (è un plurale) le "viscere materne", il luogo della generazione, quanto di più accogliente e dinamicamente e amorosamente generativo possa esserci... Non è solo un "far spazio", ma accogliere (nel luogo più intimo e sicuro), assumersi, generare, proprio solo di Dio e del Cristo, Suo Figlio, che è di questo che ci rende partecipi... Altro che "vicinanza compassionevole"! Certo questa è necessaria, ma è solo il presupposto iniziale. Il resto appartiene al Signore e a noi se rimaniamo in Lui, per ognuno secondo la Sua volontà.
Se l'inferno è vuoto, il male è giustificato, e non c'è più ne bene ne male in questo mondo. Siamo tutti peccatori giustificati. Ancora una volta le luci si spegnono. Curiosamente, sono i padroni di questo mondo i più interessati in questo genere di teologia.
RispondiEliminaNon per caso Kasper è il teologo della Germania consumista e filomassonica.
RispondiEliminaLa vite e i tralci
RispondiEliminaLe viscere materne e il feto
Colui che dà la vite e chi la riceve, per crescere...
Chi salva e chi viene salvato
Chi crea e chi è creatura...
Nel rapporto con Dio tutto è dipendenza, garantita dall'amore gratuito e disinteressato di chi dà tutto se stesso per amare...
Nelle pretese umane, fin dai tempi di Adamo, c'è il peccato originale di una presunta indipendenza, di una malintesa autonomia.
Oggi quello stesso peccato giunge a sfumare le "necessità della misericordia" (che sono innanzitutto dell'uomo, che ne ha bisogno) con i "diritti alla misericordia" (come se fosse un obbligo di Dio e un automatismo per l'uomo): è la pretesa di chi non deve convertirsi per essere perdonato, ma che abolisce il peccato per non doversi convertire. Oppure dell'uomo che si fa Dio.
Gesù che rimetteva i peccati suscitava la meraviglia di interlocutori comunque sinceramente "religiosi".
Oggi un'umanità laica, convince la Chiesa (fattasi umanitaria, democratica e filantropic) a umanizzare Gesù per "farsi come Dio".
La misericordia del Cardinale è tirare alla miseria dell'umanità caduta...
RispondiEliminaè una misericordia che non conosce il Risorto e non riconosce la Resurrezione.
Romano
Teologia in ginocchio, ma davanti a chi?
RispondiEliminaMic, commento 13,23
RispondiEliminanon troviamo infatti lì anche la dottrina kenotica....condannata da Pio XII nella Sempiternus Rex Christus del 1951: “riprovevole come l'opposto errore del docetismo, riduce a nome vano ed inconsistente tutto il mistero dell'Incarnazione e Redenzione”
Diffusa nel protestantesimo liberal e nella teologia evolutiva-storicistica alla Hegel, è entrata nel modernismo quanto nella Nouvelle Théologie, in von Balthasar a Rahner per es.
Parte un’interpretazione esoterica-cabalistica di Filippesi II, 7 (Cristo “spogliò se stesso”, ekenosen heauton), ponendola come la chiave di lettura di una nuova concezione teologica in cui
-Dio non solo, come limitatamente al testo sacro, spogliò se stesso per amor nostro in Cristo,
ma loro intendono invece che si spogliò e si annullò in un processo di auto-svuotamento ontologico (questo è esoterismo cabalistico), e così avrebbe creato il mondo...quasi rinunciando ad essere Dio.
Invece Dio, YHWH, è l'unico che può donare se stesso senza perdere nulla della propria sostanza, santità, potenza, sovranità e regalità. Egli solo può donare senza diminuirsi!
- Ugualmente, dicevano, il Verbo nell'incarnarsi in Cristo si sarebbe spogliato per autolimitazione di alcuni attributi, allo scopo di riversarli su di noi
- quindi ovviamente la Chiesa dovrebbe seguire questo supremo esempio, annichilendosi per dar vita alle altre religioni ed al mondo. Ma guarda un po’…..!
Nella sua scomparsa ed eclissazione, autonegandosi, abbandonata da Dio come Cristo in Croce, solo allora, a loro avviso, la Chiesa suicidatasi troverebbe la sua vera vita e la risurrezione, "per le vie del mondo".
Stesso iter persegue la "liberazione integrale", della Teologia della liberazione contemporanea in cui "l’oppresso" getti fuori da sé la cultura dominante, vista marxisticamente sempre come "sovrastruttura" per far nascere un uomo nuovo (che non è l'uomo nuovo paolino), libero da qualsiasi condizionamento, dichiarati i santi insegnamenti anch'essi come “sovrastruttura”, per fare tutto ciò che vuole, al di là del bene e del male, ormai dio e superuomo della propria vita.
Stiamo a posto.
ma loro intendono invece che si spogliò e si annullò in un processo di auto-svuotamento ontologico (questo è esoterismo cabalistico), e così avrebbe creato il mondo...quasi rinunciando ad essere Dio.
RispondiEliminaLa mia intuizione era dunque esatta... E hai espresso con chiarezza la loro vera e propria eresia.
ormai dio e superuomo della propria vita.
Ci siamo già.
Il vescovo (e non solo ovviamente) pst-umano di Galantino...
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-nasce-la-figuradel-vescovopost-umano-10272.htm
ce mancava...postumanesimo e transavanguardia :-)
RispondiElimina"Trasumanar significar per verba / non si porìa; però l'essemplo basti / a cui esperienza grazia serba" (Paradiso, I, vv. 70-73)
:)
Caro Josh,
RispondiEliminanel nostro lungo percorso, abbiamo già decriptato tante tessere che vanno a formare un mosaico ormai più che riconoscibile... Dovrei aver il tempo e la pazienza di sistematizzarle e farne un discorso organico.
Ma già solo le virgole di quel che abbiamo visto, detto e diffuso, dovrebbero essere sufficienti per mettere in guardia e dare una svegliata a chi è più responsabile!
"Chi vuole la "guerra" al Sinodo"
RispondiEliminadi Riccardo Cascioli
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-chi-vuole-la-guerra-al-sinodo-10367.htm
Forse che, quando ha attraversato l`Oceano per fare conferenze e scritto libri per far campagna per il suo progetto ( arruolando anche papa Bergoglio) il cardinale che fa teologia in ginocchio ha chiesto il permesso ai cardinali che oggi critica per osare opporsi alle sue idee?
Kasper e' un vecchio trombone che non farebbe alcun danno, se non avesse alle spalle Bergoglio. E lui chi ha alle spalle ?
RispondiEliminaRr
Mic. La questione dimostra la necessita' di essere molto sottili e prudenti quando si parla di temi riguardanti la teologia dogmatica o che possono condurvi. Personalmente, a causa di problemi di teodicea, sono molto interessato al discorso dello "zimzum" che lei definisce non senza ragioni "cabalistico-esoterico". Pero' c'e' da dire che e' facile gridare all'eresia, molto piu' difficile cogliere il punto esatto corrispondente alla "sana dottrina". Esemplifico. Quando si parla del problema del male, oltre a fare appello al mistero, come e' giusto e doveroso, si dice che Dio ha voluto lasciare all'uomo la liberta', senza la quale sarebbe un automa; qualche volta si arriva ad ammettere una certa autonomia delle "cause seconde", specialmente quando si discute di disastri naturali, per "scusare" Dio ed evitare di indicarli sic et simpliciter come punizioni di specifici peccati di gruppo, nel genere Sodoma e Gomorra o Diluvio universale. D'altronde l'atto di "lasciare liberi" implica un certo grado del "ritrarsi"; bisogna vedere quale. Un ritrarsi assentandosi del tutto o quasi, per cosi' dire andando nell'altra stanza, oppure un ritrarsi sorvegliando e provvedendo ai pericoli piu' grossi, come fanno i genitori quando il bimbo incomincia a fare i primi passi e loro tengono le braccia protese per impedire cadute e urti troppo gravi? Il noto e grande scrittore religioso Sergio Quinzio, che sedicenne era stato costretto dsi Nazisti a trasportare cadaveri, era ossessionato da questo tema, fino al punto da intitolare un suo libro "La sconfitta d Dio"
RispondiElimina( s'intende nella storia ). Nella parabola dei talenti si racconta di un padrone ( Dio ) che ando' in un paese lontano. Non e' questo un sottrarsi - ritrarsi ?. Analogamente in Cristologia, utilizzando la metafora dell'attore, usata da von Balthasar ( NB che io ammiro moltissimo e considero un gigante, nonostante i punti discutibili e discussi). L'attore si "svuota" della sua personalita' per diventare interamente Amleto o Macbeth o Riccardo III oppure finge di essere quel personaggio, rimanendo interiormente estraneo ad esso, oppure ancora riesce a essere personaggio e attore contemporanemente o a fasi alterne? E' il problema, quanto mai arduo, della "psicologia di Cristo".
Ovviamente non mi attendo una risposta precisa; pero', riguardo a papa Bergoglio e ad altri, rimango dell' idea che non e' opportuno lasciarsi prendere dal gusto retorico dell'ossimoro fino al punto di dire che Cristo si e' incarnato per "imparare a diventare uomo". Cosi' pure eviterei di gridare troppo presto e troppo forte "Dagli all'eretico!" perche' il confine tra l'eresia e la semieresia e' molto labile.
!
ma che significa esattamente "semieresia" ?
RispondiEliminaricordo che mons. Lefebvre diceva ottimamente:
Peggiore di un modernista c'è solo il semi-modernista
.....il che riconferma le parole del Signore in Ap.:
"Magari tu fossi freddo o caldo!....."
"Trasumanar significar per verba / non si porìa; però l'essemplo basti / a cui esperienza grazia serba" (Paradiso, I, vv. 70-73)
RispondiEliminaE' vero, se ne può solo accennare poveramente e solo quanto basta a rendere una pallida idea. Ma la theosis operata dal Signore non ha nulla a che vedere con le acrobatiche prometeiche elucubrazioni di un post-umanesimo, in realtà sub-umano, per non dire altro...
A Franco risponderò quando riuscirò a darmene il tempo. Il "dalli all'eretico" non lo uso mai. Tra l'altro sono sono abili ad alludere senza precisare, anche se alla fine si scoprono abbastanza (caso Kasper). E stavolta mi è "scappato" ;)
Dio Benedica Padre Serafino!
RispondiElimina@Franco: ti risponderà ancor meglio Mic.
RispondiEliminaMa riguardo ad un passaggio della condannata e citata dottrina kenotica, alla base c'è un "ritrarsi" che non è una qualità di Dio e c'è un travisamento di un passo biblico, spiegato con l'eterodossia.
Franco, ti cito per risponderti: l'atto divino di "lasciare liberi" non implica un grado del "ritrarsi", nè una diminutio in Dio, ma il Suo pazientare perchè lascia il libero arbitrio all'uomo e spera che l'uomo Lo riconosca e si ravveda;
Quello di Dio in realtà non è mai un ritrarsi, nè un assentarsi. Suoi sono lo spazio e il tempo e l'eternità. E dobbiamo anche ammettere una parte di mistero.
Nella parabola dei talenti si racconta di un padrone ( Dio ) che ando' in un paese lontano, sì ma questo non è sottrarsi - ritrarsi...è figura del padrone che in quella fase lascia libero l'uomo, non si comunica apertamente a lui....non dobbiamo nemmeno forzare la parabola.
Dio lascia l'uomo scegliere, ma non è che Dio sia "ritratto", contratto o diminuito o partito in vacanza o segregato. Non sarebbe Dio. O non è che dopo l'antropocentrismo, ora antropomorfizziamo pure Dio? Saebbe più facile metterLo da parte, ma sarebbe solo un'illusione della nostra mente.
In Cristologia la "metafora dell'attore" di Von Balthasar (che non ammiro affatto e vedo foriero di continue eresie, si vede che era passato al metodo Stanislavskij all'epoca) l'attore si "svuota" della sua personalita' per diventare interamente Amleto o Macbeth o finge di essere quel personaggio, rimanendo interiormente estraneo ad esso, oppure ancora riesce a essere personaggio e attore contemporanemente o a fasi alterne? E' il problema, quanto mai arduo, della "psicologia di Cristo". -dici
Trovo fuorviante la tua/sua (von B.) affermazione. Gesù ha pienamente entrambe le nature, umana e divina, pleroma del Padre, perfetta Ipostasi, non è un attore. Non è Dio che si finge uomo ma Vero Dio e Vero Uomo. Il concetto dell'attore riduce (se non offende in maniera bestemmiatoria) ancora una volta l'Entità e la coerenza della Persona Gesù, corrompe l'Incarnazione.
guarderei poi al passo da cui la dottrina kenotica deriva. Prova a falsare quanto di seguito, ma non vi riesce.
Filippesi 2, 5-11
5 Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
6 il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
7 ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
8 umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
9 Per questo Dio l'ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
10 perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
11 e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
Davvero leggiamo qui una diminutio o un eclissarsi di Dio??
Qualcuno che "recita" qualcosa....?
O il consiglio ad autoannullarsi per far vincere vie mundane ed eterodosse....?
Solo Lui può donarsi, attendere, resuscitare, pagare al posto nostro, liberarci, senza compromettere la propria santità infinita.
Personalmente (finora) trovo in chi segue l'eterodossia in questi ambiti persone che forzano il linguaggio (peralotro chiarissimo) per farsi un Dio a loro immagine e somiglianza, una via comoda.
Di solito in questi casi di "creatività" cercano qualche scappatoia etica in qualcosa (noto solo a loro e al Padreterno, altre volte più palese)
"diminuendo" Dio.
Da sottolineare ancora:
RispondiElimina".....Ma ciò che preme sottolineare al cardinale, nell’accento misericordioso del N.T., è piuttosto questo passaggio, in verità molto oscuro: "Suoi destinatari (di Gesù) erano in modo particolare i peccatori; essi sono i poveri in spirito" (p. 103). E questo, sembrerebbe, per il fatto che Gesù è amico dei pubblicani e dei peccatori (cf. p. 104). I peccatori sono i poveri in spirito? Quindi, chi commette i peccati è beato perché ha perso qualcosa nello spirito? Si vede a quali conclusioni potrebbe portare una tale considerazione, quando non a veri errori, che difatti sono già noti in tante predicazioni e infatuazioni misericordiose. La povertà di spirito non è una mancanza materiale di qualcosa (della grazia di Dio?), ma è una condizione interiore, un atteggiamento dell’intelligenza e del cuore, semplici, penitenti e umili, che si pongono davanti a Dio, senza mezzi umani, in ascolto della sua Parola (cf. Mt 5,3 alla luce del Sal 69,33ss.).
Su questo punto, invece, ha le idee molto chiare un importante teologo protestante, Heinz Zahrnt, il quale dice così, commentando il ministero pubblico del Signore: "I peccatori non sono scusati e la malattia non viene idealizzata. Gesù è un amico dei peccatori, non il loro compagno… Certamente il ritorno del peccatore rimane indispensabile, ma non è la condizione, è piuttosto la conseguenza del dono grazioso di Dio" ("Jesus aus Nazareth. Ein Leben", Monaco 1987, p. 109). I poveri di spirito sono coloro che si convertono, non i peccatori che rimangono tali....."
i peccatori non sono "scusati"
RispondiEliminaquesta mi sembra una pietra angolare dell'etica cattolica. I peccatori non sono "scusati" ma perdonati se si convertono, cioè se non persistono nel loro peccato.
mi sembra una cosa molto semplice, logica. ma per la Chiesa modernista esisre una altra interpretazione.
i peccatori sono scusati e perdonati ANCHE se persisto o nel loro peccto.
A questo punto peccare o non peccare è lo stesso.
Discepolo
Fa bene all'anima leggere questo articolo.
RispondiEliminaMentre Papa Francesco celebra 20 matrimoni ricordando che le nozze non sono una fiction, in Argentina si benedice l’unione di due uomini, il trans Luisa Paz e il signor José Coria. Il celebrante è stato P. Sergio Lamberti, nella Parrocchia dello Spirito Santo della città di Santiago del Estero. Questa apertura [della Chiesa Cattolica] – ha dichiarato Maria Rachid, leader argentina dei movimenti LGBT – non smette di sorprenderci”. (!?)
RispondiEliminahttp://www.libertaepersona.org/wordpress/2014/09/argentina-va-in-onda-il-matrimonio-fiction/
Sempre doverosamente premesso che non sono un teologo [e immagino si noti...] oggi alla radio ho ascoltato un sacerdote credo addentro alle tematiche della famiglia. Questo padre molto serenamente ha detto che i valori rimangono immutabili nel tempo ma la norma che li regola e applica può e anzi deve variare col variare delle esigenze del periodo storico e dei popoli. Questo perchè mai e poi mai la norma può andare contro la misericordia e contro l'apertura al Mondo. E mai può creare esclusione ma deve essere inclusiva. Inoltre ha detto che delle norme si deve discutere senza preclusioni nè pregiudizi e che tutte le posizioni in partenza sono valide.
RispondiEliminaBè a me che, appunto, non sono un teologo questo è sembrato un bel marchingegno per dire una cosa e farne tranquillamente un'altra.
Inoltre questo padre mi sembrava parlare del peccato come di una sorta fardello per così dire burocratico invece che di un buon consiglio ricevuto che ci evita dei guai.
Miles
Anche i documenti del Vaticano II erano stati approvati da Giovanni XXIII e furono respinti e riformulati nel pericoloso modo che conosciamo.
RispondiEliminaLe premesse per il sinodo sulla famiglia m'appaion negative. Ma altre ed alte voci si stanno levando per ricordar la retta dottrina: alla più note se ne son aggiunte altre, Scola, Negri, Martino ecc. E, per quanto Kasper possa esser riconosciuto dal papa gran teologo, difficilmente si avrà una distorsione della sana dottrina.
Le perplessità nascono dinnanzi all'inaugurazione eventuale d'una prassi pastorale che renda di fatto trascurabile il peccato e le condizioni peccaminose.
"Le perplessità nascono dinnanzi all'inaugurazione eventuale d'una prassi pastorale che renda di fatto trascurabile il peccato e le condizioni peccaminose. Così il bravo Pastorelli. E ha ragione: non toccheranno la Dottrina, perché non possono, né da un punto di vista teologico né da quello logico e canonico. La costruzione è troppo perfetta. Ma agiranno sulla "pastorale". E' l'affermazione della supremazia di una pura "azione" che ignora, svuota, svilisce e, di fatto, annulla, la Verità. E' il trionfo della prassi.
RispondiEliminaSe si mette a confronto ad esempio PAOLO VI nel fondamentale discorso di chiusura dell'ultima sessione pubblica del CONCILIO VATICANO II, 7 dicembre 1965, come già ricordato oggi:
RispondiElimina"La religione del Dio che si è fatto Uomo s'è incontrata con la religione (PERCHE' TALE E') dell'uomo che si fa Dio"
...con San PIO X (cioè con la dottrina di sempre, si potrebbe dire)..si notano praticamente concetti opposti...e sono passati esattamente cinquanta anni...quanti danni nel frattempo, quanti disastri...
SAN PIO X- Dalla Lettera Enciclica “E SUPREMI”
“[…]E invero, con un atteggiamento che secondo lo stesso Apostolo è proprio dell’“Anticristo”, L’UOMO, CON INAUDITA TEMERITA’, PRESE IL POSTO DI DIO, elevandosi “al di sopra di tutto ciò che porta il nome di Dio”; fino al punto che, pur non potendo estinguere completamente in sé la nozione di Dio, rifiuta tuttavia la Sua maestà, e DEDICA A SE STESSO, COME UN TEMPIO, QUESTO MONDO VISIBILE E SI OFFRE ALL’ADORAZIONE DEGLI ALTRI.
“Siede nel tempio di Dio ostentando se stesso COME SE FOSSE DIO”[…]
E quanto distante pure il discorso inaugurale del CVII di GIOVANNI XXIII in cui affermava, notoriamente e in modo sconcertante:
" Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la SPOSA DI CRISTO PREFERISCE USARE LA MEDICINA DELLA MISERICORDIA invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento PIUTTOSTO CHE CONDANNANDO"
...quanto distante, sottolineavo, ancora da SAN PIO X (è appena stato celebrato il centenario della morte) sempre nella sua E SUPREMI:
"Dobbiamo dunque rivolgere il nostro impegno a questo, al fine di RICONDURRE IL GENERE UMANO SOTTO L'IMPERO DI CRISTO; raggiunto tale fine, l’uomo ritornerà a Dio medesimo. A un Dio, diciamo, non inerte e indifferente verso gli uomini, come lo ritrassero, delirando, i materialisti; ma un Dio vivo e vero, uno di natura, in tre persone, creatore dell’universo, onnisciente, e infine GIUSTISSIMO LEGISLATORE CHE PUNISCE I COLPEVOLI E ASSICURA PREMI ALLE VIRTU'".
Questo, amici miei, è l'uomo di Dio, il pastore vero di anime, colui che non si stacca dal suo Signore che lo ha mandato proprio per pascere le Sue pecorelle, che non segue i fischi, le istanze mondane...
Più ci si avvicina a 'sto Sinodo, e più sento puzza di bruciato, di un novello mini Concilio Vaticano. Il famoso III Vat tanto auspicato dall' "ombra nera " ( così lo vedo io)di Bergoglio, il mai rimpianto (sempre da me) Cardinal Martini.
RispondiEliminaCome dice Silente (che quoto in tutto) sarà il trionfo della prassi, coem già avvenuto in molti altri ambiti (chi ricorda più per es. che un tempo per i suicidi non si celebrava
il fuenrale religioso , ed erano seppelliti, se non ricordo male, non in terra consacrata ?)
RR
Certo Luisa,
RispondiEliminaMagister ha ragione. In altri tempi non esisteva la diffusioen capillare di radio e TV e men che meno c'era Internet. Han capito che se pubblicano tutto, l'opinione pubblica può farso un'idea più precisa e completa del dibattito e delle posizioni dei vari porporati, e quindi cercano di tenere tutto il più possibile "coperto". Perchè poi solo inglese e spagnolo per comunicare ufficilamente, oltre l'italiano (e si spera il latino ?) I Francesi ed i Tedeschi, oltre a Polacchi, Cechi, Slovacchi, Croati, Africani francofoni, ecc. non sono più cattolici ? o non ci sono più traduttori-interpreti in Vaticano ? Tuttti licenziati per rispsrmiare, Chiesa povera per i poveri ? O solo perchè sono le due lingue che il VdR capisce e parla, almeno un po', così può controllare meglio quel che esce fuori ?
Spero che il clero escluso (francese, tedesco, ecc.) si faccia sentire.
RR
Le stilettate continue e monomirate di papa Bergoglio contro le regole, le leggi, i maestri, non sfuggono ai faiseurs d`opinion.
RispondiEliminaCome se non si potesse rispettare le regole, vivere in conformità con esse e anche insegnarle, E nel contempo avere un cuore, essere vicino a chi soffre.
Dicotomia stucchevole e strumentalizzata.
http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_19/papa-contro-clericalismo-si-guarda-regole-ma-gente-soffre-9bd416c8-4026-11e4-a191-c743378ace99.shtml
@Rr.
RispondiEliminaL'esistenza capillare di Radio e Tv non ha mai rappresentato un pericolo per la Chiesa, in quanto entrambi i mezzi erano e sono facilmente controllabili e censurabili. Mai nei telegiornali nazionali sono state diffuse le notizie sfavorevoli alla Chiesa. La vera mazzata da cui la Chiesa ancora non si è ripresa è stata la diffusione, questa sì capillare e soprattutto non censurabile, della Rete, di Internet, in cui le notizie sono diffuse in tempo reale, nello stesso momento in cui accadono e nessuno ha il tempo per valutarne la portata. E poi quelle stesse notizie, una volta diffuse, stanno lì alla portata di un "click", sempre rintracciabili a disposizione di tutti. Lo scandalo della pedofilia ne è un esempio. Per questo oggi la Chiesa appare più trasparente, diciamo pure che è stata costretta ad esserlo, perché ciò che accade prima o poi verrà divulgato, ma nello stesso tempo ha capito che questo potente mezzo può essere usato anche in modo proficuo e vantaggioso. Simone
In ogni caso c'è chi ha già compreso tutto e in soldoni sa già come andrà a finire. Se leggete l'ultimo post di Tosatti è tutto molto chiaro. Simone
RispondiEliminahttp://www.lastampa.it/2014/09/20/blogs/san-pietro-e-dintorni/sinodo-come-lo-manovro-oXJ6UULjDh9eXsdKCAdrHL/pagina.html
Segnalo l'articolo, Socci pubblicato oggi da Libero e che ha come titolo: "Sulla Cominione ai divorziati il Papa sta spaccando la Chiesa".
RispondiEliminaDopo aver letto l'articolo di Socci continuo a chiedermi: come hanno fatto ad eleggere vdr il card. Bergoglio? Come è stato possibile che abbia ricevuto almeno 77 voti su 115? Chi l'ha votato conosceva i suoi orientamenti?
RispondiEliminaa Rr: tranquilla, non preoccuparti. Usciti dall'aula sinodale una parte dei partecipanti raccontera' come sta andando effettivamente il dibattito. Lo racconteranno a giornalisti non compiacenti. Ce ne sono ancora. Socci, Tosatti, Magister, Matzuzzi. Solo per limitarci agli italiani.
RispondiEliminaBrandmuller, Caffarra, Collins, Depaolis, Martino, Müller, Ouellet, Pell, Scola. E nove. Nove quelli che pubblicamente hanno detto papale papale che Kasper e' nell'errore. Non sappiamo quanti l'abbiano detto o scritto privatamente al vdr.
RispondiEliminaL'esistenza capillare di Radio e Tv non ha mai rappresentato un pericolo per la Chiesa, in quanto entrambi i mezzi erano e sono facilmente controllabili e censurabili.
RispondiEliminaPiù divertente di Totò.
L'attore più importante del sinodo contro la famiglia non è entrato ancora in scena: i mainstream media. Questo sinodo sarà la sagra della nuova antichiesa mediatica.
Per questo oggi la Chiesa appare più trasparente, diciamo pure che è stata costretta ad esserlo, perché ciò che accade prima o poi verrà divulgato, ma nello stesso tempo ha capito che questo potente mezzo può essere usato anche in modo proficuo e vantaggioso.
RispondiEliminaIl problema è che il mezzo potente costituito dalla TV e dalla stampa di regime divulga le notizie secondo l'ermeneutica liberal-progressista, che va, più che a formare a de-formare - un'opinione pubblica indifferente o già contraria a priori e comunque ignorante.
Ciò che desta meraviglia, ma che è anche rivelatore, è il fatto che questo tipo di opinione pubblica risulta in sintonia con quella che siamo costretti a chiamare la neo-chiesa, per gli evidenti e ben individuati scostamenti dalla Tradizione, con la quale la chiesa non può non identificarsi e che NON PUO' lasciarsi dietro alle spalle..
La differenza, rispetto al "concilio mediatico" - che è vero che c'è stato e che ancora continua - è che all'epoca delle prime applicazioni conciliari non era così diffusa la rete internet e dunque l'informazione corretta, che oltre a mancare era anche disorganizzata.
RispondiEliminaIn parte essa è disorganizzata e divisa anche oggi; ma è già qualcosa che ci sia e questo non è ininfluente.
@ mic
RispondiEliminaIn parte essa è disorganizzata e divisa anche oggi; ma è già qualcosa che ci sia e questo non è ininfluente.
È vero, ma sarà sufficiente contro i missili mediatici dell'Impero puntati verso i cardinali in Vaticano?
Non per caso Bergoglio e i suoi alleati imperiali hanno scelto la sessualità per cominciare il suo assalto finale contro la Chiesa tradizionale. La guerra contro la castità non è una battaglia minore, e verrano usate arme potenti.
Lei, gentile Mic, ha perfettamente ragione, ma se il Papa ha intenzione e ha fatto chiaramente capire di voler allargare le maglie, usando l'espediente di una nuova pastorale molto più comprensiva e attenta ai bisogni dell'uomo un motivo ci deve pur essere.
RispondiEliminaE il motivo c'è ed è evidente a tutti: ciò che il Magistero cattolico insegna e pretende sul matrimonio e sulla morale sessuale in generale non trova accoglimento oggi, che in una parte sempre più esigua tra coloro che si dichiarano cattolici.
Negli anni passati erano comunque pochi coloro che mettevano in pratica l'intero Magistero, ma il fenomeno era meno grave ed evidente, perché allora la stragrande maggioranza dei fedeli frequentava comunque la parrocchia, il confessionale e partecipava alle manifestazioni pubbliche come le processioni, le veglie e le adorazioni. Il Papa ha capito che se non si riesce a trovare un punto d'incontro, l'indifferenza nei confronti delle pratiche religiose coinvolgerà sempre più persone, soprattutto tra le nuove generazioni.
Non è certo un mistero che, concluso l'iter catechetico con la partecipazione alla Prima Comunione e alla Cresima, pochissimi sono i ragazzi che continueranno a frequentare la parrocchia e a partecipare alla Messa. Simone
Segnalo, su "Il Foglio" di oggi, un formidabile articolo di Alessandro Gnocchi contro il pacifismo di Bergoglio. Titolo: "La Chiesa dell'arcobaleno". Sottotitolo: "Di fronte all'islam che sgozza, Francesco alza la bandiera del pacifismo. Contro sant'Agostino"
RispondiEliminaContro un pacifismo imbelle e anti-dottrinale, Gnocchi cita sant'Agostino, gli atti di san Francesco, san Tommaso. Riconduce questo travisamento della dottrina alla tentazione dell'uomo di oggi "di un cristianesimo senza Cristo, di una fede senza Cielo, di una morale senza doveri, di una religione senza ascesi, ormai pronto per seguire l'anticristo che nei dialoghi di Vladimir Solovev lo ammalia sussurrando dolcemente "Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace""
Gentile Simone,
RispondiEliminanon si cura l'indifferenza né si formano i giovani con l'ignoranza e il pressappochismo. Gli animi dei giovani si accendono quando si dice loro la verità, anche se scomoda, se detta con premurosa e serena sollecitudine piena anche di fiducia e non con moralismo.
Infatti l'alternativa al 'farisaismo', ch'è altro da quel che intende il papa, come ha ben spiegato Josh in un altro thread, non è una vicinanza compassionevole scissa dalla verità, ma portatrice della Verità.
Gnocchi mi ha già mandato il suo pezzo. più tardi lo pubblico :)
RispondiEliminaSimone ha già dato il link all`articolo di Tosatti.
RispondiEliminaQuando stamattina ho scritto che Bergoglio è un abile manovratore non avevo ancora letto l`articolo di Tosatti, è tristemente confortante non sentirsi soli in quel che si percepisce e si osa esprimere pur sapendo di andare contro una certa corrente che vorrebbe farci credere che tutto è bellissimo, trasparente, puro e misericordioso.
Comuunque i tre modi, descritti da Tosatti, che saranno messi in atto per bypassare chi sa ancora che non si può e non di deve opporre Dottrina e Misericordia, che una Misericordia senza Verità è solo permissivismo deleterio, sono quelli di una strategia subdola e manipolatoria, si dice che un uomo avvertito ne vale due, non c`è che da sperare che i vescovi non cadranno in quel tranello.
Simone,
RispondiEliminaè vero che molti ragazzi abbandonano l'Oratorio e non frequentano più la Messa, ma perché ? NON perché la Chiesa parla di sesso in un certo modo, tutt'altro, ma per mille motivi, diversi per ognuno che purtroppo spesso chi si occupa di "pastorale giovanile" non ricerca a sufficienza. Le porto l'esempio di mai figlia. Lei era affezionata all'insegnante di catechismo dei primi tre anni, una madre, un'insegnante di professione, laureata in teologia a Roma, una persona veramente in gamba come donna, insegnante e catecheta. Altre non erano al suo stesso livello, e non si capisce come si possa affidare l'insegnamento religioso e la crescita nella Fede dei nostri figli a persone non preparate ed armate solo di buona volontà. Per la preparazione alla Cresima, cambio di catechiste, sostituite da ragazzine e ragazzini al massimo di 18 anni. Perché ? perché "più facile per i ragazzini e ragazzine di 11 anni rapportarsi a loro ". Ma chi l'ha detto ? hanno chiesto ai ragazzini e ragazzine se fosse vero ? No, e mia figlia ne ha risentito moltissimo, e l'anno dopo ha mollato.
Inoltre: la Messa per i bambini e ragazzi. Forse a 7-8 anni partecipare ad un rito che più che un rito sacro è un "happening" va bene, ma magari a 12-13 anni, specie se si è un po' riflessive, un po' chiuse, un po' più mature, no . Modificare lo svolgimento del rito, renderlo più sacro e "misterico" ? No. Guardarti storto, metterti da parte, aver da ridire se non ti va di andare a leggere o portare le ampolline e le ostie, o se preferisci recarti a Messa con i tuoi in altri orari, aiuta a trattenere i ragazzi ? Non credo.
Anche qui gli ecclesiastici dovrebbero imparare che ognuno di noi è un unicum, e non si può proporre a tutti i bambini, specie quando si arriva all'adolescenza, la stessa identica "solfa" per tutti. inoltre più coinvolgimento diretto del prete, e meno attività affidate esclusivamente ai laici ed alle laiche, sarebbe meglio (anche qui parlo per esperienza del nostro vecchio parroco e del nostro precedente sacerdote a cui era affidato l'oratorio). Ancora: non è che un vecchio prete vada meno bene di uno giovane, perché ha più esperienza e perché spesso i ragazzi e ragazze cercano proprio "il vecchio saggio", "il nonno" (come dicono anche per gli insegnanti).
Infine i "giovani" si allontanano, perché spesso i loro genitori non vanno a Messa, né partecipano alla recita del Rosario, alle processioni, ecc. Perché non lo fanno ? Non voglio allungare ancora il mio commento, ma non è perché la Chiesa chiede il matrimonio indissolubile (per altro ordinato da Nostro Signore) e non dà la Comunione ai divorziati risposati, così tanto cattolici da soffrirne tantissimo (oh, gli ipocriti !!).
Il VdR e i suoi amici e danti causa son partiti dalla morale sessuale, perché è il "settore" più facile ed " a costo zero" , così come fanno i politici: v. Zapatero, che invece di preoccuparsi dell'economia spagnola, ha istituito il "matrimono " omo e le leggi "gender" , o Hollande. Ed adesso gli Spagnoli ed i Francesi son felici: si possono "sposare " tra c…oni, ma non hanno i soldi per festeggiare !
E' la politica del "panem et circenses", poco pane, molto circense.
Poi arrivarono i Germani, i cui costumi sessuali (cfr Tacito) erano molto più "cattolici" ante litteram che quelli dei Romani. E sappiamo com'è finita
RR
@Rr.
RispondiEliminaPer molti aspetti sono d’accordo con lei.
Se i ragazzi delle medie non frequentano più la chiesa, non è certo a causa delle linee guida del Magistero cattolico. Non frequentano più la chiesa, perché in primis sono i genitori a non frequentarla e a non partecipare sistematicamente alla messa. Manca l’esempio, forse l’unico vero strumento per educare, e soprattutto l’argomento nel suo insieme non è più affrontato in famiglia. La parola Dio semplicemente è stata bandita.
Perché accade tutto questo? Per due motivi.
Il primo perché si è via via dissolta nel tempo quell’impronta religiosa, quell'humus familiare di una volta, in cui ogni momento della giornata era segnato da un richiamo preciso alla presenza di Dio, soprattutto per i bambini. Ci si svegliava ringraziando il Signore; si usciva da casa facendo il segno della croce. A tavola prima di mangiare accadeva la stessa cosa e i bambini si addormentavano aiutati dalla mamma o meglio dalla nonna a recitare la preghiera a Gesù bambino e alla Madonna. Un mondo che non esiste più e la cui scomparsa ha creato un baratro e lo dico da non credente.
Il secondo motivo è strutturale ed è a mio parere insuperabile. La gente nella stragrande maggioranza dei casi non crede. Non crede che Cristo sia figlio di Dio e non crede alla Resurrezione. Non da ascolto nemmeno al più umano e rivoluzionario dei messaggi cristiani: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Se ci credessimo soltanto un poco, la vicenda umana nel suo insieme, dopo duemila anni, sarebbe assai diversa. Simone
Appunto Simone: quand'ormai alle omelie sentiamo il sacerdote ricordare a noi genitori presenti l'opportunità, anzi la bontà di insegnare ai nostri figli a pregare e a farlo con loro ?
RispondiEliminaQuando durante l'ora di religione a scuola il prete o il laico insegna ai bambini ed ai ragazzi (che se frequentano l'ora di religione è perché sono cattolici, perché non c'è obbligo a farlo) a pregar e a conoscere le altre pratiche devozionali, il Rosario, le processioni, il calendario liturgico con il Santo del giorno, ecc. ?
Fui io a far legger a mia figlia un brano della vita di S.Francesco quando era in 4' elementare, perché mai nessuno lo aveva fatto prima, neanche all'ora di religione. Parlare di S.Francesco, uno dei Santi considerati , a torto o a ragione, "più moderni e rivoluzionari" !
RR
Per favore : FATE UN PO' DI SILENZIO !!!
RispondiEliminahttp://www.iltimone.org/32163,News.html