Nel suo ultimo articolo, dal titolo: Sui divorziati risposati il papa frena, i suoi consiglieri no [qui], Sandro Magister sottolinea le spinte in avanti del gesuita Spadaro (Direttore de La Civiltà Cattolica e del vescovo Semeraro (Segretario del C9) sulla loro ammissione alla comunione nonostante uno status inadeguato. Si sottolinea anche che gli argomenti dei due consiglieri sono discutibili come preludio alla pubblicazione dell'esortazione post-sinodale ormai vicina: "Forse prima di Pasqua". Si adduce, a conferma di questa problematicità, la relazione di un esperto di pastorale familiare, Juan José Pérez-Soba, che riprendo di seguito.
Ho trovato molti spunti interessanti, importanti e condivisibili; ma non posso non notare come i più validi conservatori spesso mostrino alcune distorsioni. In questo caso le riscontro in alcuni punti dei riferimenti esclusivi ad afflati conciliari nonché all'Evangelii Gaudium, che non è un documento magisteriale (nota 1) e che ha suscitato non poche perplessità (alcune espresse nella nota 3), ma ciò nonostante i suoi effetti li sta producendo. Per questo ho inserito le note con alcune osservazioni.
Ho trovato molti spunti interessanti, importanti e condivisibili; ma non posso non notare come i più validi conservatori spesso mostrino alcune distorsioni. In questo caso le riscontro in alcuni punti dei riferimenti esclusivi ad afflati conciliari nonché all'Evangelii Gaudium, che non è un documento magisteriale (nota 1) e che ha suscitato non poche perplessità (alcune espresse nella nota 3), ma ciò nonostante i suoi effetti li sta producendo. Per questo ho inserito le note con alcune osservazioni.
Interpretare a partire dal cuore del Vangelo
di Juan José Pérez-Soba
La fine dei Sinodi sulla famiglia ha lasciato, nella Chiesa, l'impressione di una sorta di delusione. […] Dopo due anni carichi di lavoro, di consultazioni e di dialogo, le grandi aspettative che si erano create non hanno trovato una valida risposta. La Chiesa attende dunque l'autorevole voce di papa Francesco affinché colmi le carenze emerse in quest'ultima assemblea, relativamente a una conversione pastorale nell'ambito della famiglia. […]
È proprio la vita delle famiglie alla luce del Vangelo a dover essere il criterio pastorale fondamentale. […] Questo significa andare sempre all'essenziale, per poi chiarire le molteplici circostanze mutevoli che necessitano di questa luce.
È quanto intendiamo fare qui, ricorrendo a sei punti chiave.
1. Esiste il Vangelo della famiglia
È l'affermazione fondamentale che emana dal Sinodo. […] Questa convinzione essenziale è la luce primigenia necessaria per discernere il cammino che ogni famiglia concreta deve percorrere nella propria esistenza, ricca di molteplici realtà e varietà, che trovano unità partendo dal disegno divino nell'unica missione di Cristo, nella comunione della Chiesa. […]
2. È necessaria un’interpretazione morale dei numeri 85-86 della "Relatio"
Dopo i dibattiti che ci sono stati, è facile comprendere l'importanza decisiva racchiusa nella parte che tratta dell'attenzione alle persone in "situazioni complesse" e, in particolare, ai divorziati che hanno contratto una nuova unione.
Nelle diverse spiegazioni che sono state date – ad esempio quella del vescovo Marcello Semeraro nella conferenza tenuta nella sua diocesi di Albano – emerge sempre più l'importanza che il discernimento, spesse volte menzionato dal Sinodo, sia, in realtà, morale. […] Il rinnovamento morale è del tutto necessario per il tema in questione. Devono essere dei principi chiari della morale cristiana a spiegare come accompagnare le persone in queste situazioni.
Sorprende quindi che, come grande "novità", si dica che bisogna passare "dalla morale della legge alla morale della persona". Presa in questi termini, l'espressione appare come la scoperta del Mediterraneo. La stragrande maggioranza dei moralisti, da cinquant’anni ormai, ha adottato questo compito come missione propria fornendo grandi contributi in merito. Non si parte da zero, né si può considerare questa una novità richiesta da papa Francesco. […]
Dopo il Concilio, è praticamente unanime l'idea di fondare la morale sull’uomo, ribadendo che la legge è fatta per tutelare il bene della persona.[2] […] La legge di Dio è interna al cuore dell'uomo e riflette una sapienza circa la verità del bene che unisce gli uomini in un unico cammino.[3]
Per questa ragione fondamentale, il Sinodo ha negato con decisione qualsivoglia gradualità della legge (n. 86) ossia l'intento di misurare la legge a partire dalle possibilità soggettive della persona in ogni situazione. […]
Da qui deriva un modo sbagliato di comprendere questa "morale della persona": come possibilità di prevedere un'eccezione alla legge nel caso di atti intrinsecamente cattivi. […] Lo si è visto nel passo dell’"Instrumentum laboris" circa la "Humanae vitae" (n. 137) che seguiva questa interpretazione e che è poi stato eliminato nella "Relatio" finale (cfr. n. 63). Quest'ultima ha voluto citare esplicitamente l'enciclica "Veritatis splendor" (nn. 54-64) che si pone dunque come quadro di comprensione del rapporto tra legge e coscienza, a cui il Sinodo fa riferimento. […]
Ecco perché non è possibile prevedere un'eccezione per quanto riguarda i comandamenti del decalogo. Non esiste un adulterio permesso o un aborto valido, così come non esiste nessun atto possibile di pedofilia: tutti questi atti offendono sempre e comunque la dignità della persona, in primo luogo di colui che li commette.
Certo, tutto questo appare difficilmente comprensibile in una società relativista, giacché oggi gran parte degli uomini giudica la bontà degli atti emotivamente, ovvero mediante l'emozione positiva o negativa che questi suscitano in loro. È quello che la teoria morale chiama: soggetto emotivo.
Di conseguenza, per un’autentica evangelizzazione non basta ricordare i comandamenti, ma è necessario accompagnare le persone affinché si affranchino da questo emotivismo. Tale principio, così importante al giorno d'oggi, è ancora praticamente ignorato dalla stragrande maggioranza dei pastori, sebbene sia così fondamentale per l'evangelizzazione della famiglia. […]
3. Imputabilità e irresponsabilità
Adottando questa visione rinnovata, è facile vedere quanto sia limitata la menzione dell'imputabilità delle azioni nella "Relatio" (n. 85). Si tratta dell’imputabilità morale, che non ha nulla a che vedere con la questione giuridica alla quale si riferisce invece il testo ivi citato del pontificio consiglio per i testi legislativi del 24 giugno 2000.
Sorprende che in uno stesso paragrafo si mescolino due diverse considerazioni di imputabilità. Questo accade spesso nei documenti redatti velocemente, inducendo molta confusione. […] Si allude a un atto non pienamente umano e, di conseguenza, non imputabile alla persona. […] In realtà, applicare questo principio al caso dei divorziati risposati equivale, ai miei occhi, a considerarli persone irresponsabili, incapaci di compiere un atto pienamente umano, come se fossero persone piene di paure, pressioni o inconsapevoli, tanto da portare a considerare che i loro atti non sono imputabili. Una visione così negativa della loro situazione non corrisponde veramente alla realtà pastorale, che è invece molto diversa. Vanno viste come persone in difficoltà, bisognose di aiuto e soprattutto di una guarigione interiore, ma non le si può considerare irresponsabili affinché una legge non li colpisca. […]
In ogni caso, qualsiasi azione pastorale dovrebbe far sì che queste persone escano quanto prima da questa povera situazione di irresponsabilità e di non imputabilità che non porta loro nessun beneficio, sempre tenendo in considerazione la legge della gradualità circa la conoscenza del bene.
4. Il fondamento della grazia
La morale della persona ha il proprio culmine nella nuova legge di Cristo [ancora 2]. […] Papa Francesco la riconosce con grande fermezza, poiché la cita esplicitamente in "Evangelii gaudium" come base per la nuova evangelizzazione: "L’elemento principale della nuova legge è la grazia dello Spirito Santo, che si manifesta nella fede che agisce per mezzo dell’amore” (EG 37).
La novità della grazia è, in realtà, la guida dello Spirito Santo che, mediante la sua azione, modifica le nostre disposizioni interiori. […] Ecco il riferimento fondamentale di Cristo quando parla di se stesso come di Colui che permette di superare la durezza del cuore che impedisce all'uomo di vivere il disegno di Dio.
È importante osservare che questo lo fa in riferimento al divorzio (cfr. Mt 19,8) attribuendogli dunque un'importanza decisiva fortemente legata al cuore del Vangelo. Vediamo, infatti, come la liberazione da questa terribile schiavitù dell'uomo che si manifesta soprattutto nell'impossibilità di vivere un amore che permane per sempre, che "non avrà mai fine” (1 Cor 13,8).
Ecco perché è assolutamente assurdo l'estremo di coloro (si è addirittura alzata una voce in questo senso nel Sinodo) che, opponendosi alla logica del testo e alla verità teologica più elementare, hanno sostenuto che Cristo volesse giustificare la durezza del cuore. Questo equivale a negare l'instaurazione della nuova legge promessa. […]
Per avvicinare le persone alle fonti della grazia mediante un accompagnamento personale, bisogna avere la sensibilità di vedere mediante la fede il modo in cui la grazia le trasforma interiormente. Già la prima comunità cristiana era molto sensibile a questo punto e, di conseguenza, era molto attenta ad accompagnare i catecumeni nel processo di iniziazione per il battesimo. […] Erano convinti della necessità di un sostegno in questo mutamento così radicale ed impegnativo in un ambiente pagano molto lontano dal cristianesimo.
Basandosi su questa tradizione, il Concilio di Trento conclude che l’osservanza dei comandamenti è un segno necessario della conversione cristiana. […] Il riferimento alla grazia, ben lungi dal giustificare un’eccezione ai comandamenti, si fonda proprio su questa osservanza, come manifestazione reale della trasformazione in Cristo. […]
5. L’accompagnamento, in foro interno
Quel luogo speciale nel quale l'uomo apre la propria coscienza ad un'altra persona per poter essere consigliato e sostenuto è ciò che la Chiesa chiama il foro interno e che, in quanto legato all'intimità della coscienza, esige un rispetto molto speciale. Nella "Relatio" si parla del foro interno al numero 86, in continuità con quanto precedentemente affermato circa l'attenzione pastorale ai divorziati risposati. […]
Ma ancora una volta, osserviamo che per quanto riguarda le "esigenze di verità e di carità" che debbono guidare questo discernimento, è stata fornita un'interpretazione molto lontana dalla verità dei fatti. Sorprendentemente, è stata tirata fuori la spiegazione che Bernhard Häring offre in merito, ripresa poi da Alberto Bonandi nel libro promosso dal pontificio consiglio per la famiglia: "Famiglia e Chiesa: un legame indissolubile".
Il professore tedesco […[ afferma che il fatto di vivere "come fratello e sorella" non era tradizionale, ma da considerare soltanto nei casi di concubinato dei sacerdoti secolarizzati. Sostiene, inoltre, che ai tempi di Paolo VI sarebbe stata permessa una prassi diversa priva di tale requisito e che, pertanto, la sua l'inclusione da parte di Giovanni Paolo II sarebbe stata un'esigenza innovativa.
Come prova, egli adduce la nota della congregazione per la dottrina della fede del 1973 in cui si intima di seguire la "approvata prassi della Chiesa in foro interno” e la successiva lettera del suo segretario Hamer che spiega tale indicazione dicendo: "La frase va intesa nel contesto della teologia morale tradizionale".
A dire il vero, quello che realmente spaventa è la parzialità assoluta con la quale ha operato questo noto moralista, occultando alcuni dati fondamentali che ben conosce.
Di fatto, quegli interventi della congregazione per la dottrina della fede sono dovuti a una richiesta proveniente dalla conferenza episcopale degli Stati Uniti. […] Dal 1866, infatti, negli Stati Uniti vigeva la pena della scomunica per i divorziati risposati civilmente, situazione vigente fino al cambiamento di disciplina giuridica sulla convivenza avvenuto nel 1977. In questo contesto di cambiamento, si era osservata la necessità di far sì che, oltre alle disposizioni giuridiche, vi fosse un consiglio rivolto ai fedeli in foro interno, con particolare insistenza sull'eventualità di richiedere, se del caso, il riconoscimento di nullità del proprio matrimonio.
Nel 1969, la Canon Law Society of America organizzò un congresso proprio su questo tema nel quale, tra gli altri, intervenne lo stesso Häring. In quell'occasione, furono trattati approfonditamente tutti i temi. Riguardo all'aspetto storico della questione, appare esplicitamente un riferimento documentato alla prassi di esigere un comportamento da "fratello e sorella", definito già allora come la "soluzione cattolica". Si ricorda inoltre una discussione tra Rossino e McCormick ai tempi del Concilio. È evidente che, in un certo qual modo, questi termini erano già ritenuti "tradizionali", ben noti e considerati come i referenti normali rispetto al foro interno.
Quello che tale congresso valuta invece come del tutto "innovativo”, è la pratica contraria. […] E la ragione sulla quale si basavano i sostenitori di tale novità è innanzitutto un cambiamento profondo nella considerazione dell'indissolubilità. Lo stesso Häring si colloca in questa linea mediante il riferimento alla "morte morale" del matrimonio, sulla scia della prassi ortodossa.
Di conseguenza, risulta impossibile l'interpretazione secondo cui le espressioni "approvata prassi" e "morale tradizionale" emanati dalla congregazione per la dottrina della fede possano far riferimento a queste evidenti "novità". Häring, presente a quel congresso, ne era profondamente consapevole, ma nel suo libro mantiene in proposito un assoluto silenzio e, addirittura, lascia volutamente sottintendere un'interpretazione del tutto diversa. È davvero triste dover ricorrere a fantasmi di questo genere, senza verificare seppur minimamente le fonti di quanto affermato.
L'interpretazione che si impone è piuttosto quella secondo cui è stata fatta dalla congregazione per la dottrina della fede una prima affermazione temporanea, al fine di lasciare la pratica tradizionale in attesa di un chiarimento successivo, divenuto sempre più necessario a causa delle critiche radicali opposte alla prassi tradizionale.
La risposta arrivò con Giovanni Paolo II e la "Familiaris consortio", in una perfetta continuità magisteriale. L'interpretazione definitiva del foro interno deve dunque seguire la spiegazione data da Josef Ratzinger nell'introduzione al libro di commenti sulla lettera della congregazione per la dottrina della fede circa l’accostarsi alla comunione eucaristica da parte dei divorziati risposati. Secondo la sua perfetta analisi, questa va intesa come l'aiuto di cui tali persone hanno bisogno per poter rispettare l'esigenza di vivere "in piena continenza". Si tratta di qualcosa che può essere verificato soltanto in questo foro interno e in modo squisitamente pastorale.
6. La verità pastorale come difesa dinanzi all’ideologia arbitraria
In virtù di quanto appena detto, la richiesta di Semeraro circa i "criteri per il discernimento" è particolarmente opportuna, come sostiene lo stesso cardinale Walter Kasper nella sua relazione: "Anche se una casistica non è possibile e neppure auspicabile, dovrebbero valere ed essere pubblicamente dichiarati dei criteri vincolanti”. […]
Il problema però rimane, poiché nella "Relatio", dopo due anni di dibattiti, non si è esplicitata nessuna ragione in virtù della quale si possa dare la comunione ai divorziati risposati che non rispettano le esigenze presentate in "Familiaris consortio", n. 84, che è il documento da considerare a tutti gli effetti come l'interpretazione tradizionale della prassi ecclesiale.
In assenza di tali ragioni, il campo rimane aperto a una totale arbitrarietà, che non spiega perché ad alcune persone sia consentito di accostarsi alla comunione e ad altre no, suscitando sconcerto generalizzato.
Si tratta di qualcosa di ancor più grave poiché riguarda una questione così delicata come il divorzio, minacciata da numerose ideologie e da una fortissima pressione esercitata dai mezzi di comunicazione. La "colonizzazione ideologica" è una realtà innegabile a cui bisogna rispondere con il Vangelo della famiglia, come afferma papa Francesco. […]
Il compito dei teologi è proprio quello di aiutare ad interpretare correttamente le indicazioni che papa Francesco ci propone come insegnamento, seguendo la continuità del magistero, per poter portare a termine la "conversione pastorale"[3] nella famiglia che egli auspica.
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Note di Chiesa e post-Concilio
1. Lo stesso Papa afferma al principio del documento che non è magisteriale, che offre solo indicazioni sulla direzione verso cui condurrà la Chiesa. Ma siccome nessun cattolico comune è in grado di operare questa distinzione lo stesso card. Burke ha affermato che c'è bisogno di una presentazione attenta ai fedeli, spiegando loro la natura e il peso del documento, dicendo: "Nell'Evangelii gaudium ci sono affermazioni che esprimono il pensiero del Papa. Le riceviamo con rispetto, ma non insegnano una dottrina ufficiale". Di fatto la presente relazione ne cita proprio una espressione controversa (cfr. nota 3)
2. Se è vero che "la legge è fatta per tutelare il bene della persona" (un segnale dell'antropocentrismo conciliare più volte evidenziato?), non va dimenticato che la Legge l'ha stabilita Dio e che il bene della persona consiste nel suo essere ordinata a Lui. Ed è nella fedeltà a questo cardine che si realizza il bene della persona. Inoltre si parla di "nuova legge portata da Cristo". In realtà Cristo ha portato a compimento la Legge senza cambiarne uno iota e il suo "Comandamento nuovo" è realizzato dall'accogliere la Sua grazia santificante che, trasformando il cuore dell'uomo, lo rende possibile, ma non non è un'altra Legge.
3. Purtroppo la relazione ha dei punti tagliati. Ma su questa frase, così com'è, che pur contempla la centralità di Dio sulla quale si basa l'affermazione successiva, c'è da far attenzione che "l'unico cammino" non riguardi "l'umanità globale" non convertita a Cristo. Il problema è che un documento conciliare (Gaudium et Spes, 22) dichiara che Gesù si è "in qualche modo" incarnato in tutti gli uomini. Ma questo può trarre in inganno, perché l'Incarnazione riguarda l'Uomo-Gesù e coinvolge gli uomini a condizione che Lo accolgano e credano nel suo Nome perché sono "coloro che lo accolgono e credono nel suo Nome [che] diventano figli di Dio" (Prologo di Giovanni, 12-13). Altrimenti che senso ha la Chiesa, il suo essere corpo mistico di Cristo e sua portatrice fino alla fine dei tempi? E che fine fanno 2000 anni di Magistero, ma soprattutto ciò che dice il Vangelo? Dunque, il Verbo ha assunto la natura dell'uomo Gesù, che è comune alla natura umana, ma non è quella di tutti gli uomini. È una sottigliezza, ma può facilmente trarre in inganno molti che non hanno una pre-comprensione retta...
4. Della cosiddetta "conversione pastorale" - che nell'EG viene evocata anche in relazione alla "conversione del papato" (!?) - abbiamo già parlato qui.
La "conversione" riguarda la persone non le strutture. Si ha conversione quando si passa dallo stato di peccato, cioè dalla perdita della Grazia allo stato di Grazia. E si tratta di un passaggio, che è un'inversione di tendenza, sancisce un cambiamento di vita, un ri-orientamento al Padre. Una volta che si è fatta la scelta fondamentale per Dio e si rimane nella vita di Fede, fortificandosi nella Chiesa.
Su questo passaggio dell'EG c'è da chiedersi se si tratta di una promessa o di una minaccia, perché conversione è un termine forte, che designa un cambiamento rivoluzionario non banale e dunque resta da stabilire il perché e in cosa consista questa inversione di rotta per la pastorale, ma soprattutto per il Papato. Che significa? Un giro di boa c'è già stato. Ed ora, cos'altro?
Vedi precedenti riflessioni [qui] e [qui], da riallacciare a quest'altra sulla collegialità, alle quali aggiungo:
Le perplessità e le riflessioni non mancano; manca chi di dovere che le esprima con la dovuta autorevolezza. Il nostro allarme deriva dalla consapevolezza che qualunque adeguamento ai tempi operato attraverso 'forme' su essi modulate, porta lontano dalla fontale primazialità del Papato voluta dal Signore. Infatti ogni 'forma' veicola e manifesta una sostanza corrispondente pur se implicita. Difendere la manifestazione della sostanza significa difendere la sostanza stessa, nella consapevolezza che la negazione di una dimensione accidentale rischia di essere un ferimento che la sostanza può sopportare solo fino ad un certo punto.
1. Lo stesso Papa afferma al principio del documento che non è magisteriale, che offre solo indicazioni sulla direzione verso cui condurrà la Chiesa. Ma siccome nessun cattolico comune è in grado di operare questa distinzione lo stesso card. Burke ha affermato che c'è bisogno di una presentazione attenta ai fedeli, spiegando loro la natura e il peso del documento, dicendo: "Nell'Evangelii gaudium ci sono affermazioni che esprimono il pensiero del Papa. Le riceviamo con rispetto, ma non insegnano una dottrina ufficiale". Di fatto la presente relazione ne cita proprio una espressione controversa (cfr. nota 3)
2. Se è vero che "la legge è fatta per tutelare il bene della persona" (un segnale dell'antropocentrismo conciliare più volte evidenziato?), non va dimenticato che la Legge l'ha stabilita Dio e che il bene della persona consiste nel suo essere ordinata a Lui. Ed è nella fedeltà a questo cardine che si realizza il bene della persona. Inoltre si parla di "nuova legge portata da Cristo". In realtà Cristo ha portato a compimento la Legge senza cambiarne uno iota e il suo "Comandamento nuovo" è realizzato dall'accogliere la Sua grazia santificante che, trasformando il cuore dell'uomo, lo rende possibile, ma non non è un'altra Legge.
3. Purtroppo la relazione ha dei punti tagliati. Ma su questa frase, così com'è, che pur contempla la centralità di Dio sulla quale si basa l'affermazione successiva, c'è da far attenzione che "l'unico cammino" non riguardi "l'umanità globale" non convertita a Cristo. Il problema è che un documento conciliare (Gaudium et Spes, 22) dichiara che Gesù si è "in qualche modo" incarnato in tutti gli uomini. Ma questo può trarre in inganno, perché l'Incarnazione riguarda l'Uomo-Gesù e coinvolge gli uomini a condizione che Lo accolgano e credano nel suo Nome perché sono "coloro che lo accolgono e credono nel suo Nome [che] diventano figli di Dio" (Prologo di Giovanni, 12-13). Altrimenti che senso ha la Chiesa, il suo essere corpo mistico di Cristo e sua portatrice fino alla fine dei tempi? E che fine fanno 2000 anni di Magistero, ma soprattutto ciò che dice il Vangelo? Dunque, il Verbo ha assunto la natura dell'uomo Gesù, che è comune alla natura umana, ma non è quella di tutti gli uomini. È una sottigliezza, ma può facilmente trarre in inganno molti che non hanno una pre-comprensione retta...
4. Della cosiddetta "conversione pastorale" - che nell'EG viene evocata anche in relazione alla "conversione del papato" (!?) - abbiamo già parlato qui.
La "conversione" riguarda la persone non le strutture. Si ha conversione quando si passa dallo stato di peccato, cioè dalla perdita della Grazia allo stato di Grazia. E si tratta di un passaggio, che è un'inversione di tendenza, sancisce un cambiamento di vita, un ri-orientamento al Padre. Una volta che si è fatta la scelta fondamentale per Dio e si rimane nella vita di Fede, fortificandosi nella Chiesa.
Su questo passaggio dell'EG c'è da chiedersi se si tratta di una promessa o di una minaccia, perché conversione è un termine forte, che designa un cambiamento rivoluzionario non banale e dunque resta da stabilire il perché e in cosa consista questa inversione di rotta per la pastorale, ma soprattutto per il Papato. Che significa? Un giro di boa c'è già stato. Ed ora, cos'altro?
Vedi precedenti riflessioni [qui] e [qui], da riallacciare a quest'altra sulla collegialità, alle quali aggiungo:
Le perplessità e le riflessioni non mancano; manca chi di dovere che le esprima con la dovuta autorevolezza. Il nostro allarme deriva dalla consapevolezza che qualunque adeguamento ai tempi operato attraverso 'forme' su essi modulate, porta lontano dalla fontale primazialità del Papato voluta dal Signore. Infatti ogni 'forma' veicola e manifesta una sostanza corrispondente pur se implicita. Difendere la manifestazione della sostanza significa difendere la sostanza stessa, nella consapevolezza che la negazione di una dimensione accidentale rischia di essere un ferimento che la sostanza può sopportare solo fino ad un certo punto.
Mic.
RispondiEliminaquelle osservqzioni le dovresti fare a Magister.
Cito un punto molto centrato:
RispondiEliminaCerto, tutto questo appare difficilmente comprensibile in una società relativista, giacché oggi gran parte degli uomini giudica la bontà degli atti emotivamente, ovvero mediante l'emozione positiva o negativa che questi suscitano in loro. È quello che la teoria morale chiama: soggetto emotivo.
Di conseguenza, per un’autentica evangelizzazione non basta ricordare i comandamenti, ma è necessario accompagnare le persone affinché si affranchino da questo emotivismo. Tale principio, così importante al giorno d'oggi, è ancora praticamente ignorato dalla stragrande maggioranza dei pastori, sebbene sia così fondamentale per l'evangelizzazione della famiglia.
Aggiungo:
"è necessario accompagnare le persone affinché si affranchino da questo emotivismo" e anche affinché recuperino il Logos, la ragione profonda di ogni cosa e anche di ogni comportamento. E questo succede quando viene annunciato Cristo da autentici annunciatori che lo "mostrano", perché vivono di Lui. E' questo che rende possibile l'azione dello Spirito Santo. Il munus docendi (il compito d'insegnare oltre che di testimoniare) della Chiesa, precede il munus sanctificandi...
Infatti, se si conosce cos'è la Fede e Morale cristiana (e le si accoglie) e particolarmente cos'è la Grazia, il Sacramento può diventare il canale principale della Grazia, non un diritto o un contentino.
Per Berni,
RispondiEliminadovrei avere il tempo sia di studiare più a fondo l'articolo che di ponderare le osservazioni.
Ricevo questo commento da un amico:
RispondiEliminaBergoglio non frena affatto. Anzi ..... . Lascia chiaramente intendere che la Comunione sia il punto di arrivo di un cammino .... di integrazione (????). I suoi più vicini collaboratori, perciò, non mentono e dicono di lui ciò che effettivamente pensa ;)
RispondiElimina@ "Cammino di integrazione"
Questo oscuro concetto ronza da decenni nei documenti ufficiali della Chiesa, nella pastorale. Come "mettersi in ascolto". Non, insegnare la dottrina rivelata da Nostro Signore, ma "mettersi in ascolto" di quello che il mondo ha da dirci cioe' da insegnarci. Sic. Sono espressioni chiave del lessico di una Gerarchia che evidentemente non ha piu' la fede e da un pezzo. O se ce l'ha, ce l'ha inquinata, rammollita, tranne che in pochi, i quali pero' non si fanno valere (non fanno valere la loro fede, rimasta intatta). Il "cammino di integrazione" e' una di quelle toppe che coprono ogni sorta di vergogne. A. R.
Si sa già in cosa consista "il punto d'arrivo" ?
RispondiEliminaDall'articolo di Magister:
"E questi due [di Tuxtla] erano felici! E hanno usato un’espressione molto bella: 'Noi non facciamo la comunione eucaristica, ma facciamo comunione nella visita all’ospedale, in questo servizio, in quello…'. La loro integrazione è rimasta lì. Se c’è qualcosa di più, il Signore lo dirà a loro, ma… è un cammino, è una strada."
In questo "qualcosa di più" ci leggo l'auspicio di una presa di coscienza sul corretto modo di "vivere" il rapporto fra divorziati-risposati.
"". La loro integrazione è rimasta lì. Se c’è qualcosa di più, il Signore lo dirà a loro, ma… è un cammino, è una strada."
RispondiEliminaIn questo "qualcosa di più" ci leggo l'auspicio di una presa di coscienza sul corretto modo di "vivere" il rapporto fra divorziati-risposati. ""
Anche a me sembra di poter leggere così. Ma questa presa di coscienza perché non può e deve essere aiutata anche dall'insegnamento, insieme all'accoglienza, della Chiesa? Dire la verità con carità ha mai 'ferito' qualcuno? Non è questo che la Chiesa insegna da sempre?
Il problema è che sono in troppi a confondere l'accoglienza col permissivismo e con la renitenza a far luce sui precetti, che sono dati per orientare non per ingabbiare.
C'è poi il rischio (evidenziato su precedenti dichiarazioni di Bergoglio) di confondere la carne dei poveri con la carne di Cristo. E' vero che il Signore ha detto "ciò che avrete fatto a questi piccoli lo avrete fatto a me". Ma la comunione sacramentale al Suo Corpo Sangue Anima e Divinità non è la stessa cosa e rende possibile la Carità autentica, che non è la stessa cosa della beneficenza, che è certo un bene, ma non è il punto di arrivo del cristiano... Non penso sia una sottigliezza ma un andare al fondo della realtà delle cose.
Non capisco tutte queste parole. Mi fanno schifo.
RispondiEliminaLa grande iattura giace nel fatto che una volta il sacerdote seguiva un cammino interiore, spirituale ed era in grado di districarsi benissimo in tutta la gamma della casistica dei tempi e della eternità. Ora il sacerdote è laureato, e la laurea non è un cammino spirituale, interiore e allora ci sfracellano con l'emotività nostra e bla bla. Basta per quel che mi riguarda ne ho le tasche piene. Forse anch'io come Blondet non so se morirò cattolica romana, se per cattolico romano si intende tutta questa decadenza smielata,masturbata e laureata.
il Vangelo è via eroica, via di asprezza e non di zucchero gesuitico, via ascetica e non "mondana".
RispondiElimina"Lata porta et spatiosa via est quae ducit ad perditionem ed multi sunt qui intrant per eam" (Matteo 7, 13)
"... questa presa di coscienza perché non può e deve essere aiutata anche dall'insegnamento, insieme all'accoglienza, della Chiesa?"
RispondiEliminaCertamente. Ma ad esempio, per quanto mi riguarda, alcun insegnamento "esterno" mi avrebbe mai ricondotto alla Chiesa e alle sue leggi. Solamente l'invito del Signore (come solo Lui sa fare) mi ha riaperto gli occhi. Ora gli insegnamenti della Chiesa mi "confermano" che quello in cui credo non è una fantasia, ma la Verità.
Il Papa evidentemente, in questo tempo, confida molto di più nell'azione della Grazia, alimentata dalla preghiera, piuttosto che in un "comunicare" a chi purtroppo, come la nostra generazione, non vuole o non sa più ascoltare.
Forse ci crederà nella Grazia, ma non la nomina mai...
RispondiEliminaRr
Ci hanno provato col "bambino sacrilego" (chessòla!) e adesso con i "risposati " cercano il caso limite come grimaldello per far passare le peggio cose come ai tempi dei referendum di pannelliana memoria
RispondiEliminacorrezione al mio commento de 23 febbraio 18.43
RispondiEliminaritengo che la preparazione dei sacerdoti precedentemente mettesse in primo piano l'interiorità pur curando con attenzione la formazione culturale, ora la formazione culturale, diventata principalmente intellettuale, ha posto l'interiorità e il suo sviluppo sullo sfondo e per di più lasciata, con fiducia, alla discrezione dell'individuo.