Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 21 gennaio 2020

Cattolici e politica: quali valori difendere?

Il 16 gennaio 2020, il Centro Culturale Pier Giorgio Frassati di Correggio (Reggio Emilia), ha organizzato un incontro pubblico in vista delle elezioni regionali in Emilia Romagna previste per il 26 gennaio successivo, tenutosi presso l’Albergo Ai Medaglioni con notevole partecipazione di pubblico. Dopo un saluto della Presidente del Centro Frassati, prof.ssa Fernanda Foroni, e una efficace introduzione ai lavori del prof. Filippo Chizzoni, vicepresidente del Frassati, c’è stata la relazione di Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio Card. Van Thuân, dal titolo “Cattolici e politica: quali valori difendere?”, seguita da una notevole discussione con i presenti.

Testo completo della relazione di Stefano Fontana.

Questo incontro avviene in prossimità delle elezioni regionali in Emilia Romagna. Ogni uomo cerca una coerenza nella propria vita. Anche per i cattolici è così. Il voto alle elezioni può apparire in fondo poca cosa, si tratta solo di una crocetta su un simbolo. Però in quell’atto sintetico, la persona, e quindi anche il cattolico, condensa la sua esperienza e la sua visione della politica. Egli sa che quella crocetta rimane inadeguata rispetto alle esigenze della politica, la quale nella cabina non ci sta tutta, ma sa anche che con quell’atto egli impegna a fondo se stesso – si impegna moralmente e religiosamente – ed è consapevole che sulla base di quanto quell’atto esprime egli si comporterà poi in seguito, appunto per un motivo di coerenza. Ogni crocetta è la sintesi di un percorso, ma è anche un impegno per il futuro.

La coerenza del cattolico
Anche il cattolico cerca quindi coerenza. Sono innumerevoli i passi dei documenti della Chiesa che impongono questa ricerca come un dovere. Mi limito a citare la Nota Ratzinger del 2002: “La coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti”. Coerenza, quindi, ma con cosa? Il passo ora visto parla di coerenza morale e di coerenza con la fede. Alla coerenza con la morale ci pensa la retta ragione e alla coerenza con la fede la dottrina della fede. Allora il cattolico che vuole coerenza deve mettere in relazione il suo voto con ciò che gli dice la ragione naturale circa il bene politico, ossia con i principi del diritto naturale, e con ciò che gli dice la rivelazione sempre a proposito bene politico. In questa ricerca di coerenza da dove dovrà egli partire? Dalle esigenze emergenti dalla situazione dell’Emilia Romagna o dalla dottrina della fede? Contrariamente a quanto si pensa oggi nella Chiesa, egli non dovrà partire dai bisogni politici dell’Emilia Romagna, per interrogare a partire da essi la retta ragione e la dottrina della fede, ma dovrà fare il percorso inverso. Alla luce della dottrina della fede e tramite le verità della retta ragione, egli dovrà valutare i bisogni dell’Emilia Romagna. Un simile percorso viene di solito accusato di essere deduttivo e lontano dalla realtà, dalla quale invece si dovrebbe partire. Ma se si guarda all’Emilia Romagna alla luce della dottrina della fede e della retta ragione si potranno notare bisogni ben più profondi che non partendo dalla sua situazione. Infatti da quelle due fonti emergono i fini, in base ai quali valutare e gerarchizzare i bisogni. Se si parte dai bisogni politici della regione, lasciando in secondo piano i due criteri della retta ragione e della dottrina della fede, si finirà per adattare queste due a dei bisogni politici assunti senza criterio. Il criterio deve precedere e non seguire le scelte e le valutazioni.

Il posto della democrazia nella visione cattolica
Il cattolico che parte dai bisogni, ossia da ciò che deve essere illuminato anziché dalla luce che deve illuminarlo, può considerare come prioritari bisogni politici che invece non lo sono. Vorrei fare due esempi di stretta attualità.
La democrazia, come invece spesso si dice, non può essere il criterio di giudizio principale per un cattolico. La presenza politica dei cattolici non ha come fine la democrazia, soprattutto se si usa la parola senza ulteriori chiarimenti. Il fine della politica è il bene comune e non la democrazia. La democrazia è uno strumento per governare le scelte politiche che è legittimo se ordinato al bene comune, altrimenti diventa illegittimo come tutti gli altri strumenti. L’accettazione della democrazia nei documenti della Dottrina sociale della Chiesa è subordinata a talmente tanti paletti e vincoli da escludere, per esempio, che quella dell’Emilia Romagna sia vera democrazia. Come ha scritto Giovanni Paolo II in “Varcare la soglia della speranza”, la Chiesa è ben lontana da battezzare la democrazia.
Vorrei aggiungere di striscio, perché il tema meriterebbe ben altro spazio, che anche la Carta fondante la nostra democrazia, ossia la Carta costituzionale, non può essere criterio e fine ultimo della vita politica del cattolico. Il costituzionalismo come principale criterio politico va rifiutato. La nostra Carta non ha valore assoluto, anche essa deve rendere conto a qualcosa che la precede, non tutta la sua impostazione è giusta, anch’essa può e forse deve essere cambiata. Inoltre i tutti questi anni essa è stata stravolta dalle sentenze della Corte costituzionale a seguito dei mutamenti politici, sicché appellarsi alla Carta come ad un salvagente democratico è sempre più improponibile. I criteri per i cattolici in politica devono essere trovati altrove.

Il posto della partecipazione nella visione cattolica
Un altro esempio è la partecipazione. Sembra che il primo dovere dei cattolici sia di andare a votare, indipendentemente da come venga esercitato poi il voto. Ogni voto sarebbe quindi buono. Ma la partecipazione non ha la propria ragion d’essere in se stessa bensì, come ogni azione umana, nel fine. Se si votano forze politiche che sostengono programmi ingiusti e dannosi, sarebbe meglio che la partecipazione non ci fosse. Molto spesso, nelle urne elettorali o in quelle parlamentari, i cattolici hanno sostenuto col voto forze politiche dai programmi disumani e anticristiani: ebbene, sarebbe stato meglio che non avessero partecipato al voto, evitando di contribuire a creare danni molto gravi. Per dirla con le parole del cardinale Newman: “Hanno sostenuto uomini che rappresentavano ufficialmente principi anticristiani, e hanno collaborato con essi. Tutto ciò che appariva loro come una riforma e un miglioramento delle attuali condizioni di vita, essi l’hanno approvato e difeso, anche quando, nell’applicazione di tali riforme, dovevano commettere qualche ingiustizia… Essi hanno sacrificato la verità all’opportunismo”. Errori di questo genere ne abbiamo fatti già troppi. Richiamare al dovere del voto in quanto tale è quindi non solo insufficiente ma sbagliato. Se tutti i partiti in lizza presentassero programmi contro i principi della legge morale naturale, sarebbe doveroso non andare a votare. Non si deve infatti fare il male, nemmeno per fare un bene, figuriamoci quando è solo e certamente male.

La gerarchia dei contenuti
Dagli esempi ora visti – la democrazia e la partecipazione – emerge che il cattolico non deve mai accontentarsi del come, ma deve incentrarsi sempre sul cosa. Condivisione …di cosa? Camminare insieme … per dove? Andare a votare … a favore di chi e di cosa? Ciò che conta sono i contenuti in quanto sono ordinati ai fini. Ora, rimanendo sui contenuti, la politica, anche quella regionale, ne tocca molti. Bisogna allora distinguerli di livello. Ce ne sono di più importanti e di meno importanti. Ce ne sono di assoluti e di relativi. Non è vero che la politica si occupa solo del relativo, essa intercetta anche questioni decisive e assolute.
Chiediamoci per esempio: come criterio di voto è più importante il contenuto della famiglia o quello dell’accoglienza degli immigrati? Quale dei due mettiamo al primo posto? Le due questioni si collocano a livelli diversi. La famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna e aperta alla vita è un contenuto della politica avente carattere assoluto in quanto essenzialmente connesso col bene comune. Ciò vuol dire che non ci può essere bene comune senza famiglia naturale e non c’è modo di fare delle politiche anti-familiari nel rispetto del bene comune. Una politica contro la famiglia naturale non è ordinabile in nessun modo e per nessun motivo al bene comune. Dato che la politica ha come fine il bene comune, qui la politica si suicida. Non si tratta più di politica ma di altro. Invece, l’accoglienza degli immigrati può essere fatta in molti modi diversi senza con ciò contraddire il bene comune, anzi, una politica di accoglienza indiscriminata troverebbe proprio nel principio del bene comune una decisa e sostanziale opposizione. Il tema della famiglia ha oggi anche un interessante corollario, ossia l’importanza fondamentale e strategica di politiche nataliste.

Contenuti in relazione essenziale col bene comune
Toccando il tema della famiglia, sono stato costretto a ricordare un contenuto dell’attività politica che si distingue da altri in quanto indica in modo unico ed essenziale un rapporto mai eludibile col bene comune. So che non è più di moda fare riferimento a questi contenuti, la cui negazione non è mai ordinabile al bene comune e quindi non ammettono eccezioni o scuse, ma ritengo di non potermi astenere dal farlo. La famiglia, la vita e la libertà di educazione non possono in alcun modo venire paragonati ad altri contenuti della attività politica, quindi rimangono il criterio principe di valutazione, anche alle elezioni qui in Emilia Romagna. Qualcuno può obiettare che su questi principi nessun partito offre una completa garanzia. A questo proposito occorre procedere tenendo conto della presenza o meno nel programma di politiche esplicitamente contrarie a quei principi; secondariamente alla cultura e alla storia di quel partito, ossia se l’opposizione a quei principi deriva dal suo dna culturale e se storicamente ha già dato prove in questo senso, quindi bisogna esaminare la persona candidata. Ci sono partiti che, una volta al potere, sicuramente faranno politiche anti-familiari perché le hanno sempre fatte e perché derivano dalla loro visione dell’uomo, della morale e della società. Teniamo presente che perduta la famiglia, perduto il rispetto per la vita e perduta la libertà di educare abbiamo perduto tutto, senza possibilità di ripresa successiva. Perché avremo perduto i tre pilastri di un ordine naturale che non è a noi disponibile, garanzia della nostra vera libertà, ossia della possibilità di criticare il potere e di contestare il sistema non per motivi soggettivi ma per esigenze di verità. Tolti questi tre principi non potremmo più chiamare niente con gli aggettivi “vero” e “buono”. Senza l’indisponibile tutto è disponibile e la società è un carcere insopportabile.

La valutazione del partito e del candidato
Un punto di notevole interesse nel voto è se dare maggiore attenzione alla persona o al partito. Bisogna dare più attenzione al partito, alla sua cultura, alla sua storia perché, se è sbagliata, comunque il singolo eletto vi contribuirà anche se dissenziente su qualche punto. Questo criterio vale anche per il candidato cattolico. Dato il pluralismo esistente oggi nella Chiesa, proporsi alle elezioni come cattolico non dice più nulla. Come già ricordato sopra, gli eletti cattolici hanno votato di tutto, anche le cose peggiori producendo non solo danni ma anche confusione delle menti, perché se un non credente vota una legge contro la vita o la famiglia è un conto, se la vota un credente è un altro. Non fidarsi del candidato cattolico in quanto sedicente cattolico. In questo momento noi abbiamo un cattolico alla Presidenza della Repubblica, una Cattolica alla Presidenza della Corte Costituzionale e un cattolico alla Presidenza del Consiglio ma non ci sentiamo per nulla tranquilli. Bisogna analizzare sempre i contenuti, del partito prima e poi del candidato. La stessa cosa vale per il candidato, cattolico o meno, ritenuto “onesto” e votato per questo.
Un ulteriore aspetto da tenere presente in sede di valutazione elettorale è la differenza tra la creazione di una legge e l’attuazione di una politica. Ammettiamo da un lato un partito che abbia già dato prova di aver votato leggi contrarie ai contenuti fondamentali visti sopra, cosa chiaramente avvenuta anche in Emilia Romagna. Ammettiamo dall’altro un partito che abbia fatto delle politiche di trascuratezza di quei contenuti, per esempio impiegando risorse per altri motivi meno importanti. Le due responsabilità non sono equivalenti. Una legge, infatti, dura nel tempo, crea comportamenti duraturi e mentalità ed è difficile da togliere una volta entrata in vigore. Una politica può provocare dei danni nell’immediato, ma può essere corretta.

Alcuni problematici slogan elettorali del momento
Andare ai contenuti, e quindi ai fini, con riferimento al diritto naturale e al diritto divino, utilizzare correttamente la Dottrina sociale della Chiesa: questo è quanto si deve fare anche in occasione di elezioni. A questo scopo serve un discernimento concettuale e valoriale dei principali slogan politici del momento, suadenti e accattivanti se intesi in modo superficiale, da criticare o addirittura da rifiutare se approfonditi nei loro veri contenuti. È questo il caso del tema dell’Europa e di quello ambientalista. Questi argomenti vengono proposti, come direbbe ancora Newman, “con l’eleganza e le raffinatezze della civiltà”, per cui chi se ne tirasse fuori sembrerebbe un volgare zoticone. Non dobbiamo appiattirci sui principi di una “religione mondana” e su ogni “legge pubblica di igiene” – è ancora Newman che parla. L’Unione Europea da un lato, la Madre Terra dall’altro, un anonimo Umanesimo Globalista dall’altra ancora, ossia i tre pilastri di questa “religione mondana” che “ha preso l’abitudine di fare a meno dell’eternità” e vuole trasformare il cristianesimo in “una signora che porta la minestra agli indigenti” (Graham Greene), non possono diventare i criteri fondamentali del nostro ragionare pubblico. L’attuale Unione Europea non ha più niente a che fare con il progetto originario ed è abusivo continuare a presentarla come tale. L’emergenza ecologica – tutta da provare e comunque da inquadrare in modo non ideologico – non è affrontabile se non considerando la natura frutto della creazione, guardandola quindi dal di fuori e dal di sopra e non, idolatricamente, dal di dentro. Il dialogo e l’educazione mondiali non possono fondarsi su un generico minimo comune denominatore, su un umanesimo universalistico e globalista cui tutte le religioni dovrebbero contribuire, quasi unificandosi in un’unica – ripeto l’espressione usata sopra – “religione mondana”. Indicare ai cattolici questi tre criteri per valutare i programma elettorali – europeismo, ecologismo, globalismo – è senz’altro educatamente raffinato, gradevolmente corretto, convenientemente aggiornato, così in linea con Greta Thunberg, con i compiaciuti resoconti del TG1, con le giornate mondiali dell’ONU, con il sorriso benpensante di Fabio Fazio, con le attese del presidente Mattarella… ma ha poco a che fare sia con la retta ragione sia con la dottrina della fede.
Oggi riscontriamo anche un altro aspetto di questa “religione mondana”: l’invito a non usare parole ostili, a non alzare i toni, ad essere sobri e ragionevoli, colloquianti e rispettosi. Anche questo è proposto come criterio di valutazione di cui tenere conto nella cabina elettorale. Apparentemente la proposta suona bene agli orecchi dei cattolici, ma nello stesso tempo sa di regime e reprime come tracotante qualsiasi voce dissonante. Difficile intervenire pubblicamente contro i “nuovi diritti” senza essere accusati di linguaggio ostile. Difficile ricordare delle verità senza essere accusati di intolleranza. Molti cattolici si adeguano e adottano la neo-lingua imposta e anche loro chiamano l’aborto “salute riproduttiva” e l’utero in affitto “gestazione solidale”, ma altri cattolici vogliono far valere i diritti della verità anche nel linguaggio.

Due percorsi di prospettiva
Questa sera parliamo del voto dei cattolici in Emilia Romagna. Ma ormai i cattolici sono pochi, dispersi, divisi e spesso inconsapevoli di sé. Di fronte a questo panorama e davanti all’appuntamento elettorale occorre chiedersi quale di queste due strade percorrere. La prima è di cercare di fare delle proposte politiche capaci di intercettare le varie anime del cattolicesimo di oggi. Ne stanno nascendo anche in questo periodo. In questo modo però si rischia di costruire un accordo al ribasso, di eliminare gli aspetti più caratterizzanti perché non condivisi da tutti, di guadagnare in orizzontalità ma di perdere in verticalità: una presenza riformista, di centro, moderata, equilibrata, arrotondata, di valori accettabili, di buoni propositi, di compensazione e mai di rottura. L’altra strada è invece di non cercare più larghe intese, nemmeno dentro il mondo cattolico, ma di recuperare in profondità e verticalità quanto ci caratterizza e, con questo bagaglio molto netto nelle distinzioni, entrare nei gruppi politici che permettano una accettabile agibilità. Una simile strategia è anti-concordista, perché oggi il concordismo, ossia la volontà di procedere concordi ad ogni costo, implica compromessi troppo forti, la messa in ombra di elementi troppo importanti sia della retta ragione che della dottrina della fede, un eccessivo adeguamento al mondo il quale “invece di farci dei doni, si appresta a toglierci quel che credevamo di amare più della nostra fede” (Graham Greene).
Stefano Fontana - Fonte

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Non vivo nè in Emilia e Romagna, né in Calabria.

Ho bisogno di una spiegazione chiara di 'diritto naturale' perché in suo nome sento e vedo bestialità.

"... ma di recuperare in profondità e verticalità quanto ci caratterizza e, con questo bagaglio molto netto nelle distinzioni, entrare nei gruppi politici che permettano una accettabile agibilità..."

Per quel poco che conosco dei partiti e dei gruppi politici non ricordo che alcuno si sia dilungato su famiglia, vita ed educazione più a lungo del tempo necessario ai comizi e/o piazzate prossime alle elezioni. Mi auguro che qualcuno smentisca seduta stante la mia vaghezza con robusti esempi che fin qui non ho udito né visto. Come non so di politici che abbiano moglie e/o marito e non la solita compagna/o o la solita fidanzata/o a tempo determinato.

Anonimo ha detto...

Intanto procede Abu Dhabi, oggi tutti dobbiamo essere proni alla comune umanità, detto oggi dal biancovestito che vuole sottomettere Cristo al Talmud , al Corano, alle pachamame nonché al grande architetto massonico.

Anonimo ha detto...

La lucidità di Thibon nel descrivere gli errori di atteggiamento dei cattolici, dal ghettizzarsi all'apertura e al dialogo indiscriminato, errori inviduati già nel 1942. Chissà se avesse visto lo sfacelo odierno ...

"Che lingua bisogna dunque parlare ai cristiani moderni, se non capiscono più quella di san Paolo, di sant'Agostino, di Pascal o di Dostojeski?
Se tutto ciò ha fatto il suo tempo, è il cristianesimo stesso che ha fatto il suo tempo - e forse sarebbe più onesto classificarlo una volta per tutte tra le fasi passate della storia piuttosto che ostinarsi a presentarlo sotto un rivestimento moderno così spesso e così estraneo che rischia di alterarne il contenuto eterno.
Ciò detto, sono perfettamente consapevole dei fenomeni di erosione spirituale provocati dagli abusi sia di un dogmatismo più attaccato alla scorza che alla linfa delle verità rivelate, sia di un linguaggio macerato per dei secoli nell'acido della pietà giansenista o nello sciroppo della devozione sentimentale. E non condanno nemmeno più il confronto e il dialogo tra il pensiero cristiano e i molteplici aspetti del pensiero e della ricerca profani: significherebbe dar prova di un disfattismo criminale isolare in un ghetto una verità che è sia al centro di tutto sia al di sopra di tutto.
Ma a condizione che in questi confronti o in questi scambi, il cristiano non rinneghi nulla del primato e della trascendenza di quelle verità di cui è portatore e testimone.
Infatti se c'è un disfattismo che si traduce con la creazione di un ghetto cristiano in mezzo al mondo moderno, ce n'è un altro che sfocia, con il pretesto del dialogo e dell'apertura, nel riassorbimento del cristianesimo nel mondo moderno. L'uno, d'altronde richiama l'altro: si comincia con il tagliarsi fuori dal mondo, poi ci si dissolve".

Prefazione a, La scala di Giacobbe, 1942.

Anonimo ha detto...

Trovo la relazione del Dr.Stefano Fontana molto chiara e illuminante e lo ringrazio per ciò. Essendo, però, una persona molto "pratica", mi permetto tradurre il messaggio del Dr. Fontana nei seguenti termini (sperando di aver bene interpretato il Suo pensiero):
se un cristiano cattolico, legato alla sua fede autenticamente e non per semplice comodo proprio o banale convenienza sociale, dovesse votare per un partito che ammette:
1) l'aborto (non terapeutico)
2) il divorzio ("non separi l'uomo ciò che Dio unisce"!)
3) il matrimonio tra persone dello stesso sesso
4) il c.d. "utero in affitto"
e chi più ne ha più ne metta (utilizzo droghe, gay pride ecc. ecc.),
non può ritenersi a nessun titolo un vero cristiano!

Anonimo ha detto...

Personalmente, difendo il diritto di reputare la cosiddetta liberaldemocrazia con tutti i suoi riti (compreso quello dei ludi cartacei) una diabolica farsa da non prendere, dunque, troppo sul serio. Forse sbaglio.

Valeria Fusetti ha detto...

Cara mic grazie per aver pubblicato il testo della conferenza del prof. Fontana. Aiuta ad affrontare la confusione che esiste, sia nella Chiesa che nella società, su questo argomento. È un soggetto su cui sto riflettendo molto, anche se non abito in una delle Regioni coinvolte è bene fare una seria riflessione come cattolica. Per cui rinnovo i ringraziamenti.

Beh , sembra che non manchi nulla . ha detto...

E nel segno della Sua Croce si colloca anche la rinascita dell’Italia cattolica.
Memoria di S.Agnese
http://blog.messainlatino.it/2020/01/il-card-muller-nella-festa-di-s-agnese.html#more

Anonimo ha detto...


Che bei tempi, quando ero ragazzo, inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso, e le regioni non esistevano ancora, non c'erano quindi burocrazie regionali né elezioni regionali né tasse regionali. C'era l'Italietta dello Stato ancora sovrano, centralizzato, ancora traumatizzata dall'uragano della disfatta e dell'occupazione straniera duplice, triplice e quadrupla, che tuttavia, proprio in quegli anni, cominciava il "miracolo enonomico", anni in cui i giudici si preoccupavano solo di applicare le leggi esistenti... E non c'era ancora la televisione, diventata l'occhio di Satana dentro ogni casa...

Anonimo ha detto...


E' vero che sono elezioni solo regionali, ma tra i valori ai quali il cattolico dovrebbe dare il suo voto, il valoroso Fontana non mette la patria? Anzi, la Patria, con la P maiuscola, innanzitutto come territorio che deve esser mantenuto intatto e difeso dal Brennero alla punta della Calabria, alle isole...
Chi difende la Patria oggi? I "sovranisti" appunto, anzi due in particolare, Salvini e Meloni.
Per questo sono odiati, anche da molti cattolici.

fabrizio giudici ha detto...

Card. Mueller:

Il Cardinale [durante l'omelia a Sant'Agnese in agone] poi ha preso un Rosario e ha detto che un politico che “mostra simbolicamente il Rosario è più affidabile di uno che letteralmente abbatte la Croce di Cristo”

https://www.ncregister.com/blog/edward-pentin/cardinal-mueller-europe-must-imitate-courageous-witness-of-st.-agnes


Il cardinale ha anche pubblicato un intervento di sostegno al libro del card. Sarah e di Ratzinger. Ci sono vari resoconti, p.es. sulla Bussola.