In molti contesti ferve il dibattito sulla crisi nella Chiesa e sulle ultime vicende che ne segnano l'aggravarsi piuttosto che una remissione. La conclusione è che comunque - pur nella sofferenza - occorre restare fedeli a Pietro. Anche se non mancano sconcerto e disorientamento nell'assistere a gesti e approvazioni che sembrano smentire, nei fatti, i principi con i quali il Papa ci sostiene con le parole.
Condenso in una sintesi le più recenti riflessioni di due nostre lettrici, secondo me molto significative, in quanto testimonianze vive.
A seguire, pubblico il Capitolo conclusivo di "Getsemani" del card. Giuseppe Siri. Il testo è difficile da reperire e, quindi, lo inserisco per condividere con tutti una pagina di alta spiritualità, che ci introduce nel cuore della nostra Fede.
Fare quadrato intorno al Papa.
Fare quadrato, dunque. Ingenua e impraticabile speranza, purtroppo, sembrerebbe. Raccogliere e unificare le forza tradizioniste è un’utopia, almeno per ora, almeno a quel che vedo e che leggo. Esempio lampante il thread in cui si è partiti da un articolo sul Summorum Pontificum, che quella unità auspica e promuove; ma è stato presto archiviato per arrivare all’apostasia della Chiesa salvo un piccolo resto. Quale chiesa, verrebbe da chiedere, quale resto, quale verità, quale tradizione? Vi accorgete o no come queste parole siano farcite di ambiguità, tanto che ciascuno, su fronti contrapposti, se ne appropria e ne fa la sua bandiera? Sono slogan ormai di una battaglia frastagliata che ha perso per me quel buon profumo di Cristo, il sapore della verità, che mi avevano attratto e coinvolto.
Per me la battaglia da correre con le ginocchia corrose di speranza audace è quella della perseveranza, fedele, umile, obbediente. Non possiamo più tacere, anzi, si sente ripetere da più parti. Bene. Io credo la Chiesa una santa cattolica apostolica romana. Questa Chiesa che vive e freme all’ombra delle Sue Ali, assediata da lupi arroganti che brulicano nel suo seno seminando gramigne di eresie e di mai vinte superbie, questa Chiesa tutta è il piccolo resto su cui le porte degli inferi non prevarranno. Perché questa Chiesa è la Sposa di Cristo, è nata dal Suo Cuore sanguinante, è bagnata dal Suo Sangue, è e sempre sarà crocifissa e per questo, proprio per questo trionfante, innalzata e puntata verso il cielo sul legno della Croce. E poiché fuori da questa Chiesa non v’è salvezza, la scelgo sempre di nuovo perché sia approdo e dimora, fonte e culmine della mia speranza.
Responsabilità dei Pastori circa uno dei problemi più seri.
Oltre a questo inno alla fiducia e speranza, di fronte alle responsabilità dei Pastori in ordine a quel che accade, soprattutto ma non solo in riferimento ad una nota realtà ecclesiale, c'è chi si lancia in stroncature fondamentaliste che tagliano la realtà con l'accetta, come anche a me talvolta viene la tentazione di fare. Ma, alla fine, mi ritrovo, invece in un discorso come questo che, sia pure in altri termini, trasuda la stessa speranza del precedente:
"So benissimo chi è responsabile e saperlo mi riempie di sgomento, di incomprensione, e anche sì, lo ammetto, di rabbia. Chi altri se non chi aveva il dovere di correggere, chi ne aveva il potere e la responsabilità? Eppure hanno lasciato fare e, quando non hanno lasciato fare, legittimando nei fatti, hanno direttamente e espressamente incoraggiato una realtà che stava crescendo a lato della Chiesa - mai integrata, se mai sostituendosi - con le sue prassi eretiche, senza mettere i dovuti e urgenti paletti, in fondo ingannando IN PRIMIS i neocatecumenali stessi che potevano credere che tutto andava bene, che tutto era conforme, meglio, o peggio ancora, che erano loro la speranza della Chiesa.
Il Cammino neocatecumenale non è il solo ad aver approffittato di quella totale libertà di fare e disfare, togliere e aggiungere a piacimento, basta vedere in che stato si trova oggi la Chiesa. La differenza è che la struttura e gli abusi neocatecumenali sono rigidamente codificati, ovunque gli stessi. So tutto questo, non sono cieca e ancor meno sorda, so anche che gli abusi continuano, che oggi come ieri sono legittimati e incoraggiati dalla gerarchia. Saperlo, vederlo mi fa male, tanto male. Ma, sapendolo, non arrivo alle conclusioni radicali dei più fondamentalisti, non capisco, soffro di questa situazione, ma sono sulla Barca di Pietro e su quella Barca resto con le mie domande, i miei dubbi, le mie paure, le mie incomprensioni, perché so CHI è su quella Barca e che non mi vedo essere altrove che su quella Barca, perché so che, malgrado i terribili e temibili errori degli uomini, l'opera distruttrice di chi l'ha rovinata, e continua a rovinarla, la Barca non affonderà mai."
Riporto, ripetendole, le seguenti parole come
memorandum per tutti, anche perché le sento molto vere e ci danno un'immagine drammatica e potente della situazione.
Questa Chiesa è la Sposa di Cristo, è nata dal Suo Cuore sanguinante, è bagnata dal Suo Sangue, è e sempre sarà crocifissa e per questo, proprio per questo trionfante, innalzata e puntata verso il cielo sul legno della Croce. E poiché fuori da questa Chiesa non v’è salvezza, la scelgo sempre di nuovo perché sia approdo e dimora, fonte e culmine della mia speranza.
STAT CRUX DUM VOLVITUR ORBIS
Il Getsemani della Chiesa è nel Getsemani di Cristo Signore. Conosciamolo meglio.
Getsemani, è la porta del santuario attraverso la quale la Storia ritrova il suo vero volto e il suo vero ordine, nell'intendimento e nella coscienza dell'uomo liberato. È il santuario dove si è compiuta spiritualmente, nella solitudine, la suprema offerta, affinché l'uomo ogni volta unico, e tutta la stirpe degli uomini possano trovare l'ordine eterno della loro creazione e avere così la possibilità di entrare per grazia nella gioia della diretta contemplazione del Creatore.
Soltanto nel raggio del Getsemani la teologia può essere spogliata di ogni vano diletto intellettuale, di ogni lettera morta e di ogni irrigidito schema di pensiero, di ogni aridità del cuore, di ogni illusione di autonomia e di ogni torpore di febbrile attività naturalista. Soltanto in quel luogo l'intendimento e la volontà sono liberati dalla verità conformemente alla parola di Cristo (Gv 8,32), perché è là che il Redentore ha vissuto nella sua intimità umana, con tutto il suo amore divino, la Croce della storia degli uomini.
Ed è nel segreto dell'agonia di Gesù di Nazareth, che si può intravedere il significato dell'uomo nel mistero della storia degli uomini.
Nel mistero del Getsemani si svelano i due più grandi, più struggenti e più dolci misteri: l'Incarnazione di Dio in uomo perfetto in Maria e la generazione della Chiesa santa nella relatività dell'uomo temporale.
Nel popolo di Israele ci sono stati molti santi e molti profeti. Ci sono state molte anime che hanno sofferto per il loro popolo e che hanno saputo amare Dio fino al sacrificio totale. Ci sono state molte anime forti e grandi che hanno penetrato per grazia di Dio i segreti della Natura. Più di quanto non l'abbiano fatto gli uomini di scienza delle segrete generazioni.
Ma l'uomo dell'agonia sul monte del ulivi era l'Essere di un'altra economia; corrispondeva ad un'altra necessità, ad un'altra attesa della creazione. E per questo motivo questa agonia non solo concerne ogni uomo, ma è ontologicamente vincolata ad ogni uomo. L'uomo non è vincolato all'agonia di Cristo soltanto con l'immaginazione e la compassione per qualcuno che soffre ingiustamente. L'uomo vi è vincolato perché è stato il soggetto dell'offerta solitaria nel giardino del Getsemani, che non era un atto morale, ma un'azione di essere.
Il «Fiat» della Vergine Maria ha avuto come immediata conseguenza un evento nella natura dell'essere umano, un evento ontologicamente nuovo. Le parole con le quali il Cristo si abbandona totalmente alla volontà del Padre costituiscono il secondo «Fiat» dell'economia della salvezza dell'uomo. il «Fiat» del Getsemani fu il compimento, in una nuova tappa, del primo «Fiat» dell'essere umano di Maria. il secondo «Fiat» pronunciato e compiuto dall'essere generato da Dio nella natura umana, ha avuto come conseguenza l'unione di Dio con le esistenze di tutti gli uomini, cioè con l'esistenza di tutti gli esseri che costituiscono la Storia degli uomini.
Quale potrebbe essere la finalità di tutta la sofferenza della Croce accettata da prima? Una tale offerta non è concepibile senza concepire, fievolmente che sia, il perché di questa offerta. E appare allora, in tutta la sua luminosa semplicità, l'essenza della misteriosa agonia di Cristo.
«Padre, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io ma come vuoi tu (Mt 26.39)». Quando Gesù ha pronunciato questo «se è possibile», chiedeva di essere liberato dall'onere della salvezza delle anime? Quando il suo spirito ha lanciato questo appello, avrebbe improvvisamente preferito non sarebbe che solo per qualche istante, distaccarsi dalla sua missione e poi vivere, invecchiare e spegnersi un giorno, secondo la sorte di ogni uomo?
Sono pensieri che svaniscono come vane finzioni dell'orgoglio dell'uomo; svaniscono quando il nostro intendimento e il nostro cuore penetrano umilmente e con abbandono nel raggio del Getsemani. Là le nostre categorie, secondo le quali percepiamo e giudichiamo, sfumano, o piuttosto sono trasformate, prendendo un altro tenore e un'altra ampiezza. E così, tanto l'intendimento come il cuore, in un'armonia di pace, ricevono il mistero dell'Essere che pregava prostrato a terra per la salvezza degli uomini. L'appello, infatti, del «se è possibile» non significava la stanchezza e che il Cristo preferisse che un altro si addossasse la salvezza degli uomini. Il Cristo non pregava soltanto per sé; pregava in nome di tutti gli uomini, ai quali si era vincolato con la sua offerta: «come vuoi tu».
Il Cristo, Persona unica di essenza divina, viveva interiormente come Redentore degli uomini nella sua pienezza umana, la sofferenza, per inconcepibile amore, di fronte alla cattiveria e al peccato che generavano la sua Passione e la sua Morte.
Allora l'anima, con tutto il suo potenziale d'intelligenza e di amore, penetra nel mistero dell'Incarnazione e dell'agonia del Getsemani e capisce che la Redenzione dell'uomo non è stata opera di un nuovo insegnamento, né l'esempio di una grande perfezione, sconosciuta fino allora. L'uomo capisce che la sua redenzione non è consistita in un rinnovamento morale, è stata innanzitutto un atto che ha riguardato il principio dell'essere dell'uomo, che ha riguardato la rigenerazione della legge della generazione dell'uomo.
Se non ci fosse stato un uomo generato dalla Parola del Creatore, la Redenzione dell'uomo sarebbe sempre un'attesa di rinnovamento morale. Questo insegnamento e questo esempio i Profeti e i Santi d'Israele li avrebbero compiuti e avrebbero potuto compierli sempre. Ma l'atto iniziale della nuova generazione, per il diretto intervento di Dio, non sarebbe stato compiuto; e l'intervento ontologico divino nella stirpe di Abramo non sarebbe compiuto.
Ebbene, l'essere che pregava prostrato a terra nel giardino del Getsemani era esattamente questa penetrazione ontologica di Dio nella stirpe di Abramo. Dio ha suscitato un essere con il suo proprio Verbo divenuto così uomo, avendo preso «forma» di uomo nell'organismo naturale umano.
L'uomo, nonostante tutte le sue ricerche e le sue indagini, non può penetrare con i propri suoi mezzi il segreto della differenza di livello dei popoli, sia nel passato come nel presente. Raramente si giunge a distinguere da lontano nella profondità del presente la vera immagine iniziale dell'uomo e dell'umanità, perché abbiamo perso la freschezza e il gioioso e continuo stupore della contemplazione attiva e sempre nuova dell'infinita Realtà di Dio Creatore.
Questa perdita c'impedisce di poter sempre percepire la grazia e il continuo miracolo dell'esistenza di ogni cosa, e c'impedisce di percepire il «naturale semplice» delle opere che superano la nostra propria esperienza, delle grandi opere miracolose del nostro Dio Creatore.
L'uomo non può mai afferrare, con le sue ricerche e le sue invenzioni di curiosità, l'inizio delle cose e degli esseri. Perciò incontriamo difficoltà nel concepire il misterioso atto di amore e di armonia che si è compiuto con il primo «Fiat» della Vergine Maria.
Tuttavia è quest'atto che ha permesso all'Essere che pregava con il volto coperto di sudore di sangue, di unirsi ontologicamente all'esperienza di ogni uomo, nel disordine anarchico e doloroso della Storia. Ed è questa unione che offre all'uomo di diventare un essere nuovo e di conoscere che in lui s'innalza una seconda volontà che è in lotta con la prima volontà della sua natura in disordine: il disordine del peccato.
E questa unione particolare fu compiuta da «Fiat» del Getsemani: «non come voglio io, ma come vuoi tu». Questa unione, infatti, era il soggetto della preghiera dell'agonia e del «Fiat»; e fu la causa della Croce che sarebbe seguita.
L'agonia del Getsemani, nel suo mistero ontologico, non sarebbe stata possibile, se l'Essere dell'agonia non fosse stato l'Essere dell'Incarnazione. L'agonia del Cristo esprime la sofferenza nello spirito e nel cuore e di conseguenza in tutta la natura umana; sofferenza che appartiene a questo unico Fiat d'amore indicibile: unirsi all'esistenza di tutti gli esseri umani che costituiscono la Storia.
L'unica Persona, che da sempre possiede la conoscenza oggettiva di ogni cosa, è Colui che è stato concepito a Nazareth, e Colui che è stato concepito a Nazareth è Dio. Soltanto Colui che al Getsemani, si è unito all'esistenza di ogni uomo, avendo accettato per amore di soffrire, nel suo essere unico, il dolore di tutti i secoli, conosce con assoluta oggettività quella che noi chiamiamo Storia. È Colui che, dopo la sua sofferenza interiore e universale al Getsemani, ha sofferto i dolori fisici e morali del martirio e della morte sulla Croce; Colui che, uomo e Dio per l'eternità, ha risolto nel suo essere per tutti gli uomini il mistero d'iniquità, con la sua Resurrezione.
L'uomo desidera l'oggettività, come desidera la vita eterna. Solo il Maestro della vita eterna può dare all'uomo l'oggettività. L'uomo non può progredire in conoscenza oggettiva se non unendosi sempre più al Signore della Storia, che per lui ha detto il «Fiat» del Getsemani.
Quando l'uomo riceve questa verità, tutte le leggi, le norme e le categorie della ragione umana si rigenerano e vieppiù si liberano dagli impedimenti delle opere morte e delle parole morte. A misura che l'uomo sottomette Dio e le opere di Dio al suo desiderio spesso molto sottile ma impetuoso di autonomia, svaniscono le vere leggi della ragione umana e si pietrificano le categorie.
Soltanto il soggetto assolutamente libero può essere assolutamente oggettivo. Per questo l'uomo, soltanto nella misura in cui riceve intimamente con amore la Rivelazione del Soggetto assoluto, può ottenere oggettività nelle sua visione degli esseri e delle cose. L'oggettività del sapere dell'uomo, ossia il grado di vera conoscenza dipende dalla sua unione ontologicamente spirituale con Colui che possiede tutta la realtà oggettiva, perché è Egli stesso la Verità eterna incarnata per l'eternità.
Questa fondamentale verità esclude dal cammino dell'uomo verso la conoscenza ogni teoria pluralistica. L'uomo non si trova di notte nella foresta, senza sapere dove andare e non è neanche «una successione di momenti». È un essere dotato di memoria, e questo lo pone contemporaneamente e nel tempo e fuori del tempo. Infatti, per il dono della memoria valica il tempo, e la «successione di momenti»; l'uomo nel corso della sua esistenza, arricchendosi indefinitamente e sviluppandosi continuamente, permane immutabile come essere e come potenziale di arricchimento e di espansione all'infinito. Il Cristo segue tutto il cammino dell'umanità ed è lo stesso ieri e oggi e nell'eternità.
Scartando la Rivelazione per cogitare su Dio e il mondo, fondandoci, per sottile desiderio d'autonomia, esclusivamente sui nostri propri mezzi d'indagine, perdiamo ogni possibilità di oggettività ed entriamo nella «notte esistenziale». Infatti per lo spirito è notte fonda, quando l'uomo, tutte le sue facoltà d'intendimento e di azione sono fissate sui «momenti fuggevoli», sull'«essere-qui» o l'«essere-là». Questo sguardo esistenziale, ossia il fatto di considerare tutte le cose senza fare continuo riferimento alla nostra più profonda realtà, al di là di ogni gioco del linguaggio delle parole esterne, elimina, nel nostro andare, la nostra propria realtà di coscienza e di memoria. Ed è impossibile riconoscersi ed essere veridici, perché rifiutare il Signore dell'oggettività equivale a rifiutare ontologicamente la verità.
La relatività dei momenti che trascorrono non può colpire l'essere che conosce e che ama. Quando però l'essere si lascia prendere dalla relatività, entra nel turbinio del discorso esistenziale, cosa che impedisce all'uomo di avere una vera immagine della sua esistenza e della nozione dell'esistenza. Il discorso può essere indefinito; e senza fine la coniatura dei vocabolari e delle espressioni; è il triste gioco della falsa filosofia che rifiuta di sottomettersi per ogni cosa al Signore della Storia, che è la Verità incarnata, che è l'ordine eterno di tutto il molteplice dell'universo e della Storia.
Quando, nel nostro spirito e nel nostro cuore, si svela il mistero del Getsemani e il suo rapporto con il «Fiat» dell'Annunciazione, un intero linguaggio diviene caduco, infatti ci si accorge che la Storia non può svelare alcun segreto né in merito alle leggi che la governano, né in merito ai fini ultimi dell'uomo. Essa non lo può, perché non ne ha conoscenza né coscienza. Una sola cosa può insegnare: il Sovrano della Storia ha detto il «Fiat» della sofferenza e dell'unione con l'esistenza di tutti gli uomini, per liberare ogni uomo, ogni volta unico, dalla morte e farlo entrare in un'altra realtà di vita eterna.
Riferirsi ogni volta, alla Storia, per evitare di riferirsi al Sovrano della Storia, è voler parlare alla polifonia, senza rivolgersi né a colui che ha composto la musica né a coloro che la eseguono. Solo il Creatore delle leggi e dei fini può conoscere la realtà dei fini ultimi di ogni cosa, il Creatore e coloro ai quali Egli lo rivela e che accolgono con umiltà e amore la sua Rivelazione.
Ogni uomo non può essere redento come società. È la Redenzione di ogni persona a poter creare un insieme di persone redente. È per amore per ogni persona d'Israele, per ogni Israelita, che Simeone ha avuto la gioia di ricevere nelle sue braccia il Redentore. Aveva ricevuto il messaggio divino, secondo il quale avrebbe dovuto vedere il redentore prima di morire. E quando l'ha visto, ha provato gioia per la redenzione non di un'entità astratta, ma per tutti coloro che sarebbero redenti, e non a causa di un desiderio di uno stato forte e fiorente nella storia, e per questo ha detto:
«Nunc dimittis servum tuum, Domine».
È stato lieto per la Luce di tutti gli uomini, che era il Cristo e per la Gloria d'Israele. Questa Gloria era il Cristo, che chiamava ogni israelita alla salvezza. Giacché Israele non era un'idea; era un insieme in cui ciascun membro era chiamato alla redenzione.
[Da Getsemani del Card. Giuseppe Siri, Fraternità della Santissima Vergine Maria, Roma 1987 (pag.360-368)]