Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 9 maggio 2013

Nell'Ascensione di Gesù al cielo (L'umanità, rigenerata viene ricondotta al Padre)

Il seme della fiducia
di Inos Biffi

Con l'ascensione al cielo Gesù termina il suo itinerario terreno per iniziare la sua condizione gloriosa alla destra del Padre, dove la sua opera di salvezza trova il riconoscimento, il suo sacrificio è accolto, la sua preghiera diviene intercessione universale, la sua presenza è estesa a ogni tempo, la sua signoria diventa efficace in ogni spazio e il suo potere si diffonde in ogni situazione, «in cielo e in terra» (Matteo, 28, 18). In apparenza quello di Gesù è un allontanarsi: i discepoli non lo vedranno più; in realtà l'ascensione lo rende prossimo e interiore a essi, che lo sentiranno vicino non più dentro i limitati e privilegiati confini dei loro brevi giorni e luoghi: l'umanità gloriosa del Signore sarà dappertutto e presso ciascuno, in una “contemporaneità” che supera ogni genere di obiezione e di resistenza. Con suggestiva espressione san Bernardo scrive: Gesù, ascendendo al cielo, «ha lasciato in noi il seme della fiducia e dell'attesa, ha creato la speranza nei credenti» (Sermo in ascensione Domini, iv, 1).
È precisamente con questa presenza del Signore e questa speranza che i discepoli compiono la missione, che predicano il Vangelo, perché sia accolto nella fede e nel battesimo e così avvenga la salvezza. La loro non è un'attività svolta a nome e per virtù propria. Essi sono in missione per fedeltà a un mandato: «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (Matteo, 28, 19). Dall'ascensione parte la missione, che diffonde nel mondo il senso della vita di Cristo, la vita nuova iniziata nella risurrezione. La Chiesa non può ripiegarsi soddisfatta su se stessa o intimidita dalle difficoltà di annunziare la Parola di Dio; né può mettere in discussione la materia del mandato: predicare e battezzare, per suscitare la fede; né può convincersi che la salvezza è possibile anche a chi non crede: «Chi non crederà sarà condannato» (Marco, 16, 16). Il rifiuto del Vangelo esclude dalla salvezza, anche se certamente soltanto Dio conosce chi veramente crede e chi rigetta la fede.

«Il Signore operava insieme con loro e confermava la Parola con i prodigi che l'accompagnavano» (Marco, 16, 20). Sempre il Signore opera con la Chiesa: diversamente essa non riuscirebbe in nulla. La Chiesa non ha il potere di salvare; essa è anzitutto salvata, e diviene segno e strumento di Colui che è in ogni tempo l'unico Salvatore, che dà forza all'annunzio, che colma i riti della sua presenza e del suo Spirito, che apre il cuore all'ascolto e all'accoglienza e li sostiene nella perseveranza. È Cristo che nei discepoli «percorre il mondo intero» (Franz Schweizer), dal momento che la sua è anche una “vittoria sul tempo”, non perché il tempo non esista più, ma perché non riesce a renderlo un sorpassato, costituito com'è in un “oggi” che non declina.

La presenza del Signore è visibile nei prodigi che confermano la Parola annunziata: i demoni scacciati, le nuove lingue, l'indennità tra i pericoli, la guarigione dei malati. È il mondo della risurrezione, il mondo nuovo che incomincia a rivelarsi nella sconfitta del demonio, abbattuto dalla signoria di Gesù. Per chi crede non c'è più circostanza che possa compromettere seriamente e per sempre la sua vita, e il motivo è la comunione con il Signore che ha «vinto il mondo» (Giovanni, 16, 33).

Perciò un cristiano non si deprime fino in fondo; anzi non si deprime affatto come per l'irreparabile. Ma bisogna che sia intensa e continua la contemplazione del Figlio di Dio nel quale «la nostra umanità è innalzata accanto al Padre» (cfr. Messa dell'Ascensione, orazione dopo la comunione). È questa umanità la speranza e l'attrattiva del mondo, di cui l'ascensione ha rappresentato l'apertura definitiva a Dio, la “risoluzione”.

L'umanità di Gesù risorta e ascesa al cielo è il vincolo indissolubile tra gli uomini e Dio, l'evidenza dell'amore divino per l'uomo, tanto da averlo per sempre accanto a sé in una compiacenza eterna. L'uomo è portato nell'intimità trinitaria. È già vero per Cristo esemplarmente, ossia come primizia di quanto avverrà per tutti quelli che avranno fede, per le membra del Corpo di Gesù, «nostro capo nella gloria» (colletta).

Se ci limitiamo a considerare l'uomo con un giudizio “naturale”, o a partire dai dati dell'esperienza immediata, non riusciamo a scorgere questa sua destinazione divina, tanto ci appare fragile, talvolta deplorevole e inattraente, e alla fine corroso e consumato dalla morte. In realtà solo Dio può dirci veramente chi è l'uomo e qual è il suo destino; può dirci con quale amore lui lo ha amato e creato e ce lo rivela in modo perfetto con l'esaltazione dell'umanità di Gesù alla sua destra: là dove «si sedette», come scrive Marco nel suo Vangelo (16, 19), ma non in una quiete soddisfatta e indifferente per noi; al contrario: per proseguire in noi. Con l'ascensione appare che l'uomo è riuscito e non fallito, e che in Gesù ognuno è chiamato a riuscire nella forma che nessun umanesimo potrebbe immaginare.

San Bernardo definisce l'ascensione «consumazione e adempimento di tutte le altre solennità, conclusione felice di tutto l'itinerario del Figlio di Dio» (Sermo in ascensione Domini, ii, 1), e quindi modello del termine di ogni itinerario umano. L'ascensione è il festeggiamento dell'uomo. Ma dell'uomo che crede, e perciò che imita Gesù Cristo, innalzato per il suo abbassamento; glorificato per la sua croce; gratificato della signoria dopo l'umiliazione del servizio. È sempre il Crocifisso che diviene glorioso; ma nella croce, che ora è della Chiesa e delle anime, agisce questa forza dell'ascensione, questa signoria che costituisce il seme della fiducia.

La vocazione cui siamo stati chiamati -- esorta oggi san Paolo -- domanda un comportamento conforme, e in particolare: l'umiltà, la mansuetudine, la pazienza, la reciproca sopportazione nell'amore, l'impegno a conservare l'unità (Efesini, 4, 1-2). Un altro richiamo è fatto da Paolo partendo dall'ascensione di Gesù al cielo: quello di riconoscere la varietà dei doni che il Risorto ha fatto, l'origine in lui delle diverse missioni, quella dell'apostolo, o del profeta, o dell'evangelista o del pastore o del maestro. Nessuno si autodona queste grazie, tutte allo stesso modo sono ricevute, e tutte allo stesso modo vanno finalizzate a «edificare il corpo di Cristo» (Efesini, 4, 12): non quindi a suscitare confronti, a generare risse e accaparramenti, poiché, oltre e più importante delle “grazie” ricevute, c'è il Signore e la sua Chiesa, c'è la «generazione dei fedeli» (Super euangelium Matthaei reportatio, cap. 28, n. 2469), come la chiama Tommaso d'Aquino.

Gesù, assunto fino al cielo, tornerà «un giorno»: gli angeli lo assicurano agli uomini di Galilea che«stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava» (Atti, 1, 10). Viviamo in questa attesa della venuta.

Meditando il passo degli Atti san Bernardo pregava: «Chi mi consolerà, Signore Gesù, del fatto che io non ti ho visto appeso alla croce, illividito dalle piaghe, pallido per la morte; non ho patito con te crocifisso, non ti ho ossequiato da morto, non ho inumidito almeno di lacrime i luoghi delle ferite? Come mai mi hai abbandonato senza il tuo saluto, quando, o Re della gloria, nella bellezza della tua stola, sei entrato nell'alto dei cieli? La mia anima avrebbe rifiutato ogni consolazione se gli angeli con voce gioiosa, non mi avessero preannunziato: un giorno tornerà» (Sermo in ascensione Domini, III, 4). Un giorno lo incontreremo e ne faremo la conoscenza, personalmente.
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©L'Osservatore Romano 9 maggio 2013

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Dal Discorso di S. Agostino in occasione dell'Ascensione:

Saliamo insieme a Cristo.

1. La risurrezione del Signore è la nostra speranza, l'ascensione del Signore è la nostra glorificazione. Celebriamo oggi la solennità dell'Ascensione. Se vogliamo celebrare l'ascensione del Signore rettamente, fedelmente, devotamente, santamente, piamente, saliamo insieme a lui e teniamo in alto il nostro cuore. Nel salire però non insuperbiamoci. Dobbiamo infatti tenere il cuore in alto, ma rivolto al Signore. Avere il cuore in alto ma non rivolto al Signore significa essere superbi; invece avere il cuore in alto rivolto al Signore significa rifugiarsi in lui. Al Signore infatti che è asceso noi diciamo: Signore, tu sei il nostro rifugio. È risorto infatti per darci un motivo di speranza, poiché risorge ciò che muore; affinché, essendo destinati alla morte, non disperassimo e non pensassimo che con la morte la nostra vita è totalmente finita. Eravamo infatti preoccupati perfino della sorte dell'anima; ma lui risorgendo ci ha dato la certezza anche sulla sorte del corpo. Dunque ascese, ma chi? Colui che prima discese. È disceso per guarirti; ascende per elevarti. Cadrai se vorrai elevarti da te stesso; rimarrai in alto se ti eleverà lui. Avere dunque il cuore in alto, ma rivolto al Signore, significa rifugiarsi in lui; avere il cuore in alto ma non rivolto al Signore significa essere superbi. Diciamo pertanto a Cristo che risorge: Tu, Signore, sei la mia speranza; a Cristo che ascende: Hai posto in alto il tuo rifugio. Come potremo essere superbi se avremo il cuore in alto rivolto verso colui che per noi è diventato umile, proprio perché noi non rimanessimo superbi?

Anonimo ha detto...

E ancora S. Agostino:

Anche noi siamo già in cielo con Cristo.

1. Oggi il Signore nostro Gesù Cristo è asceso al cielo: salga con lui anche il nostro cuore. Ascoltiamo le parole dell'Apostolo: Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose del cielo, dov'è Cristo, assiso alla destra di Dio: aspirate alle cose di lassù e non a quelle della terra. Come infatti egli è asceso al cielo ma non si è allontanato da noi, così anche noi siamo già lassù con lui, benché ancora non si sia realizzato nel nostro corpo quanto ci è stato promesso. Egli è stato già esaltato sopra i cieli; tuttavia sulla terra soffre ogni pena a cui noi, sue membra, siamo soggetti. Di ciò ha dato la prova quando gridò dall'alto: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ebbi fame e mi avete dato da mangiare. Perché anche noi, qui in terra, non ci adoperiamo a far sì che, per mezzo della fede, della speranza e della carità che ci uniscono a lui, già riposiamo con lui nei cieli? Cristo, pur essendo nei cieli, è anche con noi; e noi, pur stando qui in terra, siamo anche con lui. Egli lo può fare per la divinità, la potenza e l'amore che ha; noi, anche se non possiamo farlo per la divinità come lui, tuttavia lo possiamo con l'amore, però in lui. Egli non abbandonò il cielo quando ne discese per venire a noi né si è allontanato da noi quando salì di nuovo al cielo. Che egli fosse in cielo mentre era anche qui sulla terra lo afferma lui stesso: Nessuno - disse - è asceso al cielo se non chi è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo che è in cielo. Non disse: Il Figlio dell'uomo che sarà in cielo, ma: Il Figlio dell'uomo che è in cielo.

Anonimo ha detto...

Formiamo un solo corpo con Cristo.

2. Che Cristo rimanga con noi anche quando è in cielo, ce lo ha promesso prima di salirvi, dicendo: Ecco, io sono con voi sino alla fine dei secoli. I nostri nomi sono lassù, perché egli ha detto: Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti in cielo; anche se ancora con i nostri corpi e le nostre fatiche pestiamo la terra e siamo pestati dalla terra. Ci radunerà di qui integralmente colui che possiede le primizie del nostro spirito. Ma quando, dopo la risurrezione del nostro corpo, avremo cominciato a vivere nella gloria di Cristo, il nostro corpo non dimorerà più in mezzo a queste realtà mortali né su queste si riverserà il nostro affetto. Non dobbiamo pensare che per noi sia preclusa la perfetta dimora celeste degli angeli, per il fatto che Cristo ha detto: Nessuno è asceso al cielo se non chi è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo che è in cielo. Dicendo così sembra che solo a se stesso attribuisca questa possibilità, e che nessuno di noi la possa avere. Ma ha parlato così a motivo dell'unità [che c'è tra noi e lui], perché egli è nostro capo e noi sue membra. Certo, nessuno se non lui [ascenderà in cielo], perché anche noi siamo lui, nel senso che egli è Figlio dell'uomo per noi e noi siamo figli di Dio per lui. Così dice infatti l'Apostolo: Come il corpo è uno solo ed ha molte membra, ma tutte le sue membra, pur essendo molte, non sono che un corpo solo, così anche Cristo. Non ha detto: Così Cristo, ma: così anche Cristo. Cristo dunque è formato da varie membra, pur essendo un corpo solo. Discese dunque dal cielo per misericordia e vi ascese lui solo; noi siamo ascesi in lui per grazia. Per questo soltanto Cristo è disceso e soltanto Cristo è asceso; non nel senso che la dignità del capo si diluisca nel corpo, ma che l'unità del corpo non viene separata dal capo. Non dice: " alle discendenze [di Abramo] ", come se si trattasse di molte, ma come di una sola: " e alla tua discendenza " che è Cristo. Chiama Cristo discendenza di Abramo; e tuttavia lo stesso Apostolo disse: Voi siete discendenza di Abramo. Se dunque [si parla] non delle discendenze [di Abramo] come se si trattasse di molte, ma come di una sola; se questa discendenza di Abramo è Cristo; se anche noi siamo discendenza di Abramo: quando Cristo ascende in cielo, noi non veniamo separati da lui. Colui che è disceso dal cielo non ci rifiuta il cielo, ma in un certo qual senso grida: Siate mie membra se volete salire in cielo. Nel frattempo dunque rafforziamoci in questa fede, bramiamo questo con ogni desiderio. Pensiamo, ora qui in terra, che siamo già contati in cielo. Allora deporremo la carne mortale, ora deponiamo la vecchiezza del cuore. Facilmente il corpo sarà elevato nell'alto dei cieli se il peso dei peccati non opprime lo spirito.

Anonimo ha detto...

Cristo è asceso con il suo vero corpo.

3. Alcuni sono turbati da una questione mossa da eretici che falsano la verità: in che modo il Signore sarebbe disceso senza corpo, se è asceso con il corpo? Ciò contrasterebbe con le parole da lui stesso pronunciate: Nessuno è asceso al cielo se non colui che è disceso dal cielo. Un corpo - dicono essi - che non è disceso dal cielo come poté ascendere al cielo? Come se Cristo avesse detto: Niente è asceso al cielo se non ciò che è disceso dal cielo. Invece ha detto: Nessuno è asceso se non colui che è disceso. Ha riferito l'ascendere e il discendere alla persona, non al modo di essere della persona. È disceso senza il rivestimento del corpo, è asceso con il rivestimento del corpo. Nessuno tuttavia è asceso se non colui che è disceso. Infatti Cristo ci ha unito a lui come sue membra in maniera tale però che anche se noi siamo congiunti a lui egli rimane sempre identico a se stesso; quanto più dunque il corpo che egli ha assunto dalla Vergine può essere in lui senza costituire un'altra persona? Se uno, dopo esserne disceso, è salito su un monte o su un muro o in qualunque luogo più elevato, dice forse che non vi è salito da solo per il fatto che quando scendeva era svestito mentre nel salire è vestito? O perché, mentre è disceso disarmato, vi sale armato? Come perciò in questo caso si può dire: Nessuno è asceso se non colui che è disceso, benché sia asceso con qualcosa di diverso rispetto a quando era disceso; così nessuno è asceso in cielo se non Cristo, perché nessuno è disceso dal cielo se non Cristo: benché sia disceso senza un corpo e sia asceso con un corpo. Anche noi saliremo in cielo, non per capacità nostra ma perché saremo uniti a lui. Due sono in una carne sola; è un grande mistero, questo, in Cristo e nella Chiesa. Per questo anch'egli ha detto: Non saranno più due ma una carne sola.