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mercoledì 9 ottobre 2013

Sensus Ecclesiae o conformismo ideologico?

Giovanni Turco, su Corrispondenza Romana:

1. Come è possibile che un Istituto religioso di diritto pontificio debba fare un “rinnovato cammino di ecclesialità”? Analogamente, cosa significa per un Istituto religioso (regolarmente approvato dalla Santa Sede) correre il rischio della “autoreferenzialità”? Il caso del Commissariamento dei Francescani dell’Immacolata ha posto, tra gli altri gravi quesiti di natura teologica e giuridica, anche il problema del significato dell’ecclesialità. Il che, come è evidente, andando ben oltre la vicenda particolare, presenta una questione di rilievo universale.

Si può essere membri della Chiesa e avere bisogno di acquisire l’ecclesialità? Qual è il metro del “sensus Ecclesiae”? Insomma, l’ecclesialità riguarda la realtà o la percezione? Si riferisce all’essere o all’apparire (a sé o ad altri)? Configura una essenza o una tipologia? È un dato intrinseco o una situazione estrinseca? Appartiene al permanere della Chiesa o alla mutevolezza della prassi prevalente (invalsa o imposta)? Afferisce all’oggettività teologale, sacramentale e disciplinare, oppure si riferisce al soggettivismo di opinioni e di atteggiamenti (ecclesiastici)? Come si vede, si tratta di interrogativi essenziali. Di fronte ad essi le espressioni allusive, come le formule retoriche non costituiscono alcuna risposta. Come in ogni campo di ricerca, il vuoto lasciato dai concetti non può essere colmato dall’ossequio al “si dice”.

Ora, non è arduo rilevare che l’ecclesialità può avere molteplici accezioni. Senza la loro chiarificazione, l’equivoco resta insormontabile. E con l’equivoco, la tendenziosità (di illazioni e di accuse) e la superficialità (di attribuzioni e di inclusioni). A ben vedere, l’ecclesialità può essere intesa in una triplice accezione: ovvero in senso teologico, in senso sociologico ed in senso ideologico.

2. Dal punto di vista teologico l’ecclesialità è un principio ontologico. Si riferisce alla realtà della Chiesa e di quanti vi appartengono. A rigore, l’ecclesialità non può essere se non l’essenza: ciò per cui la Chiesa è Chiesa. Ed analogamente, ciò per cui chi vi appartiene, vi appartiene. In questo senso, l’ecclesialità riguarda ciò che è sostanziale, non ciò che è accidentale. Ciò che è essenziale, non ciò che è marginale. Ciò che è permanente, non ciò che è provvisorio.

Al riguardo il Catechismo della Chiesa Cattolica (del 1992) indica i legami visibili di comunione nella Chiesa (e con la Chiesa) nella “professione di una sola fede ricevuta dagli Apostoli”, nella “celebrazione comune del culto divino, soprattutto dei sacramenti”; e nella “successione apostolica mediante il sacramento dell’Ordine” (§ 815). Il medesimo Catechismo ricorda che si diviene membri della Chiesa (“Popolo di Dio”) “mediante la fede in Cristo e il Battesimo” (§ 782). Il Catechismo Tridentino (pubblicato da san Pio V) insegna che “nella Chiesa militante vi sono due specie di uomini: i buoni e i cattivi. I cattivi partecipano dei medesimi sacramenti e professano la stessa fede dei buoni, ma ne differiscono per la vita e i costumi. Buoni sono quelli i quali sono congiunti e stretti tra loro non solo dalla professione della fede e dalla comunione dei sacramenti, ma anche dal soffio della grazia e dal vincolo della carità” (§ 108).

L’ecclesialità, per se stessa – cioè teologicamente – è in dipendenza di tali condizioni. Solo in loro assenza, essa è assente. Si tratta di condizioni obiettive. Nel loro rilievo esterno, verificabili. In ogni caso, esse o si danno o non si danno. Come rispetto ad ogni realtà e ad ogni principio essenziale (quindi necessario affinché qualcosa sia quello che è), l’ecclesialità è un dato intrinseco (alla Chiesa ed ai fedeli), non estrinseco. Non dipende dall’arbitrio o dall’opinione di chicchessia. Come tale vale per essa il principio di non contraddizione. In definitiva, o la Chiesa è se stessa, oppure non lo è. O si è nella Chiesa o non lo si è. Se non lo si è, vi deve essere un motivo obiettivo (non una tendenza non accolta, o un desiderio non adempiuto) che lo escluda. Chi pone in questione tale motivo (di chiunque si tratti) ha il dovere di dichiarare di quale si tratti.

Se l’ecclesialità di un Istituto religioso non è garantita dall’approvazione delle sue Costituzioni o della sua Regola, da che cosa dovrà esserlo? Se l’approvazione è anche una convalida obiettiva del carisma del Fondatore, come può essere considerato una colpa (di “autoreferenzialità”) il conformarsi ad esso? Considerata in se stessa, quindi, l’ecclesialità o si dà o non si dà. Tertium non datur. Non c’è alcun cammino da fare. Al di là dell’essere, c’è solo il non essere. Un cammino presuppone una meta non ancora raggiunta. Chi è in cammino è ancora estraneo al conseguimento dell’obiettivo. In questo caso la distanza da colmare non sarebbe altro che l’esclusione da registrare. Su quali basi? Con quale metro? Dell’ortodossia o del potere? Della comunione sacramentale o dell’imposizione prassistica? Della disciplina o del conformismo?

3. Se invece l’ecclesialità si intende in senso sociologico, allora essa corrisponde ad una tipificazione di osservazioni empiriche, sulla base di una teoria (quale che sia). In questo caso, quello che rileva non è la natura delle cose, ma la rappresentazione più diffusa. Quello che risulta decisivo non è la realtà (della Chiesa), ma diviene l’immagine che deriva dalla ricorrenza di determinati comportamenti. Quello che si afferma non è ciò che è essenziale, ma ciò che è percepito come distintivo (di un gruppo). Ci si riferisce a ciò che accade per lo più, non a ciò che vale (e deve valere) per sempre. Si fa appello all’opinione (tale da essere contata), non alla valutazione (che, per se stessa, va pesata). Conta il «qui ed ora», non l’ubique et semper (in cui san Vincenzo di Lerino, indica due criteri per riconoscere le verità di fede). Così ciò che è attuale diventa il criterio di ciò che vale (per un certo gruppo). Come ogni identità sociologica, anche questa pretende di essere autofondante. Sicché è incommensurabile in termini obiettivi ed arbitraria in termini assiologici.

D’altra parte, se l’ecclesialità corrisponde, sociologicamente, al sentire prevalente tra gli ecclesiastici (e tra i fedeli) in un certo momento, occorrerebbe concludere che nel contesto della crisi ariana, l’ecclesialità era appannaggio degli eretici che negavano la divinità di Cristo, vista la diffusione che conseguirono. Bisognerebbe ammettere che al tempo della “riforma gregoriana” l’ecclesialità spettava al clero ed ai vescovi, simoniaci e concubinari. E non al gruppo, meno numeroso, dei santi riformatori. Ci sarebbe da ricavare che allorquando l’empirismo e il razionalismo si era diffuso nelle Scuole cattoliche, l’ecclesialità era da attribuirsi alla confusione dottrinale (ampiamente diffusa) e non ai pochi centri di studio che diedero vita (col decisivo sostegno di Leone XIII) alla «rinascita» della filosofia cristiana. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Insomma, come si vede, l’ecclesialità sociologica è un criterio di appartenenza del tutto estrinseco ed effimero. Se viene assunto come principio, per se stesso, non solo risulta vuoto di contenuto e perciò fallace, ma porterebbe sovente a capovolgere il giudizio di valore, a favore delle deviazioni e degli scandali.

4. Infine, l’ecclesialità può essere intesa in senso ideologico (in modo più o meno implicito). Come in ogni opzione ideologica, ciò si verifica allorché la prassi dà origine alla teoria, si identifica con essa e fa della prassi stessa il mezzo e il fine, insieme. In questo caso, come ogni paradigma ideologico, l’ecclesiasialità si identifica con un progetto da attuare, il quale viene assunto come unico giudice di se medesimo. L’ideologia, infatti, è un pensiero strumentale, che fa della propria parzialità la misura della totalità. È un pensiero che sostituisce l’opinione alla verità, quindi l’opzione al bene. Opinione ed opzione fatte misure di se stesse, quindi tali da escludere ogni misura.

Il mutamento della teologia in ideologia avviene obiettivamente (prescindendo da ogni considerazione relativa alle intenzioni) allorché si adotta il primato della prassi (quindi, del risultato) e la conseguente immanentizzazione della fede. Allorché il naturalismo (metodologico e prassiologico) prende il posto della vita soprannaturale, il progressismo sostituisce l’escatologia, l’attivismo subentra all’ascesi. Allora la prassi (pastorale, organizzativa, comunicativa, diplomatica o mediatica, che sia) pretende di essere il criterio per intendere la Rivelazione. Così i gesti si sostituiscono ai principi. Le tendenze operative vanificano l’oggettività della fede, della morale, della disciplina. Anzi, pretendono di esserne la misura.

Se l’ecclesialità si identifica con un progetto (di “nuova Chiesa” o di “nuovo Cristianesimo”) che pretende di farsi prassi – ovvero con una pretesa di futuro che si identifica col mito dell’irreversibilità della storia – allora occorre rilevare che questo è precisamente il criterio di ecclesialità di tutti i gruppi (semanticamente, settari) che hanno preteso di identificare la Chiesa con il loro opinare ed il loro operare, dai montanisti, ai donatisti, ai dolciniani, ai modernisti. In questo caso la condivisione di un nuovo senso della Chiesa, costituisce il criterio di ecclesialità. Solo chi lo condivide vi appartiene. E nessun altro. Poco importa il progetto dichiarato dirimente. Quale che sia la dilatazione del consenso.

È chiaro che se l’ecclesialità assume i connotati dell’ideologia (che erge a spartiacque un evento, una tesi, o un atteggiamento) essa può riempirsi dei contenuti più diversi ed arbitrari. Ma certamente abbandona il campo del riferimento al Fondatore della Chiesa, per optare per una sua “rifondazione”, o per fare di questa il criterio di Quello.

Solo se l’ecclesialità è intesa in senso sociologico o in senso ideologico è (effettivamente) possibile un “cammino di ecclesialità”. Allora, infatti, l’approssimazione data dal “cammino” sarebbe tale da assimilare ad una (prevalente) identità sociologica o ad una (nuova) prassi teorizzata. A cui si può aderire più o meno ampiamente, sotto il profilo della condivisione soggettiva (delle mode o delle pratiche, delle opinioni o delle teorie). 

5. A queste distinzioni potrebbe essere aggiunto – stando a talune tesi – un ulteriore significato dell’ecclesialità: quello “ermeneutico”. In questo caso l’ecclesialità dipenderebbe da una particolare “ermeneutica”. Una certa ermeneutica assicurerebbe l’ecclesialità. Una diversa ermeneutica la escluderebbe. In termini immediati l’oggetto dell’ermeneutica sarebbe il Concilio Vaticano II. Ma è ovvio che il principio, per se stesso, è suscettibile di essere esteso a qualsivoglia dato o fatto. Allora, il criterio equivarrebbe tanto ad una prassi (quella ermeneutica), da praticare, quanto ad uno schema (quello interpretativo), da assumere. Non al Depositum fidei, non ai principi (naturali e soprannaturali) dell’agire.

Insomma, il criterio risulterebbe un a priori (metodologico), assunto quale filtro conoscitivo, rispetto al quale ogni conclusione non varrebbe per se stessa, ma come risultato (ermeneutico). Si darebbe un metodo, che subordinerebbe a sé qualsiasi contenuto. In questo caso l’ortodossia come l’eresia non sarebbe una questione di verità (accolta o rigettata), ma l’effetto di una certa ermeneutica.

L’operazione ermeneutica, a sua volta, potrebbe essere manchevole per eccesso o per difetto (come per rigidità o per variabilità). Gli errori nel campo della fede, non avrebbero come riferimento le verità rivelate, ma l’attitudine ermeneutica, suscettibile di deviazioni su opposti crinali. La collocazione degli errori sarebbe allora topografica, piuttosto che teologica, tendenziale piuttosto che dottrinale. In ogni caso, il «dogma fondamentale» (il dogma che giudica tutti dogmi) sarebbe quello che definisce l’ermeneutica. E la colpa più grave sarebbe il «delitto di lesa ermeneutica». Dogma e delitto, ovviamente, inesistenti.

Ora, se l’ermeneutica viene assunta come criterio di ecclesialità, non si può fare a meno di chiedere quale significato si attribuisca all’ermeneutica stessa. Si tratta dell’ermeneutica nella prospettiva di Schleiermacher o di Nietzsche? Di Heidegger o di Gadamer? D’altra parte, se l’ecclesialità dipendesse dall’ermeneutica del Vaticano II, occorrerebbe osservare che ci si troverebbe nella singolare situazione, in cui sarebbe possibile una storia (degli avvenimenti) ed una esegesi (dei documenti) di tutti i Concili, fuorché del Vaticano II. Solo per questo Concilio sarebbe necessario far rifluire ogni indagine in una ermeneutica prestabilita, pena addirittura l’illegittimità (ecclesiale) dello studio.

In questo caso il “cammino di ecclesialità” coinciderebbe con un “cammino ermeneutico”. Dunque di progressiva ermeneutizzazione della fede. Dove l’ermeneutica sarebbe data, il cammino obbligato, il risultato – l’ecclesialità – da trovare (di volta in volta). Come in ogni apriorismo metodologico, il metodo fonderebbe il contenuto. Dove il metodo (privo di contenuto) è tutto. E il contenuto è solo una (sua) derivazione possibile. Il metodo diviene, così, una opzione o una ipotesi, non un criterio obiettivo richiesto da un determinato oggetto di indagine. Diversamente dal realismo della (retta) ragione e della fede (autentica), per il quale il contenuto fonda il metodo. E non viceversa. In filosofia come in teologia. 

31 commenti:

  1. Sul Foglio di oggi in prima pagina articolo di Gnocchi e Palmaro dal titolo "questo papa non ci piace". Purtroppo non ho un link ma pregherei chi lo trovasse di renderlo disponibile a tutti. Grazie

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  2. Romano dice,

    Ottimo, Mic, ottimo...

    Quindi, possiamo dire che ci sono quelli che mancano in senso giusto e cattolic un senso proprio di ecclesialità:

    Jorge Maria Bergoglio, che neanche capisce i doveri del suo ufficio nè il danno grave ha fatto a migliardi di anime con le sue parole scandalose ed eretice

    Braz de Aviz, che vede se stesso come Tsarino sovietico che ha l'obbligo di perseguitare i membri della Chiesa che non sono in armonia con la revoluzionze rossa-massonica-sodimitica...

    Volpe e Bruno che sono tanto pronti di tradire la loro vocazione francescano per servire un altro spirito che non viene da Dio...

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  3. ancora non lo avete capito che c'è una ecclesialità totalmente difforme da quella preconciliare? Ecco, i FI (e con essi noi tradizionisti) verranno rieducati alla nuova ecclesialità. detto in parole povere gli faranno il lavaggio del cervello.

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  4. Mic, ieri sera non hai pubblicato i miei commenti. Sono addolorato, ma non offeso.
    Urge la questione della lettera o, in alternativa, della telefonata. Potrei passare alla pensione S. Marta e lasciare il mio numero, così Bergoglio mi chiamerà e fisseremo un appuntamento. Scalfari pubblicherà tutto.
    Se vogliamo scrivere questa benedetta misiva, io sono disponibile a stendere la minuta. I toni rigoristi dovranno essere evitati: per questo ho chiesto l'intervento, in sede di revisione delle bozze, di Giovanna.
    Allegata, potremmo presentare una storia del pontificato di Ratzinger (senza il SP, ma citando solo il p. 19 della UE come appoggio per il commissariamento dei FI), a cura di Luisa.
    Ho contattato Pastorelli: pensa lui ai ballerini. Gli ho specificato, però, che accetteremo solo danzatori di retta fede indultista.
    Per il barcone sul Tevere, sono certo che non ci saranno problemi.
    Siamo in bassa stagione. Le ottobrate romane contibuiranno a rendere romantici i discorsi di Bergoglio. L'importante è dare precise istruzioni al timoniere: navighi a vista, tiri a campare, e soprattutto che vada alla deriva, lontano dal centro, esca verso le periferie dell'esistenza. Meglio ancora: che non ci sia timoniere, il barcone lo guiderà lo Spirito. Niente pasticcini al catering, mi raccomando.
    Bergoglio celebrerà usando come mensa un tavolino per il poker, non prima di aver dichiarato di smantellare qualcosa, tipo, chessò, l'ordine francescano. Ordine è una parola effettivamente insopportabile.
    Colafemmina potrebbenel frattempo sdoganare il gioco d'azzardo con un articolo scritto lì per lì, citando S. Alfonso e i suoi nuovi benefattori, e contemporaneamente vendere il suo miele. Se però lo chiedono i poveri, i bambini, deve regalarglielo, con gesto spontaneo e autentico, di fronte a Giorgio Maria. Se poi i richiedenti sono bambini poveri, deve servierglielo su un piatto fatto con gli altofusti dell'Amazzonia, impegnandosi ad eliminare ogni inutile decorazione dai barattoli.
    Io continuo a ritenere che questa che ho sommariamente descritto sarebbe un'eccellente occasione per convincere tutti della nostra buona fede: tutti sullo stesso barcone, una metafora non banale della vita. La Chiesa come barcone che esce da se stessa, il miele di Colafemmina, la deriva come approdo, la messa come cena senza pastarelle. Indultisti, rigoristi, colafemmine, vescovi di Roma, persone di fede profonda, pelagiani pentiti, pressappochisti, uomini qualunque, semplici turisti: tutti saranno invitati al convivio della riconciliazione. Mi raccomando, un'ultima cosa: tutti dicano di essere sposati, e di essere poveri, o meglio ancora morti di fame. Portino documentazione a sostegno per esibirla agli scribacchini vaticani. La bugia, è vero, è peccato veniale, ma per stato di necessità forse diviene merito titanico; e la povertà materiale, unitamente al fatto di non essere zitelle, anche se solo asseriti, facilitano la visione beatifica, faccia a faccia, di Bergoglio.

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  5. Cara Mic,mi permetta di dire che trovo la sua seconda ipotesi la più probabile, purtroppo ormai tutti sono travolti e sconvolti dal ciclone argentino, ma qualcuno comincia a svegliarsi; paradossalmente trovo più persone agnostiche e non credenti che capiscono il dramma in cui si trova la CC oggi ed il pericolo di una deriva relativista, i cattolici 'impegnati' continuano imperterriti nella loro opera alla ong,unchr e quangos, oltre ad invitare pervicacemente quegli eretici, atei devoti(?) che lei ben conosce. Mai avrei immaginato di trovare un mare di rovine fumanti della CC, da quando non frequentavo più, sapevo che essere veri seguaci di Cristo era roba per duri e puri,ma....klein aber fein,diceva un cardinale bavarese che ci vedeva lungo, già molti anni fa....pochi ma buoni,sì, ma quanto pochi?Lupus et agnus.

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  6. Sul Foglio di oggi in prima pagina articolo di Gnocchi e Palmaro dal titolo "questo papa non ci piace". Purtroppo non ho un link ma pregherei chi lo trovasse di renderlo disponibile a tutti. Grazie

    Sarei molto grata a chi potesse scannerizzarlo.
    Mi dicono che non è in rete.
    Sono appena rientrata e per ora non riesco ad andare in edicola.

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  7. Un bravi e un sorriso!

    http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-cattolico-veste-sine-timore-6801.htm

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  8. Quel che è triste o, potrei dire, deprecabile, è il "turbamento" provocato in cattolici che hanno vissuto, e vivono, la loro vita in coerenza con la loro Fede in Gesù Cristo, con la loro coscienza formata dall`insegnamento della Chiesa, che non è nato, o rinato, 50 anni fa.
    Non solo oggi si sentono presi di mira dal Papa, e dai suoi cortigiani, ma lo sentono dire e lo vedono fare parole e gesti che contraddicono quel che ha orientato la loro vita.
    Tutto ciò provoca in loro un profondo turbamento, mi son sbagliato finora? Sono un così cattivo cattolico? Non sento cum Ecclesia? Sono un cattivo cattolico se non son d`accordo con il Papa?
    Cattolici che hanno vissuto la loro Fede senza mettere in sordina la ragione, " La Fede e la Ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s' innalza verso la contemplazione della verità ", constatano lo tsunami di pathos che accompagna i passi del nuovo Papa e benchè il sentimento e l`emozione non fossero assenti nella loro vita di cattolici( senza che si esprimi in danze e abbracci),pur essendo nella Chiesa e come tali rispettosi del Papa e del suo messaggio, anche se non lo gridano sui tetti, non sono a loro agio, e non lo sono appunto perchè sono cattolici.
    Non ho bisogno di insistere sul potere delle emozioni, su come è facile coinvolgere e manipolare accendendo il fuoco delle emozioni, su dove e che cosa vanno a toccare certe immagini che non possono lasciare indifferenti, ma quando vedo persone di cui conosco la Fede forte e viva, cominciare a dubitare, a sentirsi disorientate e a disagio perchè criticare il Papa, non essere d`accordo con il Papa, e non su punti secondari, non è nelle loro abitudini, quando vedo persone fare delle svolte, dei cambiamenti di rotta "radicali" sotto l`effetto delle emozioni, peggio ancora, quando vedo persone che hanno sentito cum Ecclesia tutta la loro vita domandarsi se c`è ancora posto per loro in questa nuova Chiesa, mi domando se Jorge Bergoglio si rende conto che in quella Chiesa che ha l`"umiltà" e l`ambizione di voler edificare, o ristrutturare, ci sono anche pecore che hanno forse un odore che non è interessato a prendere su di sé, o che non ama, ma quelle pecore esistono, si tratterebbe di prendere cura anche di loro.

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  9. ancora non lo avete capito che c'è una ecclesialità totalmente difforme da quella preconciliare? Ecco, i FI (e con essi noi tradizionisti) verranno rieducati alla nuova ecclesialità. detto in parole povere gli faranno il lavaggio del cervello.

    Che ci sia in giro una forma di "rieducazione" da Gulag ce ne siamo accorti.
    Cerchiamo di usare come antidoto gli strumenti di grazia che abbiamo ricevuto...

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  10. Su Gnocchi e Palmaro: sono gli stessi che scrissero, solo 3 anni fa, questa immane boiata?
    http://www.radicicristiane.it/libro.php/id/210/Alessandro%20Gnocchi,%20Mario%20Palmaro/Viva-il-Papa!-
    Allora è una questione politica...

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  11. per me il Gulag è un pezzo che è in giro, certo mai siamo caduti così in basso come l'ultimo periodo.

    Angelo, zitelloni squattrinati te salutant :-)

    @Luisa: prelevo un tuo passaggio
    "...ma quando vedo persone di cui conosco la Fede forte e viva, cominciare ...a sentirsi disorientate e a disagio perchè criticare il Papa, non essere d`accordo con il Papa, e non su punti secondari, non è nelle loro abitudini......quando vedo persone che hanno sentito cum Ecclesia tutta la loro vita domandarsi se c`è ancora posto per loro in questa nuova Chiesa..."

    certo è triste ma con l'aiuto di Dio ne usciremo, anche se dovessimo resistere a lungo.
    Anche a me le cose che hai descritto danno fastidio, ma personalmente le avevo già vissute in concetti e atti francamente discutibili di Woytila, quando ero più giovane. Hai in mente quanto è durato il suo pontificato, nel tripudio dei media?
    La situazione era meno estrema di ora, eppure....

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  12. Su Gnocchi e Palmaro: sono gli stessi che scrissero, solo 3 anni fa, questa immane boiata?
    http://www.radicicristiane.it/libro.php/id/210/Alessandro%20Gnocchi,%20Mario%20Palmaro/Viva-il-Papa!-
    Allora è una questione politica...


    Angelo,
    ti chiedi perché non ti pubblico... Non riesci a scrivere un commento che non sia provocatorio.

    Il tuo commento sopra, l'ho apprezzato come gustosissima satira, che una tantum ci sta anche bene, ma sempre-sempre diventa stucchevole.

    Quanto al testo di Gnocchi e Palmaro di cui al link, non lo hanno scritto in quanto papisti; ma nel periodo in cui TUTTI i media remavano contro Benedetto XVI in maniera scorretta e davvero pesante. Esattamente in contrario di ciò che sta avvenendo ora e su cui non possiamo fare a meno di interrogarci.
    E sai bene che successivamente anche scritto ben altro!

    E la politica non c'entra. O, se c'entra, sono affari loro. Personalmente me ne occupo quando è il momento di parlarne. Ora stiamo parlando d'altro.

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  13. certo è triste ma con l'aiuto di Dio ne usciremo, anche se dovessimo resistere a lungo.
    Anche a me le cose che hai descritto danno fastidio, ma personalmente le avevo già vissute in concetti e atti francamente discutibili di Woytila, quando ero più giovane. Hai in mente quanto è durato il suo pontificato, nel tripudio dei media?
    La situazione era meno estrema di ora, eppure....


    Caro Josh, allora erano presenti i prodromi di ciò che oggi, con Bergoglio sta esplodendo perché arrivato alle sue conseguenze, non so neppure se siano quelle estreme, ma lo temo...

    Mi conforta l'inizio che ho quotato, che pure condivido e confermo.

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  14. E la politica non c'entra. O, se c'entra, sono affari loro.

    A parte il fatto che la mia non era satira, contro i due del Foglio, la politica qui c'entra eccome. Sono affari loro, ma pure nostri se ci facciamo ingannare da chi dice "viva il papa!" (quindi non Ratzinger, ma il papa, quindi ogni papa), e poi dice: "a noi QUESTO papa non piace". A parte che uno potrebbe rispondere: ecchissene, ma il progetto del Foglio (sionista), per il quale i due cattolicissimi scrivono, credo, ben remunerati --quanti soldi avrei fatto, se avessi fatto come loro!--, era di legittimare Ratzinger in senso neocon. Progetto sommamente subdolo. Loro dicono di essere cattolici, ma intanto stanno con soggetti che di cattolico non hanno nulla, ma anzi amano frequentare i circoli che contano.
    Sarò stucchevole, ma porto argomenti e so le cose, in parte anche perchè li ho frequentati, certi ambienti. La mia critica, quando non è presa in giro, è sempre dottrinale, al di là delle persone, che attacco se fanno il doppio gioco, dall'ultimo blogger in pensione ai giornalisti in questione. Non è poco, credo.

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  15. Quando feci gli esercizi spirituali ad Albano, tre anni fa, con grande profitto, fui sbigottito nel trovare nel refettorio una lettera di Mons. Lefebvre che definiva GPII un "Anticristo". Ora, è chiaro che si tratta di una iperbole. Io penso che GPII fosse una brava persona. Resta però il giudizio: effettivamente, chi non fa la volontà di Cristo va contro Cristo, quindi, in senso lato, può esser definito "anticristo".
    E proprio qui sta la differenza tra GPII e questo Bergoglio: il primo --di cui, sul piano "ecclesiale" non ho mai avuto alcuna stima-- aveva una sua statura, un suo rigore, un profilo morale ben definito. Per questo, l'ho sempre rispettato, pur ritenendomi un suo "avversario". Questo Bergoglio qua è solo uno che forse, in parte, non sa neppure lui quel che dice. In ultima analisi, però, al netto delle eresie e delle idiozie pronunciate un giorno sì e l'altro pure, fa parte di una categoria da cui ci si deve tenere ben alla larga: i finti tonti. L'ha detto lui stesso: sono un po' ingenuo e un po' furbo. E' un gesuita, poi, il che fa tremare i polsi a chi si abbevera quotidianamente a Pascal, che aveva capito tutto. E' un argentino, per di più con sangue piemontese (massonico) nelle vene, e quindi unisce il pressappochismo tipico dei sudamericani alla doppiezza tipica del suo popolo ibrido. Questo in generale, come tendenze, rispecchiate dai fatti: sarò felice di essere smentito, anche se con questi chiari di luna ritengo sia ben difficile.

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  16. A parte il fatto che la mia non era satira, contro i due del Foglio, la politica qui c'entra eccome. Sono affari loro, ma pure nostri se ci facciamo ingannare da chi dice "viva il papa!"

    Vabbeh, non era satira, resta il modo 'graffiante' di esprimerti che se ha una sua efficacia perché e contundente, risulta aggressivo. E, mi ripeto, se a volte è utile, non favorisce la discussione serena. Perché trovi sempre una marea di spigoli che a loro volta sono toccati dalla 'contundenza' e non possono fare a meno di reagire.

    Premesso che ognuno di noi ha i suoi, di spigoli, preferirei smussarli per quanto è possibile...
    Convengo, in linea di massima, con quel che dici qua su.

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  17. http://blog.messainlatino.it/2013/10/il-foglio-9-ottobre-2013.html

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  18. Articolo eccellente. Ottimo il discorso sulle figure retoriche.
    In sè, nulla da dire, anzi complimenti.
    In relazione alla coerenza personale, che non invalida quanto detto, ma può far sorgere dubbi di natura morale. Cito:

    "Nel 1864, Pio IX pubblica nel “Sillabo” un elenco di proposizioni erronee [...] E sono solo alcuni esempi per dire che l’errore, quando c’è, si riconosce a occhio nudo. Una ripassatina al “Denzinger” non farebbe male".

    Vero. Ma un a ripassatina dovrebbero darla anche Gnocchi e Palmaro, al Sillabo (ma sono troppo intelligenti per non sapere quanto sto per dire), perché alcuni errori condannati da S. Pio X sono professati pubblicamente dai foglianti, spesso massoni e quasi sempre non cattolici e sionisti:

    III. La ragione umana è l'unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male indipendentemente affatto da Dio; essa è legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.

    Qui il liberale (e incredulo) Ferrara converge con Bergoglio.

    XV. È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera.


    XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta.

    Anche qui, l'antitemporalismo di Ferrara e dei suoi amici liberaloidi consente con le banalità di Bergoglio (cfr. anche errore n. XXVII).


    X. L'autorità non è altro che la somma del numero e delle forze materiali.


    LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica.



    Ultima sezione, che chiarisce quali siano, oggi, i nemici della Chiesa:

    X - Errori che si riferiscono all'odierno liberalismo

    LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l'unica religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano.
    LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.
    LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l'ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell'indifferentismo.
    LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.

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  19. "E bisognerà ritrovare il coraggio di dire che un cattolico può solo sentirsi smarrito davanti a un dialogo in cui ognuno, in omaggio alla pretesa autonomia della coscienza, venga incitato a proseguire verso una sua personale visione del bene e del male."

    Ho estratto solo queste parole dall`articolo di Gnocchi e Palmaro, perchè ho trovato la parola che il mio povero vocabolario italiano non riusciva a trovare nel mio commento precedente e cioè :" SMARRITO".
    Purtroppo, vista l`abissale ignoranza radicata da 50 anni di formazione "altra", visto il relativismo e il soggettivismo imperanti, molti non trovano nulla da ridire a quelle parole di papa Bergoglio, ma di cattolici smarriti ne conosco, trovo paradossale che siano proprio loro ad esserlo, mentre vedo altri "cattolici", che di precetti, Dottrina, dogmi, sacralità della Liturgia, Tradizione non vogliono sentir parlare, che sono entusiasti, sembrano aver trovato il "loro" Papa.
    Il loro entusiasmo dovrebbe preoccupare assai il Successore di Pietro.

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  20. Il successore di Pietro si preoccupa solo di piacere e compiacere e compiacersi,tutto qua. Alla prossima 'enciclica repubblicista ne sapremo di più.

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  21. Va anche detto che non si può rimanere smarriti per decenni. Lo smarrimento deve essere un momento, poi deve essere superato, se possibile assumendo una posizione chiara, oppure, se non è possibile, negando almeno ciò che è impossibile: ossia la tesi secondo cui questo papa sta vicariando Cristo.

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  22. I gesuiti fanno tremare i polsi, gli argentini sono pressapochisti, i piemontesi sono doppi e massoni... Tu invece Angelo cosa sei?

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  23. Lui è Angelo e lei un Anonimo.

    Anch'io però preferirei un'astensione da giudizi tranchant.
    Non possono continuare, altrimenti diventiamo la sentina di tutte le recriminazioni invece di un luogo di discussione se non a 360 gradi, almeno con un orizzonte allargato.

    Certo, dipende anche dalla moderazione. Cercheremo di vigilare...

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  24. I gesuiti fanno tremare i polsi, gli argentini sono pressapochisti, i piemontesi sono doppi e massoni... Tu invece Angelo cosa sei?

    Sicuramente non sono un fesso che se la beve, e che non risponde alle constatazioni con rigurgiti di moralismo. E poi conosco l'italiano, a differenza di lei: si scrive "pressappochisti".
    Per oggi ha fatto il compitino, ora può andare a nanna.

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  25. Diritto di replica, pepato quanto di si aspettava...

    Ora possiamo andare oltre.

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  26. "pressappochismo (o pressapochismo) s. m. [der. di pressappoco; la variante (meno corretta) pressapochismo è coniata sulla grafia press’a poco]. – Tendenza, atteggiamento tipico di chi, nel lavoro o in qualsiasi altra attività, si accontenta dell’approssimazione, senza preoccuparsi affatto dell’esattezza e della precisione: agire con leggerezza e pressappochismo."
    Dalla Treccani, studi anche lei Angelo...

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  27. OK. La chiudiamo qui con la Treccani e compagnia bella...

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  28. La conclusione dell'articolo:

    ...il risultato – l’ecclesialità – da trovare (di volta in volta). Come in ogni apriorismo metodologico, il metodo fonderebbe il contenuto. Dove il metodo (privo di contenuto) è tutto. E il contenuto è solo una (sua) derivazione possibile. Il metodo diviene, così, una opzione o una ipotesi, non un criterio obiettivo richiesto da un determinato oggetto di indagine. Diversamente dal realismo della (retta) ragione e della fede (autentica), per il quale il contenuto fonda il metodo. E non viceversa. In filosofia come in teologia.

    Condensa alla perfezione gli esiti della "“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino" [sganciato dall'oggetto-Rivelazione].

    Quel senso storicistico di Tradizione in divenire che la fa tuttora da padrone e ne stiamo vedendo i risultati...

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  29. Sono anch'io smarrita e preoccupatissima per tutto ciò che accade, con la sensazione di impotenza
    a) a decifrare esattamente e misurare la portata di questa rivoluzione permanente
    b) a rimanere allo stesso tempo dentro la Chiesa così SFIGURATA, INAFFIDABILE, e restare sempre in guardia, in vigile difensiva, senza prender sonno! stringendo i denti contro il pericolo di essere trascinati dove non vogliamo, cioè all'apostasia mediante plagio collettivo, assorbimento di eresie e prassi facilone, o dissacranti sia nelle devozioni o liturgia, sia nella morale, nei sacramenti ecc.

    Sono interessatissima ai commenti di Angelo, veramente acuti, certo un po' taglienti fino a "disturbare" una tranquillità media che ssarebbe adatta a tempi normali, ma mi pare che siamo in tempi di emergenza, credo molto più che ai tempi di mons. Lefebvre, non vi pare? e che restando nella fiducia di base verso il Signore che sa dove condurre la Chiesa, permettendo cotanto travaglio, tuttavia lo sgomento (nonchè talora il SACRO orrore) l'allarme motivato di molti fedeli sensibili come voi ed altri sul web e nelle diocesi (basiti ma spesso a bocca chiusa) è più che comprensibile.......e capisco quando Angelo dice "dopo lo smarrimento bisogna prendere una posizione chiara", provare a dirci almeno tra noi : "Ma costui sta facendo il Vicario di Cristo o tutt'altro?" e trarne le conseguenze.
    ......
    Ero inoltre una lettrice affezionata del bravissimo prof. Colafemmina, ma non riesco a capire che cosa gli è successo: non vi pare che anche lui non riesca più a parlare aperto e chiaro come una volta ? mi sembra irriconoscibile, paralizzato, dice e non dice....o come uno che distoglie lo sguardo da una scena raccapricciante, cioè decide di "non vedere nè parlare, per poter soffrire di meno" ?

    Vi prego, continuate almeno voi a parlare con chiarezza e amore per la Verità, senza paura di "fame, nudità, spada" ecc....affinchè gli SMARRITI ritrovino un po' di luce. Ve ne sarò grata, perchè la confusione che mi(ci) assedia è inenarrabile (in famiglia non vogliono saperne di queste realtà crude che si profilano nella Chiesa, tirano a campare, forse una reazione "antalgica".
    Per finire, chiedo a Mic come mai non è stato pubblicato un mio commento alcuni giorni orsono, nè tagliente nè provocatorio o simili...era una condivisione di sentimenti affini ai vostri.
    Mi siete di grande conforto nel buio, ve lo assicuro, ognuno di voi col suo diverso temperamento, e specie mi ritrovo concorde con Luisa e Angelo, (che mi aiuta a capire con forza brutale, come uno schiaffo dato a chi sta per cadere addormentato in una casa invasa dal GAS! in sonno mortale, quindi ben venga lo "schiaffo" che riapre gli occhi....'ma che sia ogni tanto' dice Mic....)
    Grazie a Mic e tutti

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  30. come uno schiaffo dato a chi sta per cadere addormentato in una casa invasa dal GAS! in sonno mortale, quindi ben venga lo "schiaffo" che riapre gli occhi....'ma che sia ogni tanto' dice Mic...

    Appunto. Non ci servono né schiaffi né carezze. Ci serve la verità, possibilmente 'mostrata' e non sbattuta in faccia. Non perché fa male, ché a volte è necessario, ma perché di solito si tende a rifiutare ciò che ci arriva con aggressività.

    Se la tenerezza - da sola - porta al buonismo, la 'contundenza' - da sola sia pur mista all'intelligenza - cui prodest?

    Andiamo avanti custodendo, ragionando, condividendo, confrontandoci, assimilando, offrendo ed esprimendo. Per ripartire ogni volta con una pepita d'oro in più nella bisaccia... Cerchiamo di non creare e di non raccogliere spazzatura, piuttosto.

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  31. Cara Erica,
    Grazie per le belle parole.

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