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lunedì 15 febbraio 2016

L'utopia sinistra della società multietnica e multiculturale. Le colpe del Vaticano II

Questo blog ha un valore aggiunto non da poco: l'apporto di molti interventi di lettori che approfondiscono le discussioni e sono di arricchimento per tutti. Ne è riprova il testo che segue del lettore Parvus, che estraggo dalla pagina interna per condividerlo con chi non si soffermasse sui commenti o non avesse il tempo di leggerli tutti. È una riflessione che focalizza questioni che sono alla radice dei problemi che stiamo affrontando e offre spunti ulteriori che varrà la pena raccogliere, sviluppandone le implicazioni.

L'utopia sinistra della società multietnica e multiculturale.
Le colpe del Vaticano II

Si riscontra da tanto tempo ormai come sia scomparsa e sia comunque combattuta in Occidente l'idea di Patria, di Nazione, sia dal punto etnico che culturale, e come si sia sostituita ad essa l'idea di una società "globale ed aperta", ultra-democratica, nella quale potrebbero convivere tutte le razze, le religioni, i credi. Si combatte anche l'idea di Stato-Nazione, collegata a quelle di Patria e Nazione (e lo fanno anche i "tradizionalisti" cattolici perché vogliono ostinatamente vedere di quest'idea solo la versione giacobina).

La prendo alla lontana, sperando di contribuire ad uno sviluppo del problema.
Quest'utopia, tra le peggiori possibili, è come sappiamo di origine illuministica e la ritroviamo nella filosofia della storia di Condorcet, nel quale si riprende la concezione della storia di Voltaire, del tutto "laica". Il pensiero respingeva il cristianesimo ai margini, come epoca trascorsa della storia (il Medio Evo), da accettarsi solo per certi aspetti, positivi quanto allo sviluppo della convivenza umana. Cristo veniva visto al massimo come "maestro di morale", di quella morale capace di tenere a freno la canaglia, buona soprattutto a questo, con la paura dell'inferno. Nella visione di Condorcet la famiglia, la nazione, la Patria, tutto avrebbe dovuto esser "superato" in una futura società che avrebbe realizzato per tutta l'umanità il dominio della ragione (come intesa dagli Illuministi). In questa società aperta a tutta l'umanità non ci sarebbero state più guerre, ovviamente.

Quest'utopia si basava su una determinata concezione dell'uomo, del tutto irrealistica perché lo considerava "buono per natura"[1]. In ciò, si serviva anche delle relazioni di viaggio dei navigatori che avevano visitato i popoli del Pacifico. Interpretate in un certo modo, quelle relazioni propagandavano un'umanità di "primitivi" semplice, spontanea, senza matrimonio, senza leggi, libera, felice, immersa nella natura. Perciò bisognava "tornare alla natura", riappropriarsi la "spontaneità" oscurata, vedi un po', dalla rigida disciplina della morale cristiana.

Studi successivi hanno dimostrato la falsità di questo ritratto del mondo dei popoli primitivi, assunti a modello contro la società cristiana. Una simile esaltazione del "primitivo", regno della "spontaneità" da seguire, la ritroviamo di nuovo nelle antropologhe americane degli anni venti (Margaret Mead, Ruth Benedict) con i loro studi, poi fortemente contestati, sui primitivi del Pacifico, che aprirono la strada all'ideologia femminista attuale. Si è saputo poi che queste donne erano in realtà bisessuali, ragion per cui la "riscoperta" del primitivo significava giustificare anche l'omosessualità, in quanto tendenza supposta "naturale".

Ora, il pensiero laico voleva costruire un'immagine dell'uomo diversa da quella proposta dal Cristianesimo, che veniva rifiutato. Nel cattolicesimo l'uomo non è malvagio per natura però è afflitto dal peccato originale che mette l'intelletto in contraddizione con le passioni pur senza privare l'uomo del libero arbitrio (che da solo non basta per fare il bene, occorre anche l'aiuto della Grazia). Ora invece si vuole ritenere l'uomo buono per natura e ci si conforta con l'immagine falsa dei "primitivi", supposti "vicini alla natura". La prima verità cristiana a cadere è pertanto quella del peccato originale. Nell'uomo si vuole pertanto vedere una coscienza individuale in grado di stabilire da se stessa che cosa è bene e cosa è male. Ciò viene enunciato nel modo più chiaro e sistematico da Rousseau. Qual è lo sviluppo successivo, gravido di conseguenze? Che, dall'idea dell'uomo buono per natura e consegnato alla sua sola coscienza si sviluppa l'idea di Rivoluzione. Il punto è stato messo a mio avviso molto bene in evidenza (tra altri) da Augusto Del Noce in quella sua fondamentale (anche se difficile) opera costituita dai suoi attualissimi saggi sull'ateismo ("Il problema dell'ateismo", Il Mulino, Bologna, 1970).

La religione di Rousseau viene a definirsi come una forma di pelagianesimo: affermazione di Dio [deismo], della libertà e dell'immortalità, ma negazione del peccato e della grazia. Ora, in questo contesto, in questa curiosa coincidenza tra la critica del tipo ateo dell'illuminismo da parte di Rousseau [dell'ateo radicale, che nega l'esistenza di Dio] e il mantenuto [da R.] rifiuto illuministico del peccato originale, avviene quel fatto di importanza estrema che è il sorgere dell'idea di Rivoluzione. Perché, come spiegare il male, data la bontà originaria dell'uomo, se non per riferimento a uno stato artificiale di società? Per modo che alla liberazione religiosa si sostituisce la liberazione politica: solo il contratto sociale [uno Stato pensato secondo la supposta vera natura umana, con un nuovo patto sociale] può restituire all'uomo la virtù. IL problema del male viene trasposto dal piano psicologico e teologico a quello politico e sociologico: i dogmi della Caduta e della Redenzione vengono trasferiti sul piano dell'esperienza storica" (op. cit., p. 364).

Con Marx l'idea di Rivoluzione, grazie anche alla mediazione hegeliana, ritorna all'ateismo di tipo radicale (Marx però è anche l'erede del materialismo settecentesco). Del Noce ha studiato a fondo questo nesso, ancora ben presente oggi nel dramma del nostro tempo: "la correlazione tra l'elevazione della politica a religione e la negazione del soprannaturale" (ivi, p. 362).

Ora, cosa c'entra il Concilio con tutto questo? C'entra nel senso che l'idea di storia e dell'uomo presente nella "Gaudium et Spes", costituzione che si occupa del rapporto tra la Chiesa e il mondo contemporaneo, non sembra mostrare alcun collegamento con la filosofia della storia cristiana (S. Agostino, Bossuet) per la quale la storia non può esser altro che il rapporto conflittuale e drammatico tra la Città terrena e la Città celeste, sino alla sua soluzione finale, che non sarà "mediata" ma immediata, costituita cioè dalla Parusia di NS.

Nella GS i parr. 4-10 sono dedicati alla "condizione dell'uomo nel mondo contemporaneo", presentato il mondo nel suo aspetto di mondo che evolveva verso forme nuove, "in modo cosi' rapido" da "far diventare unico il destino della umana società o senza diversificarsi più in tante storie separate" (art. 5). Nel Dic. 1965, quando fu promulgata la GS, il mondo a era diviso in due blocchi rigidamente contrapposti che unificavano i loro componenti; non si poteva affatto dire che "il destino dell'umanità" fosse diventato "unico". Il Concilio voleva anticipare i tempi. Poneva la falsa esigenza di un'unità del genere umano inscritta nelle cose, della quale la Chiesa, grazie allo "aggiornamento" della sua dottrina e pastorale, sarebbe stata lo strumento principale (Lumen Gentium, art. 1).

Si profila già qui il superamento della idea di "nazione cattolica" con una cultura, una storia da mantenere e difendere contro l'assalto del materialismo borghese decadente (americanismo, esistenzialismo, edonismo di massa alle prime mosse) e da quello rivoluzionario del marxismo. Il Concilio si sottrasse alla sfida portatagli dal pensiero moderno, gli schemi preparatori, che invece la raccoglievano, furono gettati alle ortiche.

Pertanto, la GS si lanciò in una definizione dell'uomo esaltandone la dignità, l'intelligenza, la libertà e in particolare la sua coscienza morale. I riferimenti al peccato (che "impedisce all'uomo di conseguire la propria pienezza" - pienezza invece di salvezza, art. 13 GS) e al peccato originale (GS, art. 22) erano piuttosto deboli e l'unità della coscienza sembrava il criterio in base al quale giudicare la natura del peccato (non l'offesa a Dio). Qui compare a mio avviso il motivo rousseauiano ossia pelagiano, nel modo di intendere la coscienza, di cui all'art. 16 GS. Era giusto dire che nella coscienza l'uomo scopre la legge scritta da Dio "dentro il cuore" (anche se la "scopre" ragionando) e che nella coscienza "risuona" la voce di Dio. Poi però si passava alla non cattolica attuazione dell'idea di "storia comune del genere umano", quale compito essenziale della coscienza del cristiano! Passo: "Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale".

Quale verità e quali problemi? Per il cattolico la verità nell'etica e nella vita sociale non viene sempre dalla Rivelazione, come insegnata dalla Chiesa, i cui dettami devono esser messi in pratica e fatti valere nei confronti "degli altri uomini"? Ora invece la verità deve esser reperita nel "dialogo", come si dice oggi: "nell'ascolto dell'altro". Non si abbandona qui la "missio" del cattolico, a cominciare dal sacerdote?

In tal modo, la coscienza ora non scopre più la verità grazie alla Rivelazione, cui aderisce non solo "con il cuore" ma soprattutto con l'intelletto sorretto dalla Grazia, bensì nell'incontro con il resto del genere umano, nell'ambito di una storia che sarebbe ormai "storia comune" del genere umano, avviato (si dice e si vuole) all'unità. L'unità del genere umano per attuare "i diritti umani" (GS, 41) diventa ora il compito della Chiesa. Allora: millenarismo e pelagianesimo, ombre di Rousseau e Condorcet sul Concilio. Anche di Condorcet (più che di Hegel) perché si ha una visione della storia come cammino del genere umano verso una Utopia finale, come si vede dal resto della GS (artt. 38-39; 40-44; 54 ss.- cultura "per la persona umana integrale"; capitolo finale).

Torno ora allo spunto di Del Noce. L'abolizione della fede nel peccato originale è all'origine dell'elevazione della politica a religione e della negazione del trascendente. Annoto: fino al Vaticano II la Chiesa si era sempre opposta a tale gravissimo errore ed orientamento. Ora, invece, avendo essa stessa occultato il dogma del peccato originale ha essa stessa (la sua Gerarchia succube del neo-modernismo) elevato la politica a religione nella forma subdola della "teologia della liberazione" della "Chiesa dei poveri", con conseguente obnubilamento del trascendente, cosa che risulta da tanti particolari, anche liturgici. E con conseguente caduta nell'ateismo in (tanti) preti e laici e perdita di contatto con la realtà, dimostrata dall'appoggio indiscriminato, del tutto irrealistico, alla c.d. "immigrazione", diventata ormai (grazie anche all'appoggio sventurato di cui gode presso la Chiesa) un evento catastrofico, foriero di guerra e di guerra civile, se le cose non cambiano. (Parvus)
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Nota di Chiesa e post-concilio
1. Non può non richiamare quello che è stato definito l'ottimismo a priori della Gaudet Mater Ecclesia e, poi di Paolo VI, che è stato il leitmotiv del Concilio qui - qui - qui - qui.
Estratto da: Il conflitto irrisolto di Bernard Dumont
La missione attribuita al concilio era offrire risposte adeguate alle angosce nate da questa situazione, ma anche discernere le aspirazioni positive e dar loro una risposta in una formulazione appropriata. Tale era la ragion d'essere del carattere essenzialmente pratico di questo concilio, indicato con l'aggettivo « pastorale » ufficialmente attribuitogli. Giovanni XXIII era stato chiarissimo a questo riguardo : non si trattava di « discutere di alcuni capitoli fondamentali della dottrina della Chiesa, e dunque di ripetere con maggiore ampiezza ciò che Padri e teologi antichi e moderni hanno già detto », bensì di operare un aggiornamento (è uno dei significati della parola aggiornamento ripetuta così di frequente), un adattamento pedagogico : « È necessario che questa dottrina certa e immutabile, che dev'esser fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo da rispondere alle esigenze del nostro tempo. (Discorso d'apertura). La traduzione letterale della versione italiana comporta una variante : « [...] sia studiata ed esposta seguendo la ricerca e la presentazione usate dal pensiero moderno », formulazione ambigua, che può intendersi nel senso di una attenzione rivolta alla capacità di comprensione degli uditori oppure di un allineamento alla forme culturali dominanti dell'Occidente [N.dT. - Questa citazione si riferisce ad un'altra versione del testo, rispetto a quella pubblicata sul sito Vatican.va, sul quale appare la versione corrispondente a quella francese, vedi link sopra, peraltro confermata dal testo latino presente sul sito Vaticano. Non volendo, ci troviamo di fronte ad un dilemma: dello stesso discorso circolano due versioni diverse: questa riporta la versione citata dal Prof Dumont. Non faccio commenti, ma se si confrontano le due versioni e non solo per il punto in questione, la cosa è piuttosto intrigante. Possibile che siano stati sostituiti quei termini?].

34 commenti:

  1. Scusate il fuori tema: oggi su "Libero" è stato pubblicato un articolo del professore Francesco D'Agostino.

    Chi conosce il prof. D'Agostino sa come mai abbia detto una parole di troppo.

    Nell'intervista demolisce il Papa e dichiara che gli uomini di Chiesa sono pronti a parlare di salvezza del pianeta MA NON della salvezza delle anime.

    Le parole di D'Agostino sono tanto più sorprendenti se si considera che rivesta svariate cariche di primissimo livello:

    - Presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica (membro fondatore e presidente negli anni 1995-1998 e 2001-2006);

    - Presidente dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani (UGCI);

    - membro della Pontificia Accademia per la Vita.

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  2. Vorrei chiedere se secondo lei il Concilio Vaticano II è stato illegittimo in qualche sua forma e perché. Perché, se non è illegittimo, come si può non ritenerlo espressione del vero magistero? Ha contraddetto qualcosa della passata dottrina? O ha solo riformato la dottrina che è basata comunque sulla rivelazione, ossia non direttamente dal ma mediante il magistero formulato in dogmi, che come dice la parola stessa sono "decisioni", non necessariamente immutabili? Le chiedo di non vedere nella mia questione un intento polemico.

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  3. Discorso fumoso e domande farlocche.
    1. Come poter dichiarare illegittimo un concilio indetto concluso da un papa e approvato dai vescovi?
    2. a differenza dei precedenti concili, il Vaticano II non fu, solo perché non si voleva che lo fosse, un Concilio dogmatico e tutto sommato nemmeno disciplinare. Volle esser soltanto pastorale. Eppure, nonostante i tanti interventi interni ed esterni, il genuino significato della sua dichiarata pastoralità è ancora fra le nebbie.
    3. Su cosa basa la sua apodittica e singolare definizione che i dogmi non siano necessariamente immutabili?

    Di seguito rispondo con le parole di Mons. Gherardini.

    I quattro livelli del Vaticano II – Chi ha dimestichezza non con la sola Gaudium et Spes, ma con tutt’i sedici documenti conciliari, si rende ben conto che la varietà tematica e la corrispettiva metodologia collocano il Vaticano II su quattro livelli, qualitativamente distinti:
    1. quello generico, del Concilio ecumenico in quanto Concilio ecumenico;
    2. quello specifico del taglio pastorale;
    3. quello dell’appello ad altri Concili;
    4. quello delle innovazioni.

    Sul piano generico, il Vaticano II ha tutte le carte in regola per esser un autentico Concilio della Chiesa cattolica: il 21° della serie. Ne discende un magistero conciliare, cioè supremo e solenne. La qual cosa di per sé non depone per la dogmaticità ed infallibilità dei suoi asserti; anzi nemmeno la comporta, avendola in partenza allontanata dal proprio orizzonte.

    Sul piano specifico la qualifica di pastorale ne giustifica i vastissimi interessi, non pochi dei quali eccedenti l’ambito della Fede e della teologia: p. es. la comunicazione sociale, la tecnologia, l’efficientismo della società contemporanea, la politica, la pace, la guerra, la vita economico-sociale. Anche questo livello appartiene all’insegnamento conciliare ed è quindi supremo e solenne, ma non può vantare, per la materia trattata e per il modo non dogmatico di trattarla, una validità di per sé infallibile e irriformabile.

    L’appello ad alcuni insegnamenti di precedenti Concili costituisce il terzo livello. E’ un appello talvolta diretto ed esplicito (LG 1 “praecedentium Conciliorum argumento instans”; LG 18: “Concilii Vaticani primi vestigia premens”; DV 1: “Conciliorum Tridentini et Vaticani I inhaerens vestigiis”), talvolta indiretto ed implicito, che riprende verità già definite: p. es. la natura della Chiesa, la sua struttura gerarchica, la successione apostolica, la giurisdizione universale del Papa, l’incarnazione del Verbo, la redenzione, l’infallibilità della Chiesa e del magistero ecclesiastico, la vita eterna dei buoni e l’eterna condanna dei cattivi. Sotto questo aspetto, il Vaticano II gode d’un’incontestabile validità dogmatica, senz’esser per questo un Concilio dogmatico, essendo la sua una dogmaticità di riflesso, propria dei testi conciliari citati.

    Le innovazioni costituiscono il quarto livello. Se si guarda allo spirito che guidò il Concilio, si potrebbe affermare ch’esso fu tutto un quarto livello, animato com’era da uno spirito radicalmente innovatore, anche là dove tentava il suo radicamento nella Tradizione. Alcune innovazioni sono però specifiche: la collegialità dei vescovi, l’assorbimento della Tradizione nella Sacra Scrittura, la limitazione dell’ispirazione ed inerranza biblica, gli strani rapporti con il mondo ebraico ed islamico, le forzature della c.d. libertà religiosa. E’ fin troppo chiaro che se c’è un livello al quale la qualità dogmatica non è assolutamente riconoscibile, è proprio quelle delle novità conciliari.

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  4. (segue)
    Conclusione –
    L’adesione al Vaticano II è, per quanto sopra esposto, qualitativamente articolata. In quanto tutti e quattro i descritti livelli esprimono un magistero conciliare, tutti e quattro pongono al singolo ed alle comunità cristiano-cattoliche il dovere d’un’adesione, che non necessariamente sarà sempre “di Fede”. Questa va soltanto alle verità del terzo livello e solo in quanto provengono da altri Concili, sicuramente dogmatici. Agli altri tre livelli è doveroso riservare una religiosa e rispettosa accoglienza, fino a che qualcuno dei loro asserti non urti contro la perenne attualità della Tradizione per evidente rottura con l’ “eodem sensu eademque sententia” di qualche sua variante formale. Il dissenso in questo caso, specie se sereno e ragionato, non determina né eresia, né errore. Quanto al secondo livello, quello pastorale, bisogna proprio pensare, come ho accennato nella nota n. 19, che i Padri conciliari non conoscessero l’ipoteca illuminista da loro stessi pagata con l’apertura del Concilio ad una pastorale la quale, fin dall’inizio, secondo la logica illuminista da cui dipendeva, aveva dato lo sgambetto a Dio per sostituirgli l’uomo e talvolta per identificare nell’uomo lo stesso Dio. Fu infatti la pastorale del XVIII sec. a mettersi dietro le spalle le motivazioni, le fonti, i contenuti ed il metodo della teologia dogmatica. E a spalancare le porte del fortilizio teologico al primato del naturale, del razionale, del temporale, del sociologico.

    Con ciò non dico affatto che la pastorale del Vaticano II sia la medesima pastorale del XVIII sec. Ma sarebbe o ingenuo o disinformato chi, per non affermarne l’identità, negasse ogni loro parentela. Anche nel Vaticano II la matrice della pastorale restava quella illuminista, sia pur diversamente espressa e motivata. A toglierla dalla sabbie mobili dell’illuminismo fu Paolo VI che, in apertura del secondo periodo conciliare, la trasferì in una sfera romantica, per farne “un ponte verso il mondo contemporaneo”, comunicando ad esso “la sua interiore vitalità…come fenomeno vivificante e strumento di salvezza del mondo stesso”. L’Araba fenice diventava così un ponte, un coefficiente di vita, uno strumento di salvezza. Senza perdere, però, la sua parentela con la matrice illuminista, attraverso l’ispirazione neo-modernista dei suoi sostenitori. Non a caso da una teologia pastorale così intesa prese le mosse la secolarizzazione che ha poi trionfato nella presente fase postconciliare. E se dall’ignoranza dei suoi precedenti dipende l’indecisa nozione della pastoralità, dalla sua originaria parentela con essi dipenderebbe l’assurdo della dogmaticità d’un concilio che si autodefinisce semplicemente pastorale. L’Araba fenice in tal modo rivela il suo volto. Tutto sommato, sarebbe stato meglio se avesse continuato a nascondercelo.

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  5. Per chi volesse leggersi l'intero testo dell'intervento di mons: Brunero Gheradini al Convegno sul Vaticano II - 16-18 dicembre 2010 organizzato dai FI. Il titolo, eloquente: "Un concilio pastorale - Analisi filosofico-storico-teologica". Una tre giorni di studio con relatori di prim'ordine (indico solo i primi nomi che mi vengono in mente oltre a Gherardini: De Mattei, Schneider, Lanzetta, Siano, Kolfhaus, De Paolis, Bux, Marchetto, Andereggen, Negri, Chiron)

    http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2011/01/convegno-di-roma-sul-vaticano-ii.html

    Secondo p. Lanzetta e le aspettative di noi tutti: «Il nostro convegno non è chiuso con la fine dei lavori. Anzi ora si apre il dibattito, che ci auguriamo possa essere proficuo per una presa sul serio di tutte le problematiche legate al Concilio Vaticano II. Ne parliamo perché si dilegui finalmente quella coltre di silenzio irrispettoso, che spesso ha affossato la fede in nome del Concilio. Vogliamo riscoprire la fede e così il vero Concilio: ciò che veramente quest’assise guidata dallo Spirito Santo voleva essere per il bene della Chiesa. Solo questo abbiamo a cuore».

    E, invece, è stato l'inizio della fine (per ora soltanto, si spera) dei FI....

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  6. Devo una precisazione. Per "araba fenice" mons. Gherardini intende la "pastorale" e la corrispondente tanto proclamata ma mai dimostrata "ermeneutica della continuità"... di fatto, poi, abbiamo rilevato, storicisticamente trasferita dall'oggetto (Rivelazione) al soggetto (Chiesa). E ciò spiega come l'ultimo "interprete" - oggi Bergoglio - possa così disinvoltamente per non dire sfacciatamente ignorare persino i suoi immediati predecessori, oltre a due millenni di Tradizione...

    E così abbiamo la sinodalità permanente, che equivale ad un perenne VaticanoII-in-fieri... E così assistiamo: al decentramento e agli aspetti più devastanti della collegialità avviata a sempre più estese applicazioni; al falso ecumenismo senza rete e 'commemoriamo' Lutero come niente fosse; al sincretismo umanitaristico da Nuovo Ordine Mondiale; allo storico incontro - dopo un millennio - tra due patriarchi, con l'eclissi forse definitiva del romano pontefice... e così via. E nessuno che fiata.... tutti in attesa strategica? Che passi l'era Bergoglio? Ma poi?

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  7. Grazie della risposta veramente interessante. Sperando di non irritare nessuno (se lo faccio non è voluto) vorre proporre una mia visione delle cose forse un po' sui generis

    Benedetto XVI: motu proprio Summorum Pontificum:
    “la Chiesa di Cristo è presente e operante nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica grazie agli elementi di santificazione e di verità che sono presenti in esse” (…) “Perciò le stesse Chiese e Comunità separate, quantunque crediamo che hanno delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Infatti lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza.”

    Questa espressione sembra "mutare" un dogma: (Catechismo Maggiore di San Pio X) “fuori della Chiesa non c’è salvezza”; in effetti ne allarga l'intendimento. (Per il papa certamente e la Chiesa deve obbedire al papa.) E se un dogma è riformabile non lo possono essere anche altri, se non sono connessi direttamente alla Rivelazione o alla Scrittura?

    Questa innovazione che sembra (o può sembrare) una riforma del Concilio di Trento trae consistenza dottrinale (se ne ha) dal Concilio Vaticano II ma la sua validità dogmatica la ottiene direttamente dal Concilio Vaticano I che addirittura la rende irreformabile dalla Chiesa (non dal Papa evidentemente che con essa ha riformato il catechismo di un predecessore). Prima del Vaticano I quali erano le verità irreformabili dalla Chiesa? Se non erro quelle connesse all'interpretazione della Rivelazione. Questa innovazione sarebbe stata riformabile, appunto perché solo il Concilio poteva esprimersi sulla Rivelazione fino a che le decisioni pronunziate dal Papa ex cathedra non sono diventate irreformabili con il decreto Pastor Æternus, secondo cui il successore di Pietro, come ritiene, può esporre, in autonomia e senza diritto di opposizione di alcuno, ciò che è fedele alla Rivelazione trasmessa dagli Apostoli.

    Lo stesso decreto Pastor Æternus afferma: lo Spirito Santo non è stato promesso ai successori di Pietro perché essi facciano conoscere come sua rivelazione una nuova dottrina.

    Lei mi conferma (è una mia impressione) che ai tradizionalisti diano più fastidio le decisioni dei papi che non il Concilio Vaticano II... Dunque il postConcilio Vaticano I...

    Se sbaglio sono qui ad ascoltarla, mi ritenga un semplice scolaro che ha solo da imparare. Di fatto non so nulla. Né voglio che le mie domande siano interpretate come opposizione ai dogmi della chiesa quali che siano a cui cerco comunque di credere anche se non senza pormi delle domande.

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  8. Non ho tempo di rispondere a dovere, ma le contesto subito quest'affermazione:
    Lei mi conferma (è una mia impressione) che ai tradizionalisti diano più fastidio le decisioni dei papi che non il Concilio Vaticano II... Dunque il postConcilio Vaticano I...

    1. intanto, se si riferisce a noi, non parlerei di "tradizionalisti" ma di cattolici
    2. qui non si esprimono "fastidi" ma si evidenziano, con rammarico e sofferenza, le distorsioni dalla retta fede ricevuta nella Chiesa e dalla Chiesa, che di volta in volta riscontriamo. Il blog, oltre a riprendere i punti controversi del concilio - documentando le argomentazioni con la Scrittura e il Magistero perenne - di fatto ne è il 'diario' in diretta.
    3. Inoltre la sua premessa è un guazzabuglio dal quale ci districheremo.
    4. Ma ho il fondato sospetto che si tratti di trollaggine

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  9. Segnalo:

    "Papa Bergoglio, sta scritto: “Non tenterai il Signore Dio tuo”!

    https://bergoglionate.wordpress.com/2016/02/11/papa-bergoglio-sta-scritto-non-tenterai-il-signore-dio-tuo/

    -"Perché diciamo che Bergoglio sta sfidando Dio e non l’uomo, come invece dovrebbe, per spingerlo alla conversione? Semplice, perché non sta spingendo gli uomini alla conversione al Cristo, ma sta spingendo Dio ad usare verso l’uomo una misericordia senza conversioni."

    -"Il problema è che papa Francesco fa passare per nuovo ciò che non lo è e fa passare la dottrina come una legge spietata della Chiesa."

    -"Ripetiamo e richiediamo: dove stanno tutti questi preti rigidi, inflessibili, cattivi dentro i confessionali che avrebbero respinto i penitenti? Il peccato mortale non esiste più nelle prediche del papa regnante e se c’è è stato capovolto il senso: non più se offendi Dio, ma è mortale se non fai la carità.
    Perché papa Francesco continua ad aggredire chi applica i precetti e la legge di Dio? Perché continua ad attaccare quanti si prodigano in difesa della dottrina?"

    Sono solo alcuni passaggi di una riflessione da leggere per intero, secondo me.

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  10. @ Mc : "1. Come poter dichiarare illegittimo un concilio indetto, concluso da un papa e approvato dai vescovi?" : mi consenta, dottoressa (poi cestini pure, se vuole), non la sfiora nemmeno il dubbio che quel papa ptesse essere illegittimo? che fosse manovrato dalla massoneria (vedi Agostino Bea) e da Montini, che voleva ad ogni costo arrivare al soglio petrino? Si legge, infatti, che quando Pacelli scoprì il tradimento di Montini (spia dei sovietici), ebbe un collasso che lo costrinse a letto per diverso tempo; dapprima decise di relegare Montini in un monastero, ai confini del mondo, ma fu oggetto di fortissime pressioni affinché il futuro Paolo VI (nome adottato in onore di Paolo Carlini?) fosse inviato a Milano come Arcivescovo. Pacelli non lo volle più ricevere e non lo nominò cardinale. Purtroppo Pacelli morì prima del 1960, anno in cui avrebbe potuto rivelare il "vero" 3° segreto di Fatima (fatalità? coincidenza?) e Montini rivelò poi che lui ed i suoi avevano intensamente pregavato per la prematura morte di Pio XII. Roncalli e Montini erano amici e condividevano la simpatia per i comunisti ed i protestanti (sconsigliarono pope e pastori luterani dal convertirsi al Cattolicesimo), e così fu imposto a Roncalli, come condizione per la sua elezione, di nominare Montini cardinale e prepararlo per la successione. Quando chiesero a Papa Giovanni XXIII perché inviasse ssempre il cardinal Montini a rappresentarlo all'estero, lui rispose "perché deve prepararsi a fare il papa!". Montini era l'uomo dela massoneria destinato a conquistare il papato, l'elezione di Roncalli fu dovuta ad un "incidente di percorso" (la scoperta del tradimento di Montini ed il suo allontanamento dalla Segreteria di Stato), che costrinse i massoni a ricorrere ad un éscamotage, ad un prestanome temporaneo (chi meglio del grande amico di Montini?). Casaroli e Villot, poi, furono la longa mano di Paolo VI ai dicasteri degli "interni" e degli "esteri". questo il mio modesto pensiero.

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  11. questo il mio modesto pensiero.

    E tale resta.
    Su questo blog diamo spazio agli argomenti su questioni di fede piuttosto che alle dicerie, più o meno fondate, sulle 'persone', siano esse i papi o altri personaggi importanti... che comunque potrebbero acquistare peso solo dalla citazione di fonti attendibili.

    Chi può dichiarare, con autorità traendone le conclusioni de iure, su tutto ciò che lei ha raccattato da una serie di voci che circolano anche sulla rete?

    Lei certo no, con tutto il suo pseudonimo, ma nemmeno io, nonostante ci metta la faccia.

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  12. @ Anonimo "che non sa nulla", dice

    Trollaggine al quadrato A. R.

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  13. Mic,
    forse Catholicus ha raccontato le cose in un modo un po' "giallo", ma valutando quel che è successo poi, incluso l'ultima parte del pontificato di Paolo VI, la risposta di molti alla sua Enciclica "Humanae vitae" e la sua celebre frase sul fumo di Satana, ebbene, credo che Catholicus ci abbia "preso".
    Perché dai frutti...
    RR

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  14. @ PIu' che "giallo", "romanzato"

    "Romanzato", in che senso? Nel senso, come ha rilevato Mic, che si tratta sostanzialmente di "Voci" non controllate, non confermabili da alcuna fonte seria, sulla quali non si puo' costruire un'interpretazione convincente. Come si fa a dire: La Massoneria poi ha fatto questo perche' voleva fare quest'altro, invece di quell'altro, etc. Lui era nella testa dei dirigenti massonici? Esponendo in questo modo l'azione dei poteri occulti nella storia ci si espone a facili critiche. Molto meglio attenersi ai dati di fatto che mostrano in questi Papi e in tanti teologi ed ecclesiastici un "culto dell'uomo" che inclina al "deismo", avvicinandosi alla visione del mondo dei Massoni (che poi non l'hanno inventata loro questa visione ma recepita da tutto un ambiente, come il principio della tolleranza, gia' in ampia elaborazione nel Seicento). Non c'e' bisogno di affermare che Il Papa doveva essere peer forza membro di qualche Loggia, se faceva quelle affermazioni; di affermarlo, senza poterlo mai dimostrare. Se si trovasse la prova, allora sarebbe diverso. A. R.

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  15. Oggi guardando i compiti di mio nipote ho posto l'occhio sul rapporto tra regole da imparare ed esercizi da fare. Le prime sono molto sfumate, sullo sfondo; i secondi molto in primo piano e l'esercizio è sempre accompagnato da un esempio esplicativo. E così è in tutte le materie sia in quelle letterarie, sia in quelle scientifiche. M'è venuto in mente il rapporto tra dogma e pastorale che, per Grazia divina, non ho manifestato. Però mi è parso calzante. Le stesse priorità privilegiate in campi apparentemente così distanti. Le regole sono scritte sui libri, anche troppo dettagliate ma, sullo sfondo e sfumata la loro conoscenza richiesta.Viene assegnato però un numero consistente di esercizi. Cercando di trovare altre indicazioni mi sono soffermata sull'insiemistica che viene usata anche per spiegare le prime regole della geometria piana. Perchè? Se qualcuno può darmi una mano a sviluppare queste semplici osservazioni,inoltre per cercare di intendere qual'è il pensiero che sottende questa didattica, qual'è la meta che si prefigge di raggiungere e se questi pensieri sono simili o uguali a quelli che qui si vanno dipanando tra una riduzione all'osso del dogma e una espansione fuori misura della pastorale.

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  16. Nei libri di storia di mia nipote, molto scarni, tutto è centrato sull'economia e sulle risorse. Degli antefatti e delle idee che hanno provocato le più importanti vicende che ci hanno portato fin qui neppure l'ombra. Il concetto di Patria e di Nazione è sparito.

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  17. Cara Irina,
    il problema non è tanto nella riduzione all'osso del dogma quanto nella convinzione che sia suscettibile di evoluzione, che permette anche la manipolazione...

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  18. Cra Irina, chissà che questa emarginazione delle regole, sia in campo scolastico che religioso, con contestuale , esagerato ampliamento della pratica (esercizi e pastorale) non voglia tendere a plasmare delle persone (allievi, fedeli) facilmente manovrabili perché dimentichi delle regole, della Verità, privi delle necessarie conoscenze per valutare, discernere, giudicare. Non è forse quello che stano facendo con l'invasione selvaggia dell'Europa? attuano il cd Piano Kalergi, mirato aad ottenere un meticciato delle genti europee, una manovalanza a basso costo, senza più radici cristiane, senza la bimillenaria cultura europea graco-romana, senza identità nazionali, messe in ginocchio dalla finanza speculativa in mano ai massoni. Alla realizzazione di questo piano diabolico dà man forte l'attuale gerarchia della Cheisa ex Cattolica, Bergoglio in testa, spacciando l'invasione islamca come inevitabile e da accettare con accoglienza misericordiosa; spacciando la capitolazione del cattolicesimo dinanzi alle altre confessioni cristiane (eretici e scismatici, dicialo chiaro e tondo) ed a islamici ed ebrei come misericordiosas riconciliazione ecumenica. Quante menzogne, quanta falsità in tutto questo.

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  19. @ La distruzione dello studio della storia

    DA qualche decennio i libri di storia sono una fabbrica di santini vulgarmarxisti, costruiti impiegando anche la nozione sbagliata di "guerra al nozionismo", originatasi (credo) dalla didattica all'acqua di rose ispirata a Dewey e compagni.
    Si procede per schemini che privilegiano la descrizione di tipo sociologico della situazione sociale, che viene assunta come base per la periodizzazione storica stessa. Nomi, date, eventi (battaglie, trattati etc.) sono quasi spariti (almeno nei libri che ho potuto vedere io). Eliminando la memoria degli eventi storici, cosa resta dello studio della storia? Naturalmente l'evento va inquadrato nella sua epoca storica, va spiegato e qui ci possono essere interpretazioni diverse. Ma se si eliminano o quasi i fatti dallo studio e' come privare la storia del suo scheletro, resta un corpo disossato, in realta' un cadavere.
    A questa "metodologia", originatasi dal peggior marxismo, quello detto "volgare" appunto, si aggungono poi elementi ideologici di altra natura anche se connessi. Ad esempio la rilettura in chiave "pacifista" della storia stessa o in chiave "umanitaria" o "femminista" e persino "omosessualista", oggi. Come frutto di tutto questo abbiamo una ignoranza spaventosa della storia da parte di quasi tutti, oggi. Un articolo di qualche anno fa su "Nuova Storia Contemporanea", la rivista fondata dal compianto De Felice, riportava questo dato: ad esami universitari studenti affermavano che la I gm per l'Italia era finita con la sconfitta di Caporetto, ignorando completamente le tre battaglie successive (di arresto sul Piave e sul Grappa subito dopdo Cap., del Solstizio nel giugno del 18, di Vittorio Veneto, conclusesi con il crollo finale del nemico austroungarico). All'obiezione del professore esaminante, costoro caddero dalle nuvole, mostrando il piu' grande stupore. Non ne sapevano nulla. Qui abbiamo a che fare con una superimposizione ideologica imposta ai fatti. Si puo' dar loro il significato che si vuole, ma non si possono ignorare. A. R.

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  20. Come Anonimo "che non sa nulla" e senza tener conto del contenuto dell'articolo che in parte è anche condivisibile aggiungo (anche per irina) quanto segue,

    A mio avviso la Rivelazione immutabile è la Via indicata da Gesù, ed è l'Amore che fa risplendere la Verità e libera la Vita dai nemici di questo angusto mondo, l'ultimo dei quali è la morte. Una Via che proprio a causa del peccato originale non è (più) di questo mondo. Per percorrerla in questo mondo, dove non ci sono strade già pronte e dove Pietro non ha Maestri, tranne il Cristo Crocifisso e Risorto, quelle che Pietro deve aprire sono strade che servono a quelli che seguono, le pecorelle. Le strade aperte sono dietro a Pietro (e sono le regole e gli esercizi) ma la Strada da percorrere è davanti a Pietro e presuppone esclusivamente la Conoscenza del Maestro Via Verità e Vita. Il simbolo delle chiavi io lo interpreto così: quella Via che Pietro non apre sulla Terra non la si trova nemmeno in Cielo perché la Via del Cielo va resa percorribile sulla Terra, pur dove essa diventa più stretta e più angusta, a causa del nemico. Ma la Via che non apre sulla Terra non la apre perché non la percorre sull'esempio di Nostro Signore che affida ai servi il compito di aprire insieme a lui le Sue vie, del Regno, che non è di questo mondo, ma che salva il mondo. Affinché le pecore facciano questo Pietro deve riconoscere quando grazie all'amore ricevuto le stesse, da pecore di Pietro diventano pecore di Cristo ossia sante pecore, che amano a loro volta e in un certo senso si fanno involontarie "pastorelle" delle loro vicine, purché guardino al vero Pastore e Maestro. Pietro deve riconoscere quando la Stella della Verità risplende anche sul loro cammino, non solo sul cammino pur vero e necessario di Pietro. Pietro deve far sì che le pecore diventino pecore di Dio alla maniera di Davide e dello stesso Pietro, non impedirglielo. Pietro è il custode non il tosatore o il fustigatore delle pecore di Cristo. Poi ognuno si regola secondo l'intelligenza che ha, ma non penso che la soluzione contro la stoltezza sia quella di riempire il terreno di trappole per pecore ovvero di anatemi.
    L'aggiornamento del Concilio Vaticano II è consistito nel dire: guardate che gli anatemi non scattano ogni volta che i principi non sono seguiti alla lettera, ma quando ci si allontana da essi coscienti di quello che si sta facendo, tradendo la Ragione per cui sono stati pronunciati. Diversamente il nemico offrirà alle pecore pascoli che non avranno nemmeno bisogno di essere più seducenti ma semplicemente meno opprimenti.

    Se sbaglio mi corrigerete.



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  21. L'aggiornamento del Concilio Vaticano II è consistito nel dire: guardate che gli anatemi non scattano ogni volta che i principi non sono seguiti alla lettera, ma quando ci si allontana da essi coscienti di quello che si sta facendo,

    Concilio o non concilio, il punto non è se e quando scattano gli anatemi (che pure servono per non far perdere l'orientamento) ma quando viene introdotto sotto le mentite spoglie di aggiornamento uno spirito rivoluzionario che di fatto, se non "de iure" sovverte i principi. E il "de facto" (leggi "pastorale") deforma, eccome se deforma, pecore e pastori!

    Dunque ancora il problema non è nel seguire i principi alla lettera. Dietro la lettera ci sono delle profondità tutte da esplorare il che spetta ai teologi a alla chiesa docente che ne avalla le formulazioni e ne diffonde le ricchezze e a Pietro che conferma, ma solo "eodem sensu eademque sententia", altrimenti la Via, è già abbandonata...

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  22. Noi tutti abbiamo studiato su libri molto meno numerosi e voluminosi di quelli su cui studiano i ragazzini oggi. Le regole andavano memorizzate, come memorizzati sono stati brani dei poemi omerici, poesie, la tavola pitagorica.Noi tutti abbiamo più o meno un patrimonio conoscitivo comune incluso il catechismo di S. Pio X, anch'esso studiato a memoria. Questa zattera, precisa ed essenziale, ci ha condotto attraverso le tempeste della vita con sicurezza. Per alcuni è diventata un bel veliero, per altri è rimasta un robusto naviglio, ordinato, di tutto rispetto.Adesso io non so quale sia la corposità dei documenti usciti da i vari Concili, so che i Documenti del VII e lo stesso CCC sono volumi di peso. La verbosità sembra essere entrata da regina ovunque a detrimento di un sapere essenziale e consequenziale. Ora quello che Mic diceva riguardo alla evoluzione e quindi alla manipolazione si infiltra in questa verbosità, a mio parere. E tali crescono questi nostri ragazzi verbosi e argomentativi quando mancano di rigore consequenziale di pensiero nella loro stessa esposizione. Come ha scritto De Mattei in un suo ultimo post la Chiesa è essere vivente. Giusto e sacrosanto. Attenzione però, la vita ha delle regole intrinseche di crescita che sono ferree. Il corpo umano, nella diversità di razze ed età, non cresce a casaccio ma, lo scheletro è la struttura intorno alla quale si posizionano tutti gli organi vitali, i muscoli, il sangue, la pelle. Lo scheletro sono le regole, a mio parere, che sole possono sostenere il corpo attraverso il tempo e i diversi accidenti. NSGC ha detto che nulla andrà perduto di quello che abbiamo ricevuto, il nostro scheletro non perderà un solo osso e nella sua integrità lo si deve passare alle generazioni future.Quindi le regole, le ossa, vanno passate senza nulla aggiungere, senza nulla togliere, senza ricoprirle di chili di grasso, senza lasciarle esposte ricoperte di un velo di pelle.E così credo che sia anche per il sapere, la cultura: le fondamenta, i muri maestri. I terrazzini, i balconcini, i giardinetti, le mansardine ognuno farà quello che potrà.

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  23. Sono d'accordo con l'interessante intervento di Parvus. C'è tuttavia un tema da lui sollevato che andrebbe meglio discusso e puntualizzato. Scrive Parvus: "Si combatte anche l'idea di Stato-Nazione, collegata a quelle di Patria e Nazione (e lo fanno anche i "tradizionalisti" cattolici perché vogliono ostinatamente vedere di quest'idea solo la versione giacobina).. Questo ultimo punto, che non giudico sic et simpliciter falso, ma certamente controvertibile e discutibile (nel senso che può essere discusso) meriterebbe una ben più ampia trattazione ma, in sintesi:
    1) il concetto di "Nazione" ha una evidente origine giacobina. Durante la Rivoluzione, veniva contrapposta alla Monarchia, al Regno e alle varie, differenziate realtà locali. I contro-rivoluzionari erano ostili all'idea di Patria? Niente affatto: lo esprime bene un comandante vandeano: "I giocobini la Patria ce l'hanno nella testa, noi la sentiamo sotto i nostri piedi. E' l'idea, affettuosa e sentita, di una Patria non ideologica, terrena, carnale, familiare;
    2) i "tradizionalisti" non sono affatto ostili all'idea di Nazione. Solo la gerarchizzano in un sistema di valori più amplio e non le attribuiscono un assoluto "potere legittimante". Forse prevalgono in loro idee-forza come Impero, o Popoli;
    3) storicamente, il pensiero contro-rivoluzionario italiano (il Principe di Canosa, Monaldo Leopardi, Clemente Solaro della Margarita, Taparelli d'Azeglio e altri) non fu mai contro l'Italia, di cui sentivano la grandezza storica e culturale, ma contro "una certa idea" giacobina e forzatamente unitaria di Nazione, di evidente origine rivoluzionaria e massonica;
    4) vero è che nel corso dell' '800 e del '900 l'idea di Nazione si è progressivamente depurata della tabe giacobina. L'Action française e il Nazionalismo italiano, e poi il Fascismo, lo dimostrano;
    5) un accurato revisionismo storico sul Risorgimento (tema implicitamente sollevato da Parvus) credo sia doveroso. Quanto questo si possa saldare con, ed essere strumentale a, idee di federalismo più o meno spinto, anche di matrice "tradizionalista" (cfr. il pensiero, ad esempio, di un Pucci Ciprani, un Pino Tosca, un Sivio Vitale, un Adolfo Morganti) è un tema che non credo sia opportuno trattare qui. Esiste al proposito una vasta e articolata letteratura, anche recente e recentissima. Basti citare, come mero esempio, le opere del compianto Gilberto Oneto.

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  24. @ Se non e' troll non e' comunque dottrinalmente accettabile

    Tutto il contorto discorso su Pietro e quello che deve e non deve fare, si chiarisce (sembra) alla fine : gli anatemi non devono essere "opprimenti" e questo sarebbe stato il merito del Vaticano II, quello di aver proposto questa "verita'". Gli "anatemi" cioe' i divieti di peccare e il rammentare le conseguenze irreparabili, quando si tratta di peccato mortale, non devono "opprimere". Cosa devono fare, riempirci di allegria? Di "gioia"? Il discorso dolciastro sul guardare a Cristo al di la' del Papa, cioe' al di la' dell'insegnamento bimillenario della Chiesa di Cristo, escluso ovviamente il Vat. II, e' il tipico discorso di origine protestante e modernista che vuol ridurre la Rivelazione ad una soggettiva percezione sentimentale, del "cuore", succube del desiderio di appagare ogni ricerca della felicita', anche la piu' turpe, oggi. A. R.

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  25. @ Ancora sullo Stato-nazione

    La disputa sullo Stato-Nazione mi sembra sia gia' apparsa su questo blog. Si tratta quindi di ripetere concetti gia' affermati, dai rispettivi punti di vista, che appaiono inconciliabili.
    L'argomento non e' accademico (anche se magari non interessa tutti i lettori) perche' tocca la sopravvivenza dell'Italia in quanto appunto Nazione, schiacciata dall'Unione Europea e dall'ONU e nello stesso tempo lacerata dal particolarismo piu' abietto all'interno (regionalismo, contestazione del diritto stesso ad essere uno Stato-Nazione, ossia unitario).

    Circa gli argomenti sollevati di nuovo da "Silente", osservo:
    1. La Nazione esisteva prima dei Giacobini. Alla battaglia di Valmy la sgangherata Repubblcia fu salvata dagli ufficiali, quasi tutti ancora monarchici, che guidavano, come da tradizione, le truppe per regioni ("Avanti, Artois!, A me, Piccardia, per dire) e combattevano per salvare non la propria patria regionale ma la Francia, in quanto Nazione appunto e in quanto Stato, per quanto in quel momento aborrito per la forma che aveva preso. Vogliamo dire che una coscienza "nazionale" francese, dovuta anche all'esistenza di uno Stato centralizzatore, non esisteva nel popolo francese pre-Rivoluzione? Non vedo come sia possibile. Tant'e' vero che, secondo alcuni, i Giacobini hanno in realta' continuato l'opera accentratrice della Monarchia. E' chiaro che il fondamento spirituale della Nazione subisce un mutamento, con i Giacobini. Ma la Nazione come Stato-Nazione gia' esisteva. Si era formata nella Guerra dei Cento Anni, contro gli Inglesi. Come lo Stato-nazione spagnolo si era formato nelle guerre contro i musulmani. Nazioni organizzate unitariamente in Stati centralizzati, in modo piu' o meno accentuato, con eserciti nazionali (anche se ancora in parte nazionali, per ragioni tecniche). Nell'ultima sua guerra, sull'orlo della disfatta, poi evitata, Luigi XIV non ricorse alla leva, giocando sul patriottismo del popolo francese? Parvus [CONTINUA]

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  26. @ Ancora sullo Stato-Nazione [SEGUE]

    Vediamo se mi riesce di chiarire bene i termini che sto usando. In queste dispute, non e' sempre facile.
    Giustamente Silente rammenta la differenza tra la concezione della Nazione dei Vandeani e dei Giacobini: concreta, come Patria che si e' costituita nelle generazioni; astratta e ideologica nei Giacobini. Bisogna aggiungere: la Patria come realta' familiare, che sta sotto i piedi, era anche quella della religione di sempre e del governo monarchico che, pur accentratore, proteggeva la religione e lasciava ancora (anche se sempre meno) certe autonomie locali. Nei Giacobini c'e' invece questa contraddizione: vogliono una Patria francese, di tutti i francesi all'insegna della famosa triade e della liberta' (borghese) intesa in modo assoluto e nello stesso tempo sono cosmopoliti, la "cittadinanza" della Repubblica dovrebbe idealmente ricomprendere tutta l'Umanita', la Rivoluzione dovrebbe estendersi a tutta l'umanita'. L'idea di nazione qui, oltre ad esser astratta nei confronti della realta' della Francia costituita dal suo legame con il passato monarchico, oltre che della societa' concreta, lo e' anche per via di questa componente cosmopolitica, che contraddice l'ideale di una Nazione (solo) francese, sia pure ricostruita a tavolino secondo "gli immortali principi".
    Gli immortali principi si devono applicare a tutta l'umanita' ma in tal modo la preminenza della Nazione scompare. Se tutti gli uomini sono uguali e buoni per natura e' logico che la prima Nazione (qui la Francia) che si sia ricostruita o costituita secondo questi immortali principi sia destinata a scomparire, nel senso di risolversi nell'umanita' (utopia rivoluzionaria che porta alla dissoluzione dello Stato-Nazione stesso, gia' col far entrare molti stranieri rivoluzionari nella classe dirigente, in un primo tempo mantenuto ed anzi potenziato, questo Stato, anche per via delle vicende storiche note). L'astrattezza e il settarismo di questo concetto dello Stato-Nazione, che vuole rifondare la nazione ma anche lo Stato in base a certi astratti ideali di liberta' e uguaglianza, sono stati come e' noto criticati in pagine famose, da Hegel a V. Cuoco, il cui "Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli" e' ancora un'opera fondamentale.
    Identificare l'idea dello Stato-Nazione con il suo tipo giacobino significa pertanto trasformare un episodio storico in una realta' assoluta. Infatti, non c'e' motivo per cui lo Stato-Nazione debba esser contro la religione cattolica: il motivo era contingente, derivando quel tipo di Stato-Nazione da un'ideologia (l'illuminismo) che era nemica della religione. INsomma, questo voglio dire: lo Stato-Nazione e' un tipo di forma politico-istituzionale che puo' essere sia monarchico che repubblicano, sia il risultato di uno sviluppo storico che dell'avvento di forze rivoluzionarie. E' sbagliato idenficarlo con il giacobinismo e pertanto condannarlo,a priori, in quanto tale. Esso corrisponde ad esigenze fondamentali dei popoli, che non vivano allo stato brado. Non c'e' nessuna ragione per cui debba per forza esser una costruzione settaria ed ideologica, come lo fu quello giacobino.
    parvus [CONTINUA]

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  27. @ Ancora sullo Stato-Nazione III [FINE]

    Silente nota giustamente che i "tradizionalisti" pur apprezzando l'idea di Nazione, "la gerarchizzano in un sistema di valori piu' ampio", sacrificata ad "idee-forza come impero o popoli". Il riferimento a "popoli" non mi sembra del tutto evidente: La Nazione non e' forse il popolo, un determinato popolo costituitosi a nazione con una determinata forma di Stato?
    Piu' valido il riferimento al concetto di "impero", che sappiamo particolarmente caro ai "tradizionalisti" cattolici italiani (p.e. a De Mattei, per fare un nome). Faccio qui tre osservazioni ai "tradizionalisti": 1. per loro l'Impero e' giustamente il Sacro Romano Impero, Stato cattolico, pero' lo idealizzano trascurandone i limiti e le contraddizioni: fu sempre uno Stato tedesco con appendici italiane e borgognone, fu sempre minato dai particolarismi, alla fine entro' con il Papato in una lotta tremenda che fu deleteria per tutti. Non voglio dire che non sia servito a niente e che non abbia svolto anch'esso una valida funzione storica per certi aspetti. Pero' alla fine fu un fallimento. 2. Alla fine fu vittima l'idea imperiale e del suo conflitto con il Papato e dell'emergere dello Stato-Nazione delle monarchie nazionali (appunto) europee, quelle che poi consolidarono il "sistema degli Stati europei" sul cadavere dell'Italia, nel XVI secolo. 3. Nell'affidarsi all'idea-mito dell'impero non si rinnova la stessa contraddizione presente nel rapporto tra l'idea astratta di Umanita' dei Rivoluzionari e quella della nazione? Riproporre oggi l'idea di un impero cattolico da restaurare non significa forse agire con un'astrattezza simile a quella dei settari giacobini, affidarsi cioe' ad un'idea di Stato instaurando, del tutto astratta, costruita anch'essa a tavolino?
    IL PENSIERO CONTRORIVOLUZIONARIO. Fu contro lo Stato liberale, perche' di origine "massonica". Ma era contro l'idea stessa di un'Italia unita in un solo Stato, anche se non fosse stato liberale, anche se questo Stato avesse per esempio lasciato al Papa tutto il suo Stato. Questo pensiero rispecchiava la posizione della Chiesa, sempre ostile nei secoli ad uno Stato unitario italiano, che pur unificasse il Paese solo a NOrd e a Sud dei possedimenti del Papa. Lo si vide gia' all'epoca delle lotte feroci contro Federico di Svevia, il quale, come imperatore, voleva appunto unificare il Regno al Nord dell'Italia. Secondo me, questa impostazione si e' mantenuta nei "tradizionalisti" dei quali stiamo parlando.
    REVISIONE DEL RISORGIMENTO. Dura in pratica dalla fine dell'Ottocento, il contributo della saggistica antirisorgimentale "tradizionalista" e' solo l'ultimo (e virulento) in ordine di tempo. Se ne e' gia' discusso polemicamente su questo blog e non intendo nemmeno io. soffermarmici qui. Grazie dell'attenzione. Parvus

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  28. Esistono oggi in Italia esponenti di una aristocrazia ancora cattolica, consapevoli della storia della loro famiglia, del loro casato? Che non si siano intruppati in quel internazionalismo dove tutto, dalle loro altezze, è accetto e disprezzato ad un tempo?Rotti a tutte le decadenze delle alcove multilingue,che a forza di farsi pari agli altri son diventati borghesi nel portafoglio e de sinistra in politica.Non lo so, non credo.Anche loro piccoli epigoni, ciascuno con la sua piccola corte, con un nome che non dice ormai nulla a loro stessi per primi. Se esistesse almeno una dozzina di persone,in questa aristocrazia cattolica, che sentisse la responsabilità del nome che porta, che non avesse stretto legami con la nobiltà monarchico massonica, che osasse mettersi al servizio e della religione cattolica e della patria comune questo darebbe una svolta non solo entro i nostri confini ma sarebbe un cambio di scenario per l'intera Europa.Ma sono certa che dodici persone di questo tipo non esistono più. Il loro sangue è stato succhiato dai servi di cui si sono circondati, diventando plebe con essi.

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  29. Mi concedo solo una replica ad alcune parti del fluviale intervento di Parvus, con cui concordo su alcuni altri temi.
    Le nationes medioevali erano ben diverse dalla Nation giacobina. Definivano (ad esempio nelle Università) gruppi omogenei, per lingua e costumi, di persone: Borgognoni, Inglesi, Scozzesi, Polacchi e via dicendo. La Nation giacobina voleva invece, sulla scorta del razionalismo illuminista, omologare, appiattire, cancellare identità e tradizioni in nome dell'entità suprema della Nazione. Volava distruggere il senso di "piccola Patria" insito in Bretoni, Occitani, Provenzali, Guasconi e così via. Non solo, la Rivoluzione voleva esportare e imporre questo modello omologante all'intera Europa. Le radici - ideologiche e di modus operandi - del micidiale mondialismo di oggi si ritrovano lì, nella Rivoluzione. Poi è certamente vero che il processo di accentramento era già iniziato con l'assolutismo dei Luigi (e forse anche prima), ma la Rivoluzione rappresentò un salto non solo di grado, ma anche di natura. L'Ancien Régime garantì sempre una certa dose di autonomie locali,
    con parlamenti provinciali, differenze di norme, persino di misure, antichi privilegi. Il richiamarsi alla guerra dei Cent'anni è un'indicazione sbagliata. Fu, almeno in parte, una guerra interfrancese, e non solo perché alla Corte d'Inghilterra il francese era ancora la lingua, appunto, di Corte, ma perché consistenti parti dell'attuale Francia, l'Aquitania e la Borgogna, ad esempio, erano schierate con l'Inghilterra. No, il concetto medioevale, organico, identitario e differenzialista di "nazione" era ben diverso da quello semidivinizzato e anticristiano della "Nation" giacobina. Fermo restando che i Vandeani morivano gridando "Vive Dieu, la France et le Roi. Ma gridavano "Vive la France", non "Vive la Nation". Cose ben diverse...

    Riguardo al risorgimento, i controrivoluzionari furono ostili al risorgimento giacobino-massonico (il fatto che lo fosse è innegabile), anche perché fedeli alle loro Patrie, alle loro Dinastie, alle loro libertà, poi infatti conculcate dal centralismo illuminista sabaudo. Ma non per questo non amavano l'Italia, di cui apprezzavano l'eredità romana e la comunione di lingua (almeno a livello "colto") e di cultura. Sarebbero stati ostili anche a una unificazione su basi cattoliche e non giacobine, magari con un ordinamento federale o, meglio, confederale, come quello che venne adottato in Germania con lo Zollverain? Forse che sì, forse che no. Ma è una domanda oziosa, perché ogni risposta rimarrebbe senza controprova.

    Per il resto, Parvus ricorda bene: ne abbiamo già parlato qui, forse anche più di una volta. Ed è, credo, inutile riaprire una discussione su un tema divisivo e che vede posizioni difficilmente conciliabili. Magari un giorno ci ritorneremo...

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  30. Nemmeno il sottoscritto ha intenzione di riprendere una discussione sul Risorgimento che si risolverebbe fatalmente in un dialogo fra sordi. Anche perché sicuramente spunterebbe fuori il solito buontempone a scrivere che i briganti erano brutti e cattivi e quindi sterminarli era cosa buona e giusta; al che i toni degenererebbero di certo.
    Solo qualche annotazione. È falso e antistorico fare di Federico II un precursore di Cavour e di Garibaldi. L’imperatore definiva se stesso, nelle intitolazioni dei suoi documenti, “Fridericus Dei gratia Romanorum Imperator semper Augustus, Hierusalem, et Siciliae Rex”, laddove per “Regno di Sicilia”, all’epoca, si indicava tutto l’attuale Mezzogiorno, dall’Abruzzo alla Trinacria.
    Anche Dante venne spesso citato quale nume tutelare dai fautori ottocenteschi del Risorgimento. Da parte di costoro si trattò di un “arruolamento” comprensibile, perfino giusto dal loro punto di vista. Nondimeno era anch’essa un’appropriazione indebita: il Sommo Poeta non può in alcun modo essere coscritto fra i bersaglieri di Lamarmora. Nella sua visione politica, infatti, il ruolo dell’Italia sarebbe dovuto essere quello di “giardino dell’Impero”.
    È giusto, invece, rilevare che il sentimento “francese” esisteva già prima della Rivoluzione del 1789. Se è per questo, di “Francia dolce” si parla almeno a partire dalla “Chanson de Roland”. Quanto all’Italia, nessun polemista controrivoluzionario si è mai sognato di negarne l’esistenza come realtà culturale e, in parte, anche linguistica. Ciò che Monaldo Leopardi, il Principe di Canosa e altri contestavano era la valenza politica di questa realtà.
    Lo stesso Metternich, classica bestia nera dei nostri patriottici sussidiari, non intese mai riferirsi all’Italia come “espressione geografica” in modo sprezzante. Lo ha chiarito una volta per tutte Fausto Brunetti in un articolo comparso nella “Rassegna storica del Risorgimento”, riportando la frase dell’illustre diplomatico nell’esatto contesto in cui fu scritta: “L’Italia è un nome geografico. La penisola italica è composta di stati sovrani, reciprocamente indipendenti. L’esistenza e i limiti territoriali di quegli stati sono fondati su principi di diritto pubblico generale e garantiti da transazioni politiche di incontrastabile autorità”.
    Si torna sempre allo stesso punto: non esiste una declinazione del concetto di Stato-Nazione in senso giacobino. Il concetto stesso di Stato-Nazione è intrinsecamente “rivoluzionario” (si legga, a tale proposito, “La monarchia tradizionale”, di Francisco Elias de Tejada). Le “monarchie nazionali” ne sono per l’appunto l’anticipazione: come ogni fenomeno storico, il giacobinismo non nacque dal nulla. Molti protagonisti della Rivoluzione napoletana del 1799, per esempio, furono in un primo momento stretti collaboratori del “dispotismo illuminato” di Ferdinando IV. Per questo motivo, personalmente non sono d’accordo con quanti li tacciano di “tradimento” per essersi schierati, a tempo debito, contro il Borbone. Non di tradimento, infatti, si deve parlare, ma di un’inevitabile evoluzione, coerente con i loro presupposti ideologici e politici.
    Con il dovuto rispetto, credo che il patriottismo di tanti buoni cattolici di oggi abbia molto a che fare con la loro formazione “fascista”; e si badi che uso questo termine in senso meramente dottrinale, non dispregiativo.
    Un’ultima, un po’ amara, annotazione. Il discorso sul Risorgimento tocca un nervo ancora scoperto nel Meridione, dove si rivela così dolorosamente attuale da risultare forse incomprensibile a chi non è nato nel Mezzogiorno. Spesso ho dovuto constatare, mio malgrado, che l’essere cattolici - di per sé - non colma la frattura Nord-Sud.
    Ma rimando a una penna molto più autorevole della mia, ovvero quella del Prof. Massimo Viglione, che proprio oggi ha pubblicato un magistrale contributo su questi temi nel sito di “Riscossa Cristiana”: http://www.riscossacristiana.it/unaltra-storia-e-possibile-rubrica-di-studi-storici-di-massimo-viglione-160216.

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  31. @ REPLICA A SILENTE E "LORENZO".

    A. Silente. 1. Non ho mai equiparato la Nation giacobina alle nationes medievali. Ho messo in rilevo il fatto che lo Stato-Nazione dei Giacobini, riformato poi da Napoleone e accordato con la religione, e' il risultato di un processo storico avviato da molto tempo dalla monarchia francese, anche se i Rivoluzionari vi aggiungono elementi ideologici loro propri, ovviamente. La tesi, del resto, non e' mia, e', se non erro, di Tocqueville, non il primo venuto. In politica estera, p.e., le "monarchie nazionali" non erano state meno aggressive dei Giacobini, noi italiani ne sappiamo qualcosa. (Questo e' un aspetto sul quale i "tradizionalisti" glissano elegantemente). 2. L'esempio della Guerra dei 100 anni come guerra "interfrancese" mi sembra mal posto: la corte inglese parlava il francese imbastardito del quale e' rimasta traccia nel linguaggio giuridico inglese (vedi, l'Enrico V), ma assaliva la Francia come potenza straniera e ferocemente determinata. Il fatto che parte delle "nazioni" francesi fosse passato col nemico (guerra civile) dimostrava appunto la necessita' di una monarchia unitaria e centralizzata, nel modo giusto. S. Giovanna d'Arco con chi stava? 3. L'etichetta "giacobino-massonica" al Risorgimento e' un'etichetta, semplifica un fenomeno piu' complesso e ne da' un'idea sbagliata, come se nessuno avesse sostenuto il risveglio nazionale, il che non e' vero. Che dire poi della componente cattolica del Risorgimento: Manzoni, Tommaseo, Pellico...Massoni non erano di certo. Manzoni era ostile ad uno Stato "federale" perche', diceva, le Potenze ne avrebbero approfittato per dividerci e dominarci, come sempre. 4. Lei sembra approvare il vecchio particolarismo medievale, persino le differenze di misure". Nell'Italia preunitaria, notava Mazzini, c'erano 8 diversi sistemi di pesi e misure, 8 diverse monete, etc. Ne deduco che per lei andrebbe bene ritornare a questo sistema? E a quando di nuovo la frontiera tra la ristabilita Serenissima e la Lombardia e tra questa e il Piemonte? 5. I "tradizionalisti" eludono sempre la questione delle responsabilita' del Papato politico nella disunione dell'Italia, ostile il Papato anche ad un'unione parziale sotto un unico monarca. Non si tratta di fare di Federico di Svevia un "precursore" del Risorgimento, si tratta di far rilevare la presenza negativa di una politica papale che alla fine non e' stata buona nemmeno per la Chiesa e la religione, dal momento che ha coinvolto pesantemente la Chiesa nelle questioni politiche, nel temporale. 6. Una nazionalita' senza uno Stato degno di questo nome diventa un'astrazione. [SEGUE, PER "LORENZO"] PARVUS

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  32. Per Silente:
    a casa mia sono sempre stati italiani, italianissimi (anche perché non isolani al 100%). E cattolici, cattolicissimi. Ciò non toglie che, da un lato, fossero molto critici con i Savoia (noi in Sardegna i Savoia ed i Piemontesi li conoscevamo già da un secolo, quando arrivarono in Meridione), dall'altro con certo clericalismo filo-austriaco.
    Una nota: anni fa lessi, su una rivista medica per altro, la storia del Papa Gregorio (credo, ma sicuramente ricordo male), dei Longobardi e dei Franchi. Se i sovrani longobardi si fossero convertiti al Cattolicesimo (come già era stata cattolica Teodolinda, che però NON era longobarda, ma bavarese), il papa li avrebbe benedetti e consacrati Re d'italia "for ever". Invece loro rimasero ariani. Allora il papa si mise a cavallo di un mulo, lasciò Roma, valicò le Alpi, ed arrivò stremato da Pipino, Re dei Franchi. Questi lo accolse con il gesto con cui uno scudiero accoglieva il suo signore, e per tutto il popolo franco fu il segno di sottomissione del loro re e di se stessi al papa di Roma. Convertiti, divennero "la fille ainée de l 'Eglise".
    E' da allora che i papi non si sono mai fidati di un Signore (Re, Principe, Capo di governo) che dominasse tutta l'Italia. Hanno quasi sempre anche loro spiato "dall' Alpi...l' apparir di un nemico stendardo".

    Rr

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  33. @ REPLICA A LORENZO

    1. Briganti. Non dico che sterminarli "era cosa buona e giusta", piu' modestamente mi limito al giudizio che ne diede uno che li conosceva bene, avendoci combattuto assieme per qualche mese, l'ufficiale spagnolo venuto nel Sud ad organizzare la guerriglia legittimista, fucilato dagli Italiani, il cui diario gli fu trovato addosso: Borjes. "Nel 'diario' si trovo' scritto come il B., percorsa la Calabria e la Basilicata, dopo aver tenuta la campagna con Crocco e Ninco Nanco [famosi capibanda], e aver preso parte all'assedio di Pietragalla, aveva acquistato la convinzione che quelli non erano "giurati della fede cattolica, ne' uomini di onore, ne' militi della Legittimita', ma manigoldi della peggior specie e ch'egli andava a dire tutto a questo a Francesco II". Erano le ultime parole scritte nel diario" (Fonte: R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa. Dal ritorno di Pio IX al XX sett. 1850-1870, Longanesi, Milano, 1970, p. 528). Il Borjes, coraggioso e leale ufficiale spagnolo, fu arrestato a quattro km. dal confine pontificio. Forse per una spiata?
    2. STATO-NAZIONE E UTOPIA RIVOLUZ. Sulla contraddizione che c'e' nel giacobinismo tra Stato nazione e cosmopolitismo rivoluzionario, negatore della nazione, nessuno vuole soffermarsi. Era appunto l'espressione di un concetto settario di nazione e Stato che interpretava in modo fazioso e utopistico-rivoluzionario l'esigenza storicamente imprescindibile di dar vita ad uno Stato moderno, che prendesse il posto delle istituzioni feudali ormai imputridite (Tocqueville).
    3. Il MEZZOGIORNO ERA TUTTO MONARCHICO O QUASI, PRO-SAVOIA, ai tempi del Referendum istituzionale la folla a Napoli assalto' la sede del PCI, ci furono morti e feriti, dei Borboni non si ricordava piu' nessuno, il neolegittismo borbonico di oggi e' un'ideologia fondata sulla deformazione della storia, un prodotto della disgregazione culturale e politica dell'Italia, come la Lega al Nord. Nella I gm, p.e., gli Abruzzesi combatterono magnificamente nel Regio Esercito. E anche nella seconda. Aggregato alla Julia c'era il battaglione "Aquila" di alpini quasi tutti abruzzesi. In Russia si coprirono di gloria, c'era anche l'avvocato Prisco, allora sottotenente, poi popolare vicepresidente dell'Inter.
    4. INFINE L'ARTICOLO DEL PROF. VIGLIONE DA LEI CITATO. L'ho letto e cosa vi ho trovato? Oltre ai consueti luoghi comuni antirisorgimentali, una proposta politico-istituzionale per l'avvenire, che consiste in questo: si auspica una restaurazione dell'Impero. Niente di meno. Un impero come? Un impero europeo e, si intende, cattolico. Un "impero confederale". Un impero di Stati? Di Stati non puo' essere altrimenti non sarebbe piu' un impero. Un "impero", sembra di capire, di regioni nel quale entrerebbe non l'Italia-Stato ma l'Italia dei lombardi, veneti, toscani, napoletani etc. Insomma, interpreto, i "popoli" costituenti l'Italia geografica dovrebbero entrare in questo istituendo Impero. E chi potrebbe essere l'imperatore? La domanda e' prematura, ovviamente. L'importante e' proporre nuovamente la dimensione imperiale nella quale i "popoli" italiani si troverebbero felici e contenti, e' dato arguire. Mi sembra che nel Medio Evo il particolarismo degli italiani (leggi: lotte feroci tra Comune e Impero) abbia contribuito a far naufragare l'idea imperiale. Ma tant'e'... [FINE DELLA REPLICA] PARVUS

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  34. @ RR sui Longobardi

    Non vorrei sbagliarmi, ma quando il Papa ando' a chiedere aiuto ai Franchi i Longobardi erano gia' cattolici da un pezzo. La religione non c'entrava. C'entrava invece la politica, le questioni temporali. I re longobardi cominciarono ad essere cattolici nell'anno 603. Ci furono intermezzi ariani ma la conversione al cattolicesimo fu completata nel periodo 671-700.
    Il Papa Stefano II si reco' in Francia da Pipino circa 50 anni dopo, nel 754, ed ottenne la promessa di esser aiutato contro i Longobardi (Incontro di Quierzy). HIstoricus

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