Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 8 agosto 2021

Domenica XI dopo la Pentecoste

Si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua (Mc 7, 35). la guarigione del sordomuto può diventare un miracolo costante nella nostra vita di ogni giorno.
Domenica XI dopo la Pentecoste
Questa Domenica, l'undicesima di san Matteo, prende il suo nome presso i Greci dalla parabola del re che impone la resa dei conti ai suoi servi (Mt 18,23-35). Viene chiamata in Occidente la Domenica del Sordomuto, da quando il Vangelo del Fariseo è stato spostato a otto giorni prima. La messa attuale conserva ancora tuttavia - sarà facile costatarlo - parecchi ricordi dell'antica disposizione.

Negli anni in cui la Pasqua si avvicina maggiormente al 21 marzo, la lettura dei libri dei Re continua fino a questa settimana, che non sorpassa mai. È la malattia di Ezechia e la guarigione miracolosa ottenuta dalle preghiere del santo re che formano allora l'argomento delle prime lezioni dell'Ufficio della notte (4Re, 20).

MESSA
EPISTOLA (1Cor 15,1-10). - Fratelli: Vi dichiaro il Vangelo che v'ho annunziato, che voi avete ricevuto, nel quale state saldi, e pel quale siete anche salvati, se lo ritenete tale e quale ve l'ho predicato, a meno che non abbiate creduto invano. Vi ho infatti insegnato prima di tutto quello che io stesso ho appreso, cioè che Cristo è morto pei nostri peccati, come dicono le Scritture, che fu sepolto, che risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture, che apparve a Cefa, e poi agli Undici. Dipoi apparve a più di cinquecento fratelli riuniti, dei quali molti vivono ancora, e alcuni sono morti. Poi apparve a Giacomo, quindi a tutti gli Apostoli. E finalmente, dopo essere apparso a tutti, apparve anche a me, come all'aborto, perché io sono il minimo degli Apostoli e non sono degno d'esser chiamato apostolo, avendo perseguitato la Chiesa di Dio. Ma per la grazia di Dio son quello che sono, e la grazia che mi ha data non è stata vana, anzi ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me.

Contrizione e carità.

Domenica scorsa, il Pubblicano ci ricordava l'umiltà che conviene al peccatore. Oggi il Dottore delle genti ci mostra nella sua persona che questa virtù non risiede di meno nell'uomo giustificato, il quale ricorda di aver offeso un tempo l'Altissimo. Il peccato del giusto, fosse anche da lungo tempo perdonato, rimane costantemente dinanzi ai suoi occhi (Sal 50,5); sempre pronto ad accusare se stesso (Pr 18,17), egli non vede nel perdono e nell'oblio divino (Ez 18,22) che un nuovo motivo di non perdere mai il ricordo delle sue colpe. I celesti favori che vengono a compensare la sincerità del suo pentimento, guidandolo più innanzi nella comprensione dei diritti della giustizia infinita (Sal 70,16), gli rivelano meglio anche l'enormità dei suoi delitti volontari che sono venuti ad aggiungersi all'immondezza della sua origine (Sal 1,6-7). Presto, in questa via, l'umiltà non è più soltanto per lui una soddisfazione data alla giustizia e alla verità dal suo intelletto illuminato dall'alto; man mano che egli vive con Dio in una unione più stretta e che si eleva mediante la contemplazione nella luce e nell'amore, la divina carità, che lo urge sempre più in tutti i modi (2Cor 5,14), si nutre del ricordo stesso delle sue colpe. Essa scruta l'abisso da cui la grazia l'ha tratta, per risorgere da quelle profondità, più impetuosa, più vittoriosa e più attiva. Allora la riconoscenza per le inestimabili ricchezze che oggi possiede dalla somma munificenza divina non basta più al peccatore d'un tempo, e la confessione delle miserie trascorse sgorga dalla sua anima rapita come un inno al Signore.
La nostra collaborazione alla grazia.
Per la grazia di Dio sono ciò che sono, deve dire infatti il giusto insieme con l'Apostolo; e quando è stabilita nella sua anima questa verità fondamentale, può senza timore aggiungere con lui: La sua grazia non è stata sterile in me. Poiché l'umiltà si fonda sulla verità: si verrebbe meno alla verità riferendo all'uomo ciò che, nell'uomo, viene dall'Essere supremo; ma sarebbe anche andare contro di essa non riconoscere insieme con i santi le opere della grazia dove Dio le ha volute porre. Nel primo caso resterebbe offesa la giustizia non meno della verità; nel secondo, la gratitudine. L'umiltà, il cui diretto fine è di evitare tali ingiuste lesioni della gloria dovuta a Dio ponendo un freno agli appetiti della superbia, diventa così d'altra parte il più potente ausiliare della riconoscenza, nobile virtù che, sulle vie della terra, non ha maggior nemico dell'orgoglio. Gloriarsi in Dio.

Quando la Vergine proclamava che tutte le generazioni l'avrebbero chiamata beata, l'entusiasmo divino che la animava era tanto l'estasi della sua umiltà che del suo amore. La vita delle anime elette presenta ad ogni passo tali sublimi trasporti in cui, facendo proprio il cantico della loro Regina, esse magnificano il Signore cantando le grandi cose che ha fatte mediante loro nella sua potenza. Quando san Paolo, dopo l'apprezzamento così basso che fa di se stesso a paragone degli altri Apostoli, aggiunge che la grazia è stata fertile in lui e che ha lavorato più di tutti, non crediamo che cambi tema, o che lo Spirito il quale lo guida voglia correggere in tal modo le sue prime espressioni: un solo bisogno, uno stesso ed unico desiderio gli ispira quelle parole in apparenza diverse e contrarie: il desiderio e il bisogno di non frustrare Dio nei suoi doni, sia mediante l'appropriazione dell'orgoglio, sia mediante il silenzio dell'ingratitudine.

VANGELO (Mc 7,31-37). - In quel tempo: Partitesi di nuovo dai confini di Tiro, Gesù, per la via di Sidone, tornò verso il mare della Galilea, attraversando il territorio della Decapoli. E gli condussero un sordomuto, e lo supplicavano che gli imponesse la mano. Ed egli, trattolo in disparte dalla folla, gli mise le mani nelle orecchie e con la saliva gli toccò la lingua, e poi, guardando il cielo, sospirò e disse: Effeta, cioè apriti. Subito gli si aprirono gli orecchi e gli si sciolse il nodo della lingua e parlava speditamente. E Gesù ordinò loro di non parlarne ad alcuno; ma quanto più loro lo vietava, tanto più lo spargevano, e ne stupivano oltremodo, esclamando: Egli ha fatto bene ogni cosa; fa che sentano i sordi e parlino i muti.
Il genere umano malato.
I santi Dottori ci insegnano che quell'uomo rappresenta tutto il genere umano al di fuori del popolo ebreo. Abbandonato da lungo tempo nelle regioni dell'aquilone dove regnava solo il principe di questo mondo, ha risentito i disastrosi effetti dell'oblio nel quale l'aveva messo, all'apparenza, il suo Creatore e Padre, in seguito al peccato di origine. Satana, la cui perfida astuzia l'ha fatto scacciare dal paradiso, essendosene impadronito, ha superato se stesso nella scelta del mezzo che ha usato per conservare la sua conquista. La tirannia sagace dell'oppressore ha ridotto il suo schiavo ad uno stato di mutismo e di sordità che lo fissa meglio di quanto potrebbero delle Catene di diamante sotto il suo impero; muto per implorare Dio, sordo per sentirne la voce, le due strade che potevano condurlo alla liberazione sono chiuse per lui. L'avversario di Dio e dell'uomo, Satana, può applaudire a se stesso. Così è, lo si può credere, dell'ultima fra le creazioni dell'Onnipotente; così è del genere umano senza distinzione di famiglie o di popoli; poiché la stessa gente custodita dall'Altissimo come sua porzione eletta in mezzo alla decadenza dei popoli (Dt 32,9) ha approfittato dei suoi privilegi per rinnegare ancor più crudelmente di tutti gli altri il suo Signore e il suo Re!
Il miracolo.
L'Uomo-Dio geme davanti a una miseria estrema. E come avrebbe potuto farne a meno, alla vista delle devastazioni compiute dal nemico su quell'essere di elezione? Levando dunque al cielo gli occhi sempre esauditi della sua santa umanità (Gv 11,42), vede la condiscendenza del Padre alle intenzioni della sua misericordiosa compassione; e riprendendo l'uso di quel potere creatore che fece tutte le cose perfette al principio, pronuncia come Dio e come Verbo (ivi 1,3) la parola onnipotente di restaurazione: Effata! Il nulla, o piuttosto in questo caso la rovina peggiore del nulla, obbedisce a quella voce ben nota; l'udito dell'infelice si risveglia, si apre gioiosamente agli insegnamenti che gli prodiga la trionfante tenerezza della Chiesa, le cui materne preghiere hanno ottenuto tale liberazione; e per la fede che penetra contemporaneamente in esso producendo i propri effetti, la sua lingua incatenata riprende il cantico di lode al Signore interrotto da secoli per il peccato (Sal 50.17).
L'insegnamento.
Tuttavia l'Uomo-Dio, in questa guarigione, ha meno di mira la manifestazione della potenza della sua divina parola che l'ammaestramento dei suoi. Intende così rivelare ad essi simbolicamente le realtà invisibili prodotte dalla sua grazia nel segreto dei sacramenti. Per questo conduce l'uomo che gli viene presentato a parte, a parte da quella folla tumultuosa delle passioni e dei pensieri vani che l'avevano reso sordo per il cielo. A che cosa servirebbe infatti guarirlo se, non essendo allontanate le cause della malattia, egli è destinato a ricadere? Gesù, avendo dunque garantito l'avvenire, pone negli orecchi di carne dell'infermo le sue sante dita che portano lo Spirito Santo e fanno penetrare fino alle orecchie del suo cuore la virtù riparatrice di quello Spirito d'amore. Infine, ancor più misteriosamente, perché la verità che si tratta di esprimere è ancor più profonda, egli tocca con la saliva uscita dalla sua bocca divina quella lingua divenuta impotente per la confessione e per la lode; la Sapienza - poiché appunto essa è qui misticamente significata - la Sapienza che esce dalla bocca dell'Altissimo, e scorre per noi come un'onda inebriante dalla carne del Salvatore, apre la bocca del muto, così come rende eloquente la lingua dei bambini che non parlano ancora (Sap 10,21).
Riti del Battesimo.
Cosicché la Chiesa, per mostrarci che si tratta figurativamente, nel fatto del nostro Vangelo, non di un uomo isolato, ma di noi tutti, ha voluto che i riti del battesimo di ognuno dei suoi figli riproducessero le circostanze della guarigione che ci viene narrata. Il suo ministro deve, prima di immergere nel bagno sacro l'eletto che essa gli presenta, deporre sulla sua lingua il sale della Sapienza, e toccare gli orecchi del neofito ripetendo la parola pronunciata da Cristo sul sordomuto: Effata, cioè apriti.

PREGHIAMO

O Dio onnipotente ed eterno, la tua bontà infinita sorpassa ciò che noi possiamo meritare o desiderare: effondi su di noi la tua misericordia, condona ciò che turba la coscienza e accordaci le grazie che non osiamo domandare.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 469-473

12 commenti:

Anonimo ha detto...

RIFORMA LITURGICA DEL 1955---Problematiche, errori, superficialità, deformazioni. Una utilissima traduzione delle osservazioni critiche che mons. Gromier, canonico vaticano e grande esperto di liturgia e per questo consultore della Sacra Congregazione dei Riti, fece sulla riforma della settimana santa realizzata segretissimamente a metà del Novecento da una commissione apposita di cui fu segretario.....mons. Bugnini. Il lavoro fu talmente segreto che quando fu reso noto creò sorpresa nella stessa Congregazione dei Riti, che non ne sapeva nulla! Il canonico francese nelle sue osservazioni non manca di ironia di fronte agli innumerevoli pasticci fatti dai novatori, alle contraddizioni create, alle ridicole innovazioni, come il trasporto idrico processionale in bacinella inventato per la veglia pasquale! Nel testo vi è comunque qualche lievissima imprecisione, ad esempio verso la fine, dove mons. Gromier accenna alle dimensioni del cero pasquale che ne impedivano il trasporto, lasciando intendere che tale trasporto invece avvenisse in antico. Ma se noi guardiamo il sacramentario Gelasiano, che ci offre la liturgia pre-gregoriana (quindi risalente all'incirca al V secolo) vediamo che il cero non viene trasportato al luogo dove si benedice il fuoco, ma resta nel suo candelabro e che il diacono lo incende con una candela (ne abbiamo già parlato in precedenza) cioè col medesimo rito pre-1955, con l'unica variazione che la candela del Gelasiano è diventata prima duplice e infine triplice nell'arundine, ma il rito in se è rimasto uguale perché il diacono, nel rito pre-1955 incende sempre il cero con una sola candela, esattamente come nel Gelasiano.
http://rerumliturgicarum.blogspot.com/2018/04/leon-gromier-la-settimana-santa.html

Estratto ha detto...

alcuni tratti caratteristici che riteniamo utili per meglio inquadrare e comprendere la serrata critica dell’Autore alla settimana santa pacelliana:
- L’esistenza di una intensa pressione esercitata da una scuola di pensiero che, sotto il pretesto della comprensione e partecipazione, consente e promuove riforme che trascendono i princìpi;
- La consapevolezza che il rito romano è frutto di un lento processo di stratificazione che ha portato anche la necessaria selezione di quanto “tradito”;
- La ferma sicurezza che vi siano principi logici intrinseci sottesi alle cerimonie del rito romano che vanno a costituire un complicato ingranaggio il quale consente al meccanismo di funzionare, un meccanismo che Gromier cerca sempre di mettere nella dovuta evidenza;
- Le riforme sono spesso tappe di una riforma più incisiva e pegno per riforme ulteriori.
Che la settimana santa del 1955 muova da criteri squisitamente pastorali è dichiarato nello stesso decreto generale Maxima Redemptionis [3] del 1955 che promulga il nuovo Ordo, e – ancora con maggiore enfasi e conseguente nitore – nell’istruzione per la sua attuazione pratica [4]. Eminenti commentatori, come il cardinale Giacomo Lercaro, confermano detta impostazione, affermando - senza mezzi termini - che “La preoccupazione pastorale determinò dunque la riforma e ne fu il criterio fondamentale […]” [5] ciò in modo da rendere i riti, in cui si commemorano e si celebrano le più importanti verità della fede, più fruibili (orario) e partecipabili (semplicità). Purtroppo un atteggiamento autoreferenziale comportò, senza dubbio, una certa indifferente trascuratezza verso i principi e la coerenza, attentando (come vedremo) anche a usi antichissimi e venerabili, formulando in modo malfermo, impreciso e talvolta contraddittorio le rubriche, spesso riformando per il mero gusto di riformare e porre premesse per riforme a venire. Questa è la “pastorale” che Gromier stigmatizza, una pastorale che inverte il principio per la quale essa deriva e si impernia sui principi della liturgia e non pretende piuttosto di formarli [6].
Vedremo come, il prelato francese, non manchi di chiamare in causa gli autori di queste riforme – che chiama i pastoraux [7]– evidenziando le loro lacune e mostrando come spesso si sono posti in imbarazzanti situazioni di autocontraddizione. Tale situazione si inquadra in una precisa fase del “movimento liturgico” che - formalizzata la sua costituzione nel 1909 al congresso di Malines - passa dall’anelito di favorire la “pietà liturgica” imperniando la devozione alla liturgia, al voler prendere le redini e porsi alla testa di un moto riformistico [8].
La settimana santa nella sua forma “tradizionale” è senza dubbio uno scrigno che serba i tratti più arcaici – e se vogliamo caratteristici - del rito romano, che mostra, a chi si sofferma con sguardo attento, rispettoso e scevro di pregiudizio, testimonianze di un’antichità particolarmente remota e il lento stratificarsi dei secoli. Questo è il portato della Tradizione; i pastorali, secondo Gromier, non hanno prestato il dovuto ossequio a questa realtà finendo per ritenerla sacrificabile. La tradizione aveva portato inevitabilmente allo stratificarsi e contestualmente a una selezione e conseguente decadimento di determinati usi; nella riforma si denota, invece, uno zelo connotato da filologismo archeologicizzante votato al recupero di elementi il più possibile arcaici il tutto teso a una elaborazione astratta che supporti l’indirizzo pastoralistico della liturgia.

Anonimo ha detto...

Gradevole anche l'ironia con cui è scritto. Ho comunque notato che ai nostri giorni, la settimana santa del 62 non viene eseguita come prescritta dai novatori (i "pastorali"), ma con qualche elemento della precedente. (come ad esempio la preghiera dei perfidi giudei)
Attilio Negrini

Anonimo ha detto...

Diretta Santa Messa XI Domenica dopo Pentecoste in rito tradizionale - Vocogno 8 Agosto 2021 - ore 10:30
https://www.youtube.com/watch?v=KShpOd8jUy8

Anonimo ha detto...

Di "Assassinio nella cattedrale" Wikipedia scrive:

"Il dramma è visto in particolare come critica al regime nazista, specie in chiave di sovversione rispetto agli ideali della Chiesa".

Quindi una denuncia rivolta al passato, al "male assoluto", morto e sepolto da più di settant'anni.

E io che pensavo fosse invece una splendida denuncia dei soprusi dello "Stato laico" tanto caro a Ratzinger e a Bergoglio, come quello in cui ci troviamo a vivere!

mic ha detto...

A chi legge ricordo il terzo giorno della novena dell'Assunta
https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2021/08/novena-alla-b-v-maria-assunta-in-cielo.html

Anonimo ha detto...


Integrazione al Vangolo di oggi. dal Commento inserito nel Messale Romano ed. tipica 1962, utilizzato dalla FSSPX. Commento di D.C. Lefebvre OSB, che inserisce un passo di S. Gregorio Magno.

"Che cosa indicano le dita del Redentore, dice S.Gregorio, se non i doni dello Spirito Santo? Gesù ha detto: 'Col dito di Dio io scaccio i demoni', e ancora: 'Io scaccio i demoni mediante lo Spirito di Dio'. Da questi due brani si può concludere che lo Spirito Santo è chiamato il dito di Dio. Se dunque il Signore mette le sue dita nelle orecchie di quest'uomo, è perché apre la sua anima all'obbedienza, con i doni dello Spirito Santo. Ma colui cui sono state aperte le orecchie del cuore per obbedire, deve, con una rigorosa conseguenza, veder sciogliere i legami della sua lingua affine di poter insegnare agli altri a fare il bene che egli stesso ha fatto; così il Salvatore tocca la lingua di questo muto con la saliva che è per noi la sapienza uscita dalla bocca di Colui che è la sapienza stessa. È aggiunto dunque con eragione: "E parlava distintamente". Parla, infatti, come si deve colui che comincia a praticare per primo ciò checon le parole raccomanda agli altri di fare".
[A cura di PP]

Sarebbe bello .. ha detto...

Grazie Mic, per festeggiare platealmente la Madre di Dio sarebbe bella una processione au flambeau la sera del 14 p.v. recitando il S.Rosario completo (3 corone)-
Magari all'interno del colonnato del Bernini, in circolo come una grande girella ,c'e' spazio a sufficienza per stare distanziati. Oppure lungo la via della Conciliazione una fila per lato, distanziati , avanti e indietro per tre volte .Con canti alla Vergine tipo "Mira il Tuo popolo".

Anonimo ha detto...

Messe conventuelle à l'Abbaye Sainte-Madeleine du Barroux
Messe de la vigile de saint Laurent
https://www.youtube.com/watch?v=cdAA_0458oc

La Liturgia tradizionale preludio della Liturgia celeste (Bellissima omelìa del Sacerdote nella XI Domenica dopo Pentecoste).

Anonimo ha detto...


Per quelli che criticano ferocemente le esteriori "riforme" litugiche di san Pio X e Pio XII: attenzione a non cadere nel "liturgismo", che potrebbere essere una variante dello
"archeologismo".
Bisognerebbe mantenere la giusta misura.

Anonimo ha detto...

"...Bisognerebbe mantenere la giusta misura."

Difficile in tempi normali, difficilissimo, impossibile, sconsigliato quando bisogna raddrizzare la barca.

Anonimo ha detto...



La barca non si raddrizza dicendo fesserie.
Perché tali sono certe accuse a san Pio X e Pio XII.