I tesori della Chiesa sono lì per la nostra edificazione; solo che dobbiamo disseppellirli perché continuino a irradiare la loro vita perenne. Oggi editiamo su un Messaggio di Pio XII per la Pasqua del 1955, scoprendovi spunti nutrienti sul momento puntale, sulla funzione della Chiesa e sulla sua posizione nei confronti delle sfide che cominciavano a delinearsi e che oggi gravano minacciose sulle sorti dell'umanità, perché non più affrontate nella loro pretesa transumanante in chiave materialistica.
Messaggio Urbi et Orbi
di Sua Santità Pio XII
Pasqua 1955
Surrexit, è risorto (Matth. 28, 6): fu il lieto annunzio che l’angelo sul vuoto sepolcro del Redentore diede alle pie donne all’alba della Risurrezione. Il medesimo grido di vittoria e la promessa di Gesù della sua perenne assistenza alla Chiesa, ormai da secoli provata realtà (cfr. Matth. 28, 20), Noi desideriamo, in nome di Lui, di ripetere oggi, come saluto pasquale a voi tutti, diletti figli e figlie, qui convenuti dalla Nostra Città vescovile di Roma, dall’Italia, e da tante regioni del mondo, affinché il beatificante conforto e la pace celeste, che irraggiano dal Salvatore divino, penetrino nelle vostre anime e informino il vostro pensiero, il vostro sentimento e il vostro volere.
Egli è risorto e vive in mezzo a noi! Quale più sicura verità, quale più consolante realtà, nel presente esilio terreno, che questo duplice fatto, su cui si fondano la certezza della fede e la speranza di ogni salvezza!
Cristo è risorto! Sfavilla senza ombra di dubbio questa storica verità, e il suo splendore permane avvalorato dalla testimonianza viva della Chiesa, che non avrebbe retto al peso dei secoli, se Cristo non fosse risorto.
Cristo è in mezzo a noi! Rifulge d’irresistibile luce la realtà della vita operosa di Gesù nella Chiesa. Voi stessi ne siete testimoni. Questa Chiesa, che non può essere frutto di umani disegni — che è anzi rinnegamento di inordinati istinti e pertanto odiata dal mondo (cfr. Io. 15, 18-19) — resiste, perché vi è in lei Chi le rinnova la freschezza della vita e della gioventù. È il Dio umanato e risorto, che in lei si cela per ravvivare perennemente e intimamente l’umanità, comunicando a chi crede in Lui la sua verità, la sua grazia, la sua pace.
Per il cristiano, illuminato dalla verità della Risurrezione, la fede è vita, vita piena ed essenziale in comunione con Cristo nella Chiesa.
Come allora potrebbe un credente separare in sé la religione dalla vita, senza scindere a morte il proprio essere e senza sconvolgere da insensato l’opera di Dio?
Sia dunque in noi viva la fede; sia cioè fede ardente e vissuta, in modo che la religione indirizzi la vita, e la vita si svolga in continuo atto di religione. In verità, quanto più profondamente il cristiano è radicato nella fede, tanto più alacremente egli adempie i doveri che la vita gli impone; e tanto più efficacemente opera, quando, a ciò abilitato e chiamato, deve signoreggiare i grandi uffici e obblighi, che hanno per fine e meta il bene sociale, l’ordine pubblico e la pacifica convivenza dei popoli.
Si rinvigorisca dunque in voi tutti, diletti figli e figlie, col gaudio della Pasqua, la salda persuasione che la religione è condizione imprescindibile di vera vita, e che solo dalla sintesi operante dell’una e dell’altra scaturisce la soluzione dei piccoli e grandi problemi che angustiano la presente umanità.
Affinché ciò si adempia e la letizia della Risurrezione non tramonti col declinare di questo giorno, ma si trasformi in ferma speranza, Noi invochiamo dal Redentore, vincitore della morte, l’abbondanza delle sue grazie.
Giunga pertanto la Nostra Benedizione a tutti gli uomini di buona volontà, affinché in numero sempre maggiore, divengano il nuovo lievito (cfr. 1 Cor. 5, 7) della verità e del bene.
Giunga a coloro che vivono nella vera fede, affinché perseverino in essa, e da essa nutriti si elevino a sempre alta perfezione; ma specialmente a quanti per la loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa soffrono persecuzione, condannati ad ingiusta miseria, strappati ai loro cari, esiliati, privati della libertà e imprigionati. Noi li benediciamo con effusione di particolare affetto, affinchè essi, con lo sguardo rivolto al Salvatore, tollerino in costante serenità tanti mali e non s’infrangano spiritualmente; offrano intanto le loro sofferenze per gli stessi persecutori e così li guadagnino a Dio; facciano che il loro sacrificio sia seme per una sovrabbondante messe di genuina cristiana felicità.
Col cuore stretto dall’ansia per la sorte di tanti popoli sui quali grava ancora la nube di un oscuro avvenire, Noi benediciamo altresì tutti quelli, la cui azione ha un influsso preponderante per il bene dell’umanità e la salvezza delle anime, e nelle cui mani è il tremendo potere di giovare ad ambedue, o invece d’infliggere loro gravi ferite. Noi li benediciamo, affinché non chiudano, ma aprano largamente le porte all’opera di Dio; affinché nei due emisferi della terra, in sincera prontezza per una stabile intesa, stringano patti, che assicurino la pace, inizino un progressivo disarmo e in tal modo risparmino all’umanità la rovina di una nuova guerra; acciocché nell’interno delle nazioni emanino leggi e ordinamenti, i quali siano sempre diretti a utilità generale, rispettino la umana dignità e la libertà per il bene, favoriscano la giustizia sociale e la carità fraterna, di guisa che nelle loro terre le virtù cristiane, fondamento di ogni prosperità, possano abbondantemente fiorire.
Ben sappiamo quale sempre più vasto e importante dominio va acquistando nella vita dei popoli e nella stessa condotta politica la ricerca scientifica; e benediciamo il Signore che ha piegato la mente degli uomini a più miti consigli di pace. Non con ansia e con trepidazione abbiamo osservato i recenti progressi che, dopo alcuni impianti fissi, hanno condotto a buon termine il primo tentativo di muovere una nave con l’energia ricavata da trasmutazioni nucleari, mettendo finalmente queste forze a servizio, non a distruzione dell’uomo. Non possiamo non auspicare e invocare dal cielo che l’uomo le abbia a sua crescente disposizione e le possa sempre meglio dominare. Ci è noto quanto sia lunga, difficile, laboriosa e pericolosa una tale ricerca. Però esortiamo gli uomini di scienza e di buona volontà a perseverare con ardimento e fiducia nello studio teoretico e sperimentale sulle apparature e sui materiali fertili, in modo da arrivare ad una cospicua produzione di energia di facile accessibilità, che serva là dove occorre, per contribuire a mitigare la pressione del bisogno e della miseria. E preghiamo Dio onnipotente che illumini e diriga un lavoro, il quale può rendere un sommo vantaggio umano e morale, oltre che scientifico, mentre Lo supplichiamo di impedire che tanta e così alta fatica si trasmuti in una demoniaca violenza che tutto travolgerebbe.
Con pari fiducia ed attesa seguiamo quelle molte ricerche le quali, volte a studiare gli effetti che i numerosi tipi di radiazioni ora disponibili hanno sui vegetali, sul loro sviluppo, sui loro frutti e sulla loro possibilità di conservazione, possono contribuire a risolvere quei problemi dell’alimentazione, che tanta importanza hanno nella vita dell’umanità. Anche per esse invochiamo da Dio quella provvida assistenza, senza la quale non vi è speranza per le umane fatiche. Tuttavia, a riguardo di ciò che la ricerca può fare nel dominio geloso della vita, dobbiamo ancora una volta ammonire dei pericoli, che la genetica prevede come possibili, quando il mistero, che giace in fondo a ciò che è vivo, viene manomesso da incauti interventi o da un violento mutamento dell’habitat, per esempio a causa di agenti, come un’accresciuta radioattività nei confronti di un’ancora ignota soglia di sicurezza biologica. Gli orrori di generazioni teratomorfiche, e anche peggio i traumi occulti cagionati al patrimonio génico, darebbero poi il segno della rivolta della natura contro tali violenze.
E finalmente la Nostra Benedizione pietosa va alle schiere desolate dei poveri sparsi nel mondo, ma i più vicini al Nostro cuore, alle famiglie cui manca tutto, ai malati languenti negli ospedali, nei sanatori, nelle cliniche, ai miseri detenuti nelle prigioni, e a quanti altri sono oppressi dal dolore, affinché dalla misericordia di Dio e dall’amore dei buoni venga loro copioso il conforto e l’aiuto.
Il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati all’eterna gloria in Gesù Cristo, vi perfezionerà, vi conforterà e vi darà vigore. A Lui gloria e impero nei secoli. Così sia! (cfr. 1 Petr. 5, 10-11). Pio XII
L'APPARIZIONE DI GESU' RISORTO AL LAGO DI TIBERIADE
RispondiEliminaFratelli, il brano dell’Evangelo che avete appena inteso leggere, spinge il nostro animo a porsi una domanda e l’invita attraverso la stessa narrazione a dar prova di discernimento. Si può in effetti domandarsi perché Pietro, che era stato pescatore prima della sua chiamata, sia tornato successivamente alla pesca e perché sia ritornato a ciò che aveva lasciato quando la Verità stessa aveva affermato: Nessuno che mette mano all’aratro e si volta indietro è adatto per il regno di Dio (Lc.9,62). Ma se si fa ricorso alla virtù di discernimento subito si scopre che non fu una colpa per Pietro di ritornare, dopo la sua conversione, ad un mestiere che senza peccato esercitava prima della conversione.
Infatti noi sappiamo che Pietro era pescatore e Matteo gabelliere; ora se Pietro ritornò al suo antico mestiere di pescatore, dopo la sua conversione, non così Matteo che non riprese la carica di esattore delle imposte; perché una cosa è trarre di che vivere dalla pesca, altro è accrescere le proprie sostanze con il lucro della percezione delle imposte. Vi sono in effetti numerosi mestieri che generalmente o perfino assolutamente è impossibile esercitare senza peccato. Solo per questi mestieri che trascinano al peccato l’anima deve interdirsi di ritornare dopo la sua conversione.
Ci si può domandare perché il Signore dopo la sua resurrezione, mentre i suoi discepoli lavoravano sul mare, rimase sulla riva, Egli che prima della sua risurrezione aveva camminato sulle onde in presenza dei discepoli. Il motivo di questo fatto ci si rileva facilmente, se riflettiamo al suo intimo significato. Che cosa raffigura questo mare, se non il secolo presente, ove le vicissitudini e l’agitazione di questa vita corruttibile assomigliano alle onde? Che cosa rappresenta la terraferma della riva, se non la perpetuità del riposo eterno? I discepoli si trovavano ancora tra i flutti di questa vita mortale e perciò lavoravano sul mare, ma poiché il Redentore si era già spogliato della corruttibilità della carne, dopo la sua risurrezione sta sulla riva.
MERCOLEDI' DI PASQUA
Gv.21,1-14
S.GREGORIO MAGNO
Homilia 24 in Evangelia
Breviario Romano, Letture dal Mattutino
"Ma intanto, mentre l’angoscia sembra farsi più pungente, ecco che s’irradia nel mite chiarore della Pasqua, sbocciata quest’anno sotto il sole verginale di Maria, il dolce sorriso della Madre di Gesù e Madre nostra, gloriosa ella stessa al lato del suo Figlio. Così, particolarmente su coloro che vivono nella oscurità e nel dolore, questa Madre amantissima estende oggi il manto della sua ineffabile tenerezza"
RispondiEliminaMessaggio Pasqua 1954
"Questo è l’occulto e orrendo veleno del vostro errore: che pretendiate di far consistere la Grazia di Cristo nel suo esempio, e non nel dono della Sua Persona” Sant'Agostino
RispondiEliminaMERCOLEDÌ DI PASQUA
RispondiEliminaLIBERAZIONE DALL’EGITTO E DAL PECCATO; IL MAR ROSSO E IL BATTESIMO; IN CAMMINO VERSO LA TERRA PROMESSA; IDENTITÀ CON CRISTO PER MEZZO DEL BATTESIMO; LA STAZIONE; IL MISTERO DELLA PESCA MIRACOLOSA; I FEDELI; GESÙ CRISTO; LA BENEDIZIONE DEGLI AGNUS DEI
STAZIONE BASILICA DI SAN LORENZO FUORI LE MURA
http://www.unavoce-ve.it/pg-pasqua-mer.htm
«(...) Sino a Montini, il mercoledì di Pasqua era dedicato, nella Chiesa romana, alla benedizione dei cosidetti “Agnus Dei” — medaglioni di cera benedetti dal Papa, che recano impresso da un lato un Agnus Dei, che dà loro il nome, e dall’altro un’altra immagine sacra, spesso un santo canonizzato dal Pontefice che li benedice; è il più potente sacramentale (oggetto benedetto) che esista al mondo»
MERCOLEDÌ DI PASQUA
RispondiEliminaLiberazione dall'Egitto e dal peccato.
La parola Pasqua, in ebraico, significa "passaggio" e noi ieri abbiamo spiegato come in principio questo gran giorno divenne sacro, a causa del Passaggio del Signore; ma nel termine ebraico non se ne esaurisce tutto il significato. Gli antichi Padri, d'accordo con i Dottori Giudei, ci insegnano che la Pasqua è anche per il popolo eletto il Passaggio dall'Egitto alla terra promessa.
Effettivamente questi tre avvenimenti si riuniscono in una medesima notte: il banchetto religioso dell'Agnello, lo sterminio dei primogeniti degli Egiziani, e l'uscita dall'Egitto. Oggi riconosciamo una nuova figura della nostra Pasqua in questo terzo fatto che continua lo sviluppo del mistero..
Il momento in cui Israele esce dall'Egitto per avanzare verso la terra predestinata ad essere la sua patria è il più solenne di tutta la sua storia; ma quella partenza e tutte le circostanze che l'accompagnano formano un insieme di figure che non vengono svelate e non si sviluppano che nella Pasqua Cristiana. Il popolo eletto sfugge a quello idolatra ed oppressore dei deboli; nella nostra Pasqua abbiamo visto i neofiti uscire coraggiosamente dall'impero di Satana che li teneva prigionieri e rinunciare solennemente a quell'orgoglioso Faraone, alle sue opere, alle sue pompe.
Il Mar Rosso e il Battesimo.
Sulla strada che conduce alla terra promessa, Israele si è imbattuto con l'acqua ed è stato necessario traversare quell'elemento, sia per sfuggire all'inseguimento dell'esercito di Faraone, sia per poter penetrare nella patria felice, dove colano latte e miele. I nostri neofiti pure, dopo aver rinunziato al tiranno, che li teneva schiavi, si sono trovati di fronte all'acqua; ed anche essi non potevano sfuggire alla rabbia dei loro nemici, che traversando quell'elemento protettore, né potevano penetrare nella regione delle loro speranze, che dopo averlo lasciato dietro di loro, quale un bastione inespugnabile.
Per mezzo della bontà divina l'acqua, che arresta sempre il percorso dell'uomo, divenne per Israele l'alleata soccorritrice e ricevette l'ordine di sospendere le sue leggi naturali e di servire alla liberazione del popolo di Dio.
Nello stesso modo il Sacro Fonte, divenuto l'ausiliare della divina grazia, come la Chiesa ci ha insegnato nella solennità dell'Epifania, è stato il rifugio, l'asilo sicuro di coloro che, dopo esservisi bagnati, non hanno più avuto da temere il potere che Satana rivendicava su di essi. Ritto in piedi e tranquillo, il popolo d'Israele contempla dall'altra riva i cadaveri galleggianti del Faraone e dei suoi guerrieri, i carri e gli scudi in balia delle onde. Usciti dal fonte battesimale, i nostri neofiti hanno fissato i loro sguardi in quell'acqua purificatrice e vi hanno scorto, sommersi per sempre, i loro peccati, nemici anche più temibili del Faraone e del suo popolo.