Mons. Marco Agostini è il nostro Sacerdote per le celebrazioni e le Catechesi in Sant'Anna al Laterano, dove si è costituito anche il Capitolo italiano intitolato alla Salus Populi Romani, che quest'anno parteciperà al Pellegrinaggio Nostra Signora di Cristianità Oviedo-Covadonga [vedi].
Omelia di mons. Marco Agostini
nel 450° anniversario della morte di san Pio V
Sia lodato Gesù Cristo! All’ora dei Vespri del I maggio 1572, 450 anni fa domani, rendeva l’anima a Dio Antonio Ghisleri, papa San Pio V. Ai cardinali al suo capezzale lasciò queste parole: «Vi raccomando la Santa Chiesa che ho tanto amata! Adoperatevi a eleggere un successore zelante, il quale non cerchi che la gloria del Salvatore e non abbia altro desiderio che il bene della Cristianità e l’onore della Sede Apostolica». Le parole vengono da molto lontano, da un tempo in cui alla vita eterna ci si credeva davvero e la vita terrena trascorreva con il frequente pensiero al punto d’arrivo finale dell’esistenza, momento nel quale ciascuno deve rendere conto a Dio di «pensieri, parole, opere ed omissioni1». Pur non essendo un grande assertore dell’immaginario artistico rinascimentale, San Pio V non fu insensibile al monito proveniente dal grandioso affresco del Giudizio Universale ultimato da Michelangelo una trentina d’anni prima nella Cappella Sistina del Vaticano. «La potestà delle Somme Chiavi2» non poteva mai essere separata da Colui che tale autorità aveva conferito: Cristo Signore giudice ultimo. Aveva coscienza che, in modo particolare, sull’esercizio di quella potestà, alla sera della vita, sarebbe stato chiamato a render conto. L’amore alla Chiesa, la gloria del Salvatore, l’onore della Sede Apostolica e il bene dei cristiani, ossia la gloria di Dio e la salvezza delle anime furono le preoccupazioni assolute di un pontificato, durato 6 anni e 114 giorni, tutto volto ad attuare fedelmente le risoluzioni dell’Assise Tridentina, da poco conclusa, e difendere la Cristianità dal pericolo ottomano.
Molto si dovrebbe ricordare di San Pio V, e con gratitudine, in quest’ora solenne all’altare, innanzi all’urna che ne conserva il venerato corpo; menziono solo l’impegno per la Lega Santa con la vittoria di Lepanto e la Madonna del Rosario e il progetto di riforma della Curia Romana con la revisione del Corpus Iuris Canonici. Mi soffermo, tuttavia, sull’elemento fondante la sua azione di uomo, di religioso, di Papa, elemento dal quale tutto conseguì: la Fede vissuta e indagata, che nella Sacra Liturgia in modo solenne si conserva, si accresce, rifulge e si trasmette. La pubblicazione del Catechismo Romano, del Missale Romanum, del Breviarium sono attestato di un impegno d’imperitura memoria. Viviamo in un tempo di debole Fede, di Dottrina incerta e di confusa Missione – oggi detta Nuova Evangelizzazione, molto conclamata e poco attuata – per cui riflettere sulle Cerimonie della Santa Chiesa come strumento di conoscenza di Cristo, di annuncio della Fede e di Evangelizzazione, come le intendeva San Pio V, sembra almeno controcorrente e quasi sovversivo. Però sempre i Papi e i Concili, anche se non tutti, si sono prodigati nello spiegare i fondamenti della Santa Messa. A San Pio V, degno confratello di San Tommaso d’Acquino – che egli proclamò Dottore della Chiesa (1567) – si confanno le parole rivolte da Gesù all’Angelico Dottore: «Bene scripsisti de me, hai scritto bene di me3».
Com’è Fede della Chiesa di cui era Pontefice e com’è tradizione dell’Ordine di San Domenico a cui apparteneva, il nostro Santo riteneva la Santa Eucaristia, la presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo in Corpo Sangue Anima e Divinità, il tesoro più prezioso che ci fosse al mondo. Nella Santa Messa riconosceva tutta la vita del Salvatore, in essa contemplava, adorava, si univa a Gesù. Riteneva, parimenti, la Santa Messa come il mezzo più alto per illustrare la vita di Cristo. Questa tradizione ha magnifica esemplificazione nel “Paramento Mazza” della Sagrestia della Cappella Sistina in Vaticano dono dell’Imperatore Ferdinando I al Beato Pio IX.4 Un’opera grandiosa, che illustra efficacemente ciò che avviene nella Messa: l’attuazione simbolica di tutta la Storia della Salvezza, dalla rovina alla Redenzione, dal peccato originale alla nascita di Gesù, al suo Sacrificio e alla Risurrezione fino alla nascita della Chiesa. Nelle Sacre Scritture e nella Sacra Liturgia il Santo Pontefice individuava le basi per l’argomentata confutazione delle eresie, previste da Dio e condannate dalla Chiesa man mano che se ne presenta l’occasione. La Sacra Liturgia con le sue Cerimonie è scrigno della Verità e baluardo contro l’eresia.
Nel solco della Tradizione, San Pio V riconduceva l’origine delle Cerimonie cristiane, ossia le azioni della Santa Liturgia, alla volontà esplicita del Salvatore nell’Ultima Cena e all’atto preciso del Salvatore descritto nei versetti 30-31 del capitolo XXIV del Vangelo di Luca, là dove l’Evangelista dice: «Cognoverunt eum in fractione panis [i discepoli di Emmaus] conobbero Cristo quando Egli spezzò il pane». È interessante notare che l’Evangelista non dice «lo conobbero nel pane», ma «nello spezzare il pane». L’osservazione è formidabile per mostrarci di quanta virtù siano le Sante Cerimonie. Che differenza c’è tra il pane e lo spezzare il pane? Che il pane non è cerimonia, ma spezzarlo sì. Questa è la forza delle Cerimonie nell’anima dei cristiani una forza talmente grande che ci permette di conoscere Dio5.
Carissimi la nostra salvezza sta nel conoscere Dio e se le Sacre Cerimonie, la Sacra Liturgia, ci fanno conoscere Dio, allora ne comprendiamo la grandissima utilità, perché nulla c’è di più importante e più utile alla salvezza che conoscere Dio come dice Gesù nel Vangelo di Giovanni: «Haec est vita aeterna, ut congnoscant te solum verum Deum et quem misisti Jesum Christum, Questa è la vita eterna, che conoscano te solo vero Dio e Colui che hai mandato Gesù Cristo» (17,3). La salvezza eterna dell’uomo consiste nel conoscere Dio. Così commenta sant’Agostino: «Infelix qui te non novit…Felix et beatus qui te novit, Infelice chi non ti ha conosciuto…felice e beato chi ti ha conosciuto» (Conf. V, 4).
L’osservazione del Vangelo di Luca e il commento di Sant’Agostino bastano a fondare la necessità vitale della Sacra Liturgia e l’utilità grandissima delle Sacre Cerimonie per i Cristiani. Non solo forza, possanza e utilità, dunque, delle Sacre Cerimonie, ma anche dignità e bellezza. A spezzare il pane era Cristo «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45,3), dunque Gesù Figlio di Dio è il principiatore delle Cerimonie. Da Cristo Uomo-Dio traggono dignità le Sacre Cerimonie. Chi ama grandemente Cristo amerà grandemente anche le Sacre Cerimonie. Chi stima poco Cristo poco stimerà anche le sacre Cerimonie. Chi apprezza niente Quello, niente apprezzerà queste. Chi si burla di Quello si burlerà anche di queste. Fu la ragione per la quale San Pio V si applicò con Fede, intelligenza e cuore all’opera di restaurazione della Sacra Liturgia sapendo di difendere con essa il Dogma dagli eretici che poco stimano, e addirittura avversano, oggi umiliano e contraffanno, le Cerimonie Ecclesiastiche (conosceva le violente parole di Lutero e degli altri eretici contro la Messa e la Sacra Liturgia6). Egli che tanto amò la Chiesa volle che essa esprimesse nel miglior modo possibile il suo amore a Cristo, la cui gloria egli sempre cercò, avendo cura di conservare e trasmettere ciò che Cristo aveva istituito: sta qui l’onore della Sede Apostolica e della Cristianità.
A 450 dalla morte di un Riformatore che riformò la Chiesa riformando sé stesso, è salutare apprezzarne l’eredità e rilanciarne lo spirito, per ritrovare quella vitalità spirituale che sola innerva lo slancio per una nuova Evangelizzazione e per potenziare la vista soprannaturale che riconosce e smaschera gl’inganni contemporanei. È un maligno abbaglio, per chi lo propone e per chi l’accoglie, ritenere che basti una mano di “Blu, celeste” o di tutti colori dell’arcobaleno, per far diventar buona un’antropologia sbandata che non considera il peccato originale. Così si indica una via diversa da quella della Grazia e del Paradiso. Alle nuove generazioni la via del cielo, la vita soprannaturale, può essere indicata solo dal Vangelo, dalla sana Dottrina e dai Santi compresi quelli esigenti come San Pio V. Sia lodato Gesù Cristo!
______________________DE MATTEI R., Pio V. Storia di un papa santo, Torino 2021, p. 348.
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, III, Supplemento, q. 17, Proemio.
BREVIARIUM ROMANUM, In festo S. Thomae de Aquino, Lect.V, II noct.
AGOSTINI P., Il paramento Mazza. Un capolavoro dell’arte serica veronese, Verona 1989.
Per una considerazione generale sul senso della Sacra Liturgia e sulle Cerimonie Ecclesiastiche nell’Ordine Domenicano si veda: SERAFINO CAPONI DALLA PORRETTA, Sacerdos in aeternum. Dichiarazione della Santa Messa, Cerimonie, Vestimenti, Roma 1729, pp.1-203.
VINAY V., Scritti religiosi di Lutero, Torino 1967, pp 308-322.
Festa di San Pio V, il Papa di Lepanto e della Messa.
RispondiEliminaInno a San Pio V
Testo di don Francesco Berrone, musica di don Angelo Fasciolo.
Di Bosco Marengo sei nobile e vanto,
segnacol di speme, di fè, di vittoria.
O presule eccelso, Pontefice Santo
un inno s’elevi, ch’esalti Tua gloria.
Potente San Pio, deh! prega per noi,
proteggici sempre noi siam figli tuoi.
Del Turco furente nemico di Cristo
un popol crociato per Te trionfò.
Il gaudio comune fu allora frammisto
al giubil d’un Papa che volle e pregò.
Potente San Pio, deh! prega per noi,
proteggici sempre noi siam figli tuoi.
Del Santo Rosario la Vergine Regina
Tu sempre esaltasti, ne avesti il favor.
da Lei impetrasti la grazia divina
per cui fu sconfitto dell’empio il furor.
Potente San Pio, deh! prega per noi,
proteggici sempre noi siam figli tuoi.
L’infame eresia che fede dissolve
invitto pugnasti con vigile amore
di Cristo i nemici fiutaron la polve
tuoi figli serbaron di fè lo splendore.
Potente San Pio, deh! prega per noi,
proteggici sempre noi siam figli tuoi.
A Te con fiducia ricorron le genti
nell’aspra tenzone col serpe maligno
e Tu le proteggi nell’ardui cimenti
sovr’esse il Tuo manto stendendo benigno.
Potente San Pio, deh! prega per noi,
proteggici sempre noi siam figli tuoi.
Del culto d’Iddio lo zelo fervente
l’amor pei fratelli le fede sincera
Tu infondi San Pio nell’animo ardente
del popol che T’ama Ti segue in Te spera
Potente San Pio, deh! prega per noi,
proteggici sempre noi siam figli tuoi.
Dei casti pensieri di nobili affetti
ai giovani accendi la brama nei cuori
Tu fuga e tien lungi dai teneri petti
la perfida insidia di vizi ed errori.
Potente San Pio, deh! prega per noi,
proteggici sempre noi siam figli tuoi.
San Pio t’invocan tuoi figli gementi
deh! Tu li consola pietoso e fedel
sii guida al cammino sii luce alle menti
li addici a la gloria perenne del Ciel.
Potente San Pio, deh! prega per noi,
proteggici sempre noi siam figli tuoi.
In una frase: "La messa tridentina è..."
RispondiEliminaLa Messa tridentina è la più grande opera d'arte, la più grande opera d'amore, la più grande opera di Dio nella Chiesa romana.
OT: parole chiare sull'episodio di Susegana: https://therevleon.substack.com/p/a-christian-schools-betrayal È ora di finirla con queste pagliacciate!
RispondiEliminaAndrea Gagliarducci:
RispondiElimina"Chi avrà la forza di entrare in Curia e smontare l'ospedale da campo per far ergere qualcosa di permanente al suo posto? Chi avrà il coraggio di tagliare i rami morti del potere perpetuandosi sotto il pontificato? Il conclave sembra essere un conclave di mediazione piuttosto che profezia, ma dovrebbe essere un conclave di coraggio. "
https://www.mondayvatican.com/vatican/after-pope-francis-a-church-to-be-rebuilt
Dire "Messa Tridentina" è sbagliato, fa il gioco dei neomodernisti. Bisognerebbe dire "S. Messa di rito romano antico".
RispondiEliminaLo sosteneva mons. Klaus Kamber, sommo liturgista, vissuto il secolo scorso.
"Nel suo articolo, il Rennings [un liturgista nemico della Messa tradizionale] è abilmente partito da un punto debole dei tadizionalisti: dalla espressione, cioè, "Messa Tridentina" o "Messale di san Pio V". Ebbene, non esiste, in senso stretto, una Messa Tridentina, per il fatto che non è mai stato promulgato un nuovo Ordo Missae in seguito al Concilio di Trento. Il Messale che san Pio fece approntare [eseguendo le direttive del Concilio di Trento] non fu in realtà nient'altro che il Messale della Curia, in uso a Roma da molti secoli e che i Francescani avevano già introdotto in gran parte dell'Occidente: un Messale, tuttavia, che non era mai stato imposto universalmente, in modo unilaterale. Le modifiche apportate da san Pio V al Messale della Curia si rivelano talmente modeste da poter esser scorte soltanto dallo specialista. [...]
Noi parliamo, dunque, piuttosto, di Ritus Romanus, e lo contrapponiamo al Ritus modernus. Come abbiamo mostrato, il Rito Romano risale, in parte considerevole, almeno al sec. IV. Il Canone della Messa, salvo piccole modifiche effettuate sotto san Gregorio Magno (590-604) già sotto Gelasio I (492-496) risultava nella forma che ha conservato fino ai nostri giorni. L ' unico punto su cui tutti i papi, dal sec. V in poi, hanno sempre insistito è stata l'estensione alla Chiesa universale di questo Canone Romano, sempre ribadendo che esso risale all'Apostolo Pietro. Nella composizione di altre parti dell'Ordo Missae, così come nella scelta dei Propri delle Messe, essi hanno rispettato le usanze delle Chiese locali.
[...] Nel Medio Evo quasi ogni Chiesa locale, o almeno quasi ogi diocesi, utilizzava un proprio Messale, quando non aveva spontaneamente adottato il Messale della Curia. Nessun Papa interferì mai in tali decisioni. Differenziate erano soprattutto le parti dell'Ordo Missae che il celebrante doveva recitare sottovoce, come le preghiere iniziali ai piedi daell'altare, le preghiere dell'Offertorio (dette anche 'Canone minore') e le preghiere prima della Comunione, dunque le preghiere 'private' del sacerdote. Le parti cantate della Messa, invece, erano nella Chiesa Latina sostanzialmente uguali dappertutto. Solo alcune, poche, Letture o orazioni diferivano da luogo a luogo".
(Mons. K. Gamber, La riforma della Liturgia Romana. Cenni storici - Problematica, UNA VOCE, Suppl. al n. 53054 del Notiziario, giugno-dicembre 1980, pp. 19-21).
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