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martedì 3 giugno 2025

Leone XIV nell'udienza ai partecipanti al Giubileo delle Chiese orientali

Nella nostra traduzione da Catholic Herald registriamo da parte del Papa accenti incoraggianti sulla liturgia. Vedi petizione qui.

Leone XIV nell’udienza ai partecipanti
al Giubileo delle Chiese orientali


Troppo spesso, la messa cattolica nel rito romano moderno somiglia ad una riunione, forse ben intenzionata, ma orizzontale, piatta e allarmante per la sua mancanza di mistero. Ci sono strette di mano. Battute popolari dall’altare. La Musica appare un residuato di chitarrate degli anni ’70. L'intento è essere “coinvolgente”. Finisce per essere banale.

E la gente si allontana. Non solo dai banchi, ma dalla sensazione che ciò che accade durante la Messa sia sacro, qualcosa di trascendente, di bello, di terrificante nel senso preciso del termine. Circa un terzo dei cattolici che frequentano regolarmente la Messa non crede nella presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia, «fonte e culmine» della vita della Chiesa, per non parlare della maggioranza dei cattolici che neppure frequentano la Messa nella maggior parte dei paesi

Papa Leone XIV se ne è accorto.
Il suo discorso del 14 maggio alle Chiese cattoliche orientali è un raro intervento proprio su questo punto. Ascoltandolo attentamente, diventa evidente che, pur lodando «il primato di Dio» e la profondità spirituale dei riti orientali, il Papa sta anche lanciando un delicato monito all’Occidente. Le riforme degli anni ’60 e le loro conseguenze ci hanno allontanati dal sacro mistero che dovrebbe caratterizzare la liturgia.

«La Chiesa ha bisogno di voi», ha esortato il suo uditorio. «Il contributo che l’Oriente cristiano può offrirci oggi è immenso! Abbiamo un grande bisogno di recuperare il senso del mistero che rimane vivo nelle vostre liturgie, liturgie che coinvolgono la persona umana nella sua totalità, che cantano la bellezza della salvezza ed evocano un senso di meraviglia per come la maestà di Dio abbraccia la nostra fragilità umana!».

L’uso della parola «recuperare» rivela molto delle sue opinioni. Torneremo su questo punto più avanti. Tuttavia, nella sua dichiarazione successiva, Leone ha reso le cose ancora più esplicite:

«È altrettanto importante riscoprire, specialmente nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, l’importanza della mistagogia e i valori così tipici della spiritualità orientale: l’intercessione costante, la penitenza, il digiuno e il pianto per i propri peccati e per quelli di tutta l’umanità (penthos)!».

Il Papa ha continuato a lodare le «autentiche tradizioni spirituali» che sono state preservate in Oriente senza essere «corrotte dalla mentalità consumistica e utilitaristica». Ha parlato delle liturgie orientali come incarnazione di una profonda ricchezza spirituale, di una riverenza che invita i fedeli ad entrare nei sacri misteri con un senso di stupore e di adorazione profonda.

Leone ha poi ammonito i leader cattolici orientali : «è quindi fondamentale che voi conserviate le vostre tradizioni senza attenuarle, magari per motivi di praticità o convenienza».

In questo, sembra criticare la tendenza occidentale, dopo le riforme, di semplificare, modernizzare e rendere la Messa più accessibile, a volte a scapito del mistero e della riverenza.

Se l’Occidente deve «recuperare» il senso del mistero, il sottointeso è che questo è andato perduto; dire che l’Occidente deve «riscoprire» il primato di Dio significa denunciarne l’antropocentrismo.

Ai cattolici ciò non dovrebbe passare inosservato. Il Papa qui sta sottintendendo che l’Occidente un tempo conosceva queste cose. In una Chiesa tuttora in lotta per una riforma liturgica attuata quasi 60 anni fa, le sue parole hanno chiare implicazioni.

Le parole del Papa potrebbero facilmente passare inosservate in un discorso molto più lungo e articolato, ma non dovrebbero essere ignorate: egli sta suggerendo che la liturgia e la spiritualità contemporanee sono diventate troppo mondane e incentrate sull’uomo. La Messa tridentina, che secondo alcune voci sarebbe stata celebrata da Leone quando era cardinale arcivescovo di Roma, è invece considerata da molti osservatori esente da tali critiche.

Per comprendere pienamente il significato delle parole del Papa, è necessario aver presenti due antichi approcci teologici che plasmano la spiritualità e la liturgia cattolica: la teologia catafatica e la teologia apofatica. Non si tratta di astrazioni teologiche, ma di correnti viventi all’interno della tradizione di preghiera della Chiesa.

La teologia catafatica è la Via Affirmativa o via “positiva”. Coinvolge il mondo sensoriale. Il profumo dell’incenso che sale dal santuario e si diffonde nella cattedrale, il suono del canto solenne che risuona nello spazio, lo splendore visivo degli affreschi e delle statue, i gesti significativi della genuflessione e dell’inchino reverenziale: tutto è usato per evocare il divino. Questi sono tutti elementi catafatici, segni che parlano della gloria, della bellezza e della maestà di Dio. Non catturano Dio nella sua totalità, ma possono offrirne un barlume, un breve riflesso della luce divina, come il luccichio momentaneo di un’icona dorata sotto i raggi penetranti del sole.

La teologia apofatica, al contrario, è la Via Negativa, o approccio «negativo». Parla di Dio dicendo ciò che Dio non è: al di là di ogni parola, silenzio, mistero, inconoscibile. Ci invita alla riverenza e al timore reverenziale, riconoscendo che Dio trascende la comprensione umana. Nella liturgia, questo diventa silenzio, sacra quiete, spazi tra le parole e i gesti dove respira il mistero. Questa tradizione, centrale per mistici come San Giovanni della Croce e Santa Teresa d’Ávila, insegna che l’incontro più elevato con Dio va oltre le parole, oltre la comprensione e oltre i segni visibili. Essa enfatizza il silenzio, il timore reverenziale e la riverenza, riconoscendo che il mistero divino non può essere contenuto dal linguaggio umano.

Detto questo, le parole giuste non sono obsolete nei nostri sforzi di descrivere il nostro Dio, perché le parole possono essere usate per avvicinarci o allontanarci da Lui; ma alla fine sono insufficienti. Questa verità paradossale deve essere mantenuta nel culto della Chiesa.

La liturgia, correttamente intesa, vive nella tensione tra questi due approcci. Deve sia rivelare che nascondere il mistero divino. Le pratiche apofatiche cercano di purificare la mente e la coscienza da quelle cose che semplicemente distraggono o allontanano da Dio, per aiutare a svuotare l’anima da quelle cose in cui la presenza sacra (la verità, la bontà, la bellezza, la maestà, la purezza, l’umiltà di Dio) non sono facilmente percepibili. Nel contempo, i suoi elementi cataphatici riempiono la coscienza e l’anima di quelle cose in cui è più facilmente presente, ai sensi interiori ed esteriori la natura misteriosa, potente e inquietante di Dio.

Purtroppo, la liturgia occidentale troppo spesso ha iniziato a invertire questa tendenza, con gesti e parole che riempiono la mente e i nostri sensi di ciò che è più terra terra, trascurando di affidarsi a quelle rubriche che invitano al necessario silenzio, all’oscuramento o alla contemplazione e ci allontanano dal mondano e dal profano.

Le liturgie orientali, sostiene Papa Leone XIV, hanno mantenuto questo profondo equilibrio. I loro canti antichi, l’incenso, i movimenti rituali e il silenzio profondo invitano i fedeli a un mistero sacro che è allo stesso tempo percepibile e trascendente.

Da quando ha assunto la carica di successore di Pietro, Papa Leone ha continuato il lavoro iniziato dal cardinale Robert Prevost: quello di diplomatico sottile e attento. In quanto tale, possiamo solo dedurre e ricostruire quali siano le sue opinioni più controverse e di più ampio respiro dalle poche dichiarazioni che ha reso pubbliche.

Tuttavia, i suoi recenti commenti sono in linea con quanto affermato in un’intervista del 2012, nella quale ha affermato: «Non dovremmo cercare di creare spettacoli… teatro, solo per suscitare l’interesse delle persone verso qualcosa che alla fine è molto superficiale e non profondo».

Al contrario, ha sostenuto, «la liturgia dovrebbe riguardare» l’esperienza di «entrare in contatto con [il] mistero» del «Dio che è amore, Dio che dimora in noi, Dio che è davvero presente nell’umanità e che si è rivelato attraverso Gesù Cristo», aggiungendo: «Il modo per scoprire Dio non è davvero attraverso lo spettacolo». «E penso che molte volte le persone siano state forse fuorviate, siano andate alla ricerca di Dio in modi che alla fine si sono rivelati fuorvianti e non realmente essenziali per scoprire il mistero».

Insieme al suo discorso ai cattolici orientali, qui si trova un monito contro le distrazioni sensoriali volte a essere loquaci o semplicemente a mantenere la congregazione «sveglia» o «coinvolta». La vera liturgia dovrebbe essere un incontro con Dio.

Per illustrare i pericoli dell’introduzione di troppi elementi mondani nella liturgia, Leone ha citato la «immagine eloquente» di San Simeone il Nuovo Teologo : «Come chi getta polvere sulla fiamma di una fornace ardente la spegne, così le preoccupazioni di questa vita e ogni tipo di attaccamento a cose futili e senza valore distruggono il calore del cuore che era stato inizialmente acceso».

Ecco il punto cruciale della silenziosa reprimenda del Papa: c’è il rischio che alcune riforme postconciliari – l’enfasi eccessiva sul salmo responsoriale come strumento di coinvolgimento, la traduzione della liturgia in lingua volgare, l’atteggiamento versus populum che sembra dare importanza ai fedeli presenti piuttosto che all’altare e al Santissimo Sacramento, i frequenti gesti informali durante la Messa o i tentativi eccessivi di rendere la liturgia “accessibile” – possano oscurare gli elementi che elevano il culto a incontro sacro.

Le parole di Leone suggeriscono invece un recupero della dimensione apofatica. La liturgia deve conservare il silenzio, il rispetto e il mistero. Allo stesso tempo, richiede elementi catafatici – il canto, l’incenso, i gesti sacri, le posture significative come le genuflessioni e forse anche la direzionalità simbolica verso est – che servono come segni tangibili che ci indicano non solo gli esseri umani (per quanto importante possa essere amare e prendersi cura degli altri, durante la settimana siamo distratti dalle loro questioni e preoccupazioni in modo più travolgente) ma, almeno per un momento al di là di noi stessi, verso la santità di Dio.

Le Chiese orientali hanno conservato questa antica sintesi in un modo che la pratica occidentale spesso non fa più. Il discorso giubilare di Papa Leone XIV non è un rifiuto delle richieste di «piena e effettiva partecipazione». È piuttosto un invito a considerarle più profondamente, a comprendere la partecipazione non come mera attività, ma come accesso al sacro mistero con il corpo e l’anima.

Questa visione sfumata invita la Chiesa a resistere al “consumismo e all’utilitarismo” nel culto, che tratta la liturgia come un prodotto da commercializzare e adattare ai gusti popolari. La liturgia deve invece rimanere uno spazio in cui il Dio trascendente irrompe nel tempo, esigendo il nostro silenzio, il nostro stupore e la nostra resa.

In un altro punto del suo discorso, Leone ha espresso bene il concetto. La vera liturgia e spiritualità dovrebbero contenere tradizioni che rimangono «antiche ma sempre nuove» e «medicinali». Il culto della Chiesa dovrebbe ispirarsi al modo in cui nella liturgia orientale «il dramma della miseria umana si combina con lo stupore per la misericordia di Dio, così che la nostra peccaminosità non porta alla disperazione, ma ci apre all’accettazione del dono gratuito di diventare creature guarite, divinizzate e innalzate alle vette del cielo».

Nella liturgia, i presenti dovrebbero poter facilmente connettersi ai sentimenti che Papa Leone cita da Sant’Efrem il Siro: «Gloria a te, che hai posto la tua croce come ponte sulla morte… Gloria a te che ti sei rivestito del corpo dell’uomo mortale e lo hai reso fonte di vita per tutti i mortali».

Se la Chiesa continua sulla strada dello spettacolo e del sentimentalismo, rischia di aggravare l’emorragia dei fedeli dai banchi durante la Messa e un’ulteriore perdita di fede, tra coloro che partecipano, nel suo mistero più fondamentale.

Ma c’è speranza. La via da seguire non sta nell’innovazione fine a se stessa, ma nel recuperare ciò che l’Oriente non ha mai dimenticato: che il culto riguarda un mistero troppo vasto per essere espresso a parole, ma che ci invita sempre ad avvicinarci.

Le parole del Papa sono gentili ma inequivocabili: recuperiamo il sacro, il misterioso e il bello. Restituiamo equilibrio alla ricchezza catafatica e al silenzio apofatico, affinché la liturgia cessi di essere un semplice raduno e torni ad essere ciò che è sempre stata: un incontro sacro con Dio [rispondendo allo ius divinum del culto che Gli è dovuto -ndT].
Tom Colsy

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

8 commenti:

  1. Come porre fine alle “guerre liturgiche”?
    Con una pace disarmata e disarmante, la pace di Cristo: la bellezza (la Grazia) che salva affascinando l’affascinato.
    Non si può restare affascinati dai compitini dei funzionari del sacro che riempiono di comune e banale lo spazio aperto sul mistero di Dio.
    A meno che prevalgano l’ideologia e la pretesa di uniformare non nelle schiere del Dio degli eserciti ma nell’esercizio dell’insignificanza di Dio, bastandoci le comuni e il comune!

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  2. "Leone ha poi ammonito i leader cattolici orientali : «è quindi fondamentale che voi conserviate le vostre tradizioni senza attenuarle, magari per motivi di praticità o convenienza».
    In questo, sembra criticare la tendenza occidentale, dopo le riforme, di semplificare, modernizzare e rendere la Messa più accessibile, a volte a scapito del mistero e della riverenza."

    Puo' darsi che voglia criticare la tendenza occidentale di semplificare e modernizzare la Messa, ma è più probabile che abbia preso spunto da un male del Novus Ordo romano per ammonire gli Orientali. Tutta la Chiesa purtroppo è stata contagiata dal cancro riformistico vaticansecondista: dopo la riforma liturgica bugniniana anche gli Orientali hanno rivisto le loro liturgie, facendo tagli per ridurre quantomeno la loro durata e avvicinarle al NO di rito romano. Vedasi per esempio la liturgia attualmente celebrata nell'Abbazia cattolica bizantina di Grottaferrata. Per ridurre la durata della Divina Liturgia e renderla più accettabile ai fedeli, alcune lunghissime preghiere vengono recitate da più sacerdoti contemporaneamente, un pezzo per ciascuno. In tal modo si passa dalle due ore di durata del passato all'oretta attuale. Resta in ogni caso più ricca di mistero del NO ma anche del VO romano... Fino a qualche anno fa invece gli antichi monaci di Grottaferrata si facevano un vanto dell'avere una liturgia lunga, tutta cantata, anche se vogliamo "estenuante".

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    1. Sì, è così. Anche i riti dei cattolici orientali che aderiscono alla chiesa conciliare sono stati modernizzati. Restano invece inalterati i riti degli ortodossi russi aderenti al patriarcato di Mosca. Esistono poi i modernisti ortodossi legati al patriarcato di Costantinopoli - notoriamente manovrati dalla Massoneria e da coloro che governano l'America e il mondo intero - I quali propugnano una specie di Concilio Vaticano II ortodosso. Anni orsono fu fatto un tentativo a Creta, al quale la Chiesa Ortodossa Russa non partecipò. Non bisogna lasciarsi trarre in inganno dai discorsi di Prevost, il quale non mette in discussione né la riforma liturgica né il Concilio Vaticano II: non appena eletto lo ha chiarito immediatamente. Pertanto, tutta la chiacchierata dell'articolo di sopra è fumo negli occhi conservatore. Che l'eletto tenti di aggiustare alcune dichiarazioni strampalate del suo predecessore - se non altro sincere - è normale, ma resta fumo negli occhi. Parimenti, qualche candeliere barocco piazzato sulla "mensa" (ossia la tavola protestante), qualche sbuffo d'incenso, qualche melodia gregoriana non rende la messa moderna accettabile. Tutte queste storie - dai discorsi sulle liturgie orientali agli aggiustamenti delle dichiarazioni strampalate di Bergoglio ai candelieri barocchi - sono canti delle sirène per ingannare tutti quanti e massimamente i pretesi "tradizionalisti" stanchi di combattere, rinunciatari, ancora sedotti dal veleno ratzingeriano, dalla "continuità" enunciata ma non mai dimostrata. Dei cattolici - preti e laici - in generale conviene fidarsi poco. Basterebbe ricordare l'atteggiamento da loro tenuto durante l'ultima guerra, del quale mi hanno sovente raccontato i miei familiari: tranne poche lodevolei eccezioni, che pagarono un alto tributo di sangue nel 1945, la maggioranza, qua in Emilia, trescava con i rossi nelle canoniche. Si, con i rossi, quelli che uccisero il seminarista Rolando Rivi, il quale si era rifiutato di togliere la veste talare. Chi non se la sente più di combattere per Cristo Re può unirsi ai modernisti, nessuno lo tirerà per la manica, nemmeno Gesù Cristo Nostro Signore: non tenti però di ammaliare chi invece vuole continuare a combattere la buona battaglia (bonum certamen certavi) perché perderà il suo tempo.

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    2. Capisco che le liturgie lunghe possano sembrare estenuanti, ma ricordiamo che ognuno di noi entra in chiesa impolverato dalla sua mondanità la quale si aggiunge a quella del prossimo, quindi un bel polverone che va battuto e allontanato da noi quanto più possibile. Gli estenuati sono i nostri corpi, anime e spiriti che vengono preparati ad avvicinarsi a Dio, Uno e Trino, a colloquiare, ad ascoltare Lui, anche se apparentemente ci sentiamo inebetiti. La liturgia divina agisce su di noi in maniera profonda. Purtroppo negli ultimi 60 anni è stata assimilata più ad uno spettacolo umano, possibilmente ben agito e spesso aggiornato e degradato ad uno spettacolo di guitti girovaghi. Se si capisce la liturgia autentica per quella che è, divina, quindi per noi un'amorevole mazzata, tutte le altre obiezioni, la lunghezza, il latino, capisco poco o niente, diventano banalità, neve al sole. Forse la Messa solenne autentica può essere paragonata ad una ora passata alle terme, dalle quali si esce spossati , ma più in sesto. Certamente la messa facsimile è stata oggettivamente una iattura per l'intera umanità , perché si è impedito a Dio, Uno e Trino, di consegnare agli uomini quei doni preparati per loro. E questo lo dico a ragion veduta, quelle volte che la domenica non riesco ad andare alla Messa cattolica, pur cercando di metterci una pezza leggendola o pregando il rosario, tuttavia c'è nell'aria, intorno, ovunque, qualcosa di più lieve, più pulito, che da me certo non viene e che non è presso di me, ma nell'aria, come se, ovunque, fosse stata data un bella e buona ramazzata al mondo.

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    3. Le liturgie orientali non sono mai estenuanti perché esprimono al meglio la Presenza di Dio. Però dei chierici orientali contagiati dalla sfregola rivuzionaria occidentale possono ritenerle tali e provvedere agli sforbiciamenti...
      Le liturgie di rito latino antico sono più asciutte (qualcuno chiama la Messa cantata o col pontificale "Messa grassa"; e quella "bassa", "Messa secca"). Il NO è asciuttissimo, ma insostenibile anche se dura 20 minuti nei giorni feriali e 40 la domenica. Le sue preghiere rinnovate, se si ascoltano e non si sonnecchia,si rivelano verbose, piene di sociologismi, false preghiere perché non rivolte a Dio ma il più delle volte monizioni alla comunità, stringi stringi... Aria fritta! Estenuanti anche se durassero qualche minuto.

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  3. En matière de liturgie, Léon XIV va-t-il mettre ses actes en accord avec ses paroles ? Espérons-le. Sans jamais oublier, toutefois, que la nouvelle liturgie n'a été instituée que pour faire disparaître l'ancienne, « celle de toujours ». C'est là son péché originel. Sinon, « words, words, words »…

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  4. Mi chiedo: questi elogi delle "tradizioni orientali" sono forse un modo indiretto, un primo passo, per insidiare il Sacro Celibato?
    Non dobbiamo dimenticare che il loro clero può essere scelto tra uomini sposati come eccezione di tolleranza, non come regola. Rimango sempre perplesso quando sento questi elogi agli "orientali". Perplesso e sospettoso. Specialmente in un contesto come quello descritto dal Papa: gli "orientali" sono rimasti più fedeli. A cosa? Perchè anche gli "orientali" cattolici affermano che sia prassi antica e "tradizionale" conferire il Sacerdozio a uomini sposati. Elogiare la fedeltà di questi "orientali" mi insospettisce sempre. Cordialmente

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  5. È realmente difficile capire un cattolicesimo che ha distrutto una liturgia millenaria come quella romana, sostituendola con una nuova costruita a tavolino, e poi si impegna con forza nell'ecumenismo coi bizantini, che invita alle liturgie novus ordo. Possibile che nessuno si renda conto che è come invitare a casa propria un grande chef e offrirgli un piatto di pasta insipida e scotta, condita con olio che ha pure iniziato a irrancidire?
    Non ci dovrebbe volere molto a capire che i bizantini, che pure non nascondono enorme interesse per il rito preconciliare, sono inorriditi dal novus ordo! Con una liturgia ridotta a questi livelli che cosa si spera di ottenere da tale ecumenismo? Il novus ordo non interessa neppure ai protestanti. Figuriamoci agli ortodossi! Lo sfacelo liturgico cattolico è veramente un mistero grande.

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