Pagine fisse in evidenza

martedì 8 luglio 2025

A sessant’anni dalla fine del Concilio – III : Un sacerdote spagnolo si interroga sul disastro postconciliare

A sessant’anni dalla fine del Concilio
Merita non dico celebrare,  ma almeno ricordare,  la ricorrenza dell'evento che ha cambiato il volto della Chiesa e del quale è vietato mettere in discussione neppure uno iota, posto che chi di dovere lo ha reso una sorta di superdogma indiscutibile e continua a gestire il cambiamento agendo secondo la prassi senza render conto della dottrina.
Precedenti:
 – I. Riflessioni sulla 'Gaudium et spes' qui
– II : analisi di LG 8 qui
A sessant’anni dalla fine del Concilio –

III : Un sacerdote spagnolo si interroga sul disastro postconciliare
Paolo Pasqualucci

Del disastro non dà direttamente la colpa al Concilio ma possiamo dire che lo chiami indirettamente in causa.

Riassumo il testo pubblicato da Don Jorge Guadalix, della Diocesi di Madrid sul blog www.infocatolica.com il 25 marzo 2025.

L’articolo si intitola “Qualcosa non abbiamo capito del Concilio”.

Dopo aver ricordato che al tempo del Concilio era un giovanissimo religioso che pregava ogni giorno per la sacra Assise in corso, peraltro senza saper bene cosa fosse un concilio ecumenico, Don Guadalix, entra nel vivo.

“L’aspettativa era grande prima del Vaticano II. Alitavano tutte le speranze. Però, dobbiamo riconoscerlo, qualcosa è andato storto [algo no salió bien]. Abbiamo lavorato nella Vigna del Signore facendoci carico di tutte le illusioni del mondo, abbiamo trangugiato la teologia più rabbiosamente postconciliare e abbiamo offerto la nostra vita per la causa del Vangelo. Ma è arrivata la primavera? Non ne sono convinto, per niente convinto.

Quest’anno sono sessant’anni dalla fine del Concilio.

Fin adesso ci siamo arrangiati. I numeri parlano chiaro. La massiccia secolarizzazione di religiosi e sacerdoti, soprattutto negli anni Settanta, ci ha sconvolto. La débacle della diminuzione delle vocazioni al sacerdozio e alla vita monastica è stata dissimulata da un’età media che aumentava, che aumenta anno per anno, con progressione sempre più accentuata. I decessi degli ultimi anni ci hanno costretto a chiudere senza posa monasteri, a nascondere la mancanza di sacerdoti dividendo il numero delle parrocchie, sempre le stesse, con un divisore clericale scarsissimo. Ci sono zone della Spagna nelle quali un parroco ha in carico otto, dieci, venti, trenta parrocchie…o di più […]. Ovviamente, la vita sacramentale è impossibile. Viene sostituita da un povero succedaneo in mano a qualche laico che fa ogni domenica quel poco che può fare con il poco che è rimasto […] Il livello della formazione dei nostri fedeli è preoccupante. Appena un insipido “bisogna condividere” e una Messa tramutata in “una festa gioiosa [muy alegre]”. Uno di loro, da anni in contatto

la parrochia con riunioni e relazioni di ogni tipo, mi diceva che non gli piacevano le Messe, che preferiva le Eucaristie. Sono penetrati il relativismo dottrinale, il soggettivismo morale. Abbiamo un cattolicesimo ridotto ai minimi termini. La disciplina non esiste. E nulla mai cambia”.

In simile situazione, ovvio che la gioventù viva in gran parte senza la fede, che l’abbia anzi persa, se mai l’ha veramente avuta.

“Più del 50% dei giovani spagnoli si dichiarano agnostici o atei. E molti di loro, di sicuro, hanno studiato in scuole religiose, sono battezzati e hanno fatto la prima comunione. Oggi si battezzano all’incirca meno della metà dei bambini che nascono. I matrimoni in chiesa raggiungono appena il 20% del totale. Altro dato rilevabile in qualsiasi parrocchia: le confessioni sono praticamente scomparse.

Qualcuno dirà che il numero non conta, conta la qualità. Al contrario, il numero ha la sua importanza e alla qualità non credono nemmeno i più accesi sostenitori del Concilio. Felici tuttavia poiché la Chiesa si è molto esposta nel sostenere i poveri. Il problema è che, se si tratta solo di solidarietà, a tal fine non ho bisogno né della fede né della Chiesa. Né di farmi sacerdote o religiosa”.

La colpa di tutto questo sfacelo (comune – ricordo – a quasi tutta l’Europa cattolica e ad ampie parti delle Americhe) deve allora esser fatta risalire al Concilio? La conclusione di Don Guadalix è prudente: “I documenti conciliari non sono male, cominciando dalle grandi costituzioni. Direi che si presentano molto bene [Diría que están muy bien]. Ma forse molti utilizzarono il Concilio per fare i propri comodi propalando uno spirito del Concilio che nessuno ha mai saputo minimamente spiegare. E a questo fatto si è aggiunto un evidente abbandono della disciplina ecclesiastica, cosa che ha permesso, in ossequio alla modernità e alla sua “atmosfera amichevole”, che ognuno dica ciò che vuole, se la spassi secondo i suoi desideri, viva in accordo con la sua propria e personale infallibilità [...] Qualcosa non quadra”.[1]

Nell’intenso dibattito provocato fra i lettori dall’articolo di Don Guadalix, sono apparsi anche critiche pungenti al Concilio, difeso da alcuni come dottrinalmente integerrimo. Gli attacchi vertevano in particolare sulla dichiarazione Nostra aetate sulle religioni non cristiane e sull’art. 16 della costituzione Lumen gentium sulla Chiesa, che sembra attribuire ai mussulmani la fede nel nostro stesso Dio e ne apprezza l’alta considerazione per Abramo, traendo in tal modo in inganno i fedeli sulla vera natura dell’islam.

Infatti, il Concilio passa del tutto sotto silenzio il fatto che i seguaci di Maometto, allo stesso modo degli ebrei, considerano la S.ma Trinità pura idolatria e utilizzano la figura di Abramo, visto come progenitore degli arabi, per dichiarare falsi sia ebraismo che cristianesimo: essi avrebbero adulterato l’insegnamento del Patriarca, che sarebbe stato quello di un monoteismo assoluto, riportato per l’appunto in auge da Maometto, arabo autodichiaratosi Profeta e “sigillo” dei Profeti, che tutte le altre religioni (per lui false) devono riconoscere. Né l’Antico né il Nuovo Testamento nominano mai Maometto, ma questo, secondo il Corano, perché ebrei e cristiani, invidiosi, ne avrebbero cancellato il nome: i testi sacri degli ebrei e dei cristiani sono pertanto falsi, per i musulmani, e non vanno letti.

Queste semplici ed oggi scomode verità sull’islam sono state ricordate da alcuni lettori, il loro occultamento dà la misura del grado di mistificazione che si può rintracciare in alcuni testi conciliari.

Un lettore sottolineava anche la rappresentazione edulcorata di religioni come la buddista e l’indù, anch’esse nei fatti assolutamente incompatibili con la nostra. Ricordava come nel buddismo tibetano, seguace di una certa scuola, ci fosse spazio anche per la magia sessuale, inclusiva di ogni tipo di diversità.

Sarebbe certamente un gran bene per tutti noi fedeli se sacerdoti come il coraggioso Padre Guadalix, che non è sicuramente l’unico a rendersi conto della situazione drammatica nella quale si trova oggi la Chiesa, trovassero la forza di compiere un ulteriore doloroso passo e chiedessero pubblicamente alle autorità ecclesiastiche competenti, se una tale, inaudita situazione non imponga di andarne a ricercare le cause profonde in certi testi conciliari, visto che il collasso che ha ridotto il cattolicesimo “ai minimi termini” è coinciso con la riforma totale della Chiesa impostata, auspicata e voluta proprio dal Vaticano II: un Concilio volutosi solo pastorale che tuttavia ha esplicitamente introdotto molte “novità” nella Chiesa. Non per nulla, nel Proemio della famosa dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, una fra le più contestate del Concilio, si scrive:

“…questo Concilio Vaticano rimedita la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa, dalle quali trae nuovi elementi in costante armonia con quelli già posseduti [haec Vaticana Synodus sacram Ecclesiae traditionem doctrinamque scrutatur, ex quibus nova semper cum veteribus congruentia profert]”.

Di questa necessaria “congruentia” o armonia tra il nuovo e l’antico, l’amara realtà odierna ci dimostra che nulla è rimasto, se mai ci sia stata. Basti pensare a quello che è successo con le riforme liturgiche, a cominciare da quella capitale della Santa Messa. Chi difende il Concilio fa giustamente rilevare che le riforme sono andate al di là di quanto propugnato dalla costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra Liturgia, che voleva mantenere sia il latino che il canto gregoriano né pensava ad un rito completamente nuovo. Ma costoro dimenticano che in quella costituzione, avversata da tutti i teologi difensori della liturgia tradizionale, si erano ugualmente introdotti dei princìpi nuovi, non coerenti con la tradizione e dimostratisi utili agli eversori mentre non mancavano le ambiguità.

Cito a titolo di esempio :

L’art. 21 afferma perentoriamente che “la Santa madre Chiesa desidera fare un’accurata riforma generale della liturgia. Questa infatti consta di una parte immutabile, perché di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono e addirittura devono variare”. Domanda: un’accurata riforma generale della liturgia, era davvero necessaria? E quali erano le parti “immutabili” della stessa? Non lo si chiariva. Inoltre, il criterio della “riforma generale” doveva esser quello dell’adattamento dalla mentalità moderna: le sante realtà espresse dai testi e dai riti, si precisava, “siano espresse più chiaramente e il popolo cristiano possa capirne più facilmente il senso e possa parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria”.

Si introduce qui il criterio inaccettabile (ribadito agli artt. 34 e 50) della semplificazione del rito al fine di una sua supposta maggior comprensione da parte del popolo, criterio sempre respinto in passato dal Magistero. Si manifesta un certo sfavore per le Messe private o senza popolo, alle quali va preferita la celebrazione comunitaria (art. 27 – l’avversione per le c.d. Messe private o “celebrate in un angolo”, come dicevano sprezzantemente, era particolarmente forte presso i luterani). Si afferma che le innovazioni devono scaturire “organicamente” dalle forme liturgiche esistenti ed esser pertanto precedute da lungo studio (art. 23) e poi ci si contraddice bellamente all’art. 25 nel quale si ordina che “i libri liturgici siano riveduti quanto prima”, naturalmente servendosi di persone competenti e consultando i vescovi. Non solo la semplificazione del rito ma anche la fretta di tutto rivedere e riformare, una vera e propria febbre.

Mantenuto sì il latino ma con ampie concessioni all’uso del vernacolo mentre la figura del sacerdote comincia già ad esser ambiguamente diminuita a quella di “presidente dell’assemblea” eucaristica (art. 33). E nell’art. 48 i fedeli sembrano addirittura prender parte alla consacrazione dell’Eucaristia: “offrendo la vittima senza macchia non soltanto per le mani del sacerdote ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi”. Questo testo riprende senza dirlo un passo della Mediator Dei di Pio XII ma lo manipola togliendovi l’avverbio “in certo modo” (quodammodo): per Pio XII, infatti, come per tutta la dottrina di sempre, l’offerta dei fedeli era fatta solo quodammodo, “in certo modo”, “in voto”, spiritualmente, e quindi simbolicamente.[2] Infine, che dire di quella che è forse stata la novità più gravida di conseguenze negative per la nostra religione, voglio dire l’introduzione del principio dell’adattamento alle culture locali e della sperimentazione liturgica, che lasciava alla creatività personale del celebrante margini ristretti solo in teoria, come si è visto ad abundantiam in tutti questi anni? Vedi SC artt. 37-40 mentre l’art. 22 riconosceva competenza in liturgia anche alle Conferenze Episcopali, sia pure “entro limiti determinati”, sulla carta.

L’elenco completo dei passaggi ambigui, equivoci, o che addirittura sapiunt haeresim del Vaticano II sarebbe lungo. Sempre a titolo d’esempio mi limito ad estrarre dalla lista:

le dispute sull’ambiguo “subsistit in” (Lumen Gentium 8): mentre il testo dello schema di costituzione dogmatica sulla Chiesa illegalmente rigettato nelle fasi iniziali del Concilio ribadiva che la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo, sic et simpliciter, la nuova costituzione sulla Chiesa affermava invece che la Chiesa di Cristo, “in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica” – una definizione notevolmente contorta, a mio avviso, che, comunque la si voglia giudicare, costringe a laboriose interpretazioni;

le discussioni su come debba veramente intendersi la nuova collegialità stabilita in Lumen Gentium 22;

o su quale sia l’effettivo significato della straordinaria affermazione di Gaudium et spes 22.2, secondo la quale “con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo”: solo simbolico o sostanziale, ontologico? In quest’ultimo caso (ed è verosimilmente il caso della prima enciclica di Giovanni Paolo II, Redemptor hominis) saremmo di fronte ad un errore nella fede, già apparso e controbattuto in secoli lontani, errore che apre la porta all’eresia della salvezza garantita a tutti gli uomini senza bisogno della loro conversione a Cristo, eresia oggi diffusissima.

Fino a quando si potrà continuare a sostenere che il Concilio era buono mentre è stato solamente il Postconcilio ad esser cattivo? Guardiamo ai concili ecumenici precedenti. Si è mai visto che dopo di loro si sia scatenato il caos nella Chiesa, provocandone un crollo addirittura verticale, in tutte le direzioni? Mai.

Dopo il primo Concilio di Nicea, la fazione ariana reagì e contrattaccò ma alla fine fu dispersa. E lo fu proprio perché durante la crisi la Chiesa non era mai crollata ma aveva mantenuto una considerevole parte sana, nei vescovi e nel popolo. Gli ariani eretici, inoltre, negavano la natura divina di Cristo non attaccavano la morale cristiana, tranquillamente calpestata da un Papa come Bergoglio, adepto della “teologia della liberazione”.

Nel caso di importanti concili dogmatici, come ad esempio quello di Trento, il problema era spesso rappresentato dalla difficoltà a farne applicare i decreti dalle autorità civili di vari Paesi cattolici. Ugualmente, dopo il Vaticano I, diversi sovrani non accettarono di riconoscere il dogma dell’infallibilità pontificia, stabilito dal concilio stesso. Ma si trattava del ripetersi di una situazione attinente ai rapporti, spesso difficili, tra autorità ecclesiastiche e autorità civili.

A volte si è registrata la temporanea resistenza passiva di una parte del clero a certe normative volute da un Concilio ecumenico. Ma anche questo fenomeno tutto sommato normale, tipico della dialettica interna dell’istituzione ecclesiastica.

I concili ecumenici in genere facevano chiarezza: ribadivano verità di fede fondamentali, condannavano gravi errori dottrinali, riformavano la Chiesa del loro tempo colpendone storture e difetti; insomma attuavano il corretto uso dell’autorità, definendo, decidendo, spiegando, sanando ed educando. Ancor oggi grande è il sollievo intellettuale e morale che si prova nel leggere i decreti del Concilio di Trento e del Vaticano Primo, per la loro chiarezza e incisività, per la loro sicura e precisa dottrina.

All’opposto, come mai a partire dal Vaticano II si è intorbidato tutto? Come mai, già i testi di questo Concilio sono raramente chiari e ti obbligano spesso (come si è visto) ad “interpretare” il testo, a cercare di capire “quello che ha veramente detto”? Questa constatazione è stata fatta più volte ma ha trovato risposte vaghe ed insoddisfacenti o, più frequentemente, un muro di silenzio.

Non ho il dono della profezia, tuttavia mi sento di dire, sulla base del semplice sensus fidei, che la Chiesa cattolica non potrà risorgere finché la Gerarchia non avrà avuto il coraggio di dissolvere il clima d’omertà che circonda il Vaticano II.
5 luglio 2025
_____________________________
[1] Don Jorge Guadalix, Algo no supimos entender del Concilio, https://www.infocatolica.com/blog/cura.php/2503151009-algo-no-supimos-entender-del Traduzione italiana di Paolo Pasqualucci. L’articolo di Don Guadalix è stato ripreso dal sito Benoit et moi il 19 marzo 2025. L’autorevole mensile cattolico tedesco Kirkliche Umschau [Panoramica sulla Chiesa], vicino alla Fsspx, ne ha pubblicato estratti in un articolo del Giugno 2025, alle pp. 26-27, nel quale riassumeva anche un articolo di Sandro Magister sulla penetrazione della “cancel culture” nell’attuale gerarchia cattolica.
[2] Questa la frase della Mediator Dei : “essi offrono il Sacrificio non soltanto per le mani del sacerdote, ma, in certo modo [quodammodo], anche insieme con lui…”. Seguiva un lungo paragrafo nel quale Pio XII spiegava il significato puramente spirituale dell’offerta dei fedeli. Questo paragrafo nella Sacrosanctum Concilium brilla per la sua assenza. Vedi: Pio XII, Enciclica ‘Mediator Dei’ sulla sacra Liturgia, con testo latino a fronte, Vita e pensiero, Milano-Roma, 1956, pp. 76 e 77. - Fonte

13 commenti:

  1. Dopo Bergoglio, il vuoto è finito: Leone XIV e la fine dell’innocenza curiale

    Roma 7 luglio 2025- L’elezione di Robert Francis Prevost – oggi Leone XIV – non è una parentesi tra due epoche, ma la risposta a una domanda che il Collegio cardinalizio ha cercato di eludere per anni: e dopo Bergoglio?

    La risposta, oggi, è questa: non si torna indietro. Il nuovo pontefice è sì americano, agostiniano, uomo di sintesi e di missione. Ma soprattutto è figlio di un’epoca che Francesco ha aperto a colpi di gesti, nomine e fratture. Chi sperava in un “papa restauratore” – magari italiano, magari curiale, magari docile – si ritrova ora davanti un volto nuovo che non disfa, ma consolida. E questo, nella Roma delle stanze ovattate, fa tremare più di un’eresia.

    Il conclave più globale di sempre

    Per la prima volta, il conclave ha parlato con accento multiplo: 71 Paesi rappresentati, la maggioranza dei cardinali creati da Francesco, e una platea ormai non più eurocentrica. Il vecchio asse Roma-Parigi-Monaco è saltato, sostituito da una geografia che guarda a Lima, Kinshasa, Jakarta.

    In questo nuovo mondo ecclesiale, Leone XIV è un ponte tra periferia e sistema, un americano che non rassicura l’Occidente, un successore che non ridipinge la facciata, ma scava nelle fondamenta.

    Un’eredità scomoda da continuare

    Bergoglio ha rivoluzionato il Collegio cardinalizio senza mai dire apertamente: “sto scegliendo il mio successore”. Eppure è quello che ha fatto. Ha portato nel cuore del potere ecclesiale uomini liberi dalla logica curiale, spesso sconosciuti ai media, ma ben noti nei territori che contano davvero oggi per la Chiesa: l’Africa, l’Asia, l’America Latina.

    Prevost non è un outsider: è la logica conclusione di un processo. Non somiglia a Francesco, la nuova fase. Ma una cosa è certa: la Chiesa cattolica non tornerà mai più ad essere quello che era prima del 2013. E chi, dentro o fuori Roma, non l’ha ancora capito,

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Benedetto XVI : tesi,
      Francesco : antitesi,
      Leone XIV : sintesi ?

      Elimina
  2. Spero che dall'interno si sollevino le voci di sacerdoti e fedeli in gran numero per denunciare il caos imperante nella Chiesa, tra i fedeli e nel mondo intero. Il nuovo Papa dovrà presto fare una scelta. Ottimo lo spunto dato dal Professor Pasqualucci, regaliamo al Papa, in vacanza, il testo del Concilio di Trento, il testo del Vaticano I e del Vaticano II .

    RispondiElimina
  3. Gentile anonimo, quante certezze senza altra prova di un’amarezza condivisibile.
    La Chiesa è di Cristo e un Bergoglio non può cambiarla: l’imbroglio e lo scandalo tuttavia sono necessari. Permessi da Dio perché il discernimento raggiungesse i cuori aperti. Molti non hanno battuto ciglio, prendendo per “buono” una patacca che più patacca non poteva essere. Molti hanno ancora come riferimento lo zaino di pregiudizi e interessi di cui sono portatori. Gesù invece rimette sulla barca, al mattino, quando un pescatore riterrebbe inopportuno tornare a pescare. La rete si riempie, Pietro comprende. Non tutti i pesci sono buoni. C’è una cernita. Ma Gesù ha già preparato il pesce arrostito. Ci manda a pescare, ma provvede Lui a sfamarci. Non moltiplica, ma dona se stesso, in modo sovrabbondante. La Chiesa è quella compagnia. Altrimenti il problema sarebbero la barca, i pesci e anche il mare (la storia). Tutto importante, per carità, ma l’essenziale è chi ti dice di rimetterti a pescare e intanto prepara Lui da mangiare…

    RispondiElimina
  4. Ottimo: non focalizziamoci su Bergoglio, ma sul CVII. E' la pianta che va trattata e curata, quando i frutti sono cattivi.
    ¥¥¥

    RispondiElimina
  5. Mais un arbre mauvais peut-il cesser de produire de mauvais fruits ?
    Qui a jamais réussi à rendre bon un arbre mauvais ?
    Qui changera jamais la nature du mancenillier conciliaire ?
    L'expérience humaine, le bon sens, veulent qu'un tel arbre on le coupe, on le brûle, et qu'on n'entende plus jamais parler de lui…

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ca va sens dire, mon cher ami, je sui d' acord avec vous.

      Elimina
  6. Comincio a credere che il nome Leone per l'americano da Chicago Prevost sia stato scelto dalla CIA per gabbarsi della veneranda memoria di Leone XIII, il Papa che condannò l'americanismo, l'ideologia che presentemente trionfa tanto nel mondo (ove è meglio conosciuto col nome di liberalismo 'politico') quanto nella Chiesa (qui invece ci sono i cattolici della Tradizione che applicano a esso americanismo 'teologico' il nome di [neo-]modernismo: la sostanza non cambia mica).

    RispondiElimina
  7. “I documenti conciliari non sono male, cominciando dalle grandi costituzioni. Direi che si presentano molto bene..”
    Sarebbe da morire da ridere se non fosse tragico. Hanno usato un metodo simile a quello applicato in quegli anni quei materiali che hanno rivoluzionato l’elettronica dando inizio all’elettronica digitale e a tutte le applicazioni di oggi… Si tratta dei semiconduttori ottenuti con la tecnica del “drogaggio” che consiste nell’inserire nel silicio, in un materiale diffusissimo ed inerte dal punto di vista elettrico, per una miliardesima parte, impurezze come atomi di arsenico, modificandone radicalmente la struttura e il comportamento.
    Su una base dottrinalmente ineccepibile – niente di nuovo ma con trasfusioni massicce “sentimentalismo” – hanno inserito, qua e là, elementi estranei, anzi sostanzialmente eretici, così da modificare completamente il senso dei vari documenti. Tutto studiato a tavolino da menti diaboliche per ottenere lo scopo, in parte raggiunto, di distruggere dall’interno la Chiesa.
    Chi di noi si berrebbe una tazza di latte caldo, sterilizzato ma appena munto, nella quale è stata fatta cadere una goccia anche piccola di escremento di topo ? Non sarebbe il caso di buttare via tutto ?
    Claudio Gazzoli

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Chapeau, caro Gazzoli, chapeau! Diceva così San Pio X, a proposito dei modernisti della prima ora " inseriscono eresie in documenti apparentemente ortodossi, perciò vanno rigettati integralmente". Vecchio trucco : fare dei buchi nella diga, affinché l'acqua col tempo finisca per buttarla giù, distruggendo ogni difesa del territorio a valle. Così hanno fatto questi ribelli rivoluzionari, modernisti e neomodernisti, e al momento sembra proprio che la diga stia per crollare definitivamente; ma questi impostori, empi e traditori, si saranno ricordati del "non praevalebunt?" se se lo fossero dimenticato, lo ricorderà loro Cristo Giudice, quando saranno alla Sua sinistra, destinati dove ben sa ogni buon cattolico.

      Elimina
  8. Il sacerdote in crisi? Fattori personali e fattori organizzativi.
    Francesco Maria Marino. Sacerdote domenicano e psicologo.
    https://www.youtube.com/watch?v=suW3kZ398-0

    RispondiElimina
  9. Ottimo paragone ha fatto l' amico francese, associando il CV II all' albero della Mancinella, tossico, velenoso, mortale. Il più mortale degli alberi, viene definito, quindi il paragone è più che azzeccato, è magistrale. Infatti il CV II gronda di linfa velenosa, come la mancinella, e può uccidere le anime, indirizzandole allinferno anziché in Paradiso ( cfr il nefasto "accompagnamento delle fragilità" di Bergogliana memoria). Un albero cattivo non può dare frutti buoni, ottima conclusione, quindi deve essere sradicato e dato alle fiamme, e di esso dev'essere fatta damnatio memiriae.

    RispondiElimina
  10. https://www.imolaoggi.it/2025/07/09/leone-xiv-chi-non-riconosce-urgenza-curare-terra-si-converta/ : la nuova massa ecologista-gretina-pachamama inaugurata da Papa Leone : " come prima, più di prima..." diceva quella vecchia canzone anni '60, che ben si adatta, calzando come un guanto, alla ermeneutica della continuità tra Bergoglio e Prevost, niente li distingue, solo l' apparenza esterna, nella sostanza il piano di autodemolizione della fede cattolica bimillenaria procede spedito, a tutta manetta...solo gli ingenui possono illudersi del contrario. Come l' autore di questo articolo diciamo anche noi : io non mi converto alla terra, alla pachamama, anche se me lo chiedono mille gretine e tutto il clero modernista...no, io mi converto solo a Cristo, voi andate dove vi pare e piace, ma senza di me. " A' bon entendeur, salut!" LJC

    RispondiElimina

I commenti vengono pubblicati solo dopo l'approvazione di uno dei moderatori del blog.