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lunedì 10 giugno 2013

Scherzi da prete

Su insistente segnalazione di un amico ho visto il film Scherzi da prete, del 1978, con protagonista Pippo Franco. Il film è la solita volgare commedia all'italiana con scene di nudo, che racconta la storia di don Tarquinio, un prete che si ostina a celebrare la liturgia in dialetto ciociaro antico, della sua ascesa a leader politico, e del prevedibile finale (gli elementi "ciociaro", "politica" e "nudo" servono solo come impalcatura).

Vedere film come questo significa perdere tempo e cliccare frequentemente sul tasto "avanti veloce" in attesa che si arrivi al dunque. Ma Scherzi da prete nella prima parte, nel tentativo di scherzare su fatti di cronaca, finisce involontariamente per essere un'apologia di tutti gli argomenti dei cosiddetti "tradizionalisti".

Sò mille anni che dicémo la Messa così
Anzitutto nel 1978 si poteva alludere chiaramente al caso Lefebvre in un film, certi che gli spettatori avrebbero capito. Il protagonista rifiuta il Concilio Vaticano II in nome di una Tradizione, appoggiato dai suoi fedeli («sò mille anni che dicémo la Messa in ciociàro!»). Le gerarchie ecclesiastiche, nascondendosi dietro espressioni come «ma c'è stato il Concilio Vaticano II», cercano di normalizzarlo senza far troppo rumore ma don Tarquinio si ribella: ma come, mi sospendete a divinis perché non accetto le novità liturgiche del Vaticano II? «Ma allora perché a tutti li ladri, li spergiuri che si nascondono sotto a una tonaca come questa, perché non li suspenni... a una corda?»

I vizi del clero non sono solo l'essere "ladri" e "spergiuri". Alla sfilata di moda ecclesiastica don Tarquinio, circondato da chierici un po' troppo effeminati, sbotta: «ma che è, la festa de san ricchione

Contro i preti vestiti in maniera mondana: «e no, mò basta! ma dovete annà in chiesa o ar night club? un prete deve essere un prete! nero e puzzolente!» Nero nel senso che veste la talare, puzzolente nel senso che non è né una checca improfumata né un asettico e sbiadito manichino. Ed ancora inveisce contro il clero secolarizzato e fanatizzato: «i preti del dissenso, i neocatacombali, i preti francesi!»

Il film fa allusioni persino in qualche battuta secondaria, come quando si elencano i grandi Pontefici recenti senza appiattirsi sul buonismo da tifoseria parrocchiale: «ci sono stati Pio IX, Pio X, Pio XII...» «...e Giovanni XXIII...» «...beh, sì, c'è stato pure lui».

Commentando la condanna della Santa Sede, il don Tarquinio si lamenta: «Dice: ma così facendo tu esci dal seno della Chiesa. Ma che è sto seno della Chiesa? è diventato la mammella pubblica? profittatori, turchi, musulmani, protestanti, olandesi, ricchioni, tutti se lo stanno a pomiciare 'sto seno della Chiesa. E per loro la comprensione, l'ecumenismo, la fratellanza... per noi un cacchio!» Profetico.

Un volgare e insignificante film di trentacinque anni fa contiene dunque nella narrazione riferimenti a problemi ancora attualissimi: 
  1. L'onnipotente lobby gay. 
  2. La guerra (per lo più sommersa) contro la liturgia tradizionale. 
  3. L'ecumenismo imbecille. 
  4. L'abbandono della talare, anche questo pilotato dall'alto. 
  5. Il potere della stampa di creare e disfare imperi, e 
  6. l'ottusità ideologica e meschina dei giornalisti. 
  7. La pesantezza della burocrazia clericale e 
  8. le oscure commistioni tra alto clero e politica. 
  9. L'arte del saltare sul carro del vincitore momentaneo da parte di annoiati che inseguono i propri sogni.
Chierici alla festa de san ricchione
Compare perfino il tema della castità. «Insomma, io sò sempre un prete, e se vengo a letto con te me dovrei come minimo spoglià [da prete]... me sò fatto più docce fredde io che tutti li matti ar manicomio!». Don Tarquinio fugge le tentazioni. Disprezza la pornografia. Non è un asessuato. Non è un ricchione né una checca repressa. Ed è conscio dell'esigenza della castità e del celibato. Finirà schiacciato da uno scandalo sessuale pur non avendo fatto materialmente niente (ci vuol poco a incastrare un ingenuo imprudente, tanto più se è prete: e il film lo mostra bene). E verrà stritolato, anche se supplicante perdono alla Santa Sede, proprio dalla viscida burocrazia ecclesiastica.

Uno squallido film di 35 anni fa (inteso a durare poche settimane al botteghino e poi venir dimenticato, come tutti i filmetti della sua stessa categoria) si poteva permettere di richiamare certi concetti perché suonavano familiari anche alla gente più sempliciona, quella che paga un biglietto al cinema per ottenere 90 minuti di volgarità.

Intendo dire che dieci anni prima della scomunica a Lefebvre era chiaro persino al cinema che la vera "guerra" è sulla liturgia (tanto da non aver neppure la necessità di proporre nel film qualche "tipica" celebrazione del nuovo rito). Persino in una commediola volgare si poteva alludere alla netta opposizione tra vaticansecondismo e liturgia tradizionale. Il vescovo cerca di rabbonire don Tarquinio: «ma c'è stato il Concilio Vaticano Secondo!», pensando che il nominare l'entità fumosa e mutevole sia sufficiente per chiudere subito ogni questione. Don Tarquinio invece sbotta perché una ragione ce l'ha: se si è sempre fatto così, perché mai ora dobbiamo cambiare? Quel "Vaticano II" (cioè -come interpretato dagli stessi ecclesiastici- la riforma liturgica del 1969) è improvvisamente piovuto dall'alto come una mannaia: perché mai di punto in bianco dobbiamo smettere di fare ciò che abbiamo sempre fatto?

Il tema cinematografico del bonaccione perseguitato da meschine gerarchie ha sempre come necessaria conclusione il far provare simpatia per il protagonista. Un banale filmetto come questo, però, trasmette non solo sentimenti, ma anche ragioni. Chi vede la prima metà del film rischia seriamente di accorgersi che «Vaticano Secondo» implica davvero lo svacco liturgico, il disprezzo per la Tradizione, il via libera alla lobby gay, all'ecumenismo, all'invasione protestante, alla riduzione del sacerdote a impiegato (part-time) delle "sacre" messinscene. Magari gli sceneggiatori avranno di proposito infilato i soliti temi su politica e stampa solo per non essere accusati di aver scritto, sotto forma di commedia scollacciata, una pericolosamente convincente apologia dei temi dei tradizionalisti più accesi. Don Tarquinio ha poco da dire ma lo dice sempre; non è intelligente, né sveglio, né saggio, né astuto, né prudente, né previdente. Ciò che nel film lo rende grande è l'attaccamento alla Tradizione e al suo sacerdozio.

Trentacinque anni dopo, quegli argomenti sono ancora attuali. Clero e gerarchia ancora utilizzano la clava del «ma c'è stato il Concilio!» per giustificare furbamente qualsiasi ripudio della Tradizione e del buon senso, ed altrettanto fanno i cattoliconi dalla pancia piena e dall'anima vuota, che pensano che si possano conciliare la verità e l'errore scegliendo una via di mezzo, e che pensano che la liturgia sia un'attività da eseguire decentemente.

7 commenti:

  1. Grazie, Esistenzialmente periferico, significativo anche il nick ;)

    Praticamente, per alcuni è tutto ben chiaro da sempre. Ma per i più, dopo la cosiddetta "nuova pentecoste" conciliare, saremmo entrati in una "nuova primavera"... Com'è dura da vincere l'illusione di chi si fonda solo sull'umano!

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  2. Eccellente lettura!!! Grazie!
    Il grande scherzo da prete (da papa, da vescovo...), però, ce l'ha fatto il malevolo...con un suo "colpo maestro" ...

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  3. Vuoi specificare meglio, per favore?

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  4. Vi segnalo un articolo di Accion Liturgica in merito alle attività che l'Amministrazione Apostolica San Juan María Vianney realizzerà durante la giornata mondiale della gioventù. Certamente un buon segnale

    http://www.accionliturgica.blogspot.it/2013/06/brasil-forma-extraordinaria-en-la-jmj.html

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  5. Complimenti per l'articolo che è bellissimo !!!
    Bravi !

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  6. E' un testo che merita di essere
    letto.Spassoso e, nello stesso tempo, fonte di riflessione.
    Un solo appunto, qualche espressione un po' "Colorita", poteva essere scritta con i puntini o con i biipp.

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  7. ... non avevo notato la didascalia della foto..... :))

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