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mercoledì 24 gennaio 2018

Riflessioni sulla questione dell'infallibilità pontificia e sulle divisioni nella Chiesa - Paolo Pasqualucci

Il discorso sui problemi inerenti all'infallibilità o meglio al Primato e alla sua messa in crisi con LG 22.2 non finisce qui. Se vogliamo tentare di enucleare i temi di un dibattito che dovrebbe essere (ad Aprile) [qui] della massima importanza per il futuro della Chiesa, dobbiamo approfondire ulteriormente. Con la riflessione che segue iniziamo a dare il nostro contributo.
Riflessioni sulla questione dell'infallibilità pontificia e sulle divisioni nella Chiesa
  1. Penso che ognuno si sia chiesto: qual è lo "status quaestionis" in relazione all'infallibilità ossia ai poteri del Papa? Qual è effettivamente il problema? 
  2. La contraddizione introdotta da Lumen Gentium 22.2. 
    Contraddizione e quindi non conformità con l'insegnamento di sempre; anche se non- conformità parziale, tuttavia rilevante? In quel testo c'è l'affermazione rivoluzionaria che il collegio dei vescovi, sempre assieme al suo Capo il Papa, è "il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa, sebbene non possa esercitarla se non col consenso del romano Pontefice". Rivoluzionaria, perché in passato la potestà di giurisdizione su tutta la Chiesa era stata riconosciuta solamente al Papa, sulla base della Sacra Scrittura e della Tradizione. Ora, invece, essa è riconosciuta all'intero collegio dei vescovi in quanto tale, ovviamente sempre con il suo Capo, il Papa, e mai senza di esso. Perciò "con il Papa", perché la titolarità della potestas è riconosciuta su un piano di assoluta parità, ma "sotto il Papa" quanto al suo esercizio, dovendo esso dipendere dall'autorizzazione del Papa (vedi Nota Praevia aggiunta in appendice a LG).
    La Nota Praevia, imposta a Paolo VI dai "conservatori", impediva di considerare il Papa, per colpa di LG 22.2, come se agisse sempre e solo quale capo del collegio dei vescovi, con tanti saluti al suo Primato. Risultando l'esercizio della potestas da parte dei vescovi vincolato all'autorizzazione del Papa, il Papa riacquistava la sua preminenza e libertà d'azione, anche perché si ribadiva che egli poteva sempre esercitarla da solo.
    Tuttavia, il Primato ne risulta intaccato perché la "titolarità" della suprema potestas non è più del solo Pontefice: ora essa appartiene anche al collegio col Pontefice. Due soggetti titolari di un potere sovrano, quale la potestas pontificia, è una mostruosità giuridica. Due soggetti anche quanto al suo esercizio: autonomo quello del Papa, vincolato all'autorizzazione pontificia quello dei vescovi.
  3. Qui si è riformata la nozione stessa di somma potestà su tutta la Chiesa, quanto ai soggetti che ne sono titolari, creando una situazione di attrito permanente tra i vescovi e il Papa. I primi infatti tendono ora a vedere il Papa come un primus inter pares, essendo "titolari" come lui della potestas su tutta la Chiesa, e scalpitano per dover sottostare al suo nulla osta quanto al suo esercizio da parte loro, come collegio.
    Si tende, inoltre, a vedere sempre più il Papa come capo del collegio dei vescovi, come "presidente" di un organo collettivo, l'episcopato. Qualcuno non vorrebbe ora vederlo come "presidente" di un'unione di tutte le "Chiese" o addirittura di tutte le religioni?
  4. Ma il discorso sui problemi inerenti all'infallibilità o meglio al Primato e alla sua messa in crisi con LG 22.2 non finisce qui. Se vogliamo tentare di enucleare i temi di un dibattito che dovrebbe essere (ad Aprile) della massima importanza per il futuro della Chiesa, dobbiamo approfondire ulteriormente. 
    C'è infatti l'aspetto dell'origine divina della potestas papale che in questo modo, con la nuova formulazione, viene ad oscurarsi. Ciò risulta, come ho già accennato, dal nuovo Codice di Diritto canonico, 1983, regnante GPII. Ma forse anche nella LG tale origine appare solo implicitamente? 
    E c'è poi la "desistenza" sul piano della prassi, relativa alla condanna degli errori, promossa da Giovanni XXIII e conservata dai successori; desistenza che configura una abdicazione dall'esercizio della suprema autorità, gravida di conseguenze anche sul piano istituzionale. 
La questione dell'origine divina del potere di governo del Papa.

Perché "questione". Non è pacifico che tale potere ha un'origine divina, risultante proprio dal passo finale del Vangelo di Giovanni, che testimonia come NS abbia conferito al solo Pietro il potere di governare la Chiesa ("pasci le mie pecorelle, pasci i miei agnelli")?

Dovrebbe esserlo. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 è chiarissimo in proposito. Nel can. 219 recita: "Il Romano Pontefice, legittimamente eletto, non appena accettata l'elezione ottiene immediatamente per diritto divino (iure divino) la piena e suprema potestà di giurisdizione". Il can. 218 definiva il carattere di questa piena e suprema potestà su tutta la Chiesa: per ciò che riguarda la fede e i costumi nonché la disciplina e il governo della Chiesa.

Il canone 332.1 CIC 1983 riprende in parte quest'articolo, in questo modo: "Il Sommo Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l'elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Di conseguenza l'eletto al sommo pontificato che sia già insignito del carattere episcopale ottiene tale potestà dal momento dell'accettazione. Che se l'eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato vescovo". 

Non si dice più che la sua potestà il neoeletto "l'ottiene di diritto divino". E come l'ottiene allora? Il comma fa tutto un discorso sulla consacrazione episcopale, sulla necessità (pare) del neoeletto di essere vescovo, al punto che il neoeletto sembra ottenere immediatamente la sua potestà suprema solo se è già vescovo ossia se già appartiene al collegio episcopale. L'esser già vescovo è forse da ritenersi condizione dell'ottenimento immediato della potestà episcopale? Se è così, allora si vede che l'appartenenza o meno al collegio episcopale viene a condizionare l'insorgere immediato della potestà nel neoeletto, concetto che sembrerebbe del tutto nuovo.

Ma il can. 331, non richiama indirettamente l'origine divina della pontificia potestas?
Dice: "Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio [in quo permanet munus] concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e univesale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente".

Tutto a posto allora? Se l'ha concesso il Signore l'ufficio, non deve ritenersi di origine divina? Ma quest'ufficio, Pietro, l'ha sì ricevuto da Cristo risorto ma forse come primo degli Apostoli e quindi in quanto "capo del Collegio dei Vescovi"? Il c. 336 CIC 83, ripetendo LG 22.2, ribadisce che il Collegio con il suo Capo "è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale". Se ha questa potestà, il Collegio, dobbiamo ritenere che sia anch'essa di origine divina, che cioè il Signore l'ufficio di governo sulla Chiesa l'abbia concesso, oltre che a Pietro anche al Collegio con Pietro?

Ma né il Sacro Testo né la Tradizione permettono simile interpretazione. Bisognava perciò omettere il riferimento all'ottenimento "iure divino" della suprema potestas da parte del neoeletto, perché circoscrivente al solo neoeletto la potestas, che ora si vuole condivisa da due soggetti titolari. 
Con l'accettazione, il neoeletto ottiene di governare la Chiesa ma non l'ottiene da chi l'ha eletto bensì da Nostro Signore, come Pietro. Per questo è il "Vicario di Cristo in terra".
E non può esserlo, Vicario di Cristo, il Collegio dei Vescovi con il Papa, dato che il Signore risorto non si è rivolto al Collegio.

Nota sull'intervento del Card. Müller su 'Autorità del Papa e Magistero della Chiesa' [qui].

Le citazioni riguardano il problema centrale della collegialità. Ha detto il cardinale:
"..Istituendo i suoi apostoli, Gesù istituisce anche i loro successori, cioè i vescovi, insieme al successore di Pietro, il papa, come loro capo. Il mandato che Cristo dà loro è di "insegnare loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt, 28, 20). Giustissimo. Qui vediamo che Pietro è presentato come semplice "capo degli apostoli", cosa che pure è. Ma si tace il fatto, riportato da san Giovanni, che solo a questo "capo" Cristo risorto ha conferito il potere di governo su tutta la Chiesa (Gv 21, 15 ss.) dicendogli, davanti agli altri, per tre volte (non due come avevo erroneamente scritto) "sii pastore delle mie pecore". Altro passo":
"Il Papa, nella misura in cui, come capo del collegio episcopale, è il principio dell'unità della Chiesa nella verità, ha la missione etc.". Mi chiedo: Il Papa, esercita la sua missione s o l o come "capo del collegio episcopale"? Tale collegio non è tutta la Chiesa visibile: il Papa è il capo dell'intera Chiesa -della quale il collegio è una parte - e lo è appunto "per diritto divino". Su questo fondamento sovrannaturale, egli è il principio dell'unità della Chiesa, di tutti noi fedeli!
Infine, ancora il card. Müller: "Cristo ha posto il papa 'alla testa degli altri apostoli e in lui ha creato una fonte e un fondamento duraturo e visibile dell'unità di fede di comunione" (Lumen Gentium, 18). In quest'articolo la LG riafferma la fede della Chiesa nel primato petrino. Molto bene. Se però si va a controllare il testo si vede che la citazione comincia in altro modo: "Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il Beato Pietro e in lui stabilì il principio etc.".
Si vede, dunque, come il Primato sia sempre ricondotto, dal Concilio e (qui) dal card. Müller, in qualche modo al fatto dell'esser Pietro "il capo del collegio", al fine di mantenere l'unità del collegio dei vescovi... Sempre messo in connessione con l'organo che è il collegio assai più che con la sua origine sovrannaturale indipendente, appunto "iure divino", che non ha nulla a che fare con l'esser Pietro "capo del collegio".

Il "papato desistente"
  1. Resta da accennare all'ultimo punto di queste riflessioni introduttive: l'affermata rinuncia dei Papi, a partire da Giovanni XXIII, alla condanna degli errori. Su questa gravissima novità, vera e propria diminutio della potestas papale, sono sempre valide a mio avviso le osservazioni di Romano Amerio, nel par. 40 di Iota Unum. [Lo abbiamo pubblicato qui. Vedi anche qui - qui]
  2. In effetti, come può il Papa difendere il Deposito e confermare nella fede noi tutti, se non condanna in modo chiaro e formale gli errori, in qualunque forma essi appaiano? Ciò significa non voler esercitare l'autorità ricevuta "per diritto divino". Una colpa grave. Che rappresenta, direi, una violazione della costituzione divina della Chiesa perché, contrapponendo artificiosamente severità a misericordia, toglie legittimità alla condanna dell'errore da parte del Vicario di Cristo, condanna che invece rientra nel suo potere di governo ed insegnamento, come stabilito da Cristo stesso. Anche qui, non affiora l'error in fide, dal momento che si viene a stravolgere il significato stesso del munus petrino, rendendolo monco e improntandolo ad un'idea di "misericordia" che non è quella dei Vangeli ma piuttosto quella di un sentimentalismo che inevitabilmente finisce con l'accettare la corruzione più sfrenata, come sta alla fine accadendo oggi?
    "Questo annuncio del principio della misericordia contrapposto a quello della severità sorvola il fatto che, nella mente della Chiesa, la condanna stessa dell'errore è opera di misericordia, poiché, trafiggendo l'errore, si corregge l'errante e si preserva altrui dall'errore. Inoltre, verso l'errore non può esservi propriamente misericordia o severità, perché queste sono virtù morali aventi per oggetto il prossimo, mentre all'errore l'intelletto ripugna con un atto logico che si oppone a un giudizio falso..." (Amerio, cit., che conclude affermando giustamente potersi esercitare la misericordia solo verso l'errante, come ha sempre fatto la Chiesa, del resto).
Tutto ciò visto, bisogna chiedersi, a mio avviso: di quale papato stiamo parlando? Il Convegno di Aprile, se mai si farà, sembra porsi soprattutto il problema dei limiti del potere papale e questo in relazione alla grave involuzione che vediamo oggi nel suo esercizio, ad opera del presente e regnante. Ma tale "involuzione" non sarebbe stata possibile se non fossero intervenute le mutazioni conciliari e preconciliari (Giov. XXIII) a confondere e in sostanza stravolgere la natura stessa del papato.
Il discorso, per essere efficace, non dovrebbe pertanto partire dall'analisi critica di queste mutazioni? 
Paolo Pasqualucci

13 commenti:

  1. Ottimo commento del prof. Pasqualucci.
    Mi sono permesso qualche aggiunta qui: https://goo.gl/xgRSwn

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  2. "Prof. Arturo Sardini"24 gennaio, 2018 09:48

    1) "Il Concilio è Bello, perché è VARIO/
    Ci trovi dentro Tutto e PURE IL SUO CONTRARIO!"
    2)"CHE DIFFERENZA Passa tra il Vat.II e L'Islam? NESSUNA! Entrambi ciò che dicono di buono, non è nuovo, ciò che di Nuovo, NON è BUONO".
    Scherzi a parte (ma quei versi non sono scherzi), il fatto stesso che dei cattolici praticanti si debbano porre il problema di, quanto meno, ipotizzare, un convegno sui "limiti" dell'infallibilità, è un pessimo segno. Ai tempi di Pio XII, già solo che ne avesse parlato, lui per primo si sarebbe sentito in odore i Gallicanesimo.

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  3. A proposito dell’ecumenismo, tanto caro alla Chiesa uscita dal CV II, a partire da Nostra Aetate in poi, ed oggi così strenuamente perseguito da papa Francesco, che parla addirittura di “peccati contro l’ecumenismo”, mentre assolve i peccatori impenitenti, come gli adulteri conviventi, o gli omosessuali praticanti (non certo la fede cattolica, bensì il loro vizio impuro) :
    San Massimiliano Maria Kolbe, martire dei lager nazisti, può essere ritenuto, assieme a San Pio X (che definì l’ecumenismo ”anticamera dell’ateismo”), il maggior nemico dell’ecumenismo. Nel suo Diario, alla data del 23 aprile 1933, troviamo questo pensiero: «Non c’è maggior nemico dell’Immacolata e della sua Milizia che l’ecumenismo di oggi: ogni Cavaliere lo deve non solo combattere, ma anche neutralizzare con azioni diametralmente opposte e alla fine distruggere». Cfr in proposito :
    https://apostatisidiventa.blogspot.it/2018/01/il-maggior-nemico-dell-ecumenismo-di.html
    https://intuajustitia.blogspot.it/2018/01/combattere-frontalmente-lecumenismo.html

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  4. Seguendo lei non puoi smarrirti, pregando lei non puoi disperare. Se lei ti sorregge non cadi, se lei ti protegge non cedi alla paura, se lei ti è propizia raggiungi la mèta.

    (San Bernardo da Chiaravalle)

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  5. il fatto stesso che dei cattolici praticanti si debbano porre il problema di, quanto meno, ipotizzare, un convegno sui "limiti" dell'infallibilità, è un pessimo segno. Ai tempi di Pio XII, già solo che ne avesse parlato, lui per primo si sarebbe sentito in odore i Gallicanesimo.

    Non sono d'accordo e anzi trovo che se ai tempi di Pio XII si fosse discusso di questo invece di richiedere solo obbedienza e basta, certi problemi magari non sarebbero sorti e comunque i fedeli sarebbero stati vaccinati in anticipo contro i mali che sono poi intervenuti. E non solo i fedeli.
    Il pessimo segno è che si debba correre ai ripari e che tanti non si sono ancora accorti che i buoi sono già scappati.

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  6. La collegialità è un concetto del mondo moderno, che non ha senso applicare ad istituzione che dovrebbe essere eterna come la Chiesa. Si sta creando un clima da tribunale, o da istituto scolastico, con ricorsi, verbali, provvedimenti disciplinari, "collegio dei docenti"....non sembra più Santa Romana Chiesa, ma i decreti delegati degli anni '70!!! È chiaro che il problema sta nel vertice...queste stesse discussioni non dovrebbero neanche esistere, se il vertice si comportasse correttamente....ci volevano duemila anni ed un perito chimico per cadere così in basso!

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  7. Troppi fatti intollerabili ed inspiegabili negli ultimi decenni, a cui sono state date spiegazioni melense ed insultanti per l'intelligenza di un adulto di medie capacità...la fine di GPI, il 13 maggio 1981, il terzo segreto manipolato, la finta leucemia mortale fulminante di BXVI (buon per lui, è ancora vivo e vegeto), l'elezione di questo "soggetto" (non saprei come altro definirlo) che rotea gli occhi mostrando foto di guerre.. Non c'è un solo argomento su cui non ci abbiano mentito. Ormai la commedia è stata sgamata.. Vedremo che succederà.

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  8. … praticamente

    è come se un popolo, di fronte all’usurpatore, invece che costringere l’usurpatore a lasciare il trono libero per il legittimo re, sostituisse il trono con una seggiola,

    è come se usassimo un martello per uccidere una zanzara che abbiamo sulla testa,

    Anna

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  9. Un fatto "unico nella storia della Chiesa". A chi ricorda che Papa Francesco, in quanto Pontefice, è infallibile, Alessandro Meluzzi sul Tempo contrappone un semplice, e proprio per questo spiazzante ragionamento: "Il problema è che questo papa parla molto, anzi moltissimo, mentre si guarda bene dal emettere pronunciamenti davvero significativi in materia di fede". A differenza, per esempio, del suo predecessore

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  10. Dalla Bolla Pontificia di Papa Paolo IV
    "Cum ex apostolatus officio"

    "Noi, riteniamo che una siffatta materia sia talmente grave e pericolosa che lo stesso Romano Pontefice, il quale agisce in terra quale Vicario di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo ed ha avuto piena potestà su tutti i popoli ed i regni, e tutti giudica senza che da nessuno possa essere giudicato, qualora sia riconosciuto deviato dalla fede possa essere redarguito, e che quanto maggiore è il pericolo, tanto più diligentemente ed in modo completo si deve provvedere, con lo scopo d’impedire che dei falsi profeti o altre persone investite di giurisdizione secolare possano miserevolmente irretire le anime semplici e trascinare con sé alla perdizione ed alla morte eterna innumerevoli popoli, affidati alle loro cure e governo per le necessità spirituali o temporali; né accada in alcun tempo di vedere nel luogo santo l’abominio della desolazione predetta dal Profeta Daniele desiderosi come siamo, per quanto ci è possibile con l’aiuto di Dio e come c’impone il nostro dovere di Pastore, di catturare le volpi indaffarate a distruggere la vigna del Signore e di tener lontani i lupi dagli ovili, per non apparire come cani muti che non hanno voglia di abbaiare, per non subire la condanna dei cattivi agricoltori o essere assimilati al mercenario."

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  11. Redarguito, se necessario, anche per i suoi silenzi, sempre più colpevoli

    Stanno accadendo cose sempre più gravi nella Santa Chiesa visibile. Chi ha seguito gli ultimi interventi apparsi nel sito 1Peter5 avrà notato che essi sono stati dedicati alle aperture in favore del riconoscimento dell'omosessualità, sempre più numerose negli ultimi tempi, in particolare nella Gerarchia tedesca, dal card. Marx a vari vescovi. L'ultima è quella di un importante ecclesiastico che chiede si elabori una sorta di "benedizione" per le coppie omosessuali. Non un "matrimonio" ovviamente ma una "benedizione", una cerimonia ad hoc, da elaborare ex novo. Simili "benedizioni" già vengono praticate in varie parti della cattolicità, ma nei confronti di coppie eterosessuali irregolari, se così posso dire.
    La Chiesa deve ora "benedire" anche le convivenze omosessuali? E perché? Perché, ci continuano a dire questi ecclesiastici indegni, nel fenomeno dell'omosessualità ci sono aspetti positivi che dovrebbero esser riconosciuti, c'è amore, dedizione, etc.
    Di fronte a queste enormità, il Papa tace. Ma i cardinali e i vescovi? Tutti zitti anche loro. Vale a dire: un cardinale o un vescovo potrebbe pure dar nella voce ai vescovi o cardinali che si permettono di far dichiarazioni del genere, chiamandoli per nome e cognome.
    Questo silenzio, nel quale si sente crescere sempe di più l'ira divina su tutti noi, è veramente terribile. Procura un diffuso senso di impotenza ma fa anche venire il sangue agli occhi. Un giorno, forse prossimo, finirà in questo modo, se chi di dovere continuerà a tacere: "Allora parlerà loro nella sua ira,/ e nel suo furore li renderà smarriti" (Sal., 2, 5). PP

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  12. @ Anonimo 14:18 "Non c'è un solo argomento su cui non ci abbiano mentito" : è bello leggere pareri che coincidono totalmente con il mio punto di vista, mi sento confermato nel mio personale "discernimento" (non per mio merito, ma unicamente per Grazia Divina). Non parlo qui di papi veri o falsi, legittimi od usurpatori, conoscendo il parere irremovibile della nostra beneamata dottoressa Guarini, ma è chiaro come il sole che il Vaticano è da decenni u covo di vipere. Ricordo quanto mi disse un mio vicino di letto, in ospedale, circa 10 anni or sono "mio fratello, direttore all' Angelicum di Roma, fu proposto per una promozione e per il suo trasferimento alla Curia Vaticana; rifiutò decisamente, dicendo che non ci sarebbe andato per niente al mondo, dato che, disse esplicitamente, il vaticano è un covo di vipere". Detto non da un mangiapreti, da un anticlericale, da un pannelliano, è da crederci sicuramente. Dare fede, poi, a tutto ciò che esce da un simile posto, quindi, è veramente da creduloni, ,oltre che da ignoranti della retta dottrina. La falsa obbedienza, "il colpo da maestro di satana", come diceva mons. Léfèbvre, lui sì che era un sant'uomo. pace e bene a tutti.

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  13. Scherzi a parte (ma quei versi non sono scherzi), il fatto stesso che dei cattolici praticanti si debbano porre il problema di, quanto meno, ipotizzare, un convegno sui "limiti" dell'infallibilità, è un pessimo segno.

    Ho letto i pezzi di Cesare Baronio e PP e comprendo il rischio (specialmente ricordando che, da tempo, penso che Francesco, quando penserà di aver adempiuto al caos che doveva portare, sarà il primo a depositare una mina per depotenziare i successori). Tuttavia quei commenti si configurano come proposte per evitare che il convegno deragli; non capisco invece l'ostilità preventiva al convegno, visto che a) i limiti dell'infallibilità esistono e lo sappiamo e b) non sappiamo ancora né il titolo, né il programma, né i partecipanti.

    Dico solo una cosa: il dogma dell'infallibilità papale è immutabile, tuttavia come tutti i dogmi è chiaro che di esso va precisata la portata, anche in realzione a problemi specifici del contesto temporale. Lo stesso Pio IX apprezzò quell'iniziativa dei vescovi prussiani di cui si è parlato più volte: essa era relativa ad un problema pertinente all'epoca. All'epoca non si pensava a: papi che concedono interviste a chicchessia, papi che appaiono in una specie di orribile diretta televisiva perenne, papi che raccontano barzellette e vengono riportate tempestivamente via Twitter. Non è dunque assolutamente necessario che se ne parli? Oltretutto una cosa è il Primato Petrino inteso come piena potestà di dirimere definitivamente certe questioni della Chiesa ed essere garante dell'unità dottrinale e spirituale, altro è inteso come essere l'unico ed indiscusso protagonista della scena mediatica. Anche di questo si dovrebbe discutere.

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