Intanto leggiamo che su scala mondiale, dopo inglese spagnolo e cinese, l'italiano è la quarta lingua più studiata, prima del francese. Una classifica ormai consolidata dal 2014-2015.
Il vicepresidente della Camera Rampelli e i suoi ddl per tutelare il nostro idioma: "No all'omologazione linguistica"
Si celebra oggi (21 febbraio) la Giornata internazionale della lingua madre. Questo appuntamento può sembrare solo l’ennesima occasione in cui drappelli di attivisti progressisti ostentano il loro esotismo caritatevole, nella fattispecie verso idiomi parlati da qualche tribù in via d’estinzione in qualche sparuto angolo del pianeta. E invece la Giornata richiede a tutti noi, italiani, una profonda riflessione sul destino, nel mondo globale, che si profila per la nostra come per le altre lingue identitarie dei popoli. Una riflessione di questo tipo l’ha fatta da tempo il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, che ha presentato nei mesi scorsi due ddl che chiedono di “salvaguardare la lingua italiana come patrimonio prezioso da tutelare”. L’esponente di Fratelli d’Italia un mese fa ha dato concreta testimonianza della sua premura: presiedendo i lavori dell’Aula, ha sostituito da un testo degli uffici i termini “marketing” con “commercializzazione” e “web” con “rete”. In Terris lo ha intervistato.
Vicepresidente, cosa prevedono i suoi due ddl a difesa della lingua italiana?
“Una proposta è di lungo respiro, cerca di intervenire sulla Costituzione italiana che, a differenza di quelle di altri Paesi occidentali, ignora clamorosamente la lingua italiana come lingua del popolo italiano. È una correzione solo apparentemente formale. L’altra è una proposta di legge ordinaria, che segue dunque un percorso in teoria più breve, che serve ad incoraggiare l’uso, la diffusione e la difesa della lingua italiana, che è oggi presa d’assalto da una serie di convenzioni linguistiche prevalentemente di matrice anglosassone che stanno snaturando il nostro idioma. Si fa talvolta fatica, soprattutto in alcuni settori della società, a pensare in lingua italiana: spesso bisogna tradurre dall’inglese all’italiano”.
Come è stata accolta la sua istanza alla Camera?
“Diversi colleghi condividono questa battaglia, che nasce da una sensazione di fastidio dovuta soprattutto al fatto che persino leggi e decreti italiani hanno iniziato ad avere titoli e terminologie di matrice straniera. Non si tratta soltanto di salvaguardare cultura e identità, ma anche di affrontare un problema di accessibilità: gli atti pubblici dello Stato italiano possano arrivare anche a persone non adeguatamente istruite per poter comprendere vocaboli stranieri”.
Ha ricevuto sostegno da parte del mondo della cultura?
“C’è stata anche qualche resistenza, ma principalmente ho ricevuto sostegno. Soprattutto fondazioni e istituzioni che si occupano di lingua e letteratura italiana - penso alla Società Dante Alighieri e all’Accademia della Crusca - si sono fin da subito mostrate sensibili alla questione e hanno scelto di condividere questa battaglia mettendo a disposizione le loro professionalità”.
Quanto è importante il ruolo della Rai nella tutela della lingua italiana? “Questa battaglia non può essere efficace se non viene combattuta insieme a tutte quelle realtà che fanno cultura, prima tra tutte la Rai”.
È un ruolo, quello di difendere la lingua italiana, che il Servizio Pubblico a suo avviso sta svolgendo bene?
“Purtroppo il palinsesto della tv di Stato è pieno di trasmissioni e rubriche che hanno i titoli in lingua inglese: è un colpo al cuore. Dunque la Rai dovrebbe svolgere un ruolo di promozione e difesa della nostra lingua. Ma oltre alla Rai, anche altre Istituzioni dovrebbero contribuire adeguatamente: ricordo una campagna di arruolamento della Marina Militare, ai tempi in cui il ministro della Difesa era Roberta Pinotti, con lo slogan ‘join us’ (unisciti a noi, ndr); e ricordo che negli aeroporti e nelle stazioni siamo assaliti da vocaboli inglesi, non viene nemmeno contemplato il bilinguismo, dunque può capitare che scendiamo da un aereo in Italia e non troviamo cartelli con scritto ‘benvenuto’ bensì ‘welcome’”.
Si parla in questi giorni di un ddl che prevede una certa percentuale di musica italiana da trasmettere in radio…
“Tutti coloro i quali operano in Italia, come media e non solo, devono sentirsi responsabili della diffusione e della tutela della nostra lingua. La lingua italiana è la quarta più studiata al mondo e c’è anche la necessità di tener vivo un rapporto con il mondo cattolico, il cui linguaggio si basa prevalentemente sul latino da cui deriva l’italiano”.
Non teme di essere accusato di sciovinismo e, in un mondo globale, di intraprendere una battaglia contro i mulini a vento?
“Non c’è alcuno sciovinismo. Del resto dovremmo accusare altri Paesi occidentali che investono sulla propria lingua. Siamo una Nazione di grandi relazioni internazionali: il nostro cibo, il nostro stile, il nostro genio, la nostra musica, la nostra capacità manifatturiera sono apprezzati e imitati in tutto il mondo. Ma chi rappresenta la comunità nazionale ai massimi livelli politici e istituzionali è stato finora disattento alla difesa della nostra lingua: basterebbe iniziare ad usare termini italiani negli atti pubblici per dare un segnale”.
Dietro la diffusione di termini in inglese si cela anche il tentativo di annullare le differenze culturali tra i popoli?
“Nel mondo contemporaneo ruota tutto intorno all’economia, ogni anelito spirituale dell’uomo sembra essere stato relegato nella periferia della propria anima. Sicuramente c’è un tentativo di omologazione linguistica che ha una finalità economico-commerciale, perché rende più facile la circolazione di beni che sempre meno appartengono alle culture specifiche dei popoli e sempre più al mondo immateriale della grande finanza. Dunque difendere le lingue specifiche dei popoli significa arginare l’omologazione planetaria, che sarebbe una prospettiva triste, perché vedrebbe morire le differenze che da sempre costituiscono la ricchezza del mondo”.
Federico Cenci - Fonte
Nella musica e nella musica operistica in particolare bisogna, si finisce con lo studiare l'italiano.
RispondiEliminaSi studia l'italiano per poter leggere la Divina Commedia(che noi non conosciamo più).
La lingua del sì, che si pronuncia come si scrive, è sollievo per tutti i popoli con esubero di consonanti e trasformazioni di suoni vocalici vuoi per accenti, vuoi per abbinamenti di suoni.
La lingua del cuore, da purificare.
RispondiEliminaLa nostra lingua deve difendersi anche dall'assalto dei dialetti, non solo
da quello dell'inglese.
G.
Dialetti che in molti casi sono lingue a se stanti, con proprie regole grammaticali, vocabolario proprio e anche una letteratura, e che sono state loro a subire l"assalto dell'italiano
Elimina"La lingua che si pronuncia come si scrive" lo pensavo anch'io, ma un po' di discussioni con amici stranieri mi hanno fatto un po' riposizionare. Diciamo che la pronuncia è molto più semplice di altre lingue, ma non è proprio così immediata agli occhi di uno straniero.
RispondiEliminaSul rapporto con i dialetti le cose si fanno complesse. Da un lato non devono corrompere la lingua, ma dall'altro devono vivere pure loro.
RispondiEliminaI dialetti "da un lato devono vivere pure loro"...
Nessuno pensa ad abolirli, cosa del resto impossibile. Si vorrebbe solo
che non prendessero il posto della lingua, cosa che avviene quando
l'incoltura e l'ignoranza montano in cattedra, come oggi.
Che ne è stato dei programmi "scolastici" leghisti, con
Carlo Porta al posto del Manzoni e di Foscolo, per dire,
e le lezioni tenute in dialetto lombardo o veneto?
(Erano i tempi dei "matrimoni celtici" e del culto del "dio Po")
L'invasione dei dialetti a scapito della lingua è cominciata
con il Cinema, con gli eloqui romaneschi e napoletani,
più accenti che uso di dialetto vero e proprio.
Fenomeno di costume, sino alle degenerazioni della
c.d. "commedia all'italiana", una serie impressionante
di filmacci scollacciati e volgari, che tra l'altro ci ha
enormemente danneggiato all'estero, dove non è passato inosservata.
Dopo il fatto di costume, quello politico, con l'esaltazione
del dialetto affettata dai movimenti "leghisti" e antiunitari.
Le insegne stradali in italiano e dialetto locale, in Veneto
e altrove al Nord. Certo, se in Puglia facessero lo stesso,
dovremmo avere: Bari/Baere.
Ma va anche ricordata la decadenza dell'italiano in sé, se
solo si pensa a quanti professori, anche universitari, o
magistrati hanno lasciato cadere l'uso del congiuntivo e del condizionale,
e già a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso.
G.
https://www.maurizioblondet.it/n-esclusiva-grande-intervista-con-danilo-quinto-i-cattolici-che-cosa-hanno-fatto-hanno-dormito/
RispondiEliminaIN ESCLUSIVA: Grande intervista con Danilo Quinto: «I cattolici che cosa hanno fatto? Hanno dormito»
Maurizio Blondet 25 Febbraio 2019
Certo che non dobbiamo farlo morire !
RispondiEliminaLe genti del bel paese là dove 'l sì suona», (Inf. XXXIII, vv. 79-80) con il quale Dante si riferisce agli italiani, in un'epoca in cui l'Italia era ancora un concetto di là da venire.
http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/dolce-italiano-noi-snobbiamo-altri-studiano-1651399.html
RispondiEliminaIl "dolce" Italiano? Noi lo snobbiamo, gli altri lo studiano
Semplifico. Con Dante abbiamo insegnato all'Occidente come si solletica la spalla di Dio grazie alla poesia; con Petrarca come si canta l'amore; con Marco Polo abbiamo dato istruzioni in merito al racconto del meraviglioso; con Machiavelli abbiamo decrittato l'arte della politica.
In sostanza, la lingua italiana ha filato il concetto di Europa. Dovremmo esserne fieri. Al contrario, i governi parlano di tutto tranne che dell'unica cosa che conta, l'affare culturale: vogliono mettere a tacere l'intelligenza con il reddito di cittadinanza, dovrebbero, piuttosto, regalare una biblioteca a ogni italiano che se la merita. Per fortuna, una ricerca pubblicata da «Ethnologue», che è una emanazione di SIL International sono evangelici, sede a Dallas mette le cose in chiaro: l'italiano è la quarta lingua più studiata al mondo. Dopo l'inglese colonizzatore, lo spagnolo, il cinese. Prima del francese. A fare il paragone con l'entità dei parlanti siamo poco più di 60 milioni, una toilette nel palazzo planetario il dato è impressionante. Uno scatto d'orgoglio (merito, soprattutto, dell'ottantina di Istituti Italiani di Cultura che organizzano corsi di italiano in ogni angolo del globo) che va custodito con cura. La lingua italiana, nonostante quelli che la sputtanano con anglicismi da dinosauro in frac, nonostante l'imperativo categorico, nelle scuole patrie, d'impartire l'inglese a go-go e l'informatica come oppio per cretini, piace. E molto.
Recentemente mi è capitato di andare a Oulu, estremità della Finlandia, a far chiacchiere sul Paradiso di Dante e vedere frotte di finnici a recitare la Commedia in perfetta dizione carducciana.
.....
Nessuno pensa ad abolirli, cosa del resto impossibile.
RispondiEliminaÈ che il problema è molto complesso, pare un equilibrio instabile: un eccesso è quello menzionato, dei dialetti che prevalgono da un lato - che poi spesso sono solo cadenze e sgrammaticature che inquinano l'italiano - ma d'altro canto se non vengono coltivati c'è il rischio che spariscano.
https://www.ilprimatonazionale.it/cultura/dante-italiano-6-espressioni-inventate-sommo-poeta-105890/
RispondiEliminaRoma, 24 feb – Un viaggio nel tempo, lungo la storia della lingua italiana. Come già visto in precedenza, molti termini del gergo quotidiano li dobbiamo al genio creativo di Gabriele D’Annunzio: scudetto, fusoliera, automobile ed il marchio Saiwa, per esempio, sono solo alcune delle sue invenzioni linguistiche. Ma precursore del Vate fu “il padre della lingua italiana” Dante Alighieri, coniando espressioni di cui ci si serve ancora oggi. Estrapolate soprattutto dal magnum opus La Divina Commedia, ecco i sei esempi più popolari e frequenti.
Un patrimonio prezioso
“Galeotto fu” è l’espressione esemplificativa tratta dal canto V della Divina Commedia, che narra le vicissitudini amorose di Paolo e Francesca: gli “amanti impossibili”. Anche “Belpaese” fu coniato da Dante. Sinonimo di Italia, così la definì nell’ottantesimo verso del penultimo canto dell’Inferno: “Bel paese là dove il sì suona”. “Stai fresco” è, inaspettatamente, pure un’invenzione Dantesca. Espressione gergale che sta per “aspetta e spera”, rintracciabile nel verso 117 del XXXIII canto dell’Inferno che così recita: “I peccatori stanno freschi”, rievocando le acque ghiacciate del lago Cocito. “Non mi tange” è invece meno frequente ma tuttora usata: estrapolata dalle parole di Beatrice, oggi sta per “non mi interessa”. Ben più diffusa è l’espressione “senza infamia e senza lode“: presente nel canto III dell’Inferno e riferita agli ignavi. Coloro che mai hanno agito e mai hanno osato, contrapponendosi nettamente al Memento audere semper di Dannunziana memoria. La suddetta frase, oggi equivale al “nulla di che”, esprimendo sostanziale indifferenza. Infine, troviamo “il gran rifiuto“: nel canto III, espressione proverbiale per descrivere la decisione di Celestino V di non proseguire il suo papato. Nel linguaggio quotidiano, si tratta di una frase versatile, adattabile ai più svariati contesti. “Vassene ‘l tempo e l’uom non se n’avvede”, scriveva lo stesso Dante. Il tempo passa e l’uomo non se ne accorge: ma il patrimonio linguistico da lui ereditato, resta preziosamente presente.
Anche la musica italiana è un patrimonio nazionale ed è giusto promuoverla e aiutare gli autori emergenti.
RispondiEliminaIl giorno, poi, in cui qualcuno avrà il coraggio di alzare il velo sui poteri che controllano le produzioni e distribuzioni musicali mondiali, si capiranno tante cose...
https://www.corriere.it/cronache/19_febbraio_26/mogol-sostiene-radio-sovranista-proposta-lega-si-battaglia-valorizzare-musica-italiana-7c5a5590-39ba-11e9-a27a-3688e449a463.shtml
Bravo anonimo 16.58, la musica italiana e' un grande patrimonio mondiale che trattiamo da schifo.
RispondiEliminaBasti pensare che la lingua 'ufficiale' dell'opera lirica è l'italiano, studiata dai cantanti d'opera proprio per entrare nello spirito di esse quando cantano quelle storie.
Perché grandi compositori italiani, come Verdi, Rossini, Puccini, hanno reso grande l'opera lirica.
Solo gli italiani sono capaci di trattare così male il proprio immenso patrimonio culturale.
Amare e studiare musica e farne un lavoro, vuol dire essere pronti alle ristrettezze economiche, perché non venendo valorizzata la musica vengono ancor meno valorizzati e pagati adeguatamente i musicisti.
Come i professori di liceo, gli archeologi e tutti coloro che fanno della cultura la loro attività di vita.
Tra l'altro in una nazione che, invece, dovrebbe farne il settore di punta.
L'esatto opposto di quello che l'Italia dovrebbe fare.
Complimenti quindi all'on. Rampelli, è un inizio.
Fino a ieri la proposta della lega era propaganda. Poi è arrivato Mogol....
RispondiEliminaDante ispiratore della rinascita nazionale, non solo nella lingua
RispondiEliminaDa: Giovanni Gentile, "L'eredità di Vittorio Alfieri", in G. Gentile, "Opere", XVII, Sansoni, Firenze, 1964.
[Con Alfieri si inizia il nostro "risorgimento" in senso spirituale, innanzitutto come riscatto morale, ribellione contro l'Italia decaduta e sottomessa allo straniero, anche
economicamente, da tutti disprezzata, immersa in una vita provinciale, mediocre, conformista.
"In Alfieri infatti risorge il senso dantesco della potenza dell'individuo, che ha coscienza di sé nella sua solitudine.
O gran padre Alighier, se dal ciel miri
Me tuo discepol non indegno starmi
Dal cor traendo profondi sospiri,
Prostrato innanzi a' tuoi funerei marmi,
Piacciati, deh ! propizio a'bei desiri
D'un raggio di tua luce illuminarmi
... "
Egli sovrasta alto, solo. Intorno, la morte. Ma in lui è la sorgente d'una nuova vita. In lui, che non può fare, ma scrive; e delle lettere, sottratte alla tiranna protezione dei principi, fa scuola di libertà, strumento della creazione d'un popolo. "
(Gentile, op. cit., p. 88).
https://grecolatinovivo.it/firenze/dettagli-corso-332-lilivm-2019-bidvvm-florentinvm-latinitatis-vivae.htm
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