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domenica 23 luglio 2023

Domenica ottava dopo la Pentecoste

Domenica ottava dopo la Pentecoste

Intróitus
Ps.47,10-11 - Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terrae: iustítia plena est déxtera tua.
Ps. 47, 2 - Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitáte Dei nostri, in monte sancto eius. Glória Patri... Ps.47,10-11 - Suscépimus, Deus,...
Introito
Sal. 47, 10-11 - Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia. Sal. 47, 2 - Grande è il Signore, e degnissimo di lode nella sua città e nel suo santo monte. Gloria al Padre… Sal. 47, 10-11 - Abbiamo ricevuto, o Dio...

All'ufficio.
Questa Domenica veniva chiamata, nel medioevo, sesta e ultima Domenica dopo la Natività degli Apostoli o festa di san Pietro, negli anni in cui la Pasqua toccava il suo punto estremo in aprile. Essa non era invece che la prima della serie domenicale cosi denominata quando la Pasqua seguiva immediatamente all'equinozio di primavera.
Abbiamo visto che a motivo dello stesso moto così variabile impresso a tutta l'ultima parte del ciclo liturgico dalla data di Pasqua, questa settimana poteva essere già la seconda della lettura dei libri Sapienziali, benché il più delle volte vi si debba continuare ancora quella dei libri dei Re. In quest'ultimo caso, è l'antico tempio innalzato da Salomone alla gloria di Dio che attira oggi l'attenzione della santa Chiesa; e i canti della Messa sono allora in perfetta armonia con le lezioni dell'Ufficio della notte.

Messa
EPISTOLA (Rm 8,12-17). - Fratelli: Noi non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne. Se quindi vivrete secondo la carne, morrete; se invece collo spirito darete morte alle azioni della carne, vivrete, essendo, tutti quelli che son mossi dallo spirito di Dio, figli di Dio. Difatti, voi non avete ricevuto lo spirito di servitù per nuovo timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione in figli, pel quale gridiamo: Abba (Padre). Questo stesso spirito attesta allo spirito nostro che noi siamo figli di Dio. E se figlioli, siamo anche eredi: eredi di Dio e coeredi di Cristo.
Il programma della vita soprannaturale.
"Se lo Spirito di Dio è il legame della nostra unione con Nostro Signor Gesù Cristo, se è l'anima della nostra nuova vita, il soffio e l'ispiratore di tutte le nostre opere, spetta dunque a lui dare dappertutto l'inizio. A dispetto di quella parte di concupiscenza che il battesimo ha lasciato nelle mie membra per obbligarmi a combattere, non ho più nulla a spartire con la carne e la vita di un tempo. Dio non voglia che io torni indietro e che, ingannato dall'egoismo, mi sottragga allo Spirito di Dio per riappartenere ad opere di morte! No. Dopo essere entrato nell'intimità di Dio, sarebbe insensato distogliermi dalla Tenerezza, dalla Beltà, dalla Purezza; e per chi e per che cosa? Ormai, la carne non ha più nulla a esigere da me. Essa viene troppo tardi. Onde vivere eternamente, ridurrò di giorno in giorno e porterò fino alla completa eliminazione, se è possibile, tutto ciò che in me si erge contro la vita di Dio. I veri figli di Dio - dice l'Apostolo in una incomparabile sentenza - sono quelli che si lasciano guidare dallo Spirito di Dio. Tutta la vita soprannaturale che ha inizio con la fede e il battesimo, si riporta alla docilità, alla malleabilità, all'abbandono, agli influssi dello Spirito di Dio" [1].
VANGELO (Lc 16,1-9). - In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: C'era un ricco il quale aveva un fattore che fu accusato davanti a lui come dissipatore dei suoi beni. Ed egli, chiamatolo, gli disse: Che è mai quello che sento di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più tenerla. E il fattore disse fra sé: E ora, che farò, che il padrone mi leva la fattoria? A zappare non son buono, a elemosinare mi vergogno. So ben io che farò, affinché, levata che mi sia la fattoria, ci sia chi mi riceva in casa sua. Chiamati pertanto ad uno ad uno i debitori del padrone, disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? E quello rispose: Cento barili d'olio. Ed egli: Prendi la tua scritta, siedi presto, e scrivi cinquanta. Poi chiese ad un altro: E tu quanto devi? E quello: Cento staia di grano. Gli dice: Prendi la tua carta, e scrivi ottanta. E il padrone lodò il fattore infedele perché aveva agito con accortezza; ché i figli di questo secolo sono, nel loro genere, più avveduti dei figli della luce. Ed io vi dico: fatevi degli amici colle ricchezze ingiuste: affinché quando veniate a mancare, quelli vi ricevano nelle tende eterne.
Per acquistare le vere ricchezze.
"I vari termini della parabola che ci è proposta sono facili a comprendersi e racchiudono una profonda dottrina. Il Signore vuole insegnarci quale uso dobbiamo fare delle ricchezze di questo mondo. Descrive quanto avvenne a un economo poco scrupoloso, e quindi nei versetti 8 e 9 di questo capitolo XVI di san Luca ce ne fa l'applicazione morale: 'I figli di questo secolo - dice - sono più abili nei loro rapporti con la propria generazione, di quanto lo siano i figli della luce'. Come sarebbe fiorente, infatti, il Regno dei Cieli se i buoni attendessero ai loro interessi spirituali e alle cose della vita futura come i mondani ai loro interessi perituri! Se il padrone di casa, per quanto leso, ha potuto lodare l'abilità del suo intendente, come non si compiacerebbe Dio, che nulla può perdere, della prudenza soprannaturale dei suoi? Essi hanno infatti, nei beni terreni di cui ci si è parlato, la materia d'una industria per l'eternità. A voi che dovete essere illuminati, a voi che siete i figli non più di questo mondo tenebroso ma della luce, ecco quanto dico - soggiunge il Signore -: imitate sotto un certo aspetto l'economo ingiusto. Con il tesoro d'ingiustizia, con quella ricchezza mediante la quale l'intendente e tanti altri come lui offendono l'equità, voi potete procurarvi degli amici: quando la ricchezza materiale vi sarà tolta insieme con la vita, essi vi accoglieranno, non nelle case terrene, ma nei tabernacoli eterni. La preghiera del povero, infatti, mette in moto la mano che governa il mondo" [2].

Applicazione agli Ebrei.
Questo è il senso ovvio e diretto della parabola che ci viene proposta. Ma se vogliamo penetrare pienamente l'intenzione per cui la Chiesa ha scelto oggi questo passo del Vangelo, è necessario che ricorriamo a san Girolamo che se ne è fatto l'interprete ufficiale nella Omelia dell'Ufficio della notte. Continuiamo con lui la lettura evangelica: Chi è fedele nel poco - continua il testo sacro - è fedele anche nel molto, e chi è ingiusto nel poco lo è anche nel molto. Se voi dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà le vere? (Lc 16,10-11). Gesù parlava così - osserva san Girolamo - davanti agli scribi e ai farisei che lo deridevano, avendo ben inteso che la parabola era contro di loro. L'infedele nelle piccole cose è infatti l'ebreo invidioso che, nel campo ristretto della vita presente, rifiuta ai fratelli l'uso dei beni creati per tutti. Se dunque - vien detto a questi scribi avari - voi siete convinti di malversazione nella gestione di ricchezze fragili ed effimere, chi potrebbe affidarvi le vere, le eterne ricchezze della parola divina e dell'ammaestramento delle genti? Grave domanda, che il Signore lascia oggi in sospeso sul capo degli infedeli depositari della legge delle figure. Ma come, fra poco, sarà terribile la risposta!

Preghiamo
Concedi, o Signore, la grazia di pensare ed agire sempre secondo giustizia affinché, noi che non possiamo esistere senza di te, riusciamo a vivere secondo il tuo volere.
_______________________ 
[1] Dom Delatte, Epîtres de Saint Paul, I, 668.
[2] Dom Delatte, Evangile de N. S. J. C., II, 148.
(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 457-460)

4 commenti:

  1. Diciamoci la verità: una delle cose che fa più paura è di perdere quel che abbiamo.
    Così ci attacchiamo, tutti presi da questa vita qui, più certa dell'incerto al di là.
    Possiamo avere tanta fede, ma questa creaturalità ce la tiriamo dietro.
    Anche chi ha tanta fede nell'eternità finisce con l'accettare priorità mondane e terrene.
    Così si adora la natura al posto di Dio, non si prega perchè è più importante "fare", si acquista e si fa lavorare la domenica in barba al terzo comandamento, o per fare "volontariato" si salta la Messa festiva, si disonora il genitore fruendo della legge 104 il venerdì e poi partire, si ritiene accettabile l'aborto (anche dentro un vaccino insicuro, ma idolatrato per sfuggire a un rischio di morte dello 0,05% per ...influenza), si ritengono normali i rapporti prematrimoniali (oggi poi si ritiene superfluo il matrimonio...), si raccontano menzogne perchè pagati per farlo (in primis politici e giornalisti), ci si perde dietro desideri che sfiorano l'idolatria (proprietà, beni, lusso).

    La Luce del Signore è data a tutti.
    Chi ignora la Luce non viene abbandonato dalla Luce.
    La Luce non si vendica, punendolo.
    Però ignorare la Luce precipita nell'oscurità, con tutte le conseguenze del caso.

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  2. Cosa ci manca, oggi. Confidiamo nella Grazia!23 luglio, 2023 13:23

    Un amico mi chiese perché non si costruivano più Cattedrali come le gotiche famose, e gli dissi: “gli uomini di quei tempi avevano convinzioni; noi, i moderni, non abbiamo altro che opinioni, e per elevare una Cattedrale gotica ci vuole qualcosa di più che un’opinione”.
    (Heinrich Heine, 1797-1856)

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  3. Uno stimato lettore ha citato Paolo VI il quale disse, riguardo alla liturgia nuova, che " il disegno fondamentale della Messa rimane quello tradizionale, non solo nel suo significato teologico, ma altresì in quello spirituale" (Udienza 26/11/1969). Gli è stato risposto che se è tutto uguale a prima perché impelagarsi in una riforma così mastodontica? Ma, soprattutto, se la messa nuova è identica all'altra, perché tanto impegno ad estirpare quella antica? perché tanto odio verso di essa? Il lettore non ha risposto... Donfi.

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  4. SE L'INIQUITA', PER UNA SAGGIA DISTRIBUZIONE SI MUTA IN GIUSTIZIA, QUANTO PIU' LA PAROLA DI DIO SARA' CAPACE DI ELEVARE AL CIELO (S. GEROLAMO)

    Se il dispensatore dell’iniqua ricchezza è lodato dalla parola del padrone, poiché con cosa iniqua ottenne per sé clemenza, e mentre il padron tollera i furti a suo danno e loda la scaltrezza dell’amministratore che certamente nei suoi confronti agì fraudolentemente ma in modo accorto per sé, quanto più Cristo che non può ricevere alcuna perdita ed è sempre proclive alla clemenza, loderà i suoi discepoli, quando li vedrà trattare con misericordia quelli che devono credere in lui?

    Infatti dopo la parabola Gesù concluse: E io vi dico, fatevi degli amici col mammona di iniquità (Lc. 16,9). Mammona non è parola ebraica e nella lingua siriaca così sono denominate le ricchezze, quando siano raccolte con l’ingiustizia. Se dunque l’iniquità, per una saggia distribuzione si muta in giustizia, quanto più la parola di Dio, nella quale nulla vi è d’ingiusto, e di cui gli Apostoli hanno ricevuto l’ufficio della distribuzione, sarà capace, saggiamente dispensata, di elevare al cielo quelli che la dispensano?

    Per questa ragione Gesù prosegue: Chi è fedele nel poco, ossia nelle cose carnali, sarà fedele nel molto, ossia nelle cose spirituali. Chi infatti è iniquo nel poco da non permettere ai fratelli l’uso di ciò che Dio ha creato per tutti, questi sarà ingiusto anche nel distribuire la ricchezza spirituale sì da dispensare la divina dottrina non secondo la necessità ma per la qualità delle persone. Se quindi, Egli dice, non amministrate bene le ricchezze carnali, che passano, chi vi presterà fede quando dispenserete le vere ed eterne ricchezze della divina dottrina?



    VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE

    Lc.16,1-9

    S.GEROLAMO,
    Epistula 151 ad Algas, quaest. 6, t.3

    Breviario Romano, Mattutino, Letture del III Notturno

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