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lunedì 8 gennaio 2024

Padre Spadaro ha lasciato la cerchia principale del governo bergogliano

Res Novae, che ringrazio per la segnalazione, pubblica per concessione de L’Homme nouveau, un interessante articolo del 30 dicembre scorso.

Padre Spadaro ha lasciato la cerchia principale del governo bergogliano
Don Claude Barthe

A settembre è stato nominato Sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, dunque tra coloro che sono preposti a tutelare da vicino il papa: Padre Antonio Spadaro, gesuita di 57 anni, per quello stesso motivo ha lasciato la direzione della rivista La Civiltà Cattolica, incarico che occupava da 12 anni. Alcuni commentatori hanno subito ipotizzato ch’egli fosse caduto in disgrazia. A nostro avviso, ciò è poco probabile.

Antonio Spadaro, il comunicatore del papa
Padre Spadaro è un letterato divenuto gesuita. Ha completato i suoi studi a Chicago e conosce a meraviglia la letteratura contemporanea italiana e americana, si occupa con disinvoltura di musica ed arte contemporanea così come di cinema. Ha lanciato un progetto culturale, BombaCarta, che promuove iniziative di scrittura creativa e di produzione video.

È soprattutto uno specialista della comunicazione, da lui considerata in gran parte politica, materia che ha studiato e che insegna presso il Centro interdisciplinare di comunicazione sociale dell’Università gregoriana. Si interessa in particolare, da specialista, di nuove tecnologie comunicative e della loro influenza sociale… e spirituale: ispira il pensiero di quegli amministratori, che conciliano spiritualità ed innovazione tecnologica. È un virtuoso dell’animazione dei siti Internet: oltre ad un sito personale, anima un blog consacrato alla cyberteologia ed un altro dedicato alla scrittrice di romanzi americana Flannery O’Connor.

Questo brillante personaggio è divenuto nel 2009, sotto Benedetto XVI, direttore de La Civiltà Cattolica, un mensile gesuita con sede nella romantica Villa Malta, sul colle del Pincio, organo ufficioso della Segreteria di Stato. Ogni articolo della rivista viene, infatti, attentamente esaminato dai responsabili della Segreteria di Stato. Ma tale supervisione è puramente formale, quando la rivista viene posta sotto il vincastro di un uomo tanto influente qual è Spadaro.

È divenuto tale con l’elezione di papa Francesco, organizzando nel settembre 2013 un’intervista di trenta pagine, apparsa contemporaneamente sulle riviste culturali gesuite di sedici Paesi in Europa ed in America, ciò che ha fatto grande scalpore e che ha avuto il valore di un’enciclica informale per l’apertura del pontificato. Il tema principale riguardava un ammorbidimento della morale in nome della misericordia, in particolare nei confronti delle persone divorziate «risposate» e delle persone omosessuali.

L’importanza assunta pertanto dalla comunicazione nell’ambito del pontificato è stata resa manifesta con la creazione nel 2015 del Dicastero per la Comunicazione, il cui Prefetto è attualmente un laico, Paolo Ruffini, e dove Spadaro è di casa. Questo Dicastero raggruppa e supervisiona tutti gli organi di comunicazione della Santa Sede, Sala Stampa, Libreria Editrice vaticana, ufficio Internet del Vaticano, Tipografia vaticana, Centro Televisivo Vaticano e L’Osservatore Romano. Inoltre, la direzione di questo giornale, organo ufficiale della Santa Sede, è stata affidata ad Andrea Monda, scrittore amico di Antonio Spadaro, dopo l’eliminazione di Giovanni Maria Vian, uomo del cardinal Bertone, Segretario di Stato di Benedetto XVI.

Antonio Spadaro e i grandi cantieri del pontificato
La penna del sottile Spadaro si ritrova in documenti importanti del pontificato, in particolare nella Querida Amazonia qui. Questa esortazione pontificia, pubblicata dopo l’assemblea del Sinodo sull’Amazzonia, proponeva una visione laicizzata della Chiesa, fondamentalmente ostile al «clericalismo» e tale, di fatto, da andare oltre ed eventualmente includere la problematica dei preti sposati in una prospettiva più ampia.

Ma è per il grande progetto del pontificato bergogliano, quello di ammorbidire la morale coniugale, che Padre Spadaro è rimasto ai posti di manovra con mons. Victor Manuel Fernandez, divenuto arcivescovo de La Plata, poi cardinale-prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, col cardinal Lorenzo Baldisseri, che è stato Segretario generale del Sinodo ma che oggi ha raggiunto i limiti di età, con l’arcivescovo di Chieti, Bruno Forte, due volte Segretario speciale dell’assemblea del Sinodo, e con mons. Marcello Semeraro, vescovo della sede suburbicaria d’Albano, Presidente della commissione episcopale per la dottrina della fede presso la Conferenza episcopale italiana e segretario del gruppo di cardinali incaricato di consigliare il papa nel governo della Chiesa e nella riforma della Curia.

Dopo le due assemblee del Sinodo, straordinaria e ordinaria, nel 2014 e nel 2015, essendo il cardinal Baldisseri al comando, è stata pubblicata l’esortazione apostolica Amoris lætitia del 19 marzo 2016, esortazione che ha inteso esporre l’attuale posizione della Chiesa cattolica sulla famiglia e sulla vita coniugale e che ha definito il criterio per l’accesso ai sacramenti da parte dei divorziati risposati.

Della sinodalità si è discusso dapprima in un seminario di esperti organizzato nel 2015 da Padre Spadaro, che ha riunito in particolare le star della teologia progressista come Dario Vitali dell’Università gregoriana, Alphonse Borras di Lovanio, Gilles Routhier di Laval, in Québec. Ne è sortita un’opera, diretta da A. Spadaro e Carlos María Galli, teologo argentino, La riforma e le riforme nella Chiesa[1]. Poi, i contributi di una «ricerca» condotta da La Civiltà Cattolica sono stati messi a disposizione dei lettori francofoni in Des chemins de réforme [Sui cammini di riforma], a cura di A. Spadaro[2].

Un estratto delle riflessioni emerse in questi laboratori di idee, più o meno orchestrati dal direttore della rivista gesuita, si trova nel capitolo dedicato alla «sinodalità missionaria della Chiesa» nel documento finale dell’assemblea del Sinodo sui giovani: «[L’esperienza della corresponsabilità vissuta con i giovani] chiama la Chiesa a praticare la sinodalità come modo di essere e di agire, promovendo la partecipazione di tutti i battezzati e delle persone di buona volontà, ognuno secondo la sua età, stato di vita e vocazione (n. 119)».

Il Dicastero per la Cultura
È molto probabile che sia stato lo stesso gesuita siciliano ad aver voluto entrare a far parte del Dicastero per la Cultura, diretto dal cardinale José Tolentino de Mendonça. Certo, vi ricopre solo il ruolo di Sottosegretario, accanto ad un altro Sottosegretario, una donna, Antonella Sciarrone Alibrandi, specializzata in diritto bancario. Ma questo Dicastero, in via della Conciliazione, Dicastero che eredita il Consiglio per la Cultura diretto dal cardinal Ravasi, è una delle principali fucine intellettuali della sinistra curiale.

Il suo prefetto, il cardinale Tolentino de Mendonça, non è, del resto, un personaggio secondario. Portoghese di Madera, biblista di formazione, poeta divenuto l’idolo dell’intellighenzia cattolica lusitana, legatissimo alla teologa femminista Teresa Forcades, benedettina di Montserrat, ha la stessa età di Spadaro. Entrambi, dai profili altamente compatibili, hanno la stessa preoccupazione, condivisa da tutti i membri dei circoli di potere romano: rendere irreversibile l’ingresso della Chiesa in questo aggiornamento perpetuo, ch’essi promuovono da dieci anni.
Don Claude Barthe
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[1] in Biblioteca di Teologia Contemporanea, Queriniana, Brescia 2016.
[2] Parole et Silence, 2018.

13 commenti:

  1. I servi dell'élite globalista e anticristica - come ben la definisce Mons. Viganò nell'intervista prima pubblicata - stanno riuscendo in tutto. Secondo me, nessuno può scompaginare i piani dell'élite. Sempre salvo il solito miracolo.

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    1. Si potrebbe dire che, fatti i debiti distinguo, nella sostanza va come sempre: per quanto vi siano uomini e donne che si agitano per prendere il posto di Dio, alla fine risalta davanti al mondo che Dio non dormiva. O meglio non dorme. Mai.
      Valeria Fusetti

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  2. Cristiano Andreatta:
    Uno dei problemi più seri che il cristianesimo deve superare è la trasformazione della teologia in ateologia.
    Si scrivono troppi libri, si versano fiumi di parole per parlare di Dio, si produce un mare di “teologia” che, invece di mostrare Dio, Lo nasconde, Lo nega, Lo rifiuta. È una “teologia” che corrisponde alla critica delle religioni fatta già da Senofane: rivela infatti la tendenza dell’essere umano non a voler conoscere Dio e a entrare in contatto con Lui, ma piuttosto a immaginarselo/crearselo/modificarselo a misura delle proprie voglie e dei propri desideri.
    Alla volte, persino la parola “aggiornamento” (o “adattamento” o “inculturazione”) finisce per significare proprio questo: “Figlioli, siate liberi di dipingervi il dio che più vi si confà”.
    Ora, se sono tanto folle da credere in Dio – e in un Dio personale – allora devo accettare che Dio è indipendente da me, che non è come voglio io, ma semplicemente è, indipendentemente da me e dai miei desideri.
    Per questo la Rivelazione, il dogma, sono tanto fondamentali: non perché siano la repellente decisione di qualche Papa mezzo ammattito o di qualche Concilio di sadici maniaci riunitosi chissà quando, chissà dove, per imporre ai poveri cristi pesi insopportabili. No, la Rivelazione è semplicemente Dio che mi parla, che ci parla: e dice di sé, di noi, della realtà. Si mostra.
    Alle volte noi ci si lamenta: “Ma Dio non parla mai!”. Ma non è affatto vero: Dio parla anche troppo, se vogliamo (qualche migliaio di pagine di Bibbia non son mica poche!). È che non Lo vogliamo ascoltare. “Ah, ma questo non è bello!”, “ah, ma questo non mi piace!”. Beh, il discorso è diverso, allora: non è che Dio non parla: è che non piace quello che dice. E allora, piuttosto che essere sincero con Lui, preferisco rivolgermi al teologo-azzeccagarbugli di turno per sentirmi dipingere il “buon Gesù” che piace a me.
    Se amo Dio, dovrei amare ogni Parola, ogni momento in cui Lui si è rivelato, si è mostrato. Non perché io ami il concetto o l’idea in sé, ma perché attraverso quel dogma, attraverso quell’insegnamento io Lo conosco, io imparo chi è: e allora posso amarLo. È un rapporto d’amore, la fede: Lui mi parla e io Gli parlo. Ma se quando Lui mi parla allora non l’ascolto o mi metto a contestarlo (sia pure subdolamente), che cavolo di rapporto d’amore è? Se mi metto a spiegare a Dio i Suoi errori e a corregerLo?
    E quanta poca teologia, oggi, sembra davvero incapace di ascoltare Dio e parlare di Lui. «Crederò a questi teologi quando li vedrò veramente bruciati, consumati dallo zelo per la salvezza del mondo. Tutto il resto è retorica» diceva Barsotti. E troppa teologia è appunto esercizio retorico, che impiega migliaia di pagine per descrivere il (proprio) nulla. La teologia allora non non nasce e non vive più del desiderio di Dio, ma di grandi impalcature analitiche, ideologia (quindi umana) e fissazioni cavillose. Non m’interessa più chi sia Dio, cos’abbia detto e (alla fine) se ci sia davvero: l’importante sono io (o noi), l’istituzione meramente umana, i rapporti di potere (che possiamo anche chiamare “servizio”, ma sempre potere rimane).
    È un problema di qualsiasi uomo religioso, sia che tenda al progresso, sia alla conservazione (e difatti, anche nella Chiesa non nasce oggi, non nasce ieri e non nasce neanche col Vaticano II: nasce con Adamo). E non è un semplice problema di volontà, perché si può benissimo voler conoscere e amare Dio con tutto sé stessi, ma adorare in realtà la propria immagine riflessa.

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  3. ...segue
    La Chiesa, mi sembra, dovrebbe porsi come priorità di rifiorire non quale giardino di eroica santità, non quale ferrea milizia che con rigorosa disciplina si avvia verso il Cielo, nemmeno come tenda per inconcludenti chiacchiere umane, ma – più umilmente – come luogo in cui si possa con semplicità incontrare e vivere l’irruzione dei divini misteri e della grazia nella storia dell’uomo. In fondo, non si tratta di “essere creativi”, ma di smettere di esserlo: in troppi siamo fissati su come arredare l’edificio ecclesiastico e ci divoriamo su quale stile, su quale tinteggiatura, su un muro da buttar giù, su un tramezzo da aggiungere. Perché non lasciare che l’edificio ecclesiale sia semplicemente riempito dalla Nube? Perché non vivere nella Chiesa senza voler spadroneggiare ovunque, ma con l’umiltà di chi sa che – fondamentalmente – la casa è Sua? Perché, semplicemente, non lasciar fare a Lui?
    Che non accada che Gli costruiamo un tempio (o una tenda), per poi sentirGli dire: “Da questo luogo Noi ce ne andiamo”.

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  4. Mah! Carpe diem.08 gennaio, 2024 16:29

    "ch’essi promuovono da dieci anni."
    Chi canta, chi suona, chi balla...che versatilita'!
    Che full di assi e re...

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  5. I legami tra Gesuiti e Massoneria datano da parecchio tempo, ormai (molti nomi eccellenti di gesuiti comparivano nella lista Pecorelli...tanto per ricordarlo a chi ha la memoria corta), tanto che si parla di loggia gesuitica.
    Se la Chiesa Cattolica si sta prostituendo al mondo lo dobbiamo anche e soprattutto a quell'area già sommersa e ora in piena "luce", che ha goduto delle effusioni gesuitiche.

    Gz

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  6. De plus en plus chaud, le Tucho. Torride, même. Comment tout cela va-t-il finir ?

    https://www.aldomariavalli.it/2024/01/08/ecco-il-libro-nascosto-di-tucho-fernandez-pornoteologia-con-la-scusa-della-mistica/

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  7. OT. Gentile Amministratrice del Blog. penso sia necessario dare la massima visibilità alla vicenda del libro pornografico di Tucho. Sarà stata una permissione del Signore per aprirci ulteriormente gli occhi su chi abbiamo a che fare...

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    1. È l'ennesimo SCANDALO, ma bene se ne parli.

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  8. C è poco da ridere, questa forse è l ultima zappata sui piedi che si sono dati da soli liberamente! Delirio di onnipotenza. Dio ci scampi e liberi dalla follia!

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  9. Grazie Areki. Più tardi provvedo...

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  10. Gesù ha detto: guai a chi è causa di scandalo, e Tucho con Bergoglio lo scandalo lo hanno firmato.

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