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giovedì 18 aprile 2024

Non abbiate paura / don Elia

Pax vobis. Ego sum. Nolite timere
(Lc. 24, 36). 
 
«Pace a voi. Io sono. Non temete».
Nel narrare l’apparizione di Gesù risorto agli Apostoli avvenuta nel Cenacolo la sera del giorno di Pasqua, san Luca riporta, oltre all’augurio riferito anche da san Giovanni (cf. Gv 20, 19), pure un’affermazione di capitale importanza e un’esortazione quanto mai opportuna.
Sant’Ambrogio (Expositio Evangelii secundum Lucam, X, 171) osserva che non sussiste discordanza tra i due Evangelisti, in quanto l’uno segue l’ordine fattuale degli avvenimenti, l’altro si eleva alla contemplazione del mistero che in essi si è manifestato.

Ben prima degli Illuministi con la loro vacua saccenteria, i Padri avevano notato – come chiunque può fare – le discrepanze esistenti tra i diversi racconti riguardanti la Risurrezione e le avevano spiegate in modo convincente. Ancora oggi sedicenti biblisti, negandone il carattere storico, pretendono di interpretarli come esposizioni storicizzanti di esperienze puramente interiori, contraddicendo così due millenni di insegnamento costante; è presto detto a chi è più ragionevole dare ascolto.

La pace del Risorto
E’ del tutto normale che testimonianze rese da più persone sul medesimo fatto discordino su dettagli secondari, dato che la memoria di ognuno adatta e rielabora i ricordi sulla base di criteri soggettivi; sull’essenziale, tuttavia, esse concordano, consentendo così di accertare la verità. Una ripetitività invariabile anche nei minimi particolari, al contrario, è sospetta e fa pensare a un accordo doloso tra i testimoni (come nel caso delle false apparizioni di Trevignano Romano, delle quali il Vescovo del luogo, monsignor Marco Salvi, ha dichiarato la non-soprannaturalità, del resto evidente a chiunque abbia un po’ di fiuto per le truffe). Una frode umana o un inganno diabolico, ad ogni modo, non potranno mai comunicare la pace che viene da Dio, quella pace soprannaturale che invade l’anima di chi si è lasciato riconciliare con Lui accogliendo con fede la grazia che scaturisce dal Sacrificio del Redentore, quella pace sovrumana che trascende ogni intelletto (cf. Fil 4, 7) e soltanto Gesù Cristo può donare, essendo Egli stesso la nostra pace (cf. Ef 2, 14).

Il termine pax, nel latino ecclesiastico, designa una realtà che supera la pax romana, fondata sì sul diritto, ma garantita dagli eserciti; esso indica – e al contempo proclama, instaura e diffonde, per mezzo dell’annuncio evangelico – il frutto del ristabilimento dell’ordine tra cielo e terra, avvenuto mediante la Croce.
Al termine della Veglia Pasquale, contemplando i ministri avvolti dalla nube di  incenso che saliva al canto del Magnificat, i fedeli si son sentiti trasportati in un altro mondo, quello di lassù disceso fra noi mortali a offrirci un assaggio dell’eternità che ci attende. La vera Liturgia, sia pure celebrata nella forma più semplice e con i mezzi più modesti, ha lo straordinario potere di far pregustare il Paradiso a chi vi prende parte.
I riti papali, sempre più squallidi e demoralizzanti, sono distanti un abisso da quella nobile semplicità che è capace di spalancare il cielo e di liberarci dalla cappa asfissiante del soffocante immanentismo della società odierna, confermato e rafforzato con assurda pervicacia da una gerarchia che non conosce più neppure la propria ragion d’essere.

Abbiamo la nausea di quell’irrazionale retorica che vuol farci accettare un’invasione come legittimo fenomeno migratorio, l’insicurezza sociale come arricchimento culturale, la sovversione familiare come tutela delle donne, il rischio di una guerra nucleare come difesa di una Nazione aggredita…
Siamo altresì oltremodo disgustati della strumentalizzazione dei riti più sacri per fini meramente propagandistici, con un’inversione di rapporti che offende la fede e la ragione di chi non si rassegna a perderle: come può il capo della Chiesa continuare a piegarsi all’umiliante compito di ripetitore dell’ideologia mondialistica? Non dovrebbe piuttosto pensare alla salvezza della propria anima, viste le sue condizioni di salute?
Quale ritorsione potrebbero infliggergli, a questo punto, se, prendendo la salutare decisione di ravvedersi, si sottomettesse al Signore? Farebbero forse emergere tutti gli scandali che ha finora coperto per proteggere i suoi complici? Sarebbe finalmente l’occasione di liberare la Sposa di Cristo dal cancro degli ecclesiastici corrotti che la violentano da decenni.

Il santo Nome di Dio
Non vogliamo una pace apparente fondata sulla menzogna, sull’assenso al pensiero dominante, su accordi negoziati tra individui che non riconoscono l’unico Sovrano né intendono farlo. Aspiriamo invece alla pace che Gesù solo può donare all’umanità, a condizione che essa si sottometta alla Sua amorevole signoria.
Nel comunicare agli Apostoli la vera pace, Egli proclamò il santissimo Nome di Dio, che al solo sommo sacerdote era lecito pronunciare, una volta entrato nel Santo dei Santi nel grande Giorno dell’Espiazione.
Con buona probabilità, il Messia crocifisso esalò l’ultimo respiro proprio nel proferire quell’Io sono con un forte grido, dando così compimento alla prefigurazione contenuta nel rito mosaico: Egli, quale Pontefice dei beni futuri, è penetrato nel santuario del cielo portandovi il proprio stesso sangue (ossia l’offerta della sua vita) quale irresistibile impetrazione di perdono per noi (cf. Eb 9, 11ss). Solo la pace ristabilita in senso verticale può garantire la pace in senso orizzontale, quando gli uomini accolgono il dono della Redenzione e obbediscono all’unico Salvatore, nel quale trovano la via, la verità e la vita (cf. Gv 14, 6).

L’unico dialogo interreligioso sensato e possibile, con questa premessa, si riduce a un’esortazione composta di tre parole: «Venite a Cristo!».
Il dialogo ecumenico, parimenti, sarà efficace soltanto se si potrà riassumere in una proposizione di tre membri: «Tornate alla Chiesa!». Questo, in fondo, è ciò che la Chiesa, mossa dall’amore dello Sposo, ha sempre fatto nel corso della sua storia: offrire ai non-cristiani la possibilità di conoscere il Figlio di Dio e di riceverne la grazia entrando in essa; chiamare i non-cattolici a rientrare nel Corpo Mistico.
Le trattative con le altre confessioni cristiane sono ormai miseramente fallite; la pietra tombale è calata con la Dichiarazione Fiducia supplicans. La missione verso i pagani è stata invece deviata verso problemi di ordine puramente temporale – spesso pure inesistenti, come la cosiddetta crisi climatica – e ridotta a proclami velleitari che non cambiano assolutamente nulla, se non lo stato d’animo di chi si lascia colpevolizzare senza ragione e ingaggiare in campagne socio-politiche intrise di chiacchiere e fumo…

Bando al falso timore
Nell’esortare gli Apostoli a non avere paura, il Risorto mostrò loro le piaghe della Passione sofferta per amore dei peccatori, le quali restano impresse per l’eternità nel Suo corpo glorificato. Guardando le mani e i piedi del Figlio traforati dai chiodi e il costato trafitto dalla lancia, il Padre ha sempre presente ciò che l’Unigenito ha fatto per noi al fine di acquistargli altri figli; noi possiamo quindi accedere in ogni istante con somma fiducia al trono della grazia per ottenere la Sua misericordia e trovare aiuto al momento opportuno (cf. Eb 4, 16). Purché non abusiamo di questa benevolenza, costata gli indicibili patimenti e la morte di croce dell’Agnello immacolato, abbiamo forse qualcosa da temere?
Tutto – ma proprio tutto – ciò che la Provvidenza dispone o permette, che ci appaia favorevole o avverso, è per il nostro bene; perfino un conflitto mondiale (da cui chiediamo nondimeno di esser preservati, qualora ci sia un altro mezzo di correzione) può servire al ravvedimento degli uomini sviati e confusi. Contemplando il Crocifisso alla luce della Risurrezione, nel baciargli le ferite vivificanti riconosciamo in qual modo siamo amati e cacciamo via ogni timore.

4 commenti:

  1. Non ebbe paura l'eretico modernista Buonaiuti, che oggi ghignerebbe sotto ai baffi vedendo questa "nuova Chiesa cristiana ecumenica, con la quale si sentiva partecipe in speranza e comunione", come risultò dal suo testamento spirituale.
    Non seppe attendere il momento opportuno, a differenza del suo sodale Roncalli, e di Montini e dei tanti, troppi pastori che da allora, in un crescendo rossiniano, non smettono di mescolare sacro e profano.

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  2. Quando Cristo diventa un predicato dell'uomo, quando Dio diventa un predicato dell'amore, allora abbiamo fatto fuori il cristianesimo.
    E senza neppure accorgercene.

    Deus Caritas est.
    Ma non ogni amore è Dio.

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  3. Lettera ai Romani 8,18 ss. da leggere perché è il culmine, il gemito del Creato.
    "Existimo enim quod non sunt condignae passiones huius temporis ad futuram gloriam, quae revelabitur in nobis. Nam exspectatio creaturae revelationem filiorum Dei exspectat. Vanitati enim creatura subiecta est non volens, sed propter eum, qui subiecit eam in spe; quia et ipsa creatura liberabitur a servitute corruptionis în libertatem gloriae filiorum Dei. Scimus enim quod omnis creatura ingemiscit et parturit usque adhuc. Non solun autem illa, sed et nos ipsi primitias Spiritus habentes, et ipsi intra nos gemimus adoptionem filiorum Dei exspectantes,redemptionem corporis nostri . Spe enim salvi facti sumus. Spes autem , quae videtur, non est spes, nam quod videt quis quid sperat? Și autem quod non videmus speramus, per patientiam exspectamus...."

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  4. @ Anonimo 11:48 : a proposito di Roncalli, amico e collega del modernista Enrico Buonaiuti, ricordo di aver letto che quando, da novello pontefice, Roncalli concesse un’intervista a Indro Montanelli (la prima che un papa concedeva ad un giornalista ateo) ad un certo punto il discorso cadde su papa Sarto, san Pio X, al che Montanelli esclamò “ha, il papa santo”; l’avesse mai detto ! Roncalli scattò, fece un salto sulla sedia, battendo il pugno sul tavolo ed esclamando “ma quale santo!”…poi, forse resosi conto di aver passato il limite di decenza pontificia, si ricompose, ma ormai la frittata era fatta e la sua insofferenza verso il grande papa trevigiano e la sua battaglia antimodernista apparve intutta la sua evidenza

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