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martedì 16 dicembre 2025

In Illo Tempore: 3ª Domenica di Avvento “Gaudete”

Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione di P. John Zuhlsdorf che ogni settimana ci consente di approfondire i tesori di grazia ricevuti nella domenica precedente qui. Importante anche per i riferimenti al superamento dei problemi attuali.

In Illo Tempore:
3ª Domenica di Avvento “Gaudete”

La Chiesa, mentre ci guida attraverso l'Avvento, lo fa con una pedagogia al tempo stesso sobria ed esultante, scandita da un ritmo che si accelera con l'avvicinarsi dei grandi misteri. Fin dalla prima domenica, quando il Signore è annunciato come ancora lontano ma certamente in arrivo, la liturgia – Messa e Ufficio – si fa sempre più pressante. L'orizzonte iniziale è escatologico.

La venuta di Cristo è inizialmente annunciata non come un tenero presepe, ma come l'Avvento del Giudice e Re. La seconda domenica acuisce questa attesa. Giovanni Battista, imprigionato e in attesa di morte, manda i suoi discepoli a interrogare Gesù sulla sua identità. La risposta di Cristo non consiste in definizioni astratte, ma in segni: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano. Sono segni messianici, ma anche escatologici. Riguardano la venuta di Dio, non solo del Messia. Ciò che accade ora, nella misericordia, anticipa ciò che accadrà universalmente al compimento di tutte le cose.

Nella terza domenica di Avvento, il canto della Chiesa cambia colore senza abbandonare la sua sostanza. L'introito canta "Rallegratevi sempre nel Signore... Gaudete in Domino semper", e le vesti rosa interrompono il viola. Eppure questa gioia non è un'interruzione completa della penitenza, né una caduta nel sentimentalismo. È gioia perché "prope est ... Egli è vicino". È vicino liturgicamente, con l'avvicinarsi della Natività. È vicino cronologicamente, con l'avvicinarsi della fine della storia a ogni istante che passa. È vicino sacramentalmente, misticamente, moralmente. La Chiesa non abbandona Giovanni Battista in questo momento. Al contrario, ce lo ripropone, ora nel Vangelo secondo Giovanni, dove viene interrogato dai messaggeri di Gerusalemme. "Sei tu il Cristo? Sei tu Elia? Sei tu il Profeta?", risponde Giovanni con austera chiarezza. Non è il Messia. Non è Elia ritornato in persona. È la Voce. “Ego vox clamantis in deserto: Dirigite viam Domini”, citando Isaia 40.

Questa continuità tra il Vangelo di Matteo della settimana scorsa e quello di Giovanni di questa domenica non è casuale. In Matteo, Cristo identifica Giovanni come "più che un profeta", come il precursore promesso, addirittura come l'Elia che doveva venire. In Giovanni, il Battista rifiuta un equivoco letteralista e si colloca precisamente all'interno del testo profetico. Egli è la voce, non la Parola. Prepara la via per un Altro. L'oracolo di Isaia inquadra così sia il primo che l'ultimo Avvento. "Nel deserto preparate la via del Signore, appianate nella steppa una strada per il nostro Dio". Le valli si innalzano. I monti si abbassano. Ciò che è tortuoso si raddrizza. I luoghi scoscesi diventano piani. Questa è misericordia ora. Sarà giudizio più tardi.

La strada del Signore verso di noi è spianata o dal pentimento e dalla grazia, o dall'irresistibile avvento del Re di terribile maestà.

Mi permettete di citare estesamente un sermone di Sant'Agostino d'Ippona (+430) predicato nel 413 per la festa della Natività di Giovanni Battista? Riguarda il contrasto tra il ruolo di Giovanni Battista, la voce che grida nel deserto, e quello di suo cugino, Gesù, il Verbo di Dio fatto carne. L'umiltà di Giovanni preparò la via del Signore.
Giovanni è la voce, ma il Signore è la Parola che era in principio. Giovanni è la voce che dura per un tempo; fin dal principio Cristo è la Parola che vive per sempre.

Togli la parola, il significato, e cos'è la voce? Dove non c'è comprensione, c'è solo un suono senza senso. La voce senza parola colpisce l'orecchio ma non edifica il cuore.

Tuttavia, osserviamo cosa succede quando cerchiamo innanzitutto di edificare i nostri cuori. Quando penso a ciò che dirò, la parola o il messaggio è già nel mio cuore. Quando voglio parlarti, cerco un modo per condividere con il tuo cuore ciò che è già nel mio.

Nella mia ricerca di un modo per far sì che questo messaggio ti raggiunga, affinché la parola già nel mio cuore possa trovare posto anche nel tuo, uso la mia voce per parlarti. Il suono della mia voce ti porta il significato della parola e poi svanisce. La parola che il suono ti ha portato è ora nel tuo cuore, eppure è ancora anche nel mio.

Quando la parola vi è stata trasmessa, non sembra forse che il suono dica: la parola dovrebbe crescere e io dovrei diminuire? Il suono della voce si è fatto udire al servizio della parola e se n'è andato, come se dicesse: la mia gioia è completa. Teniamo stretta la parola; non dobbiamo perdere la parola concepita interiormente nei nostri cuori.

Avete bisogno di una prova che la voce svanisca ma la Parola divina rimanga? Dov'è oggi il battesimo di Giovanni? Ha assolto al suo scopo, ed è scomparso. Ora è il battesimo di Cristo che celebriamo. È in Cristo che tutti crediamo; speriamo nella salvezza in lui. Questo è il messaggio che la voce ha gridato.

Poiché è difficile distinguere la parola dalla voce, perfino Giovanni stesso fu ritenuto il Cristo. La voce fu ritenuta la parola. Ma la voce riconobbe ciò che era, preoccupata di non offendere la parola. "Io non sono il Cristo", disse, "né Elia, né il profeta".

E la domanda arrivò: Chi sei, allora? Rispose: Io sono la voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via al Signore. La voce di uno che grida nel deserto è la voce di uno che rompe il silenzio. Preparate la via al Signore, dice, come se dicesse: "Parlo per condurlo nei vostri cuori, ma lui non sceglie di venire dove lo conduco io se non gli preparate la via".

Cosa significa preparare la via, se non "pregare bene"? Cosa significa preparare la via, se non "essere umili nei propri pensieri"? Dovremmo imparare da Giovanni Battista. È considerato il Cristo; egli dichiara di non essere ciò che pensano. Non approfitta del loro errore per accrescere la propria gloria.

Se avesse detto: "Io sono il Cristo", potete immaginare quanto facilmente gli avrebbero creduto, poiché credevano che fosse il Cristo ancor prima che parlasse. Ma non lo disse; riconobbe ciò che era. Indicò chiaramente chi era; si umiliò.

Vide dove risiedeva la sua salvezza. Capì di essere una lampada e temeva che potesse essere spenta dal vento dell'orgoglio.
«Raddrizzate la sua via!», grida il Battista.

Risuona con tanta forza il perenne ammonimento: confessatevi.

Il raddrizzamento può essere delicato ora, anche se comporta lacrime, riparazione e penitenza. Più tardi, Colui che raddrizza compirà il raddrizzamento Lui stesso. Eppure questa verità che fa riflettere non spegne la gioia. Al contrario, la fonda. C'è più di questo mondo. C'è il Paradiso. C'è la somma finale di tutte le cose "ut sit Deus omnia in omnibus ... affinché Dio sia tutto in tutti" (1 Cor 15,28). La ragione della gioia non si sta semplicemente avvicinando. La Ragione stessa si sta avvicinando.

L'esperienza umana del tempo rispecchia questa accelerazione. In finem citius.

Motus in fine velocior. Più ci avviciniamo alla fine, più le cose sembrano accelerare.

Questo vale per la nostra vita che invecchia, dove gli anni sembrano svanire con velocità crescente. Vale anche per l'anno liturgico, la cui struttura ci trasporta, rapidamente e dolcemente, nel cuore dei misteri. La Santa Chiesa non si limita a informarci sulla storia della salvezza. Ci immerge in essa. Ci attira nel Mistero che è causa della nostra gioia.

In nessun luogo ciò è più evidente che nell'Introito che dà il nome a questa domenica. Tratto da Filippesi 4,
" Gaudete in Domino semper: iterum dico, gaudete. Modestia vestra nota sit omnibus hominibus: Dominus enim prope est ... Rallegratevi sempre nel Signore. Lo ripeto: rallegratevi."
L'imperativo è inequivocabile. Non è un suggerimento. È un comando, fondato non sulle circostanze ma su Cristo. La Chiesa ha da tempo riconosciuto il parallelismo tra questa domenica e la domenica Laetare di Quaresima. Entrambe anticipano la gioia nel mezzo della penitenza. Entrambe allentano le austerità esteriori. I fiori tornano per un giorno. La musica strumentale è consentita per un momento. Appaiono paramenti rosa, rosacea piuttosto che rosa. Sono un'omelia visiva sulla gioia contenuta.
L'Avvento, tuttavia, non è la Quaresima. La sua penitenza è reale ma distinta. L'Alleluia rimane. Il Gloria è trattenuto. Predomina il viola. I digiuni dell'Avvento storicamente preparavano i cristiani alla festa della Natività, proprio come le veglie e le Quattro Tempora scandivano il periodo. L'Avvento è orientato almeno tanto alla Seconda Venuta quanto alla Prima. Pertanto è gioiosamente penitenziale, o penitenzialmente gioioso. La gioia cristiana non esclude la penitenza. La penitenza, giustamente abbracciata, diventa fonte di pace.

San Leone Magno, predicando durante l'Avvento, il 15 dicembre 440, espresse con cristallina chiarezza l'istinto romano (s. 13).

Cosa c'è di più salutare del digiuno, mediante il quale ci avviciniamo a Dio e, resistendo fermi al diavolo, sconfiggiamo i vizi che ci portano fuori strada?

Prosegue, insistendo sul fatto che il digiuno deve essere completato dall'elemosina, che ciò che si sottrae al piacere deve essere donato alla virtù, che l'astinenza del digiuno deve diventare la cena dei poveri. Questo è il cattolicesimo romano nella sua essenza. Questo è Vetus.

La penitenza, il digiuno e le opere di misericordia raddrizzano la via del Signore non solo in senso metaforico, ma concretamente. Livellano valli di disperazione e sollevano montagne di orgoglio. Guariscono i ricordi e purificano le intenzioni. Ci allineano alla logica sacrificale della carità, che cerca il bene dell'altro anche a costo di se stessa. Tali opere sono penitenziali perché ci costano qualcosa. Sono gioiose perché ci uniscono a Cristo.

Cristo viene a noi già, in molteplici Avventi prima di quello finale. Viene nella persona del sacerdote, alter Christus, che agisce in persona Christi. Viene nella consacrazione dell'Eucaristia. Viene tutto intero nella Santa Comunione, Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Viene nella Parola, quando la Scrittura viene letta con attenzione e devozione. Viene nei poveri e nei bisognosi, nei quali attende la nostra misericordia. Ognuna di queste venute è una venuta che ci prepara alla Venuta definitiva. Ognuna è un mini-avvento, gioiosamente penitente.

La gioia, quindi, non è facoltativa. È la cornice predefinita della vita cristiana. Anche in mezzo alla confusione ecclesiale, alla sofferenza e allo scandalo, la gioia rimane possibile perché non affonda le sue radici nell'adempimento istituzionale, ma nell'identità battesimale. Attraverso il battesimo siamo membra del Corpo di Cristo. Persino il dolore e l'ansia, uniti a questa identità, possono trasfigurarsi in una gioia più profonda, a volte austera, a volte macchiata di lacrime, ma reale.

L'Epistola proclamata oggi amplia la logica dell'Introito. Dopo aver esortato alla gioia e alla fiducia orante, Paolo aggiunge:
Et pax Dei, quae exsuperat omnem sensum, custodit corda vestra et intelligentias vestras in Christo Iesu... La pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù”.
La pace è l'eco della gioia. Non è l'assenza di lotta, ma la presenza di Cristo.
Questa esortazione paolina si rispecchia nella Colletta della Messa romana tradizionale:
Aurem tuam, quaesumus, Domine,
precibus nostris accommoda:
et mentis nostrae tenebras,
gratia tuae visitationis illustra.
VERSIONE LETTERALE:
Ti preghiamo,
Signore, porgi l'orecchio alle nostre preghiere
e, con la grazia della tua visita,
illumina le ombre della nostra mente.
La Chiesa osa chiedere al Dio infinito di prestare ascolto, di adattarsi alle nostre preghiere. Accommodo suggerisce di adattare, adattare, prestare all'uso. Dio, che non ha bisogno di nulla, si degna di ascoltarci. Illumina le ombre della nostra mens, della nostra mente, della nostra coscienza e del nostro proposito interiore, con la grazia della Sua visita. L'Avvento è proprio questo: una visita. La Parola eterna, pronunciata prima del tempo, riecheggia al Padre attraverso le nostre preghiere, le nostre azioni, le nostre menti trasformate. Se siamo immagini di Dio, soprattutto nella nostra mens, allora Dio si sente in noi. Il nostro prossimo dovrebbe vedere e sentire Dio riflesso nelle nostre vite.

Per questo la Chiesa ci comanda di rallegrarci. Non perché non ci siano valli o montagne, prigioni o persecuzioni, confusioni o ferite. Ma perché il Signore è vicino.

Prope est.

Ora viene con misericordia. Più tardi verrà con gloria.

In ogni caso, la Sua venuta è la nostra speranza.

La domenica Gaudete rivela il cuore paradossale dell'Avvento: gioia fondata sulla penitenza, speranza acuita dal giudizio. Mentre il Signore si avvicina, la Chiesa raccomanda di gioire non come sentimento, ma come fede radicata nella venuta di Cristo nella misericordia e nella gloria. Attraverso la confessione, le opere di misericordia, la vita sacramentale e la preghiera, la via è spianata.

La gioia, sostenuta dalla pace, è l'atteggiamento predefinito del cristiano di fronte al Signore che si avvicina. Come disse il già citato Leone:

Ciò che piace a Dio dovrebbe piacere anche a noi. Rallegriamoci, non importa quanto ci mandi.

3 commenti:

  1. Giovanni il Battista è uno dei protagonisti del tempo di Avvento. E' il precursore dell'Atteso ed è uno che nell'attesa fa e predica la penitenza. Andando alla radice si tratta di riconoscere ed espiare il male commesso attraverso atti di privazione e di mortificazione. Va purificata l'attesa per guardare alla venuta gloriosa di Cristo. Festeggiandone il Natale dell'Incarnazione, oggi viviamo proprio l'a-tendere giusto lì.
    Il penitente si mette in ordine e si prepara per non farsi trovare disordinato e impreparato. E se dice anche ad altri di farlo non è perchè è un rompiscatole che "non sa guardare al positivo", ma perchè esercita la vigilanza dovuta in un momento così.

    A circa 2 millenni dal Natale di Cristo, nascendo pochi mesi dopo Giovanni, e dal suo manifestarsi pubblicamente al mondo proprio davanti a Giovanni presso il Giordano, noi Cristo lo abbiamo già presente nel mistero del santissimo sacramento. Possiamo accostarlo e nutrircene ad ogni santa Messa, ripresentazione del sacrificio che ha redento l'umanità. Ma l'Eucaristia non è il cibo per i perfetti, bensì medicina per i malati: cerchiamo di farci trovare come malati desiderosi di guarire, e non come dei morti spirituali ai quali né la medicina, né il cibo possono portare giovamento. Chi non è penitente non lo capisce e rimane spiritualmente morto del suo peccato mortale .

    Altro protagonista dell'Avvento è San Giuseppe. Ha il ruolo più delicato e nascosto: anch'esso molto penitente. Deve mortificarsi accettando la gravidanza di Maria e facendolo perchè avvertito in sogno da un Angelo: senza certezze umane, crede. Deve mortificarsi, lui discendente del Re Davide, trovando un riparo di fortuna per la propria sposa esattamente nei giorni del parto. Lui però accetta tutto e fa la sua parte, per dare proprio lui, al bambino, il nome che riempie tutta la nostra fede: Gesù.

    Infine c'è Maria: dopo l'annuncio angelico la piena di grazia porta in grembo per nove mesi il Verbo incarnato. Diventa Madre di Dio, sempre vergine, prima, durante e dopo il parto. Tutto per opera di Dio e non per opera umana. Lei crede. E' piena di grazia, è in comunione con Dio, quindi non ha il peccato originale. Lei è redenta prima, dal principio nel mistero dell'Agnello di Dio, come lo chiama Giovanni, immolato fin dalla fondazione del mondo. Lei è figlia del suo figlio e Madre di Dio. Maria coopera al mistero della redenzione e (non essendo più presente Giovanni il Battista e Giuseppe) lo fa in un modo unico e specialissimo del dolore della madre sotto la croce di Gesù crocefisso. Nel mistero della carne salvata Maria è assunta in cielo in anima e corpo e nel mistero della sua beatitudine è incoronata Regina degli angeli e dei santi. Nel mistero della Chiesa, Maria ci è madre e mediatrice di tutte le grazie divine.

    Ecco, prepariamoci al ritorno di Cristo mentre festeggiamo il Natale di Betlemme.

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  2. https://www.aldomariavalli.it/2025/12/16/lettera-da-new-york-fernandez-sia-subito-licenziato-questione-dirimente-per-papa-leone/amp/ : povero Padre Murray, la sua richiesta è una voce nel deserto, fumo che si perde nell'aria : cosa spera, che Papa Leone licenzi il suo principale collaboratore nell'opera di demolizione di quel poco di cattolico che rimane nel carrozzone sinodal-conciliare? Se avesse voluto far pulizia avrebbe potuto/dovuto farla subito, ma i mesi passano e le cose peggiorano ogni giorno, come dimostrano le dichiarazioni, le sceneggiate (cfr benedizione del blocco di ghiaccio) e le promozioni fatte da Prevost. Non si illuda, caro Padre Murray, la situazione è destinata a peggiorare sempre più, fino all'impatto finale, quando i modernisti batteranno la testa contro " la Testata d' Angolo" di evangelica memoria, e lì se la romperanno, a Dio piacendo. LJC Catholicus

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  3. Oggi è la terza settimana di Avvento e nelle chiese di tutto il mondo si accende la candela della gioia. Guardandola, il pensiero è andato subito alla gioia per la nascita di Gesù. Una gioia che non appartiene solo alla terra, ma che ha attraversato il Cielo. Una gioia così grande da non poter restare nascosta.

    Ripensando a quella notte, mi è venuta davanti agli occhi la scena degli angeli che cantano “Gloria in excelsis Deo”. Ho immaginato il Cielo in festa, gli angeli che esultano, la creazione che riconosce il suo Signore. Ho provato a immaginare quanto il Cielo abbia gioito nel momento in cui Cristo è nato.

    Dentro questo pensiero ne è nato subito un altro, più doloroso. Gli angeli, che sono creature e non uomini, hanno compreso immediatamente la bellezza di quella nascita. L’uomo, invece, ancora oggi fatica a capirla. Dopo duemila anni, il cuore umano resta spesso incapace di riconoscere ciò che è essenziale.

    Quanti di noi non riescono davvero a comprendere quella gioia. Quanti non la sentono entrare nel cuore, trasformare lo sguardo, cambiare la vita. La nascita di Gesù viene celebrata, ricordata, preparata esteriormente, ma non sempre accolta interiormente. La gioia vera richiede un cuore aperto.

    Davanti a questa consapevolezza, tutto si è trasformato in preghiera silenziosa. Ho chiesto a Gesù di aiutare ogni cuore a comprendere davvero la gioia della Sua nascita. Ho chiesto che nessuno resti escluso da questo dono, che nessuno resti incapace di sentirlo.

    Prima di addormentarci questa sera, portiamo nella preghiera chi non riesce a comprendere l’amore di Gesù. Chi prova a cambiarlo secondo le idee del tempo. Chi è lontano, distratto, ferito. Che il Signore conceda a tutti un cuore semplice, capace di riconoscere la gioia di Dio che nasce per noi.
    Zarish Imelda Neno

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