Sandro Magister ha pubblicato il 28 aprile scorso un interessante articolo, dal titolo: Chi tradisce la tradizione. La grande disputa, introdotto così:
Si infiamma la discussione su come interpretare le novità del Concilio Vaticano II, soprattutto sulla libertà di religione. I tradizionalisti contro Benedetto XVI. Un saggio del filosofo Martin Rhonheimer a sostegno del papa.
L'articolo è arricchito dal saggio, interessante e complesso, di Martin Rhonheimer, docente di Etica e di Filosofia politica presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma. Il saggio, apparso su Nova et Vetera", 85, 4, ottobre-dicembre 2010, 341-363, mette in campo elementi ineludibili per una analisi corretta e approfondita della materia in questione. Per comodità di consultazione l' ho reso disponibile qui nella versione integrale, inserendo direttamente dal testo francese alcune parti tralasciate da Magister.
Mentre mi sembra improprio mettere l'enfasi sui “tradizionalisti contro Benedetto XVI”, dal momento che molte delle analisi e critiche da anni poste sul tappeto sono propositive più che di contrapposizione, cerco di dare una lettura sintetica del testo, con l'idea di trarne possibili conclusioni chiarificatrici.
L'esame di Rhonheimer parte dall'assunto che, nel suo discorso del 22 dicembre 2005, «Papa Benedetto XVI non ha affatto opposto l'ermeneutica erronea della discontinuità a una “ermeneutica della continuità”. Ha spiegato piuttosto che all'“ermeneutica della discontinuità si oppone l'ermeneutica della riforma”. E qual è “la natura della vera riforma”? Essa consiste, spiega il papa, “in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi”».
Il discorso muove dalla presa d'atto di alcuni cambiamenti semantici di espressioni come “libertà di coscienza” insieme ai mutamenti radicali intervenuti nell'assetto geopolitico e del diritto, per effetto dell'affermarsi di Stati costituzionali con la scomparsa dello “Stato cattolico” come braccio secolare della Chiesa e soprattutto con la fine del potere temporale e della conseguente nullificazione dell'autorità del Diritto Canonico nelle legislazioni nazionali. Cambiano radicalmente gli scenari e si sostiene che non cambiano i principi ma muta solo ciò che le situazioni contingenti inducono a ‘riformare’: il termine ‘riforma’, anzi “ermeneutica della riforma”, per connotare alcuni elementi di innegata ed innegabile ‘discontinuità’, è esplicitamente sottolineato nel discorso citato del Santo Padre.
Il problema nasce quando, in mezzo alle vicende storiche ed ai mutamenti che esse innescano nella società, la Chiesa, anziché procedere sui binari che la tengono ben salda nella Verità, cambia direzione lasciandosi penetrare dalle logiche mondane. E allora occorre verificare se davvero si distinguono i condizionamenti teologici e storici dai principi che non possono essere disattesi e se davvero «la dottrina del Vaticano II sulla libertà religiosa non implica alcun riorientamento del dogma, ma piuttosto un riorientamento della dottrina sociale della Chiesa e, più precisamente, una correzione del suo insegnamento sulla funzione e i doveri dello stato»; per cui si sarebbe verificato «piuttosto un riorientamento della dottrina sociale della Chiesa e, più precisamente, una correzione del suo insegnamento sulla funzione e i doveri dello stato».
Nei prossimi articoli procederò con la ‘lettura’ puntuale del saggio e con le sue implicazioni, che già chi legge può iniziare a ricavarsi dal testo linkato; ma mi sorge fin d'ora spontaneo un pensiero un po' molesto e cioè che l'affermata esclusione di riorientamenti del dogma non appare più così limpida e inattaccabile nel dover constatare ad esempio che, dopo Assisi, il Vaticano II diventò, praticamente se non teoricamente - per effetto della solita ‘pastorale’ -, la porta aperta ad ogni manifestazione di religiosità, anche se irriducibilmente lontana dalla religione rivelata e dal patrimonio delle sue verità.
Come dice mons Gherardini [ne Il discorso mancato, pag.102] «è come se il programma che san Pio X aveva recepito dal paolino “instaurare omnia in Christo”, fosse stato irriducibilmente invertito in “instaurare omnia in homine” tanto dal Concilio Ecumenico Vaticano II quanto dal postconcilio». Conseguenza del fatto che si è arrivati a riconoscere il Concilio come un ‘unicum’ intoccabile - senza fare i distinguo resi necessari dai diversi livelli qualitativi e conseguentemente autoritativi dei suoi documenti - come la sintesi onnicomprensiva e l'espressione più pura dell'intera Tradizione, e quindi «magari senza perverse intenzioni e forse addirittura con retta intenzione, non si sia affidato al Vaticano II e all'attuazione dei suoi sedici documenti il compito di disarcionare Cristo dal soglio della sua realtà soprannaturale per abbassarlo al livello del naturale: uomo come tutti, per tutti, con tutti», facendo pagare di fatto alla Chiesa un'ipoteca illuminista.
Il riorientamento della dottrina sociale non è conseguenza del riorientamento della dottrina tout-court?
RispondiEliminaLa dottrina sociale, poggiata sulla Verità, certo si adegua a nuove situazioni storiche - una società industriale richiede un approfondimento di un "programma" d'intervento ed indicazioni pensato per una società contadina -ma il suo "oriente" non muta. Si studiano i fenomeni ed i problemi che vengono ricompresi nella dottrina immutabile.
Così la moltiplicazione delle pseudoreligioni in uno stato laico non può mutar la dottrina: la tolleranza non può divenir diritto. Né i doveri dello stato possono, per la Chiesa, venir meno. Non esiston più stati cattolici? Bene: la Chiesa ne prende atto ma non per questo può rinunciare in linea di principio e d'azione alla sua dottrina in merito. In caso contrario la Chieasa non dovrebbe combatter contro le leggi anticristiane.
"La dottrina sociale, poggiata sulla Verità, certo si adegua a nuove situazioni storiche.."
RispondiEliminaancora non si riesce a capire su quale verità è poggiata OGGI la dottrina sociale della chiesa, se ho potuto leggere nel saggio proposto:
" Nel suo discorso del 2005, Benedetto XVI prende le difese della prima fase, quella "liberale" della Rivoluzione francese, che egli distingue anche così dalla seconda, la fase giacobina, plebiscitaria e radical-democratica, che portò al Terrore della ghigliottina."
si riferisce a questo l'autore dell'articolo quando dice che la Chiesa ha pagato un'ipoteca illuminista?
La ghigliottina da tempo si sta abbattendo sul capo d'ogni Verità.
RispondiEliminasi riferisce a questo l'autore dell'articolo quando dice che la Chiesa ha pagato un'ipoteca illuminista?
RispondiEliminaha già risposto Dante!
E' ormai evidente che sulla dichiarazione sulla libertà religiosa "Dignitatis Humanae", appartenente ai livelli della non infallibilità, non è facile trovare una "continuità" riguardo alla dottrina.
RispondiEliminaTuttavia, in questo momento storico il Papa avrebbe difficoltà ad imporre una nuova formulazione, pur avendo di principio la facoltà di farlo. E probabilmente non lo ritiene neppure necessario, vista Assisi prossima, per quanto diversamente rispetto al passato possa svolgersi.
il Papa avrebbe difficoltà ad imporre una nuova formulazione
RispondiEliminanon siamo nella mens del Papa, ma abbiamo molti indizi di 'pastorale' perfettamente in linea con la formulazione conciliare. Quindi anch'io penso che egli non ritenga necessaria una revisione del dettato conciliare.
Lo dimostra anche il fatto che sia intervenuto il saggio autorevole di cui stiamo parlando, insieme al "discorso mancato", rifacendoci alla richiesta di Mons. Gherardini.
Il fatto che un documento conciliare non implichi formalmente la nota dell'infallibilità non è un buon motivo per continuar a lasciar libero campo dottrine in contrasto con l'insegnamento precedente.
RispondiEliminaVorrei saper poi quali documenti del Vatic. II in toto o in parte sian effettivamente infallibili, cioè definitori, definitivi e irreformabili.
Domenica ho dovuto partecipare ad una messa NO a S. Giovanni Valdarno, perché faceva la prima Comunione uno dei miei nipotini.
Alla fine, alla suora ministra straordinaria della S. Comunione, ho detto che ad un fiera simile non avevo mai partecipato e che ne uscivo scandalizzato.
Musica ritmata da applausi e "ole", mentre i fedeli davan le spalle al SS.mo Sacramento perché il prete, per far una bella sceneggiata, non celebrava la messa - intervallata da una pesante mole di suoi interventi - all'altare, ma ad una tavola che al momento dell'Offertorio è stata "apparecchiata" dai bambini per la cena, essendo la Messa, a detta del celebrante, il ricordo della "cena". La parola Sacrificio mai pronunciata. Neppure per rammentar che la "cena" nel suo momento centrale anticipava sacramentalmente la morte di croce così come la Messa ne è il rinnovamento.
Non siamo nella "mens" del Papa, ma i frutti di certe "mentes" sono evidenti.
Intanto il Patriarca della Chiesa cattolico-greca di Leopoli scomunica Giov. Paolo II e Benedetto XVI soprattutto per il sincretismo di Assisi perpetrato e da perpetrare e dichiara a) invalida la beatificazione appena compiuta; b) la sede vacante.
Intanto il Patriarca della Chiesa cattolico-greca di Leopoli scomunica Giov. Paolo II e Benedetto XVI soprattutto per il sincretismo di Assisi perpetrato e da perpetrare e dichiara a) invalida la beatificazione appena compiuta; b) la sede vacante.
RispondiEliminanon so che valore dare a questo atto perché non so quale autorità attribuire a chi lo ha posto in essere dato che non ne conosco nulla.
E forse anche questo fa parte della confusione che regna sovrana e del momento difficile che ci tocca vivere.
Il fatto che un documento conciliare non implichi formalmente la nota dell'infallibilità non è un buon motivo per continuar a lasciar libero campo dottrine in contrasto con l'insegnamento precedente.
RispondiEliminaormai siamo in tanti a pensar questo; anche perché, come tu dici, sono fin troppo evidenti i frutti delle "mentes" come quella che purtroppo ci hai descritto. Ma, alla fine, ci tocca arguire che quella stessa "mens" appartiene alla maggioranza dei vescovi. Al Papa sembrerebbe non appartenere nelle parole (ma neppure sempre), regolarmente smentite da molti fatti, tolto un look di maggiore sacralità dato alla Liturgia.
Vorrei saper poi quali documenti del Vatic. II in toto o in parte sian effettivamente infallibili, cioè definitori, definitivi e irreformabili.
E' l'esigenza ineludibile che molti hanno posto sul tappeto.
Stando a quanto dice mons. Gherardini, che a me pare molto logico ma soprattutto cattolico e ben argomentato e che certamente conoscerai, in ognuno di essi si possono trovare tutti i 4 livelli, dei quali solo uno rientrerebbe nell'infallibilità perché ha il suo fondamento nella Tradizione; ma, se ciò non è affermato in maniera autorevole dal Papa, il tutto resta inoperante dal punto di vista della chiarezza dogmatica in termini definitori, mentre il resto rimane malauguratamente operante nella prassi attraverso il grimaldello della 'pastoralità'.
E la pastorlaità, che in definitiva è riforma, innovazione e non rinnovamento, va consolidandosi sempre di più, allargando inesorabilmente lo iato generazionale, ma soprattutto sostanziale con il passato che equivale a dire "Tradizione". E, nella Chiesa, il passato non può non confluire nel presente per essere traghettato nel futuro, altrimenti davvero dobbiamo constatarne la mutazione genetica... Oggi mi pare che siano in molti a fraintendere il senso di Tradizione, confondendola con la tradizione conciliare, posto che il concilio è stato definito come la sintesi onnicomprensiva e l'espressione più pura dell'intera Tradizione.
Penso che l'inganno è proprio qui. Anche perché non basta una definizione, quando ci sono molte dimostrazioni, anche autorevoli, del contrario...
Vi rendete conto che questa affermazione del Papa:
RispondiElimina“in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi”
implicherebbe una revisione totale di tutti i documenti conciliari, di cui dovrebbero essere interpretate frase per frase, di volta in volta, secondo una ermeneutica della continuità o disocntinuità, e dovrebbe essere il Papa a farlo, sui kilometri di parole scritte nel Concilio?
E' come certificare l'impossibilità di qualunque ermeneutica sui documenti conciliari, ma basterebbe dirlo chiaramente, affermando che i documenti conciliari sono stati scritti in un linguaggio "pastorale" errato.
Quindi, o vieta qualunque ermeneutica, dicendo che d'ora in poi le interpretazioni le dà il Papa (riaccentrando su di sè tutto come prima delle conferenze episcopali), o dobbiamo accettare volente o nolente che all'interno della Chiesa vi siano diverse visioni, ermenutiche, ecclesiologie, teologie (ma non dottrine), che possano causare (Dio non lo voglia) divisioni future.
Al
"E forse anche questo fa parte della confusione che regna sovrana e del momento difficile che ci tocca vivere".
RispondiEliminaLa confusione, che porta ad atti di tal genere comunque li si voglia giudicare (non possiamo stabilirlo noi) è dottrinale, non solo teologica, come si esprime l'anonimp di sopra: i documenti conciliari dicono al vertice che son sì pastorali ma necessariamente anche dottrinali. Certo la teologia impronta di sé la dottrina: e qui è il guaio, qui sono i guasti.
...o dobbiamo accettare volente o nolente che all'interno della Chiesa vi siano diverse visioni, ermenutiche, ecclesiologie, teologie (ma non dottrine), che possano causare (Dio non lo voglia) divisioni future.
RispondiEliminache differenza ci sarebbe, in questo caso, con gli eredi della Riforma, quella precedente, di Lutero?
Le divisioni già ci sono, sia pure alcune non conclamate. E comunque stanno venendo alla luce; ma sembra non siano in molti a riconoscerne le cause.
Certo la teologia impronta di sé la dottrina: e qui è il guaio, qui sono i guasti.
RispondiEliminapenso che la teologia è studio, ricerca, chiarimento, approfondimento, sviluppo; ma poi i suoi risultati devono essere autenticati, confermati in termini definitori dal Trono più alto, prima di diventare dottrina, che appartiene al carisma magisteriale.
E' per questo che i guasti son qui. Vero?
Anche questo "saggio" è un "buon" mezzo per "USARE" il Papa a "pezzi"..
RispondiEliminaIl Papa non avrebbe mai parlato di "ermeneutica della continuità"? A no? Avrebbe solo parlato di "ermenutica della riforma"? Avrebbe solo dichiarato che ci sarebbero "continuità e discontinuità" come base dell' ermeneutica della riforma?
E che cosa aspettiamo a smentire coi fatti questa assurdità?
"E' per questo che i guasti son qui. Vero?"
RispondiEliminaVero. I documenti conciliari - teologico-discorsivi per lo più - diventan dottrina, ma nuova e spesso ambigua e contraddittoria. Carattere che una dottrina non dovrebbe presentare.
"E che cosa aspettiamo a smentire coi fatti questa assurdità?"
RispondiEliminaAspettiamo? Noi? Si muova chi deve muoversi.
E che cosa aspettiamo a smentire coi fatti questa assurdità?
RispondiEliminaStefano, con quali fatti dovremmo smentire, se nel saggio preso in esame ci sono stati richiamati gli ispissima verba del Papa nel suo discorso del 22 dicembre 2005?
Puoi verificare leggendo qui.
Benedetto XVI ne parla in diversi punti. Ma qui è molto esplicito:
È chiaro che in tutti questi settori, che nel loro insieme formano un unico problema, poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi – fatto questo che facilmente sfugge alla prima percezione. È proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma.
dice che "non risulta abbandonata la continuità dei principi ma, more solito, è una dichiarazione generica non suffragata da analisi e conseguenti sintesi definitorie dei principi "non toccati" dalle novità, i quali, invece, risultano erosi in questo (libertà religiosa) come in molti altri casi (Gaudium et spes, tanto per fare esempi presenti in questo blog)
E di fatto, come giustamente osserva Dante, molte applicazioni del concilio, che i Papi hanno tenuto a definire non dogmatico ma 'pastorale', sono state applicate direttamente dai teologi nel senso che sono state assunte le loro posizioni teologiche, appunto.
Riflettevo su questo proprio ieri sera, dopo l'affermazione di Dante, che questo è un serio 'vulnus', dal momento che ai teologi spetta il cosiddetto carisma dottorale, mentre quello magisteriale spetta ai vescovi e al Papa, mentre a quest'ultimo spetta anche quello di governo. Non so se sia eccessivo parlare di carìsmi trattandosi, mi pare, di munera preso dal diritto canonico cioè uffici, doveri (anticamente il termine connotava l'esercizio dei pubblici poteri).
Ma come parlare di munera (anche se il triplice munus sacerdotale non risulta certo abolito) in una Chiesa nella quale l'ordine gerarchico è stato sovvertito dalla cosiddetta "comunione", come se fosse una scoperta di Paolo VI. Infatti fu lui a parlarne ampiamente e anche piuttosto fumosamente in diverse allocuzioni e il principio è entrato a piè pari nel concilio e in tutti i più recenti manuali di teologia.
E come se prima del concilio non fosse mai esistita la comunione, che è la prerogativa della Chiesa che raccoglie coloro tra i quali il Signore stesso la crea, per il fatto che vivono in Lui e partecipano dello stesso Altare...
E come se la "Gerarchia", che rispecchia anche un ordine superiore impedisse la comunione...
Oggi, che si parla tanto di una supposta ritrovata comunione, paradossalmente si dà il caso che ci siano molti cristiani che, anziché condividere lo stesso Altare, condividono 'mense' diverse (hai presente il rito del Cnc, ad esempio. No?)
e regnano sovrane le divisioni e anche l'anomia de facto se non de juresoprattutto in campo liturgico Fonte e culmine della fede nonché lex orandi lex credendi, consapevoli come siamo della pregnanza e della spessore di queste espressioni!
E come se la "Gerarchia", che rispecchia anche un ordine superiore impedisse la comunione...
RispondiEliminalo stesso Paolo VI, dopo tante circonvoluzioni, conclude affermando la "comunione gerarchica"; ma pensiamo a quanto in realtà sia stato eroso lo stesso primato petrino dalla collegialità ad esempio?
Anche in questo caso non dichiaratamente, perché le formule non lo cancellano, ma di fatto, data la pluricefalia determinata sia dalle potenti Conferenze Episcopali, sia dai singoli vescovi, arbitri et domini nelle loro diocesi.
Mi viene spontanea una differenza tra la Pentecoste da cui è nata la Chiesa e la cosiddetta "nuova Pentecoste" che non mi pare tanto che abbia prodotto il Concilio quanto che sia stata prodotta da esso...
RispondiEliminaE allora non possiamo fare a meno notare come la Pentecoste originaria è data a posteriori, dopo l'irruzione dello Spirito Santo inviato dal Signore Risorto a costituire i Suoi e la Sua Chiesa, mentre la cosiddetta "nuova Pentecoste" è dichiarata "a priori" sulla base delle aspettative e delle 'sensazioni' ed emozioni enfatiche ed enfatizzanti di chi la proclamava, di fatto prodotta per effetto delle novità introdotte da una costruzione umana (il concilio) dando per scontato che tutti i suoi partecipanti, soprattutto i novatori che ne hanno impressa la direzione nuova, esercitassero in pieno la Grazia di Stato.
E se invece vi avessero resistito, nell'incaponirsi, con ogni mezzo (leggere testi Spadafora, De Mattei, Gherardini), ad imporre i propri indirizzi e orientamenti che hanno chiamato "nuova percezione che la Chiesa ha di sé"...
Ora stiamo vedendo che questa nuova percezione, che si sta sempre più inverando, sembra condurci in un "altrove" pieno di incognite e di oscurità. Non è per caso riconoscibile una certa "Ybris" in tutto questo?
"Non è per caso riconoscibile una certa "Ybris" in tutto questo?"
RispondiEliminabeh, i dubbi vengono se pensiamo allo spiccato antropocentrismo subordinato alla Trascendenza, ai peana sull'uomo di Paolo VI e di Giovanni PaoloII, alle citazioni di Mons. Gherardini in conclusione dell'articolo...
C'è continuità ma anche discontinuità. Sembra di sentir Veltroni.
RispondiEliminaLa continuità è la pagina della retta dottrina, la discontinuità è quella della rottura e dell'errore.
S. Pio X cosa diceva?
Se si richiamano San Pio X, Leone XIII, ecc. ti rispondono che son cambiati gli scenari, che il concetto stesso di "libertà di coscienza" non può essere inteso come lo intendevano loro...
RispondiEliminaTuttavia, molti cambiamenti epocali si sono susseguiti nei secoli. Forse oggi quello più grande si è determinato dalla perdita del potere temporale da parte della Chiesa e dal diffondersi di una laicità anzi del 'laicismo', che ha eliminato lo Stato come braccio secolare della Chiesa.
Ma finora nessun cambiamento aveva determinato condizionamenti teologici e storici tali da intaccare i principi, come pare sia avvenuto.
La parte successiva e più impegnativa della mia riflessione in corso, sarà quella di percorrere le affermazioni del saggista andando a verificare in base documenti originali dei Papi da lui citati i termini delle cosiddette variazioni semantiche e, se è possibile, l'effettiva corrispondenza dei principi, che già mi pareva messa in dubbio da talune conseguenze pragmatiche evidenziate (Assisi, il principio di inclusività che non dichiara né espelle l'errore, ecc.)
Si legge nel saggio di Rhonheimer
RispondiEliminaLa dottrina del Vaticano II rappresenta qui una chiara svolta rispetto al passato. Una volta definitivamente liberata dal fardello storico, la dottrina del Concilio sulla libertà religiosa consiste essenzialmente in una dottrina sui doveri e i limiti dello stato, così come sul diritto civile fondamentale – un diritto della persona e non della verità – grazie al quale sono limitate la sovranità e le competenze dello stato in materia di religione. Essa è, inoltre, una dottrina sulla libertà della Chiesa a esercitare liberamente – al pari di ogni altra religione – la sua missione di salvezza anche nello stato secolare, una dottrina stabilita sulla base dei fondamentali diritti dei corpi sociali alla libertà religiosa.
Dunque sì, discontinuità nel Magistero, non però sulla dottrina, sulla verità, ma rispetto a condizioni storiche e sociali diverse, nelle quali la Chiesa si muove prendendone atto. Allo Stato si chiede quel che gli compete propriamente, ossia di garantire a tutti la libertà di professare la propria religione, non, come accadeva in passato, di imporre con la forza coercitiva della sua legge una religione di stato. Questo significa constatare e accettare che per lo stato di diritto tutte le religioni si equivalgono, non per la Chiesa la quale continua a ritenere di essere la sola custode della Verità. Spetta quindi alla Chiesa proporre, promuovere, predicare la regalità sociale di Cristo, cosa possibile soltanto in uno Stato che adempia i suoi doveri di tutela verso tutti i cittadini, cattolici e non.
Per quel che mi è dato capire, credo che parlare di diversi livelli di continuità e discontinuità, non sia circiterismo, né ambiguità veltroniane, ma piuttosto una chiave di lettura, la sola a mio avviso, che permetterebbe di uscire da tesi date ormai per (quasi) certe delle ‘mutazioni genetiche’ di una chiesa che sconfessa se stessa.
Dalla tolleranza s'è passati al diritto. Se non è discontinuità questa!
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