La Redazione della Rivista quindicinale antimodernista ‘sì sì no no’ (sisino@tiscali.it) ci ha concesso gentilmente di pubblicare in formato elettronico sul nostro sito quest’articolo, che apparirà in forma cartacea e con qualche aggiunta nel numero del 15 gennaio 2012 dell’omonima Rivista. Sperando di far chiarezza sul tema dei rapporti tra Tradizione e Magistero lo metto a disposizione dei nostri lettori.
Il documento è lungo e impegnativo, ma chiaro ed esaustivo e val la pena prenderne atto.
IDEE CHIARE SUL MAGISTERO
*Attualità della questione: Tradizione/Magistero
Recentemente sono apparsi articoli e libri, che, per difendere la Tradizione e la Chiesa, o hanno
esagerato la portata del Magistero, facendone un Assoluto oppure lo hanno
minimizzato e quasi annichilito, negandone la funzione di interpretare la Tradizione e la S. Scrittura. Onde evitare gli errori
per eccesso (che assolutizza il Magistero) e
per difetto (che minimizza la sua realtà) riassumiamo sull’argomento quanto ha scritto in passato[1] e recentemente mons. BRUNERO GHERARDINI (
vedi) e quanto si trova nei migliori manuali di ecclesiologia.
Occorre evitare la premessa erronea che fa del Magistero un Assoluto e non un ‘ente creato’, un Fine e non un mezzo, un Soggetto indipendente (absolutus = sciolto) da tutto e da tutti. Niente al mondo ha la dote dell’Assoluto. La Chiesa non fa eccezione, non la sua Tradizione, non il suo Magistero e neppure la Gerarchia, Papa compreso. Si tratta di realtà sublimi, ai vertici della scala di tutti i valori creaturali, ma sempre di realtà penultime, finite, create dipendenti da Dio, l’unica realtà ultima o assoluta, infinita ed increata.
Sulla Tradizione la Chiesa esercita un discernimento che distingue l’autentico dal non autentico. Lo fa mediante uno strumento che è il Magistero. Il Magistero è un ‘servizio’, ma è anche un ‘compito’, un munus, appunto il munus docendi, che non può né deve sovrapporsi alla Chiesa, dalla quale e per la quale esso nasce ed opera. Dal punto di vista soggettivo, il Magistero coincide con la Chiesa docente Papa e Vescovi in unione col Papa. Dal punto di vista operativo, il Magistero è lo strumento mediante il quale viene svolta la funzione di proporre agli uomini la divina Rivelazione con autorità.
Troppo spesso, però, si fa di questo strumento un valore a sé (absolutus) e si fa appello ad esso per troncare sul nascere ogni discussione, come se il Magistero fosse al di sopra della Chiesa e come se davanti a sé non avesse la mole enorme della Tradizione da accoglier interpretare e ritrasmettere nella sua integrità e fedeltà.
Il procedimento sbrigativo oggi invalso è più o meno il seguente: Cristo promise agli Apostoli, e quindi ai loro successori, vale a dire alla Chiesa docente, l’invio dello Spirito Santo e la sua assistenza per un esercizio nella verità del munus docendi e dunque l’errore è scongiurato in partenza, senza condizioni, le quali invece sono richieste e definite dal Concilio Vaticano I, come vedremo oltre. Un altro procedimento più che sbrigativo consiste nel negare al Magistero ogni munus docendi et interpretandi le due fonti della Rivelazione (Tradizione e S. Scrittura).
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Il metodo della Sacra Teologia
In Teologia innanzitutto si enuncia la “Tesi”, per esempio “Il Papa è infallibile”. Poi si espone lo “Status Quaestionis”, ossia il significato di ogni parola della Tesi esposta, nel caso nostro cosa significa ‘Papa’ e cosa si intende per ‘infallibilità’. Inoltre si trattano le varie ‘Opinioni’ e gli ‘Errori’ eventuali che sono sorti nel corso dei secoli a riguardo della Tesi. Quindi viene data una “Nota Teologica” che determini il grado di certezza di cui gode la Tesi[2]. Infine si delucida teologicamente la Tesi alla luce della Dottrina della Chiesa (Simboli di Fede, la Tradizione, il Magistero ecclesiastico, la S. Scrittura, I Padri della Chiesa), e, per ultimo si approfondisce la Tesi speculativamente o se ne dà la “Ragione teologica” (“Fides queaerens intellectum”), tramite un sillogismo la cui premessa ‘minore’ va dimostrata con un altro sillogismo.
Come si vede il metodo classico della Teologia dogmatica privilegia la dottrina della Chiesa, la quale attraverso il suo Magistero interpreta la Tradizione e la S. Scrittura. Perciò il primo elemento per provare la Tesi è il Magistero, poiché la Chiesa ha ricevuto da Cristo il mandato di insegnare e dare l’esatta interpretazione delle cose predicate da Lui, trasmesse agli Apostoli o messe per iscritto nei Libri Sacri. Quindi il Magistero si basa essenzialmente sulla S. Scrittura e la Tradizione apostolica per ottemperare il mandato conferito alla Chiesa da Cristo. La Rivelazione divina fu affidata all’interpretazione, alla custodia, alla diffusione e alla difesa del Magistero della Chiesa, che è fondata su Pietro e i suoi successori: i romani Pontefici. Tramite il Magistero ecclesiastico la Rivelazione viene trasmessa. Infatti il Magistero della Chiesa è lo strumento di cui Cristo si serve per trasmettere la sua Rivelazione inalterata, ogni giorno, sino alla fine del mondo. Attenzione! La Ragione teologica non fonda la Verità rivelata, che è oltre la ragione, ma ne sviscera la convenienza, ne tira le conclusioni, ne approfondisce il significato e confuta coloro che la impugnano.
DOPO IL CONCILIO VATICANO II la metodologia della Teologia dogmatica è cambiata, si parte dalla Scrittura, dalla quale si origina la Tesi. Il tutto “in lumine Fidei et sub Ecclesiae Magisterii ductu; alla luce della Fede e sotto la direzione del Magistero della Chiesa” (Optatam totius, § 16/a). Quindi anche col Concilio Vaticano II e dopo il Concilio ciò che garantisce la luce della Fede è la direzione del Magistero. Però mentre prima del Vaticano II la Scrittura veniva dopo il Magistero e alla luce del Magistero, a partire dal Vaticano II si è posto in secondo luogo il Magistero e in primo luogo la Scrittura ed inoltre si tende a far coincidere Tradizione e Magistero con la Scrittura, surclassando la dottrina della “due Fonti” della Rivelazione (Tradizione e Scrittura), per ridurre tutto alla Scrittura che contiene Tradizione e Magistero, come se fossero una sola cosa. Per cui difendere la Tradizione annichilando o diminuendo al minimo il valore del Magistero è erroneo. È un paradosso che per fare l’apologia della Tradizione si minimizzi il Magistero quasi distruggendolo, ancor più di quanto non abbia fatto il Vaticano II.
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Il Magistero della Chiesa
Il Magistero si divide in Solenne e Ordinario. Quello Solenne si suddivide in Conciliare e Pontificio; quello Ordinario in Universale o Papale.
MAGISTERO SOLENNE STRAORDINARIO CONCILIARE è l’insegnamento di “tutti” (totalità morale non matematica o assoluta) i Vescovi del mondo riuniti fisicamente – in maniera non abituale o non permanente e non stabile e quindi “stra-ordinaria” – in Concilio Ecumenico sotto il Papa.
MAGISTERO SOLENNE PERSONALE PONTIFICIO: il Papa che in quanto Papa (o seduto sulla cattedra di Pietro, “ex cathedra Petri”) definisce come divinamente rivelata una dottrina riguardante la Fede e la Morale ed obbliga a crederla come assolutamente necessaria alla salvezza.
Il Magistero Ordinario si divide in Universale o Pontificio. Innanzitutto ORDINARIO significa che quanto al modo di esercizio è comune, non è solenne, non è eccezionale o extra-ordinario, ma è solo normale, abituale. Quindi non è l’insieme dei Vescovi riuniti stra-ordinariamente in Concilio sotto il Papa, poiché il Concilio Ecumenico è un avvenimento non ordinario, non abituale, non in pianta stabile, ma eccezionale nel corso della storia della Chiesa (Concilio di Trento, 1563; Concilio Vaticano I, 1870). Non è neppure il Papa che definisce in maniera solenne o straordinaria una verità di Fede, ma in quanto trasmette la Rivelazione, che è contenuta nella Tradizione e nella Scrittura, in maniera non solenne, non cattedratica. Ciò non vuol dire che non sia Magistero vero, autentico, ufficiale, e, persino infallibile se vuole adempiere alle condizioni per essere assistito infallibilmente da Dio, ossia definire e obbligare a credere, anche se in maniera comune, ordinaria o semplice quanto al modo di insegnare. Esso in questo ultimo caso trasmette realmente il Deposito della Rivelazione e in ciò non può errare, pur non impiegando la pompa magna o la forma straordinaria e solenne in tale trasmissione della Rivelazione.
MAGISTERO ORDINARIO UNIVERSALE: la trasmissione delle verità divinamente rivelate viene fatta dai Vescovi sparsi fisicamente nel mondo ossia residenti nelle loro Diocesi, ma in comunione col Papa e uniti intenzionalmente o in accordo tra loro e con Lui nell’insegnare una verità.
MAGISTERO ORDINARIO PAPALE: la trasmissione viene fatta dal Papa in quanto tale e in maniera ordinaria. Inoltre il Papa è infallibile se da solo definisce ed obbliga a credere ed anche se riprende, ripete ed enuncia una Verità di Fede o Morale, costantemente e universalmente tenuta da tutta la Chiesa (“
quod sempre, ubique et ab omnibus creditum est”).
Il teologo tedesco ALBERT LANG spiega bene che «non riveste neppure importanza essenziale il fatto che i Vescovi esercitino il loro Magistero ‘in modo Ordinario e Universale’, oppure esercitino il loro Magistero ‘in modo Solenne’ riuniti in un Concilio Ecumenico convocato dal Papa. In entrambi i casi sono infallibili solo se, in accordo tra di loro e con il Papa, annunziano una dottrina in modo definitivo e obbligatorio»[3]. Ossia, per l’infallibilità il modo di insegnamento ordinario o straordinario è secondario e accidentale; ciò che è principale è la volontà di definire e obbligare a credere una verità di Fede e Morale, sia in maniera solenne sia in maniera comune o ordinaria.
Il Magistero è la ‘regola prossima’ della Fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la ‘regola remota’. Infatti, è il Magistero della Chiesa che interpreta la Rivelazione e propone a credere con obbligatorietà, ciò che è contenuto in essa come oggetto di Fede, per la salvezza eterna.
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Terminologia appropriata
Il ‘DOGMA’ è una verità rivelata da Dio e contenuta nel Depositum Fidei: Tradizione e S. Scrittura (dogma materiale) e poi proposta a credere come necessaria per la salvezza eterna, quale divinamente rivelata o di fede (dogma formale), dal Magistero ecclesiastico con l’obbligo di credervi (Vaticano I, DB, 1800)[4] . Pertanto chi nega o rifiuta l’assenso a una verità di Fede definita dal Magistero è eretico e incorre ipso facto nella scomunica o anatema.[5]
La ‘DEFINIZIONE DOGMATICA’ è la dichiarazione obbligante della Chiesa su una verità rivelata e proposta obbligatoriamente a credere ai fedeli. Tale definizione può essere fatta sia dal Magistero ordinario (Papa che insegna in maniera ordinaria o non solenne ‘quanto al modo’, ma obbligante ‘quanto alla sostanza’ a credere una verità come rivelata da Dio e definita dalla Chiesa[6]; sia dal Magistero straordinario o solenne quanto al modo (una dichiarazione solenne o ‘extra-ordinaria’ del Papa o del Concilio[7]. Tale definizione dommatica si chiama pure dogma formale o verità di fede divino-cattolica o divino-definita. «Generalmente basta la funzione del Magistero ordinario a costituire una verità di Fede divino-cattolica, vedi Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792 » (P. PARENTE, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, 4° ed., 1957, voce “Definizione dommatica”). Attenzione però, se il Magistero ordinario può definire infallibilmente un dogma formale, non significa che esso sia sempre infallibile e che ogni suo pronunciamento sia una definizione dommatica; lo è solo se il Papa vuole definire una verità come di fede rivelata e obbligare a crederla per la salvezza eterna. (Cfr. “Enciclopedia Cattolica”, IV, col. 1792 [8]).
‘L’INFALLIBILITÀ’[9] presuppone, infatti, da parte del Magistero la volontà di obbligare, definire, proporre obbligatoriamente a credere come dogma, una verità contenuta nel Deposito della Rivelazione scritta o orale. Per cui il Magistero è la ‘regola prossima’ della fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la ‘regola remota’. Infatti, è il Magistero della Chiesa , che interpreta la Rivelazione e propone a credere con obbligatorietà, ciò che è contenuto in essa come oggetto di fede, per la salvezza eterna.
I ‘LUOGHI TEOLOGICI’ sono «la sede di tutti gli argomenti della ‘Scienza Sacra’ a partire dai quali i teologi traggono le loro argomentazioni sia per dimostrare una verità sia per confutare un errore» (M. CANO, De Locis tehologicis, Roma, ed. T. Cucchi, 1900, Lib. 1, cap. 3). Monsignor ANTONIO PIOLANTI scrive: «La Teologia è fondata su Verità rivelate, le quali sono contenute nella Scrittura e nella Tradizione, la cui interpretazione è affidata al vivo Magistero della Chiesa[10], il quale a sua volta si manifesta attraverso le definizioni dei Concili, le decisioni dei Papi, l’insegnamento comune dei Padri e dei Teologi scolastici» (Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 246). Perciò erra gravemente chi vuole ridurre il Magistero ad un accidente contingente, nato con la crisi neomodernista alla quale PIO XII avrebbe risposto con l’enciclica Humani generis (1950) lanciando l’idea di Magistero come baluardo contro la nouvelle théologie. No! il Magistero è un Luogo teologico, che interpreta realmente la Scrittura e la Tradizione, altrimenti basterebbero la Bibbia e il Denzinger, mentre Cristo ha detto ai suoi Apostoli: “Andate e insegnate a tutti i popoli” (Mt., XXVIII, 18). Quindi il mezzo stabilito da Cristo per la diffusione della dottrina evangelica non è la sola Scrittura o la sola Tradizione orale, ma il Magistero vivo, cui Egli assicura (a certe condizioni) un’assistenza (infallibile) sino alla fine del mondo. Il cardinal PIETRO PARENTE scrive che il Magistero è perciò: “il potere conferito da Cristo alla sua Chiesa, in virtù del quale la Chiesa docente è costituita unica depositaria e autentica interprete della Rivelazione divina. [...]. Secondo la dottrina cattolica la S. Scrittura e la Tradizione non sono che la fonte e la ‘regola remota’ della Fede, mentre la ‘regola prossima’ è il Magistero vivo della Chiesa” (Dizionario di Teologia dommatica, cit., pp. 249-250).
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Schema riassuntivo sul Magistero
- papale: del solo Pontefice romano;
a) straordinario: pronunciamento solenne o ‘non-comune’ sia quanto al modo (proclamazione in pompa magna) sia quanto alla sostanza (definizione di un dogma di fede divino-cattolica con obbligo di credervi; p. es. l’Immacolata o l’Assunta solennemente proclamate da Pio IX e XII come verità divinamente rivelate e proposte a credere obbligatoriamente in ordine alla salvezza eterna). È infallibile di per se stesso (DB, 1839).
b) ordinario: comune o ‘non-solenne’ quanto al modo di insegnare. Quanto alla sostanza della verità proposta è infallibile solo se il Papa vuole definire e obbligare a credere come divinamente rivelato ciò che insegna, in maniera ordinaria, ‘non-solenne’ o comune; oppure se enuncia una verità di fede o di morale costantemente e universalmente tenuta nella Chiesa (p. es. Giovanni Paolo II sull’inammissibilità del sacerdozio femminile e Paolo VI sulla contraccezione).
- universale: dei Vescovi assieme al Papa;
c) straordinario: Papa e vescovi uniti fisicamente nello stesso luogo (in Concilio Ecumenico a Firenze, Trento o Roma), insegnano solennemente o in maniera ‘non-comune’ quanto al modo (essendo uniti eccezionalmente nello stesso luogo e non sparsi abitualmente nel mondo). È infallibile, quanto alla sostanza della verità insegnata, se vuole definire e obbligare a credere come divinamente rivelata una dottrina per la salvezza eterna.
d) ordinario: insegnamento comune, ‘non-solenne’ dei Vescovi abitualmente sparsi fisicamente nel mondo nelle loro rispettive Diocesi, ma uniti intenzionalmente al Papa nel proporre un insegnamento. È infallibile se tale insegnamento è impartito, quanto alla sostanza della verità proposta, come definitivo e obbligatorio a credersi per la salvezza dell’anima
* Il Magistero conciliare è straordinario, ma non è sempre infallibile
Il Concilio è Magistero straordinario ‘quanto al modo’, nel senso che non è abitualmente o permanentemente riunito, ma straordinariamente o solennemente; tuttavia il suo insegnamento è infallibile soltanto se definisce una verità di Fede come da credersi obbligatoriamente. Quindi il Magistero sia ordinario che straordinario è infallibile solo se ha la ‘volontà di definire e obbligare a credere’. In breve per esercitare l’infallibilità l’essenziale è obbligare i fedeli a credere come divinamente rivelato ciò che si definisce, sia in ‘maniera ordinaria’ sia in ‘maniera solenne o straordinaria’ (il modo è elemento accidentale dell’infallibilità). La forma esterna solenne o straordinaria ‘quanto al modo’ di pronunciarsi non è per sé indice di infallibilità; l’essenziale è imporre ‘quanto alla sostanza’, in ‘maniera ordinaria o straordinaria’, la dottrina annunziata definitivamente e obbligatoriamente per la salvezza. Onde non tutto ciò che è Magistero straordinario quanto alla forma esterna e ‘non comune’ o ‘non ordinaria’ di pronunciarsi con formule solenni è infallibile. Per esempio il Concilio Ecumenico Vaticano II è Magistero straordinario quanto al modo ma non infallibile, poiché non ha voluto definire né obbligare a credere.
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Le quattro condizioni dell’infallibilità
La costituzione ‘Pastor Aeternus’ del CONCILIO VATICANO I stabilisce le condizioni necessarie per l’infallibilità delle definizioni pontificie straordinarie o ordinarie[11]. Essa insegna che il Papa è infallibile «quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la Fede ed i Costumi, che deve tenersi da tutta la Chiesa» . I teologi sono unanimi nel vedervi la soluzione del problema delle condizioni dell’infallibilità pontificia[ii]. Pertanto; le condizioni necessarie perché si abbia un pronunciamento infallibile del Magistero pontificio straordinario o ordinario sono quattro:
- che il Papa parli come Dottore e Pastore universale;
- che usi della pienezza della sua autorità apostolica;
- che manifesti chiaramente la volontà di definire e di obbligare a credere;
- che tratti di fede o di morale.
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La ‘voluntas definiendi’
- Il Papa
Il punto cruciale del problema è nella terza condizione, e cioè che vi sia intenzione di definire ed obbligare a credere. Come si manifesta questa intenzione? È fondamentale che sia chiaro, in un modo o nell’altro, che il Papa vuole definire (in maniera ‘ordinaria’ o ‘straordinaria’) una verità da credere obbligatoriamente in quanto divinamente rivelata.
- Il Concilio Ecumenico
Il CONCILIO VATICANO I non ha dichiarato in che condizioni un Concilio ecumenico è infallibile. Ma, per analogia con il Magistero pontificio, si può affermare che le condizioni sono le stesse. Come il Papa, anche il Concilio ha la facoltà di essere infallibile, ma può usarne o no, a sua volontà. Molti cattolici male informati potrebbero a questo punto obiettarci di avere sempre sentito dire che ogni Concilio ecumenico è necessariamente infallibile. Questo non è però quanto dicono i teologi: “a posse ad esse non valet illatio”, ossia “il passaggio da poter essere infallibilmente assistito ed esserlo de facto non è valido”. SAN ROBERTO BELLARMINO afferma che solo dalle parole del Concilio si può sapere se i suoi decreti sono proposti come infallibili e conclude che, quando le espressioni al riguardo non sono chiare, non è certo che la dottrina enunciata sia di Fede[iii] . E, se non è certo, non c’è neppure l’obbligo di credere, perché, secondo il CODICE DI DIRITTO CANONICO, «nessuna verità deve essere considerata come dichiarata o definita come da credere, a meno che questo consti in modo manifesto»[iv] .
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Anche la costanza dell’insegnamento lo rende infallibile
Padre J. A. ALDAMA scrive: «Benché il Magistero ordinario del Pontefice Romano non sia di per sé infallibile, se però [anche senza manifestare la voluntas definiendi] insegna costantemente e per un lungo periodo di tempo una certa dottrina a tutta la Chiesa, si deve assolutamente ammettere la sua infallibilità; in caso contrario, la Chiesa indurrebbe in errore»[v]. In questo caso ci troviamo di fronte all’infallibilità del Magistero ordinario per la continuità di uno stesso insegnamento. Il fondamento dottrinale di quest’infallibilità è quello indicato dal padre Aldama: se in una lunga e ininterrotta serie di documenti ordinari su uno stesso punto i Papi e la Chiesa universale potessero ingannarsi, le porte dell’inferno avrebbero prevalso contro la Sposa di Cristo. Essa si sarebbe trasformata in maestra di errori, alla cui influenza pericolosa e perfino nefasta i fedeli non avrebbero modo di sfuggire. Evidentemente il fattore tempo non è l’unico di cui si debba tenere conto. Ve ne sono numerosi altri. Secondo la classica formula di SAN VINCENZO DI LERINO, dobbiamo credere a quanto è stato insegnato ‘sempre, ovunque e da tutti’, «quod semper, quod ubique, quod ab omnibus». Infatti l’assistenza dello Spirito Santo sarebbe manchevole se una dottrina insegnata “sempre, ovunque e da tutti” potesse essere falsa.
PIO IX nella Lettera “Tuas libenter” del 21 dicembre 1863 insegna: «qualora si trattasse della sottomissione dovuta alla Fede divina, non la si potrebbe restringere ai soli punti definiti con decreti emanati dai Concili Ecumenici, o dai Romani Pontefici; ma bisognerebbe anche estenderla a tutto ciò che è trasmesso, come divinamente rivelato, dal Magistero ordinario universale di tutta la Chiesa sparsa nell’universo». Tuttavia è necessario non intendere l’adagio in senso esclusivo, cioè come se l’infallibilità per la continuità di uno stesso insegnamento esistesse soltanto quando si verificassero queste tre condizioni[vi]. Vi può essere anche solo con la voluntas definiendi in maniera ordinaria.
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Vaticano II e infallibilità
Il Concilio Vaticano II ha usato la prerogativa della infallibilità? La risposta è semplice e categorica: no. In nessuna occasione i Padri conciliari hanno avuto la voluntas definiendi et obligandi, cioè in nessuna occasione hanno osservato la terza condizione d’infallibilità sopra indicata. Solo dove ha ripetuto ciò che la Chiesa aveva insegnato costantemente e infallibilmente il Vaticano II è stato infallibile de facto. Già nella fase preparatoria del Concilio GIOVANNI XXIII aveva dichiarato che esso non avrebbe definito verità da credere, ma avrebbe avuto soltanto un carattere pastorale. Si veda inoltre in proposito la “DICHIARAZIONE DEL 6 MARZO 1964 DELLA COMMISSIONE DOTTRINALE”[vii]. Questa dichiarazione ha un’enorme importanza, non solo per essere stata ripetuta posteriormente dalla stessa commissione[viii] , e applicata ufficialmente a più di uno schema[ix], ma soprattutto perché PAOLO VI l’ha indicata come norma di interpretazione di tutto il Concilio[x] .
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Possibilità ‘eccezionale’ di errore in atti del Magistero
Possiamo dire che il semplice fatto secondo cui i documenti del Magistero si dividono in infallibili e in ‘non infallibili’ lascia aperta, in tesi, la possibilità di errore in qualcuno di quelli ‘non infallibili’, i quali per definizione possono eccezionalmente “fallire” essendo ‘non-infallibili’. Questa conclusione si impone in base al principio metafisico enunciato da SAN TOMMASO D’AQUINO: «quod possibile est non esse, quandoque non est», ossia «ciò che può non essere [infallibile], talora non è [infallibile]»[xi]. Se, in via di principio, in un documento pontificio vi può essere errore per il fatto che non vi sono osservate le quattro condizioni dell’infallibilità, lo stesso si deve dire a proposito dei documenti conciliari, quando non osservino le stesse condizioni. In altri termini, quando un Concilio non intende definire con voluntas obligandi verità di Fede come divinamente rivelate, a rigore può cadere eccezionalmente in errore. Questa conclusione deriva dalla simmetria esistente tra la infallibilità pontificia e quella della Chiesa messa in evidenza dallo stesso Concilio Vaticano I[xii] .
i) DB, 1839.
ii) Cfr. F. DIEKAMP, Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi-Tours-Roma, 1933, vol. I, p. 71; L. BILLOT, Tractatus de Ecclesia Christi, Iochetti, Prato, 1909, tomo I, pp. 639 ss.; L. CHOUPIN, Valeur des décisions doctrianales et dísciplinaires du Saint-Siège, Beauchesne, Parigi, 1928, p. 6; J. M. HERVÉ, Manuale Theologiae Dogmaticae, Berche, Parigi, 1952, vol. I, pp. 473 ss.; C. JOURNET, op. cit., vol. I, p. 569; P. NAU, El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, cit., p. 43; I. SALAVERRI., op. cit., p. 697; S. CARTECHINI., op. cit., p. 40.
iii) Cfr. R. BELLARMINO, De Conciliis, 2, 12, in Opera omnia, Natale Battezzati, Milano, 1858, vol. II.
iv) Codex Iurís Canonici (1917), can. 1323, § 2. Nello stesso senso, cfr. S. CARTECHINI, op. cit., p. 26.
v) J. A. DE ALDAMA, Mariologia, in Sacrae Theologiae Summa, BAC, Madrid, 1961, vol. III, p.418.
vi) Cfr. F. DIEKAMP, op. cit. p. 68.
vii) Cfr. L’Osservatore Romano, edizione in francese, 18-12-1964, p. 10.
viii) ibidem.
ix) Cfr. L’Osservatore Romano, edizione in francese, 26-11-1965, p. 3.
x) Cfr. PAOLO VI, Discorso del 12-l-1966, in Insegnamenti di Paolo VI, cit., vol VI, Roma, 1967, p. 700.
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La sospensione dell’assenso ad un atto magisteriale difforme dalla Tradizione apostolica è lecita in alcuni casi eccezionali
Fuori dell’infallibilità quando vi sia «un’opposizione precisa tra il testo di enciclica e le altre testimonianze della Tradizione apostolica»[xiii], allora sarà lecito al fedele dotto e che abbia studiato accuratamente la questione, sospendere o negare il suo assenso al documento papale. Questa dottrina si trova in teologi più autorevoli. Ne citiamo alcuni.
Padre DIEKAMP: «Gli atti non infallibili del Magistero del Romano Pontefice non obbligano a credere e non postulano una sottomissione assoluta e definitiva. Tuttavia bisogna aderire con un assenso religioso e interno a tali decisioni, dal momento che costituiscono atti del supremo Magistero della Chiesa, e che si fondano su solide ragioni naturali e soprannaturali. L’obbligo di aderire ad esse può cominciare a cessare solo nel caso, che si dà soltanto rarissimamente, in cui un uomo idoneo a giudicare l’argomento in questione, dopo una diligente e ripetuta analisi di tutte le ragioni, giunga alla convinzione che nella decisione si è introdotto l’errore»[xiv] .
Padre MERKELBACH: «Finché la Chiesa non insegna con autorità infallibile, la dottrina proposta non è di per sé irreformabile; perciò se per accidens, ossia eccezionalmente, in un’ipotesi per altro rarissima, dopo un esame assai accurato a qualcuno sembra che esistano ragioni gravissime contro la dottrina così proposta, sarà lecito senza temerarietà ‘sospendere l’assenso interno’»[xv]. La «sospensione dell’assenso interno», di cui parlano i teologi, ha maggiore ampiezza della semplice «sospensione del giudizio» del linguaggio corrente. Infatti, a seconda del caso, il diritto di «sospendere l’assenso interno›› comporterà, oltre al non giudicare, il diritto di temere che vi sia errore nel documento del Magistero, o quello di dubitare dell’insegnamento in esso contenuto, o anche quello di respingerlo.
Da tutto quanto esposto si deduce che, in via di principio, l’esistenza di errori in documenti ‘non infallibili’ del Magistero anche pontificio e conciliare non ripugna. Indubbiamente tali errori non possono essere durevolmente e costantemente proposti nella Santa Chiesa, al punto da mettere le anime nel dilemma di accettare l’insegnamento falso oppure di rompere con la Chiesa. Tuttavia è possibile, in via di principio ed eccezionalmente, che per qualche tempo, soprattutto in periodi di crisi e di grandi eresie, si trovi qualche errore in documenti del Magistero. Facciamo queste osservazioni senza alcun obbiettivo demolitore del Magistero. Non miriamo, cioè, a fondare le «contestazioni» ereticali con cui i progressisti o i conciliaristi gallicani cercano, in ogni momento, di scuotere il principio di autorità papale nella Chiesa. Quello a cui miriamo, richiamando la possibilità di errore in documenti magisteriali non infallibili è offrire un aiuto per illuminare i problemi di coscienza e gli studi di molti antiprogressisti di fronte alle novità introdotte dal Vaticano II e dal post-concilio, perché essi, per il fatto d’ignorare tale possibilità, si trovano spesso in condizione di perplessità per quanto riguarda il Concilio Vaticano II e le riforme da esso scaturite.
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Rapporto tra Tradizione e Magistero
La Tradizione assieme alla Bibbia è una delle due “fonti” della divina Rivelazione (Tradizione passiva e oggettiva). Essa è anche la “trasmissione” (dal latino tradere, trasmettere) orale di tutte le verità rivelate da Cristo agli Apostoli o suggerite loro dallo Spirito Santo, e giunte a noi mediante il Magistero sempre vivo della Chiesa, assistita da Dio sino alla fine del mondo (Tradizione passiva e oggettiva). La Tradizione assieme alla S. Scrittura è il “canale contenitore (Tradizione passiva) e veicolo trasmettitore (Tradizione attiva)” della Parola divinamente rivelata. Il Magistero ecclesiastico è “l’organo” della Tradizione. Mentre gli “strumenti” in cui si è conservata sono i Simboli di fede, gli scritti dei Padri, la liturgia, la pratica della Chiesa, gli Atti dei martiri e i monumenti archeologici.
La Tradizione si può considerare sotto due aspetti:
- in senso attivo (soggettivo o formale), essa è l’organo vivo o il soggetto (persone o istituzioni/Papa e Chiesa) il quale funge da canale di trasmissione;
- in senso passivo (oggettivo o materiale) è l’oggetto o deposito trasmesso (Dottrina e Costumi)[12].
La Tradizione di cui ci occupiamo in questo articolo è quella sacra o cristiana e non quella profana. La Tradizione cristiana si divide in
- Tradizione divina (insegnata direttamente da Cristo agli Apostoli);
- Tradizione divino-apostolica (gli Apostoli non la ascoltarono dalla bocca di Cristo, ma la ebbero per ispirazione dello Spirito Santo). Essa consiste in quelle verità o precetti morali, disciplinari e liturgici, i quali derivano direttamente da Cristo o dagli Apostoli, in quanto promulgatori della Rivelazione, illuminati dallo Spirito Santo, trasmesse agli uomini incorrotte sino alla fine del mondo, esse sono oggetto di Fede divina.
Tradizione “vivente”?
I primi ‘Discepoli’ degli Apostoli ricevettero in maniera diretta e immediata la Tradizione dalla bocca dei Dodici, mentre i posteri la ricevono in maniere
indiretta e mediata, tramite l’insegnamento dei successori di Pietro (i Papi) e degli Apostoli (i Vescovi)
cum Petro et sub Petro, il Magistero è l’
organo della trasmissione
ininterrotta della medesima eredità ricevuta dagli Apostoli da parte di Cristo o dello Spirito Santo. Questa è la funzione del Magistero: mediare, interpretare e attualizzare o trasmettere l’insegnamento divino, ma sempre agganciandosi alla Tradizione ricevuta e quindi già trasmessa. Non si tratta di far vivere una Fede
nuova (“
nova”), ma di tramandare e far ricevere o
rivivere continuamente e nuovamente (“
nove”) l’unica Fede predicata da Cristo e dagli Apostoli,
sino alla fine del mondo. Tale funzione non contiene e non propone nessuna novità sostanziale, ma solo ribadisce in
maniera nuova e approfondita o esplicitata la stessa verità contenuta nella Scrittura e nella Tradizione. Da questa trasmissione della Fede è totalmente assente ogni ombra di contraddizione tra verità antiche e nuove e lo sviluppo o approfondimento deve avvenire “nello stesso senso e nello stesso significato” (S. VINCENZO DA LERINO,
Commonitorium, XXIII). Solo in tale senso si può parlare anche di Tradizione “viva”, non in quanto “cangiante”, ma “
omogeneamente crescente”[13]. Non vi è Tradizione, non sussiste verità cattolica dove si trova contraddizione, contrarietà o concorrenza tra “
nova et vetera”. Il card. PIETRO PARENTE su
L’Osservatore Romano del 9-10 febbraio 1942 già scriveva: «c’è da deplorare [...] la strana
identificazione della Tradizione (
fonte della Rivelazione) col Magistero vivo della Chiesa (custode ed
interprete della divina Parola)». In breve vi è una distinzione tra Tradizione e Magistero nel senso che il secondo
custodisce, spiega e propone a credere le verità contenute nella Tradizione ed è molto pericoloso identificare la Tradizione col Magistero
vivente, perché si finisce col dare alla prima un carattere intrinsecamente evolutivo o al contrario relativizzare talmente il Magistero rispetto alla Tradizione sino a minimizzarlo o quasi annichilarlo. Sono i due errori, per eccesso e per difetto, che si riaffacciano oggi.
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Ermeneutica della continuità
La continuità tra due dottrine per essere reale e non solo verbale deve comportare una continuità omogenea, che esclude ogni alterazione sostanziale o intrinseca, ogni diversità o novità eterogenea, anche solo parziale. Il Magistero è vivente in quanto ad un Papa morto ne segue uno vivo e in atto sino alla consumazione del mondo; invece, per quanto riguarda la Tradizione, bisogna fare attenzione a non parlare di Tradizione vivente se non si esplicita il vero e unico significato di tale vitalità, come condizionata dalla continuità con la dottrina ricevuta dagli Apostoli e trasmessa senza alterazioni sostanziali. La Tradizione è immutabile (da non confondere con mummificazione) come la verità divina (“Ego sum Dominus et non mutor”), che il Magistero ha ricevuto da Gesù e dagli Apostoli e che ripropone in quanto tale intrinsecamente ed è approfondita solo estrinsecamente, per rendere più esplicita una verità o per superare e confutare gli errori ad essa contrapposti[14]. La Tradizione è veramente viva solo se mantiene la sua natura come un bambino che cresce restando sempre se stesso. La Tradizione “vivente” in senso modernistico, quale evoluzione eterogenea ed intrinseca di essa, è una conciliazione dell’inconciliabile, un assurdo, una contraddizione. Il Magistero per essere in continuità con la Tradizione deve “trasmettere ciò che ha ricevuto” (“tradidi quod et accepi”) dagli Apostoli, senza novità sostanziali, intrinseche ed eterogenee; altrimenti non vi è continuità, ma difformità e deformità reale anche se nominalmente ci si richiama alla “Tradizione” vivente, deformandone, così, il significato, sottolineando l’aggettivo “vivente” a scapito della Tradizione.
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Tradizione scritta e orale
La Tradizione orale non esclude che venga poi messa per iscritto, ma non sotto la “divina Ispirazione”[15], che appartiene alla S. Scrittura, in quanto, col passare del tempo, la trasmissione a voce viene fissata in documenti scritti o epigrafi. Per esempio la validità del Battesimo dei neonati è Tradizione, poiché è parola di Dio non scritta sotto divina ispirazione, ma attestata unanimemente da quasi tutti gli antichi scrittori ecclesiastici. Tuttavia lo scritto è solo un sussidio della Tradizione orale. Onde vi possono essere Tradizioni o insegnamenti divino-apostolici di cui nulla è stato scritto. Sarà la voce del Pastore o della Chiesa, ossia il Magistero vivente nella persona del Papa attualmente regnante (eventualmente assieme ai Vescovi, se il Papa lo desidera senza esservi obbligato) a garantire che tali verità sono di origine divina o divino-apostolica. Solo in questo senso soggettivo si può parlare di Tradizione “vivente”, in quanto l’insegnamento divino o apostolico, oggetto della Tradizione, viene trasmesso ininterrottamente dalla catena dei Papi vivi.
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Tradizione e S. Scrittura
Confrontando Tradizione e Scrittura si dice che la Tradizione è
- “inesiva”, se la stessa verità è contenuta sia nella Scrittura che nella Tradizione;
- “dichiarativa”, se una verità attestata dalla Scrittura viene chiarita meglio dalla Tradizione;
- “completiva” se trasmette verità non contenute nella Bibbia, ad esempio la pratica di battezzare i neonati. Perciò è dottrina comunemente insegnata che la Tradizione è più ricca della sola Scrittura. Più ricca in antichità (anche la Scrittura prima di essere messa per iscritto è stata Tradizione, in quanto trasmissione a voce della divina Rivelazione, in pienezza (in quanto la Tradizione contiene tutte le verità rivelate mentre la Scrittura no) e in sufficienza (poiché la Scrittura ha bisogno della Tradizione per stabilire la sua autorità).[16]
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Errore luterano
Per il protestantesimo, invece, l’unica fonte della Rivelazione è la S. Scrittura, onde la sola nozione di Tradizione orale e di Magistero quale canale trasmettitore di essa è inconcepibile. Invece la Chiesa ha definito infallibilmente nel Concilio di Trento (sessione IV del 6 aprile 1546; DB, 783) e nel Concilio Vaticano I (DB, 1787)
- che esistono insegnamenti o Tradizioni divino-apostoliche aventi relazione con la Fede e la Morale
- trasmesse ininterrottamente tramite il Magistero della Chiesa
- assistita da Dio.
Se manca una sola di queste tre condizioni la “tradizione” è solo umana e quindi fallibile. Inoltre il Tridentino ha definito (sessione IV; DB, 783) che la Fede e la Morale “è contenuta tanto nei Libri Sacri scritti [sotto divina Ispirazione], quanto nella Tradizione non scritta” e che bisogna “ricevere con pari amore di pietà e riverenza” sia l’una che l’altra fonte della Rivelazione (DB, 738; ripreso dal Vaticano I; DB, 1787). Per l’ortodossismo scismatico esiste la ‘sola Tradizione’, senza il Magistero petrino divinamente assistito, che la interpreta correttamente.
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Esistenza della Tradizione nella Bibbia
L’errore luterano è smentito dalla stessa Scrittura: “Andate, dunque, ammaestrate tutte le genti […] insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato” (Mt. XXVIII, 19-20). Gesù non ha scritto nulla né ha comandato di scrivere, ma di insegnare; perciò, gli Apostoli hanno prima predicato e solo dopo hanno messo per iscritto parte dell’insegnamento orale di Cristo.
a) La Tradizione e i Padri
Col III secolo (PAPIA + 130; S. CLEMENTE ROMANO + 101; S. IRENEO DA LIONE + 202 e TERTULLIANO + 222) i Padri ecclesiastici iniziarono a distinguere nettamente S. Scrittura e Tradizione come due fonti distinte della Rivelazione, dando una certa preferenza alla Tradizione. Nel IV-V secolo con i Cappadoci in oriente (S. BASILIO + 379, S. GREGORIO NAZIANZENO + 390 e NISSENO + 394) e S. AGOSTINO (+ 430) in occidente si approfondì il significato di Tradizione specialmente in rapporto ai suoi organi di trasmissione (Papi, Concili, Padri ecclesiastici). S. VINCENZO DA LERINO, infine, ha formulato la regola più nota e comune per discernere la Tradizione divino-apostolica: “Quod ubique [universalità], quod semper [antichità], quod ab omnibus [conenso generale] creditum est” (Commonitorium, II). Questa regola è stata fatta propria dal Concilio Vaticano I.
b) Tradizione, Assistenza divina e Magistero
Come si vede, sia nella Scrittura che nei Padri il concetto di Tradizione è sempre collegato
- all’Assistenza di Dio, poiché senza l’aiuto dello Spirito di Verità la purezza dell’insegnamento orale non potrebbe conservarsi senza mescolanza di errori;
- al Magistero, che, pur non essendo la Tradizione stessa, è l’organo tramite il quale essa viene trasmessa, il senso pieno di Tradizione si può avere solo a condizione di tenere uniti i due suoi aspetti: l’aspetto passivo, che è il Deposito della Fede, e l’aspetto attivo che coincide con il Magistero. Il secondo aspetto è il più importante, così che una “tradizione”, anche se del I secolo, ma non attestata dal Magistero della Chiesa non costituisce una ‘vera’ Tradizione divino-apostolica; al massimo avrebbe il valore di documentazione storica, ma non sarebbe una Tradizione di Fede divina. Tra Magistero e Tradizione vi è distinzione ma non separazione totale, ossia la Chiesa è come un Maestro (Magistero) che contiene e trasmette la Scrittura (Bibbia) e la Tradizione (Denzinger), il quale ha un Libro di testo ufficiale (Bibbia + Denzinger) e ne spiega il vero significato ai discenti; se un allievo non capisce bene il significato del Libro può chiedere spiegazione al Maestro ed egli lo illuminerà. Da tutto ciò risulta la parte essenziale e non minimale o addirittura contingente, che svolge il Magistero nel dare, “tutti i giorni sino alla fine del mondo”, la retta interpretazione soggettivo/formale del contenuto dommatico-morale della Tradizione, avendone garantito ieri la veridicità del contenuto passivo o oggettivo/materiale .
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Riassumendo
Il Magistero custodisce, interpreta e spiega realmente la Parola di Dio scritta o orale (“Verbum Dei scriptum vel traditum”). Quindi questi tre termini non sono identici. Il Magistero non è fonte di Rivelazione, la Scrittura e Tradizione sì. Perciò il Magistero presuppone le due fonti della Rivelazione, le custodisce e le spiega, onde in senso stretto non coincide con la Tradizione. Tuttavia se si considera il Magistero nei suoi documenti o oggettivamente, allora si può dire che in essi si ritrova la fonte o luogo in cui vi è la Rivelazione .
Il Magistero è assistito da Dio. Tuttavia quest’assistenza non è assoluta, ma limitata alla trasmissione della Rivelazione. Dunque, lungi dal costituire la dottrina o la Verità divina, l’atto del Magistero la conserva e la dichiara: il Magistero si definisce come tale in dipendenza oggettiva dalla Rivelazione divina, di cui deve assicurare la trasmissione.
L’assistenza è data al Papa perché egli possa preservare la Fede della Chiesa. Se si perde di vista il giusto rapporto che fa dipendere il Magistero dalla Tradizione oggettiva, il Dio rivelatore rischia di passare in secondo piano a vantaggio del Magistero custode ed interprete, ossia il Creatore cederebbe il passo alla creatura, il Fine al mezzo.
sì sì no no
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1) Brunero Gherardini,
Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id.,
Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011.
2) Per esempio una verità divinamente e ‘formalmente rivelata’ è una Verità di Fede o di Fede-rivelata o Dogma materiale, se poi la Chiesa ha definito che tale verità è rivelata e obbliga a crederlo è una Verità di Fede rivelata e definita, o Dogma formale oppure di Fede divino-cattolica o anche di Fede divino-definita, la loro negazione è ‘eresia’. Una verità non ancora definita è Prossima alla Fede, la sua negazione è ‘prossima all’eresia’. Invece ciò che è ‘virtualmente rivelato’, ossia deducibile tramite sillogismo da una Maggiore di Fede, è una Conclusione teologica, la sua impugnazione è un ‘errore teologico’.
3) Compendio di Apologetica, tr. it. Torino, Marietti, 1960, p. 461.
4) Cfr. Cipriano Vagaggini, voce “Dogma”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 1792-1804; Giacinto Ameri, voce “Definizione dogmatica”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 1306-1307.
5) Cfr. G. Zannoni, voce “Eresia”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. V, coll. 487-492.
6) Per es. Giovanni Paolo II sulla impossibilità del sacerdozio femminile; oppure i Vescovi sparsi nel mondo assieme al Papa. Per es. Pio XII che chiede ai Vescovi di tutto il mondo se reputano rivelata e definibile l’Assunzione di Maria SS. in Cielo.
7) Per esempio Pio IX, che definisce da solo l’Immacolata Concezione o il Concilio Vaticano I, che definisce l’Infallibilità pontificia.
8) «Sono da credersi di fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa, sia con Giudizio solenne sia col Magistero ordinario, come divinamente rivelate».
9) Cfr. Federico dell’Immacolata, voce “Infallibilità”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, coll. 1920-1924.
10) Cfr. M. Cordovani, voce “Chiesa”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1949, vol. III, coll. 1443-1466; Antonio Piolanti, voce “Primato di San Pietro e del Romano Pontefice”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1953, vol. X, coll. 6-19; Giuseppe Damizia, voce “Concilio”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 167-172.
11) Il Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792 insegna infallibilmente: “Sono da credersi di fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa come divinamente rivelate [elemento essenziale], sia con giudizio solenne sia col Magistero ordinario [elemento accidentale modale]”. Come si vede il Magistero ordinario consta di un giudizio non solenne ‘quanto al modo’ di esprimersi, ma se manifesta la
voluntas definiendi anche in maniera ordinaria, comune o non solenne, è
egualmente infallibile.
12) Cfr. G. Mattiussi,
L’immutabilità del dogma, in “La Scuola cattolica”, marzo 1903.
13) Cfr. A. Marìn Sola,
L’evolution homogène du dogme, Friburgo, 1924.
14) S. Th., II-II, q. 1, a. 9, ad 2.
15) Impulso o mozione divina che spinge l’agiografo a scrivere quanto Dio vuole che sia comunicato. S. Paolo scrive che “tutta la Scrittura è ispirata da Dio” (II Tim. III, 16-17). Leone XIII nell’enciclica Providentissimus del 1893 ha definito così la ispirazione agiografica biblica o divina: “azione soprannaturale tramite la quale Dio eccitò e mosse gli scrittori sacri a scrivere, li assistette nello scrivere di modo che essi concepissero rettamente col pensiero, volessero fedelmente scrivere ed esprimessero correttamente con infallibile verità tutto quello che Egli voleva che esprimessero”. Dio è l’autore principale del Libro sacro; l’agiografo l’autore secondario e strumentale, ma cosciente e libero, per cui Dio 1°) illumina la mente dell’agiografo per fargli capire perfettamente ciò che deve scrivere e discernerne infallibilmente la verità dalla falsità; 2°) muove la volontà dell’agiografo perché si decida a scrivere quel che ha capito e giudicato vero; 3°) assiste le facoltà esecutive affinché nella scelta delle parole non vi siano errori o deviazioni che comprometterebbero la manifestazione del pensiero divino. (Cfr. Ch. Pesch, De Inspiratione Scripturae, Friburgo, 1906; E. Florit, Ispirazione biblica, Roma, 1951).
16) M. Cano,
De locis theologicis lib XII, Venezia, 1799, p. 4.
17) Cfr. J. B. Franzelin,
De divina traditione et Scriptura., Roma, 1870; L. Billot,
De immutabilitate traditionis, Roma, 1904; S. G. Van Noort,
Tractatus de fontibus Revelationis necnon de fide divina, 3a ed., Bussum, 1920; S. Cipriani,
Le fonti della Rivelazione, Firenze, 1953; A. Michel, voce “Tradition”, in DThC, XV, coll., 1252-1350; G. Filograssi,
La Tradizione divino-apostolica e il magistero ecclesiastico, in “La Civiltà Cattolica”, 1951, III, pp. 137-501; G. Proulx,
Tradition et Protestantisme, Parigi, 1924; S. Tommaso d’Aquino, S. Th., III, q. 64, a. 2, ad 2; B. Gherardini,
Divinitas 1, 2, 3/ 2010, Città del Vaticano, S. Cartechini,
Dall’opinione al domma, Roma, Civiltà Cattolica, 1953, M. Schmaus, tr. it.,
La Chiesa, Casale Monferrato, Marietti, 1973.
Cfr. J. Salaverri,
De Ecclesia Christi, Madrid, BAC, 1958, n° 805 ss.