Ricevo da parte di Mons. Gherardini, condividendo il suo desiderio che "l’etere ne sia presto ripieno", questo articolo sulla Liturgia, fonte e culmine della nostra Fede, che non è altro che "la" preghiera ufficiale della Chiesa, il "Dogma pregato" così come il Signore l'ha consegnato ai suoi Apostoli: la "Santa sinassi" come essi l'hanno vissuta e trasmessa, giuntaci intatta nei secoli e da noi custodita come tesoro prezioso non fatto da mano umana. Ius divinum, prima ancora che Azione teandrica del Signore.
Aggiungo a questa premessa solo alcuni dati essenziali che riguardano la mirabile 'forma' usus antiquior. Ad essa molte anime credenti, lasciandone intatte le linee portanti, hanno solo apportato aggiunte marginali dettate dalla devozione sviluppatasi e consolidatasi nei secoli. San Gregorio Magno ha dato il maggior contributo, adoperandosi per l'unità liturgica e il suo perfezionamento. Fu l'ultimo ad intervenire sulle parti essenziali della Messa, modellate sul libro gelasiano che a sua volta dipende dalla collezione leonina. Le preghiere del nostro Canone sono nel trattato De Sacramentis. Ne troviamo riferimenti nel IV secolo. Col Concilio di Trento si è provveduto alla revisione dei Messali - giungendo al Messale di S. Pio V -, ma si è lasciata inalterata la forma della Messa. Del resto l'uniformità stessa che nel campo liturgico si riscontra presso le Comunità cristiane dei primi due secoli, suppone un principio d'autorità, un metodo d'azione, cioè una organizzazione primitiva che dovette far capo più che agli Apostoli a Cristo medesimo. Tutto questo non potrà mai essere né ignorato né sottovalutato.
Nella tormentata atmosfera del cinquantennio postconciliare, qualche sprazzo di luce ogni tanto s’è fatto vedere, se pur sempre accompagnato da inevitabili zone d’ombra. Era la luce accesa già dal grande Pontefice Pio XII, quando, per rimetter in sesto lo sbilanciato movimento liturgico che stava uscendo dal suo binario, promulgò l’enciclica “Mediator Dei” (20 nov. 1947)[1]. Lo sbilanciamento principale, accanto ad altri di non secondaria pericolosità, si moveva in direzione del c. d. sacerdozio comune o universale. Guarda caso, ha continuato a muoversi nella medesima direzione in tutto il predetto cinquantennio. Pio XII aveva chiaramente indicato i limiti d’un sacerdozio che è, sì, di tutt’i battezzati, non però tale da neutralizzar il sacerdozio ministeriale, come se Cristo nell’ultima Cena avesse concesso a tutt’i suoi seguaci, indistintamente, il proprio “munus” sacerdotale[2]. Poco dopo, lo stesso Vaticano II confermò tanto la dottrina del sacerdozio comune[3], quanto quella del sacerdozio ministeriale[4] e dichiarò d’ambedue l’ordinazione reciproca avendo parte l’uno e l’altro “all’unico sacerdozio di Cristo”. Tuttavia si premurò di stabilir inconfondibilmente che “il sacerdozio comune dei fedeli ed il sacerdozio ministeriale o gerarchico […] differiscono essenzialmente e non solo di grado”[5].
Non si può dire che una tale disposizione sia stata recepita con grande entusiasmo ed altrettanta fedeltà. Si è arrivati al limite d’un clericalismo paradossale, ribaltato, ovvero laicale, con tutt’i difetti, e talvolta anche più pronunciati, di quello dei preti. Ricordo con quanta convinta fermezza la superiora d’un monastero della Foresta Nera, dov’ero ospite negli anni immediatamente postconciliari, ad una mia osservazione rispose: “Sì, però noi tutte concelebriamo (mitfeiern)”. Lo sbilanciamento non è venuto meno col passare degli anni, anche in conseguenza del rarefarsi delle ordinazioni presbiterali e d’una presa di coscienza, oltre che d’una sempre più massiccia presenza in ambito ecclesiale da parte del mondo laicale.
Ho accennato a zone d’ombra: quella del sacerdozio comune non è l’unica, altre essendosi ad essa congiunte per avvolger la vita e l’attività d’una comunità cristiana nel buio d’una notte fonda, dove il prete spesso non è neanche in grado di star a guardare, come le stelle d’un famoso romanzo.
Eppure, anche nel buio di codesta notte il fulgore della bellezza e dell’armonia, come la misteriosa stella dei Magi, è riuscito, se non ad avvampare, a farsi almeno notare: il fulgore della sacra Liturgia. Fulgore tuttora offuscato da una riforma slegata dalla storia e da esigenze pratiche, della quale nove su dieci invocan oggi la controriforma. Mortificato da una sfrenata creatività e teatralità soggettiva a danno della sacralità dell’azione sacra. Soffocato da una legislazione che parve esaltarsi nel decretar o consentire la distruzione sistematica d’altari, balaustre, pulpiti e di quanto fosse giudicato d’impedimento alla comunicazione della comunità in linea orizzontale[6]. Quel fulgore si sprigionò, sia pur timidamente, nel momento stesso in cui fervevano, avvicendandosi, le iniziative per l’applicazione del Vaticano II e della successiva riforma liturgica: mentre questa concorreva all’autodemolizione della Chiesa, prendeva consistenza un’autoconsapevolezza liturgica che via via lasciava il segno.
Romano Amerio prendeva netta posizione contro “l’opera più imponente, più visibile, più universale e più efficace del Vaticano II”, la riforma liturgica, che definiva contraddittoria perfino rispetto “ai testi della grande assemblea”[7]. Klaus Gamber riportava all’attenzione dei Pastori, dei teologi e dello stesso popolo di Dio l’esigenza ineludibile di rivedere le decisioni ufficiali circa la costruzione dei luoghi di culto, il loro orientamento e quello dell’altare, nonché del celebrante durante il sacro rito[8]. Sull’argomento prendeva posizione anche il grande Joseph A. Jungmann, il noto autore di Missarum Sollemnia[9], mentre Manlio Sodi curava l’edizione dei sei libri della riforma tridentina[10], tra i quali, in collaborazione con A. M. Triacca, il glorioso Missale Romanum[11].
Da parte sua la Fraternità sacerdotale san Pio X, sia pur dalla scomoda posizione di voce “a latere” e priva d’ufficiale riconoscimento, continuava la sua testimonianza a favore della Tradizione con particolare accentuazione di quella liturgica. Altri scritti, non certo a valanga ma nemmeno tanto rari, si rivelavano ineccepibili tanto sul piano del riferimento alle fonti e dell’evoluzione storica, quanto su quello del valore teologico e del rapporto fra Liturgia e Fede.
I guizzi di codesto fulgore, ora più insistenti ora appena percepibili, mai però sotterranei, hanno accompagnato la lunga interminabile insopportabile fase della ricezione ed ermeneutica del Vaticano II. Nel 2007, però, un evento eccezionale: Benedetto XVI, con il motuproprio “Summorum Pontificum”[12], riconobbe come mai abrogato l’antico rito romano della c. d. Messa tridentina, promulgò norme giuridico-liturgiche perché esso potesse liberamente celebrarsi con l’uso del Messale Romano approvato nel 1962 da Giovanni XXIII e dispose l’entrata in vigore di tali disposizioni il 14 settembre di quel medesimo 2007. Nel 1984, con la “Quattuor abhinc annos” di Giovanni Paolo II, eran già state prese alcune decisioni a favore di chi avesse voluto celebrare l’Eucaristia con il rito antico: tali decisioni però vennero da non pochi ignorate e da molti, anche vescovi, osteggiate. Sembrava che la liturgia in vigore da secoli fino al 1970 fosse diventata improvvisamente blasfema; la si boicottava, la si spregiava, la si condannava[13]. Alla testa dell’indecente ed immorale contestazione, una buona parte dell’episcopato. Alcuni ecclesiastici non avevan alcun ritegno nel dire di no alla legittima domanda della Messa tradizionale ed a spalancare le porte delle loro chiese a protestanti e musulmani: “Cosiffatto è il guazzabuglio del cuore umano”!
Romano Amerio prendeva netta posizione contro “l’opera più imponente, più visibile, più universale e più efficace del Vaticano II”, la riforma liturgica, che definiva contraddittoria perfino rispetto “ai testi della grande assemblea”[7]. Klaus Gamber riportava all’attenzione dei Pastori, dei teologi e dello stesso popolo di Dio l’esigenza ineludibile di rivedere le decisioni ufficiali circa la costruzione dei luoghi di culto, il loro orientamento e quello dell’altare, nonché del celebrante durante il sacro rito[8]. Sull’argomento prendeva posizione anche il grande Joseph A. Jungmann, il noto autore di Missarum Sollemnia[9], mentre Manlio Sodi curava l’edizione dei sei libri della riforma tridentina[10], tra i quali, in collaborazione con A. M. Triacca, il glorioso Missale Romanum[11].
Da parte sua la Fraternità sacerdotale san Pio X, sia pur dalla scomoda posizione di voce “a latere” e priva d’ufficiale riconoscimento, continuava la sua testimonianza a favore della Tradizione con particolare accentuazione di quella liturgica. Altri scritti, non certo a valanga ma nemmeno tanto rari, si rivelavano ineccepibili tanto sul piano del riferimento alle fonti e dell’evoluzione storica, quanto su quello del valore teologico e del rapporto fra Liturgia e Fede.
I guizzi di codesto fulgore, ora più insistenti ora appena percepibili, mai però sotterranei, hanno accompagnato la lunga interminabile insopportabile fase della ricezione ed ermeneutica del Vaticano II. Nel 2007, però, un evento eccezionale: Benedetto XVI, con il motuproprio “Summorum Pontificum”[12], riconobbe come mai abrogato l’antico rito romano della c. d. Messa tridentina, promulgò norme giuridico-liturgiche perché esso potesse liberamente celebrarsi con l’uso del Messale Romano approvato nel 1962 da Giovanni XXIII e dispose l’entrata in vigore di tali disposizioni il 14 settembre di quel medesimo 2007. Nel 1984, con la “Quattuor abhinc annos” di Giovanni Paolo II, eran già state prese alcune decisioni a favore di chi avesse voluto celebrare l’Eucaristia con il rito antico: tali decisioni però vennero da non pochi ignorate e da molti, anche vescovi, osteggiate. Sembrava che la liturgia in vigore da secoli fino al 1970 fosse diventata improvvisamente blasfema; la si boicottava, la si spregiava, la si condannava[13]. Alla testa dell’indecente ed immorale contestazione, una buona parte dell’episcopato. Alcuni ecclesiastici non avevan alcun ritegno nel dire di no alla legittima domanda della Messa tradizionale ed a spalancare le porte delle loro chiese a protestanti e musulmani: “Cosiffatto è il guazzabuglio del cuore umano”!
A chi fosse rimasto sorpreso dal cioè del mio titolo, la scomposta reazione alle disposizioni suddette dovrebbe neutralizzar ogni sorpresa. Ed altrettanto il velleitario presenzialismo di quei tuttologi che si buttan a capofitto dovunque avvertono qualche stormir di fronda, trinciando giudizi a destra ed a sinistra, come se tutto dovesse passar al vaglio del loro si o del loro no. Costoro, non potendo ignorar il dibattito sulla Liturgia, ne trattarono e ne trattano dall’altezza della loro insipienza. Quando leggo che “la celebrazione è presenza e azione di Cristo che si attualizzano nei partecipanti all’azione liturgica”, non posso reagire che con un cioè?, e confessare che non ci capisco un’acca, convinto come sono che Cristo si fa presente sacramentalmente nell’azione liturgica e non nei partecipanti alla medesima. Del pari rispondo con un cioè? a chi mi dice che “riti preghiere musiche e canti debbono iconizzare l’invisibile presenza di Cristo attraverso l’azione dello Spirito Santo”: se l’invisibile diventa icona, cessa d’esser invisibile. Chi poi dichiara che “l’attuazione dell’agire di Cristo nella celebrazione è espressione della sua presenza in mezzo a noi” merita lo stesso cioè?, perché mi ricorda l’Odo Casel non della sua “Mysterientheologie” che ha positivamente rivoluzionato lo stesso modo di parlar in termini liturgici, ma d’alcuni suoi aspetti collaterali contestabili e contestati, come la presenza di Cristo che il rito riproporrebbe secondo tutte le sue circostanze di tempo e di luogo: tali circostanze circoscrivon una persona e le sue azioni in un determinato ubi et quando, senza possibilità – se non quella sacramentale, dovuta ad una disposizione dello stesso Cristo e a ciò che san Tommaso intende con l’espressione “virtus fluens Christi”– di ripresentarsi hic et nunc.
Purtroppo il cioè? affiora anche dalle conseguenze del motuproprio “Summorum Pontificum”. Voleva avviare una pace liturgica ed ha – per colpa dei ribelli – incentivato la guerra. I due riti, impropriamente definiti ordinario e straordinario, son di per sé irriducibili: il loro unico punto di convergenza è la transustanziazione, sempre che i moderni teologi ci credan ancora e non le preferiscano la transfinalizzazione o la transignificazione. Per il resto son due ordinamenti l’uno lontano dall’altro. Non c’è corrispondenza nel calendario, non nelle memorie e nelle feste dei Santi; perfino quelle di N.S. Gesù Cristo e della Madonna son, in varie circostanze, diversamente dislocate. Abissale è la differenza delle antifone alle Lodi ed ai Vespri. La divisione dei tempi liturgici avviene secondo un rito, il nuovo, lungo un intero triennio; secondo l’altro, l’antico, in un unico anno. La stessa denominazione dei tempi è cambiata: un giovane prete oggi non sa neanche che cosa fosse la Settuagesima, o la Sessagesima e la Quinquagesima, combaciando i due ordinamenti nella sola Quaresima. Se poi l’analisi si sposta sul versante linguistico e canoro, si rizzan i capelli anche a chi ne è privo. Le orazioni sono espresse, oggi, o in un latino da quinta ginnasiale o in un volgare che talvolta più volgare non si può. Due Chiese? Certamente no, ma l’impressione è quella. “Anfibologia”, direbbe Amerio.
Per toglier ogni giustificato motivo al cioè? il Santo Padre potrebbe portar a termine l’opera iniziata con il suo “Summorum Pontificum”: coordinando gli attuali due riti, in maniera che l’uno corrisponda pienamente all’altro, rimanendo ovviamente ambedue quel che sono: un rito nuovo ed uno tradizionale.
Brunero Gherardini
___________________________1) In AAS 39 (1947) 528ss.
2) Ibidem p. 553.
3) AA 3: “I laici vengon consacrati per formar un sacerdozio regale ed una nazione santa (1Ptr 2,4-10), onde offrire sacrifici spirituali mediante ogni attività e render ovunque testimonianza a Cristo”.
4) Si veda LG 20, 26, 41; CD 28; PO 5, 7, 8, 10-11, 16; OT 12.5) LG 10.
6) E’ da poco apparso, tradotto e pubblicato dalle Suore Francescane dell’Immacolata di Città di Castello, un opuscoletto di M. Davies (1936-2004), L’Altare Cattolico, (pro manuscripto) Città di Castello 2011. L’Autore, un convertito dall’anglicanesimo e con lo stupore un po’ indignato tipico del convertito, documenta e lamenta la detta distruzione.
7) AMERIO R., Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel XX secolo, a c. di E. M. Radaelli, Lindau, Torino 2009, p. 543-579
8) GAMBER K., Ritus modernus. Gesammelte Aufsätze zur Liturgiereform, (SPLi 4), Regensburg 1972; ID., Liturgie und Kirchenbau. Studien zur Geschichte der Meßfeier und des Gotteshauses in der Frühzeit, (SPLi 6), Regensburg 1976; ID., Zum Herrn hin! Fragen um Kirchenbau und Gebet nach Osten, (BSPLi 18), Regensburg 1987 (19942). Su questi medesimi argomenti e su quello più generico della sacra Liturgia in quanto tale nel postconcilio hanno scritto decine e decine d’Autori, fra i quali importantissimi LANG U. M., Conversi ad Dominum. Zu Geschichte und Theologie der christlichen Gebetsrichtung, Johannes Verlag, Friburgo 2003; RATZINGER J., Das Fest des Glaubens. Versuche zur Theologie des Gottesdienstes, Friburgo 1981 (19933); ID., Der Geist der Liturgie. Eine Einführung, Friburgo 2000; ID., Theologie der Liturgie, in “FKTh“ 18 (2002) 1-13; ID., Der Geist der Liturgie oder die Treue zum Konzil, in LJ 52 (2002) 111-115,
9) JUNGMANN J. A., Der neue Altar, in “Der Seelsorger” 37 (1967) 374-381; ID., Messe im Gottesvolk. Ein nachkonzialiarer Durchblick durch Missarumn Sollemnia, Friburgo 1970.
10) Libreria editrice vaticana, 1997-2005.11) Ivi, 1998.
12) In AAS 99 82007) 777-781
13) Si vedan al riguardo le lucide parole con cui, nel 2001, il card. J. Ratzinger descriveva una così assurda situazione: Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001, p. 379-381
Sembrava che la liturgia in vigore da secoli fino al 1970 fosse diventata improvvisamente blasfema; la si boicottava, la si spregiava, la si condannava
RispondiEliminaIl discorso narrativo spiega l'uso dell'imperfetto; ma questi verbi sono, purtroppo e dolorosamente, da coniare al presente... almeno avendo per soggetto molti sacerdoti e vescovi.
Grande Mons. Gherardini!
RispondiEliminaPS: Blog splendido, complimenti a chi lo cura!
Un'altra sintetica supplica che non avrà risposta.
RispondiEliminaLa riforma liturgica, osserva giustamente don Brunero, dette un decisivo contributo all' autodemolizione della Chiesa.
RispondiEliminaCos'accadrà domani? Se il Papa approverà il rito neocat tal qual è, non sarà una bomba devastatrice? Crescerà più l'erba nel deserto della Fede?
E' la domanda che molti si pongono e che non può lasciar indifferenti.
Il fiume eretico diventerà inarrestabile nel travolger tutto nel suo fluire.
Non ci abbandoni la fiducia nello Spirito Santo!
L'unico antitodo al male è restar attaccati alla nostra S. Messa in cui la Fede è totalmete integra.
Dopo 40 anni il Papa ha dovuto ammettere che il rito antico mai era stato abrogato. Se sarà approvata la "messa" neocat prima o poi un papa l'abrogherà.
Che piacere leggere leggere questo nostro amato maestro e professore. Solo non condivido al 100% le sue considerazioni sul venerato Pio XII. Ha fatto tanto ma è lui che ha promulgato per la prima volta nella storia della Chiesa un "rito NUOVO" con al nuova Settimana Santa di Bugnini. Gli amici Lefebvriani dicono a noi biritualisti che diamo le spalle a N.S. Gesù nel Tabernacolo, ma ricordo che anche loro utilizzando il famigerato messale di Giovannone la domenica delle Palme fanno lo stesso. Così come la ritraduzione dei salmi della Vulgata, che a bruttura supera la nuova traduzione delle letture del Lezionario ad opera del NeoCardinale Betori. Insomma se dobbiamo restaurare, prendiamo quel che è veramente tradizionale del Rito di Sempre.
RispondiEliminail Santo Padre potrebbe portar a termine l’opera iniziata con il suo “Summorum Pontificum”: coordinando gli attuali due riti, in maniera che l’uno corrisponda pienamente all’altro, rimanendo ovviamente ambedue quel che sono: un rito nuovo ed uno tradizionale.
RispondiEliminaMi dispiace ma non sono daccordo, nonostante che apprezzo e stimo monsignor Gherardini, le due Liturgie cozzano l'una contro l'altra una esprime la fede della Vera Chiesa "Vetus Ordo" l'altra esprime la fede della "Nuova chiesa conciliare Novus Ordo" definibile in una sola affermazione, FALSO ECUMENISMO, difatti la nuova liturgia è stata creata con questo eretico intento...
Dispiace ache che non si tenga più conto del Breve esame critico del
« Novus Ordo Missæ » di Bacci e Ottaviani...
...Per contro, pare si sia voluto eliminare deliberatamente tutto quanto, nella liturgia romana, era piú prossimo all'orientale(26) e, rinnegando l'inconfondibile ed immemorabile carattere romano, abdicare a ciò che piú gli era proprio e spiritualmente prezioso. Lo si è sostituito con elementi che soltanto a certi riti riformati (e nemmeno a quelli piú prossimi al cattolicesimo) lo avvicinano degradandolo, mentre vieppiú ne allontaneranno l'Oriente, come l'hanno già allontanato le ultime riforme.
In compenso, esso piacerà sommamente a tutti quei gruppi, vicini alla apostasia, che devastano la Chiesa inquinandone l'organismo, intaccandone l'unità dottrinale, liturgica, morale e disciplinare in una crisi spirituale senza precedenti....
...Il nuovo rito è dato quindi in partenza come pluralistico e sperimentale, legato al tempo e al luogo.
Spezzata cosí per sempre l'unità di culto, in che cosa consisterà ormai quell'unità di fede che ne conseguiva e di cui sempre si parla come della sostanza da difendere senza compromissioni?
È evidente che il Novus Ordo non vuole piú rappresentare la fede di Trento.
A questa fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno.
Il vero cattolico è dunque posto, dalla promulgazione del Novus Ordo, in una tragica necessità di opzione...
Dato che il Papa non dimostra, perchè indimostrabile, la cosidetta ERMENEUTICA DELLA CONTINUITA', dovrebbero essere questi eminenti teologi a dimostrare e aspiegare la verità della cose...
Egre. Mons. Il VaticanoII con la sua riforma liturgica ci ha proprio consegnato due chiese quella preconciliare e quella postconciliare. Sono sincero, vado in chiesa quando posso solo in quelle preconciliari, e quando non posso vado a pregare in qualsiasi chiesa solo quando non ci sono liturgie perche' non riesco a dividere la mia personalita in due entita'. Sono nato e cresciuto e formato dottrinalmente sotto la chiesa di Pio XII e non riesco a pregare con la chiesa postconciliare. Mi sembra di prendere in giro Nostro Signore. Pertanto cerco di pregare da solo faccia a faccia col mio Dio. Forse sbagliero', Dio mi capira, intanto continuo a pregare e far del bene al prossimo come dice il convegno di Verona sacerdozio laicale, ma lontano dalla piccola gerarchia attuale piuttosto che cercare di mettere in crisi la mia fede e la mia dottrina. Quello che conta che la Chiesa e' viva e presente sempre in Gesu Cristo nel Sommo Pontefice.
RispondiEliminaGentile Gianluca,
RispondiEliminaquando Mons. Gherardini parla di coordinare le due forme del rito, specificando che uno è tradizionale e l'altro non lo è, ci dice in modo elegante che la coordinazione deve essere una "reductio ad antinquum", non parla contaminazioni.
Cordialmente
Come al solito, GIAMPAOLO ha ragione.
RispondiEliminaQuanto a Bernardino, se la Chiesa è presente in Cristo nel Sommo Pontefice, come può rifiutarsi di partecipare alla Messa che il Pontefice celebra e definisce forma ordinaria del rito romano?
Caro Dante, le liturgie che celebra il Papa, ho notato, che dall'Offertorio alla consacrazione, sono liturgie che accetto ma alle quali non posso partecipare che per televisione. Mi riferisco alle varie liturgie che si celebrano in quasi tutte le altre chiese, che spesso ti fanno mettere le mani nei capelli, e che tutto puoi fare meno che concentrarti nella preghiera. ed io non vorrei mettere a repentaglio la mia fede a causa di queste. La mia fede e' sempre la stessa, ho fede nel Papa, ma le riforme liturgiche di Bugnini potrebbero mettermi in crisi. Secondo te e' meglio entrare in crisi di fede a causa di Bugnini oppure pregare e andare a Messa come faccio io? Perche' dunque il Papa sta' spingendo tanto per riportare con il MP SP et UEil vecchio Messale Gregoriano oppure e' una voglia passeggera del Papa stesso e di una grande massa di gente? Ti saluto cordialmente anche se vediamo le cose un poco diverse ma siamo sulla stessa barca.
RispondiEliminaBernardino, tu che stai vivendo questo singolare privilegio di "soffrire per colpa della Chiesa" non lasciare solo Gesù nel Santo Tabernacolo della tua parrocchia proprio in questo momento oscuro per la Chiesa. Assisti alla Santa Messa, perfezionerai così con l'offerta del tuo DOLORE posto sull'Altare quel che potrebbe mancare nell'intenzione implicita del Sacerdote che Celebra.
RispondiEliminaTi prego non lasciamo SOLO il Signore!
Don Camillo - non per colpa della Chiesa "la Chiesa e' il Papa e' Gesu'" la sofferenza viene da cio' che si fa' dentro la casa di Gesu', al posto dell'adorazione, contro la volonta' espressa dal Papa stesso piu' volte.
RispondiEliminaBernardino, io non so dove tu viva e quindi mi sono espresso nel modo che a te sembra un pensar diversamente sol perché qui, a Firenze, sacerdoti che celebrano degnamente il NO ci sono. Non so se a te non sia proprio possibile trovar una Messa che non ti turbi a tal punto da perder la Fede.
RispondiEliminaPer tornare all'articolo di don Brunero, la reductio ad unum della suddivisione dell'anno liturgico viene presentata come necessaria per una maggior coesione nella Chiesa che ormai ha due forme di rito romano in virtù del Summorum Pontificum.
RispondiEliminaDon Brunero pone il problema di una grave divaricazione e lancia una proposta, ma la soluzione non può darla lui. Per questo occorrono, dice, serie commissioni
di studio.
I riti devono restar distinti ma coordinati per non crear confusione. La riforma della riforma, che dovrebbe sfociare in un terzo rito "contaminato", sarebbe il segno che si fa e si disfa in continuazione. A vantaggio della Fede e della credibilità dell'Autorità non ritengo.
I riti devono restar distinti ma coordinati per non crear confusione. La riforma della riforma, che dovrebbe sfociare in un terzo rito "contaminato", sarebbe il segno che si fa e si disfa in continuazione. A vantaggio della Fede e della credibilità dell'Autorità non ritengo.
RispondiEliminaE' quel che ho sempre temuto, appena si è cominciato a parlare del "reciproco arricchimento" dei due riti.
L'unica soluzione praticabile è quella suggerita da Gherardini ed è ben lungi da un "movimento dal basso" (incredibile e sconvolgente per quel che certi laici hanno partorito e sono riusciti ad imporre) prefigurato dal card. Canizares...
Le più importanti riforme liturgiche, che peraltro hanno sempre rispettato la 'forma' mirabile del Rito, sono state fatte da Papi Santi e da Commissioni serie preparate e di provata fede, non da improvvisati liturgi che non possono che profanare le "cose sacre".
Non si mettono mani profane in cose sacre!!!!! Non si crea "dal basso" la liturgia che è Opera del Signore e da Lui ci è stata consegnata.
Se la riforma della riforma lasciasse intatto il VO (magari con l'aggiunta di qualche prefazio o d'una lettura oltre alle necessarie nuove messe votive) e modificasse il NO sulla base del VO col miglioramento dell'Offertorio soprattutto, con l'eliminazione di qualche canone e con il recupero della sacralità del rito, la soluzione non comporterebbe gravi problemi.
RispondiEliminaPurtroppo, a mio avviso, la contaminatio condurrebbe ad un NO rimodellato in parte ed alla scomparsa del VO. Questa riforma della riforma va respinta con energia.
Dante, vivo nei dintorni di Roma e per grazia di Dio nei giorni di festa posso andare a Messa a Roma. Spesso vado alla Parrocchia della Frat.S.Pietro (biritualista) SS.Trinita' ai Catinari eretta dal Papa. Quando non posso andare li, vado in un'altra chiesa con Messa N.O. Pero' voglio spiegarti perche' faccio il sacrificio per andare a messa a Roma e faccio in macchina o treno 50 Km. andata e ritorno.Vivo in un paesino di circa 20000 abitanti e c'e' una sola parrocchia con alcune cappelle qua e la la domenica, la chiesa e' una colleggiata di II Sede del XV sec. Fino al 1996 c'e' stato un sacerdote/parroco che proveniva come formazione preconciliare per 50 anni. l'unica modifica conciliare e' stata quella di fare un' altare facciale simile a quello della Confessione di San Pietro e lasciare intatto l'antico altare monumentale sul quale era rimasto il grande tabernacolo con dodici candelieri e il grande crocefisso tutto in bronzo antico.Questo prete aveva costruito intorno a se verso gli anni 50 un gruppo di ragazzi, tra i quali anche io, che hanno servito messa e fatto il coro fino ai venti o trenta anni, il tutto insegnato dalprete. Si sapevan servire o cantar messe di tutti i tipi - messe solenni e/o pontificali , vespri e quant'altro. insomma dal 75 al 95 la riforma liturgica come se non ci fosse stata. Nel 1996 il sacerdote in poco tempo si e' ammalato ed e' deceduto. Seconda parte - Arriva un nuovo parroco - un giovane prete progressista che in poco tempo mette in atto tutte le riforme postconciliari. Ma non basta. ha cambiato il volto della chiesa, ha tolto il bellissimo altare facciale e lo ha sostituito con uno fatto da due colonnine ed un tavolo di marmo bianco vuoto. ha tolto a tutti i sette altari monumentali i crocefissi ed i candelieri in bronzo antichi.Dieci statue di Santi altezza uomo tra le quali alcune in legno del XVII sec. poste in una cantina e mai piu' messe in chiesa. Al posto dell'organo, chitarre e bongo e canti afroamericani rocchettari. Durante le celebrazioni e' un continuo discorso - confusione tra la gente. Non si capisce piu' quando e' un giorno feriale o festivo o solennita'. Paramenti pregiatissimi - pianete dalmatiche tunicelle piviali distrutti perche' e' roba che non si deve usare piu'. Le omelie e' meglio non ascoltarle, si parla di tutto meno che del vangelo e delle letture. Non parliamo di gerarchia, perche' vuole cosi' tutte le parrocchie. Caro Dante, mi spieghi come faccio a concentrarmi per pregare? Ecco perche' vado a pregare nella mia chiesa da solo e recito il rosario anche in casa. Non c'e' modo di cambiare le cose, certamente in qualche modo ci ho provato, ho dovuto fare retromarcia. Un tuo commento e' ben gradito da me. Faccio male?
RispondiEliminaDante, Sono riuscito per le basi di fede ricevute a rimanere attaccato alla Chiesa ed al Papa, ma ho visto tanti intorno a me allontanarsi e perdere quei sani principi. Ed ho notato che chi si avvicina ha solo problemi, niente formazione vera e capisce troppo poco cosa e' veramente la Chiesa. ecco perche' dico sempre a tutti di pregare molto la Madre SS.ma. e di colloquiare con sacerdoti di sani principi molto in profondita.
RispondiEliminaNon so se nei tuoi dintorni non ci sia un'altra chiesa dove la Messa venga celebrata più dignitosamente.
RispondiEliminaCapisco le tue difficoltà che in qualche periodo dell'anno, l'estate, son anche le mie. Poiché non posso permettermi di fare in macchina molte decine di km per andare ad una delle nostre Messe, mi adatto a fatica. Certe volte, come dico al mio confessore, fo più peccati alla Messa che in tutta la settimana. Lui mi esorta ad accettare anche questa croce.
Ora, se sarà organizzata una Messa a Lucca, come sembra, le cose miglioreranno, perché saran meno di 50 km fra andata e ritorno, quei 50 quelli che fo per andar ad insegnare o ai Vespri a Gricigliano.
Confidati con un bravo sacerdote. E se ce la fai prenditi la tua croce. E quando puoi vai a Roma - credo che tu sia più giovane di me - io ho ormai 73 ANNI -, dove la Messa VO si celebra anche altrove, ad es. in via del Corso nella chiesa di Gesù e Maria, la Messa organizzata da Una Voce.
In caso contrario, tappi nelle orecchie e prega, sapendo che, per quanto cialtronescamente, qualcosa d'immenso sta avvenendo sulla bancarella che ha preso il posto dell'altare.
Non consigli, ch'è difficile dare in questo campo perché c'è da far i conti con la sensibilità della singola persona, ma solo spunti di riflessione voglion esser queste mie parole.
Grazie Dante per i tuoi consigli. purtroppo piu' vicino di Roma non c'e' niente di buono. La chiesa di Gesu' e Maria al Corso n.47 la conosco bene e anche quella di Piazza Mignanelli ed altre ancora. purtroppo la piu' comoda per me e' la SS. Trinita' ai Catinari vicino Lungotevere. Comunque anch'io non sono molto giovane, sto' vicino ai 70 anni e devo calibrare le forze. Poi ho per amici molti sacerdoti anche se postconciliari con i quali mi batto molto forte, ho anche un fratello di latte prete, il sostegno non mi manca. Purtroppo dovremo lavorare molto per la Chiesa e Sua Santita', quelli come noi siamo sempre meno. Che il Signore ci dia salute e forza. Chiediamo solo la Sua benedizione, ma non molleremo fino al giorno che saremo davanti a LUI. Un saluto cordiale.
RispondiEliminaCaro Dante,
RispondiEliminail tuo commento, sarà utile non solo a Bernardino, ma a tutti quelli che leggono e si trovano nella stessa situazione.
Del resto è esattamente quel che succede anche a me.
Ma tutti questi preti postconciliari amici son tutti cialtroni invasati? nessuno che celebri secondo le norme?
RispondiEliminaPersonalmente ho assistito a Sante Messe N.O. in cui il celebrante era pieno di riverenza verso il Santissimo, senza indulgere in abusi di nessun genere. Anche i chierichetti erano vestiti correttamente senza paramenti ridicoli o scialbi.
RispondiEliminaTutte le persone si inginocchiavano alla Consacrazione e dopo l' "Agnello di Dio". Si inginocchiavano anche quelli che erano in piedi visto che in chiesa non c'era posto per tutti. Infine la Comunione è stata amministrata in ginocchio, sulla lingua all'altare.
Ero all'esterno a dire la verità. Però anche qui in Italia ho assistito a Sante Messe davvero degne.
Marco Marchesini
La nuova liturgia del Concilio, é a "pastorale pregata".
RispondiEliminaNo Dante, questi preti amici, non sono cialtroni, sono bravissime persone e quando ho occasione di starci insieme cerlebrano in modo molto bello e degno della Chiesa, solo che siamo distanti e ci vediamo di rado. Magari tutti fossero come loro. Uno e' addirittura provinciale di un ordine, e gira mezzo mondo. Solo che questi sono quelli della nostra eta' e preparati da altro tipo di scuola.
RispondiEliminaE' già qualcosa, no? Mi auguro che le distanze non siano superiori a quella da Roma.
RispondiEliminaIn ogni caso qualcuno di questo sacerdoti potrà consigliarti meglio di me.
A differenza di tanti intellettuali e dotti che non sanno da che parte stare, mons. Gherardini si distingue - rara avis! - per chiarezza e per consequenzialità. L'analisi è limpida, non inficiata da prese di posizione pregiudiziali, ed ineccepibile sotto il profilo storico, dottrinale e liturgico.
RispondiEliminaMi trovo assolutamente d'accordo con la presa d'atto della eterogeneità del Calendario liturgico per i due riti, ma mi permetterei di suggerire di approfondire la "mens" che nella riforma liturgica ha deliberatamente abolito o declassato feste, soppresso ottave, spostato Santi, cancellato la Settuagesima, le Tempora e le Vigilie, confinato Cristo Re alla fine dell'anno, rinominato alcune feste in senso Cristologico (come la Purificazione della B.V.M. divenuta la Presentazione di Nostro Signore) ecc.
Se non si comprendono i motivi - così com'è lecito evincerli dal filo rosso che unisce tutti successivi passi della liturgia riformata - non si potrà affrontare un riallineamento dei due riti, se non penalizzando il venerando Rito Romano a vantaggio pur parziale del Novus Horror.
In questo sono illuminanti gli scritti e le memorie di mons. Bugnini, pubblicate in un corposo (e verbosissimo) tomo che però val la pena leggere, non fosse che per le sorprendenti confessioni ed ammissioni del discusso Prelato confinato come Pronunzio a Teheran.
A mio avviso sarebbe molto più semplice ed auspicabile dare maggior diffusione alla liturgia antica, lasciando che quella riformata - corretta nelle parti più estreme - diventi appannaggio di qualche nostalgico. Se le giovani vocazioni continuano sulla strada sinora intrapresa, tra pochi anni l'usus antiquior raggiungerà de facto l'usus recentior, se non potrà addirittura superarlo in numero di Messe celebrate: basti pensare alla carenza di vocazioni in campo progressista e all'abuso della concelebrazione nel rito riformato.
A quel punto, si potrà concedere un indulto per quanti, ancorati alla ormai sclerotizzante forma conciliare, vogliono assistere ad una funzione domenicale nella lingua dei carrettieri.
A quel punto, si potrà concedere un indulto per quanti, ancorati alla ormai sclerotizzante forma conciliare, vogliono assistere ad una funzione domenicale nella lingua dei carrettieri.
RispondiElimina... andasse in cielo questa parola!