Riporto, da Riscossa Cristiana, questo articolo di Luciana Cuppo che trovo molto interessante, ma soprattuto importante per far comprendere cosa intenda esattamente Mons. Gherardini per "unificazione dei due riti", sgombrando il campo da alcune critiche e perplessità che ventilavano supposte ipotesi di contaminazioni, ben lungi dal pensiero di Mons. Brunero che, quando parla di coordinare le due forme del rito, specifica che l'una è tradizionale mentre l'altra non lo è e, quindi, intende dire che la coordinazione deve essere una reductio ad antinquum, non altro.
‘Per una pace liturgica’ è il titolo di uno studio di Monsignor Gherardini pubblicato su Divinitas (gennaio 2012). Esso va letto assieme a ‘LITURGIA, cioè?’ che potete trovare su ‘Chiesa e postconcilio,’del 19 gennaio 2012.
Il titolo succitato trae origine dalla constatazione che – dice Gherardini in ‘LITURGIA, cioè?’ il Sommo Pontefice “voleva avviare una pace liturgica ed ha – per colpa dei ribelli – incentivato la guerra” fra i gruppi ecclesiali favorevoli alla Messa tradizionale (VO) e quelli contrari, ed il saggio su Divinitas è una proposta volta a conseguire quella pace così elusiva e così agognata.
Senonché, la proposta di Mons. Gherardini ha suscitato qualche perplessità nei circoli cosiddetti tradizionalisti, sostenitori e promotori del VO. E tali perplessità, annunciate subito dopo la pubblicazione degli articoli succitati, non si sono affievolite; c’è chi ha alluso (senza peraltro fare il nome di Gherardini; ma qui non è il nome, bensì le soluzioni proposte che contano) a “soluzioni liturgiche accomodanti” e chi ha commentato sull’internet (peraltro cancellando poi il commento) che le proposte di Monsignore sono da prendersi con le pinze. Alla base di queste obiezioni sembra ci sia il timore che Monsignore voglia proporre una contaminazione – in senso filologico, s’intende! – o commistione dell’antico e del nuovo rito; il che comprometterebbe l’integrità del VO e non gioverebbe a quanti sono impegnati nella diffusione della Messa tradizionale.
Ora, se i tradizionalisti che finora, a torto o a ragione, hanno visto in Monsignor Gherardini un loro campione e, più a torto che a ragione, ne hanno fatto un vessillo per le loro cause non concordano in tutto con l’illustre prelato, poco male; anzi, non c’è da meravigliarsene, perché i pensatori che come Gherardini vedono le cose in una prospettiva ignota a molti ambienti, vengono poi criticati semplicemente perché in tali ambienti ci si regola con le idee come faceva la manzoniana donna Prassede: sono poche, ma a quelle poche si è molto affezionati.
Nulla di male, dunque, perché dissenso e critica possono essere fonte di ulteriori e costruttivi approfondimenti; a patto però che prima di dissentire e di criticare si legga ciò che l’autore ha scritto. I due saggi di Monsignor Gherardini sono di dominio pubblico, quindi li ho letti anch’io e non ci ho visto il minimo accenno ad una sia pur parziale fusione dell’antico e del nuovo rito; al contrario, Gherardini ne mantiene rigorosamente la distinzione. A conclusione di ‘LITURGIA, cioè?’ egli auspica il coordinamento degli “attuali due riti, in maniera che uno corrisponda pienamente all’altro, rimanendo ovviamente ambedue quel che sono: un rito nuovo ed uno tradizionale.” E poiché, come andava ripetendo un mio professore all’università, bisogna dire anche l’ovvio, aggiungo che “ambedue” vuol dire “due” e non “uno.”
Non diversamente si esprime Gherardini in Divinitas: “È necessaria, cioè, un’illuminante unificazione dei Riti.
Si noti bene: dico “dei Riti” e non “del Rito” (p. 33).”
L’unificazione conduce all’unità od all’uniformità, ma non è fusione di elementi diversi che faccia loro perdere la propria identità. Nella fattispecie i due riti restano diversi, ma devono entrambi esprimere la realtà dell’unico sacramento. Gherardini si limita a pochi cenni sul come ciò possa avvenire in concreto, lasciando ai liturgisti l’onere e l’onore dello studio in merito; e basterebbe questo a tacitare (se avessero letto i suoi scritti) quelli che gli rimproverano d’arrogarsi compiti non di sua competenza. Ma Gherardini insiste sul fatto che una correzione del nuovo rito deve iniziare da subito.
Ed a questo punto, lasciando gli scritti dell’illustre teologo, azzardo alcune riflessioni mie sul perché è urgente una rettifica del nuovo rito – quello antico non ha bisogno di rettifiche, ma di diffusione -, certa che, se sbaglio, mi correggerete, oh, se mi correggerete.
Il cardine su cui ruota la liturgia della Messa sono le parole della consacrazione: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue. Queste parole sono al centro di tutte le altre preghiere e vi restano anche se il celebrante le proferisce a velocità folle, schiacciate fra una predica che più prolissa non si può ed altrettanto prolissi annunci sulla grigliata missionaria o la pizza per famiglie in programma per la settimana successiva; lo sono anche se non le sente nessuno e nessuno vi fa attenzione, anche se non c’è la minima traccia di raccoglimento o – come dicono le anime pie – “senso del sacro.” Perché queste parole, solo che il celebrante lo voglia, operano la transustanziazione. Esse sono la sutura fra l’antico ed il nuovo rito; fra tutte le goffaggini, mostruosità linguistiche e semieresie di cui il NO è prodigalmente infarcito, quelle parole sono rimaste intatte, e sono quelle che fanno sì che la Messa sia la Messa, perché in virtù di esse Cristo è presente sacramentalmente, cioè in corpo, sangue, anime e divinità.
Ci crediamo? alla radice d’ogni nostra partecipazione alla Messa c’è un atto di fede. Crediamo che ciò ch’era pane e vino sia ora Cristo? qui non c’è posto per mezze misure. La fede le esclude.
Nell’aula magna dell’Università di Leeds, traboccante di accademici avvezzi a considerare la religione cattolica una forma di “pietà popolare” a mezzavia tra emotività e superstizione, nel 1994 padre Leonard Boyle spiegò ai suoi colleghi per 45 intensissimi minuti, nella scia di S. Tommaso, che “o si ha la fede o non la si ha; e se la si ha, non ci sono gradi di possesso.”
Anche nella Messa non ci sono gradi di presenza di Cristo: Egli è tutto lì sotto le specie eucaristiche. La sua presenza non dipende dalla bellezza del rito o dalle disposizioni interiori o dal numero dei fedeli, ma dalla volontà di Cristo quando istituì l’Eucarestia (“Fate questo in memoria di me”) e dalla volontà del celebrante di fare ciò che fece Cristo. E ciò vuol dire che Cristo è presente nel nuovo rito con tutte le sue brutture come in quello antico con tutta la sua bellezza.
(Una parentesi per chi voglia tacciarmi di scarsa sensibilità estetica: ricordo, durante una Messa tridentina alla chiesa del Rosario a Trieste, un’esecuzione – in verità singolare – del secondo movimento della Settima di Beethoven in cui un corno inglese suonava la melodia del primo tema nelle parti in genere affidate ai violini. Il corno inglese rendeva in modo particolarmente suggestivo quel tema assetato di tenerezza. Fu un inaspettato quanto gradito momento di riflessione (alcuni le chiamano “elevazioni musicali”) durante l’offertorio. Ma Beethoven, se pur espertamente eseguito, non è nostro Signore, e le elevazioni musicali non sono fede).
Quindi fanno bene quelli che si dedicano alla diffusione del rito antico e lavorano perché le celebrazioni siano decorose: lo ha chiesto Cristo stesso, che ordinò ai suoi apostoli di preparare una sala bella, e grande, e addobbata per quella che sarebbe stata l’ultima cena. Ma la stessa esigenza di adorazione che spinge a rendere a Dio il culto più decoroso possibile deve anche spingerci a non tollerare le banalità, la sciatteria, le ambiguità e talvolta i sacrilegi del nuovo rito in cui Cristo è, nonostante tutto, sacramentalmente presente. Le auspicate correzioni al nuovo rito rientrano, credo, in questo quadro. “Cercate prima il regno di Dio”: se non erro, alla radice delle “soluzioni accomodanti” c’è un grande atto di fede.
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Luciana Cuppo è una medievalista che dopo diversi anni d’insegnamento negli USA vive ora in Italia e studia la trasmissione di manoscritti attinenti a Vivarium (la fondazione monastica di Cassiodoro in Calabria) e la fama sanctitatis di Cassiodoro. Fra le sue pubblicazioni più recenti: ‘Felix of Squillace and the Dionysiac computus I: Bobbio and Northern Italy (MS Ambrosiana H 150 inf.),’ in The Easter Controversy of Late Antiquity and the Early Middle Ages (Brepols 2012), e ‘Moses and the Paschal Liturgy’ in Illuminating Moses: A History of Reception, in stampa per i tipi di Brill.
L'auspicio di Mons. Gherardini é sicuramente molto interessante e se attuato potrebbe sicuramente migliorare la situazione liturgica e di conseguenza accrescere la fede dei fedeli storditi da certe cerimonie religiose moderne.
RispondiEliminaC'é un però.
Se riteniamo che la consacrazione ed il sacrificio eucaristico sono essenziali alla nostra fede e vanno custoditi gelosamente nella Messa, dobbiamo essere coerenti fino in fondo.
Ora l'articolo postato su questo sito subito prima ci parla del tanto auspicato riavvicinamento coi luterani. A parte il fatto che c'è già chi dice che loro appartengano già alla Chiesa, come possiamo essere così schizofrenici da non accogerci che proprio loro non credono nella presenza reale di Cristo nell'Eucaristia? Chiaramente di questo non si parla nei dibattimenti ecumenici, anche se si sta cercando di diluire il dogma cattolico per favorire l'avvicinamento (quanti sacerdoti e fedeli credono solo in una presenza spirituale o lo considerano un atto simbolico).
Ma anche un altro aspetto non dobbiamo ingenuamente dimenticare affinché la storia sia veramente maestra.
Come e perché é nato il Novus Ordo? Certamente ci sono state attese giustificabili e condivisibili, ma le recenti pubblicazioni mettono in rilievo come vi siano state delle forze estranee alla Chiesa (massoni, ebrei e protestanti) che hanno sollecitato ed influenzato i lavori conciliari a volte in modo determinante.
Ora,va benissimo cercare di invertire rotta, ma siamo pronti a dar battaglia o ci illudiamo che tutti si sono accorti degli errori e degli inganni e che siano pronti a fare marcia indietro?
Io non credo che la Chiesa (la gerarchia e la gran parte dei fedeli) sia pronta a questo passo. D'altronde, nonstante tutti i meriti dell'attuale papa (Summorum pontificum, ermeneutica della continuità, pulizia nella Chiesa, ecc.), anche lui é teologicamente figlio di questi tempi modernistici della Chiesa!
Un primo assaggio delle reali condizioni della fede della Chiesa "moderna" (non della Chiesa corpo mistico di Cristo) lo avremo con l'anno della fede.
Spero di sbagliarmi ma ho brutti presentimenti. Invochiamo la misericordia di Dio, perché un nuovo attentato alla fede, nuovamente col patrocinio delle gerarchie, ci potrebbe attirare castighi enormi.
Caro Viandante,
RispondiEliminail tuo realismo mi trova d'accordo.
Approfitto di questo spazio per chiederti scusa di non aver ancora risposto alla tua mail, presa dai molti impegni anche di famiglia. Ma lo farò al più presto.
Credo che davvero l'anno della Fede sia la cartina di tornasole della situazione. Dai prodromi, ne stiamo vedendo alcuni segnali poco rassicuranti: enfasi sui movimenti, peana completamente acritici sul concilio, Nuova Evangelizzazione che è diventata uno slogan e attuata 'mandando' ad impiantare nuovi incistamenti settari anziché nuclei cattolici perché gli errori sono accolti e non più condannati, con l'idea alquanto approssimativa che "tutto è orientato a Cristo, qualunque siano le purificazioni di cui ha bisogno", senza tener presente degli inquinamenti irreversibili che quell'assenza di 'purificazioni' provoca.
Che dire?
L'andazzo è sconfortante. Confidiamo nel Signore continuando e custodire e diffondere e anche a difendere...
Di che Rito o Riti si parla? Il Rito del '62 è spurio ma legalmente vigente e generante il Rito del '69 (di cui ne è vietato di fatto l'utilizzo) totalmente estraneo al Rito Romano, il quale ha generato a sua volta Riti Romani (!?) linguistici tanti quanti sono le lingue paralate varianti nella Forma, tolte le parole dell'Istituzioni, e a volte nella sostanza.
RispondiEliminaPer contro c'è il Rito Tridentino utilizzato fino agli anni '50 filologicamente coerente e valido ma cogentemente abrogato (?!) dalla stessa autorità di cui sopra.
E qui di cosa si parla? di uniformare i Riti di riformare secondo cosa?
Di che Rito o Riti si parla? Il Rito del '62 è spurio ma legalmente vigente e generante il Rito del '69 (di cui ne è vietato di fatto l'utilizzo) totalmente estraneo al Rito Romano, il quale ha generato a sua volta Riti Romani (!?) linguistici tanti quanti sono le lingue paralate varianti nella Forma, tolte le parole dell'Istituzioni, e a volte nella sostanza.
RispondiEliminaE' noto che il Rito del '62 fu modificato da Giovanni XXIII, ma chiamarlo 'spurio', mi pare eccessivo!
Se il NO così come si è evoluto oggi, verrà riformato secondo il messale del '62, non credo che si tradirebbe la sostanza del Santo Sacrificio.
Io trovo giuste le riflessioni e le proposte di mons. Gherardini sia in linea di principio che in base ad una realistica analisi che non può non partire dalla situazione.
Validissime anche le proposte delle Commissioni, perché nessuna Riforma liturgica può nascere 'dal basso', come preconizzato dall'ambiguo card. Canizares. Il problema contingente, piuttosto, sta nell'effettivo legame con la Tradizione dei possibili componenti le Commissioni, dato che più il tempo passa più la rosa dei candidati è di fatto progressista!
Facciamo una bella cosa. Non mentiamoci. Chiamiamo quella che oggi è FS (o EF) Rito romano; chiamimo rito conciliarese o moderno quello che oggi è rito romano FO e al contempo ritorniamo a pubblicarne il messale del 65 rivisto alla luce di quello attuale.
RispondiEliminaPerché tutto ciò? perché i riti son legati alle tradizioni liturgiche o degli ordini o dei luoghi e l'attuale messale FO tende ad essere ecumenico e antitradizionale, ossia tende a liberarsi delle singole tradizioni locali, in questo caso del rito romano.
Solo riconoscendo palesemente che i riti son diversi le cose saranno più facili. Quella di dire che il messale del '62 non è stato mai abrogato è solo una manfrina giuridica: stante il nuovo linguaggio conciliare non dogmatico ma dialettico (e questa è una caratteristica ammessa da tutti, tradizionalisti e non) le parole di Paolo VI risuonano ancora come un'abrogazione del messale precedente. Traetene voi le conseguenze.
Purtroppo la rilettura dei dogmi è un concetto sempre più accettato. Speriamo che ci sia ancora in Vaticano qualcuno con sale in zucca ma ho forti dubbi. Ormai la Chiesa si sta sottomettendo a Lutero, che Dio abbia pietà di noi tutti.
RispondiEliminaPerché tutto ciò? perché i riti son legati alle tradizioni liturgiche o degli ordini o dei luoghi e l'attuale messale FO tende ad essere ecumenico e antitradizionale, ossia tende a liberarsi delle singole tradizioni locali, in questo caso del rito romano.
RispondiEliminaE' esattissimo. Vedo che torni al linguaggio delle "forme", che è quello usato da Benedetto nel Summorum...
Il problema di fondo è che non esiste Conferenza Episcopale che non abbia la tendenza a cui accenni che è generalissima e non è altro che quel che si riproponevano i novatori; il che tende ad incrementarne le conseguenze piuttosto che correre ai ripari... per cui i nostri restano discorsi accademici perché ci manca la "pastorale", che non ci viene consentita, a prescindere dalla mancata attuazione della Riforma della Riforma, perché il Papa ha un po' cambiato il look -e neppure in questo è seguito- ma nella sostanza non ha cambiato nulla e nei discorsi continua ad enfatizzare la "mensa della Parola"...
Al punto in cui siamo, al di là dei discorsi accademici, l'unica speranza ci viene dalla maggiore diffusione della Forma Extraordinaria. Per cui custodiamo e preghiamo e fidiamoci di un intervento Soprannaturale, altrimenti dovremmo sentirci definitivamente scoraggiati e questo non è cristiano...
I motivi per cui Paolo VI non abrogò giuridicamente il messale Romano, pur forse volendolo, son chiariti da una lettera del duca Caffarelli leggibile nel sito di Una Voce Venetia.
RispondiEliminaLa Commissione cardinalizia del 1986 si pronunciò contro l'abrogazione e pro vigenza di quel messale. Ma non sono state mai pubblicate, ch'io sappia, le argomentazioni. Forse per non svergognare il defunto pontefice. E' chiaro che Paolo VI o chi per lui fece pasticci giuridici. E di questi pasticci s'è servito lo Spirito Santo. Come spesso accade.
Con il dovuto rispetto, mi sarei aspettato dalla prof.ssa, e ben credo filologa, Luciana Cuppo, un'apologia del Rito Romano, con la sua propria identità secolare, e non un'esegesi di un pensiero (opinabile, secondo l'autore stesso) dell'Illustre Teologo Gherardini che non è il domine iddio delle scienze liturgiche.
RispondiEliminaPer Dante Pastorelli: Il "pasticcio" l'ha fatto il Papa Paolo VI o il Papa Benedetto XVI che ha "affermato" nel MP che il suo predecessore non era in grado di legiferare?
E poi, mi consenta, lasciamo fuori l'azione dello Spirito Santo... secondo il libro di Mons. Bugnini citato dalla sig.ra Luisa lo Spirito Santo fu l'ideatore e il promotore di tutta la Riforma Liturgica dal suo sorgere!
Sinceramente sulla questione ho qualche perplessità e se c'è un minimo di condivisibile, la maggior parte non lo è.
RispondiEliminaA prescindere da questo però ciò che più mi preoccupa è, per cosi dire, l'eccessiva polarizzazione verso certe posizioni.
Non che voglia dire che bisogna far media aritmetica, da questo me ne guardo, ma tantomeno nemmeno credo sia utile irrigidirsi.
Ora che -finalmente- di certe cose se ne parla, credo che bisognerebbe essere più disponibili a un sereno e pacato dialogo, senza cedimenti ma anche senza preconcetti.
Auguro Salute a tutti.
Ho grande stima per mons. Gherardini che considero un maestro, preferisco dunque attribuire le mie perplessità alla mia non conoscenza del testo nella sua integralità, in effetti quando leggo parole come:
RispondiElimina"in maniera che uno corrisponda pienamente all’altro",
"È necessaria, cioè, un’illuminante unificazione dei Riti."
"L’unificazione conduce all’unità od all’uniformità, ma non è fusione di elementi diversi che faccia loro perdere la propria identità.",
non penso che l`autore è fra coloro che auspicano in fine la soppressione della Santa Messa Antica, è chiaro che quello non è il pensiero di Monsignor Gherardini che aggiunge:
"nella fattispecie i due riti restano diversi, ma devono entrambi esprimere la realtà dell’unico sacramento. ",
ma mi riesce difficile anche solo immaginare come quell`"unificazione illuminante" possa essere realizzata, come possa condurre ad un`unità che immagino debba essere non di forma ma di sostanza, con le parole "questo è il mio corpo, questo è il mio sangue" come denominatore comune fra l’antico ed il nuovo rito.
Le due Messe sono così diverse, per quel che mi riguarda una mi fa sentire male, spiritualmente e fisicamente, certo le parole trait d`union ci sono, c`è da sperare che ci sia anche la volontà del sacerdote, ma non vedo come la Messa riformata possa aiutare la Messa Antica, non vedo come l`ideologia progressista e furiosamente innovatrice di coloro che volevano togliere con la riforma liturgica ogni ostacolo alla riunione con i protestanti, e che è sfociata prima nel messale del 1969 e poi in quello del 1970, possa accettare che la Messa nuova sia contagiata da ciò che hanno rigettato, schernito, e sepolto senza nemmeno gli onori.
Senza dimenticare che la nuova Messa si declina a sua volta in diverse sottoforme, basta guardarsi attorno e vedere tutte le invenzioni, le manipolazioni arbitrarie rese possibili da un linguaggio ambiguo e dal permissivismo lungo i decenni dei "Custodi della Liturgia".
Non so come le cose andranno ma non sono per niente ottimista, se penso a menti e mani umane.
Anche il "ritorno della Tradizione", la "concessione" qua e là di Messe Antiche, devono passare attraverso una porta molto stretta( e molto bassa...)dopo aver soddisfatto le esigenze di chi ha il potere nella Chiesa.
Ottimo intervento, come sempre nel caso di Monsignor Gherardini.
RispondiEliminaPermettetemi di chiedere in O.T. ai dotti collaboratori del blog di chiarirmi alcuni dubbi solo apparentemente oziosi.
1) Nel rito antico la pronunzia di "totiusque" dev'essere "toTiùsque (suae Ecclesiae)" o "toZiùsque"? Mi è capitato di sentire sia l'una sia l'altra (questa seconda da parte di persone che hanno avuto modo di seguire il rito di sempre ai bei tempi in cui era ancora rito ordinario della Chiesa). La regola mi farebbe propendere per la "Z" (perché in tardolatino il nesso TI + vocale andrebbe pronunciato con la "T" solo nel caso in cui l'accento tonico cada sulla I).
2) Ho sentito prounziare generalmente "hàduc (confitebor Illi)", ma le grammatiche spiegano che la pronuncia esatta dovrebbe essere "hadùc" (trattandosi di un troncamento di "hadùce"). Quale è la forma corretta nel caso del rito antico?
3) "Quàre" o "quarè"?
Complimenti per il vostro lavoro e un grazie anticipato a chiunque avrà la cortesia di chiarire i tre punti di cui sopra.
Io direi:
1) totiusque 2) adhuc 3) quare (quare mai, a meno che qua re).
se è per questo un tempo facevano anche arrosti come oggi. In un vecchio messale trovai scritto "valdè" per "valde".
Con il dovuto rispetto, mi sarei aspettato dalla prof.ssa, e ben credo filologa, Luciana Cuppo, un'apologia del Rito Romano, con la sua propria identità secolare, e non un'esegesi di un pensiero (opinabile, secondo l'autore stesso) dell'Illustre Teologo Gherardini che non è il domine iddio delle scienze liturgiche.
RispondiEliminaIl tema dell'articolo mi pare chiaro: "per una pace liturgica"... L'antico Rito non ha bisogno di apologie da parte nostra, che ne abbiamo sempre parlato in maniera chiara ed esaustiva. Quanto a Mons. Gherardini ha svolto limpidamente e competentemente come al solito il suo compito di teologo e di studioso e ha lasciato proprio ai liturgisti l'onere di concretamente operare...
Per Dante Pastorelli: Il "pasticcio" l'ha fatto il Papa Paolo VI o il Papa Benedetto XVI che ha "affermato" nel MP che il suo predecessore non era in grado di legiferare?
Non mi pare che definire il Messale del 62 "mai abrogato" (sic, nel Summorum Pontificum) equivalga ad affermare che Paolo VI non fosse in grado di legiferare, anche se lo stesso Dante parla di pasticci giuridici (peraltro non evidenti)
E poi, mi consenta, lasciamo fuori l'azione dello Spirito Santo... secondo il libro di Mons. Bugnini citato dalla sig.ra Luisa lo Spirito Santo fu l'ideatore e il promotore di tutta la Riforma Liturgica dal suo sorgere!
Credo di poter dire che Dante cita lo Spirito per fede, Bugnini, invece, lo fa con una buona dose di improntitudine!
Per i pasticci giuridici di Paolo VI si legga lo scritto del presidente di una Voce d'allora, duca Caffarelli: chi ne ha voglia s'informi.
RispondiEliminaGià nel '71 il card. Ottaviani a domanda rispose che non esisteva nessuna abrogazione giuridica. Ricordo come fosse ieri.
Quanto allo Spirito Santo io non lo lascio da parte, mai. L'intenzione di Paolo VI e Bugnini era chiara: fare una Messa che togliesse ogni pietra d'inciampo nel dialogo coi luterani e sostituisse il rito precedente. E la nuova Messa mette in ombra aspetti in quest'ottica fondamentali.
Dunque, nell'errore giuridico di Paolo VI - che non fece espressa menzione di una Tradizione immemoriale - vedo la volontà dello Spirito Santo. L'anonimo creda quel che vuole ma, proprio perché anonimo, sarebbe bene che usasse altro tono.
Certo mi piacerebbe leggere le motivazioni con cui la commissione cardinalizia dell'86 stabilì che mai quel venerando rito era stato abrogato formalmente. Perché non si rendon pubbliche, mentre si conosce solo qualche accenno dell'illustre card. Stickler che con Ratzinger fu membro di questa commissione formata da cardinali di prim'ordine in campo di diritto canonico.
Traggo da "Una prima lettura del Summorum" da Una Voce:
RispondiElimina"... Riferisce infatti Annibale Bugnini, che presiedeva il comitato ad hoc e curò la redazione del nuovo messale e l’iter legislativo collegato, che più volte, ed ancora dal vescovo Sustar, segretario del consiglio delle conferenze episcopali europee, si “insistette per avere una dichiarazione se esisteva una proibizione tassativa in merito alla messa di Pio V”. La Segreteria di Stato con nota 10 giugno 1974, n. 258911, rispose che pareva inopportuno richiedere una dichiarazione od un accertamento su tale questione alla Commissione per l’interpretazione autentica dei testi del Concilio, perchè una risposta favorevole alla riforma sarebbe stata vista come un “atto odioso nei confronti della tradizione liturgica”.
Sulla base di queste allegazioni, sistematiche e storiche, si può allora affermare con certezza che il rito antico non sia mai stato abrogato.
La sua legittimità si fonda su una consuetudine più che secolare. Il fatto che gli stessi promotori del mutamento dei riti rifiutarono di dichiarare l’abrogazione espressa conferma che la costituzione Missale Romanum non poteva essere intesa nel senso di interdire l’antico.
In ogni caso, persistendo il dubbio, deve applicarsi il canone 21: esso stabilisce infatti che in dubio revocatio legis praeexistentis non praesumitur, sed leges posteriores ad priores trahendae sunt et his, quantum fieri potest, conciliandae..."
Dante, ti sarei molto grata se potessi farmi avere, appena puoi, il testo della Lettera del Duca Caffarelli perché non mi pare più rintracciabile sul sito Una Voce Venetia.
Il Papa Paolo VI impose “illegalmente” il Novus Ordo? e non abrogò il Rito Tridentino?
RispondiElimina1)Il fine della promulgazione di una legge è di manifestare che il legislatore vuole imporre un obbligo ai soggetti.
2) Nella Costituzione Apostolica Missale Romanum, Paolo VI manifestò la volontà di imporre la Nuova Messa come un obbligo. Ciò risulta evidente da:
a) Almeno sei passaggi particolari.
b) Vocabolario legislativo tipico del diritto canonico.
c) Parallelismo con la Quo Primum.
d) Promulgazione negli Acta Apostolicæ Sedis.
3) La Costituzione Apostolica di Paolo VI abrogò (revocò) la Quo Primum usando una formula tipica utilizzata abitualmente a questo scopo.
4)La Congregazione per il Culto Divino (CCD) promulgò successivamente tre documenti (che sono infatti dei “decreti generali”... che attuano la Costituzione di Paolo VI.
Questi documenti:
a) Impongono la Nuova Messa come obbligatoria.
b) Proibiscono (salvo alcuni casi, come "indulto" alla pena canonica non come eccezione) la vecchia Messa.
c) Fanno uso del vocabolario legislativo tipico.
d) Dicono espressamente di avere l’approvazione di Paolo VI.
e) Furono pubblicati regolarmente negli Acta.
5) La CCD pubblicò anche una Notifica del 1974 (Notitiæ 10 (1974), 353) che ripeteva che soltanto la Nuova Messa poteva essere celebrata e che la vecchia Messa era proibita. Respingeva come “un pretesto” la formula della “consuetudine immemorabile”. Questo documento era un’interpretazione dichiarativa della legge, e come tale non doveva essere promulgata negli Acta per avere forza di legge.
6)I documenti pubblicati dalla CCD erano “un’interpretazione autorevole della legge” che, secondo il Codice, avevano “la stessa forza della legge”, poiché erano pubblicati da una congregazione Romana “alla quale il legislatore aveva delegato il potere di interpretare le leggi”.
7)L’obiezione che rifiuta di considerare la legislazione di Paolo VI come disciplina universale, perché non obbliga i riti orientali, è basata sull'incomprensione del termine “universale”. Il termine non si riferisce al rito, ma all'estensione territoriale della legge.Pap
Paolo VI aveva il potere di promulgare un nuovo rito della Messa, e nessuno poteva impedirglielo.
RispondiEliminaNon capisco cosa significhi con precisione "indulto alla pena canonica e non eccezioni". L'indulto è sempre una concessione, un favore, un permesso che esime dall'obbedire ad una legge. E fu Paolo VI a cominciare ad applicarlo in determinati casi e nazioni.
Il parallelismo con la Quo Primum di S. Pio V non è proponibile: Paolo VI usa i generici termini consueti mentre S. Pio V minaccia l'anatema e l'ira dell'Onnipotente, dei beati Apostoli Pietro e Paolo contro tutti coloro che impediranno la celebrazione di quel rito ecc.: un linguaggio ed una formula che non lascia scampo.
Ma a parte tutto ciò: dobbiamo dedurre che la commissione cardinalizia del 1986 ha commesso un abuso ed un errore nel dichiarare che non esiste abrogazione del VO? Che Benedetto XVI ha errato nel ritenerlo sempre in vigore (fra l'altro in Cina la Chiesa cattolica, anche quella patriottica, ha continuato a celebrare con quel rito antico per anni ed anni?
Paolo VI ha commesso un errore giuridico; Benedetto XVI ha riconosciuto questo errore e riparato. La delicatezza di non rendere pubblici i verbali della commissione del 1986 reputo stia ad indicare che quelli che Dante chiama pasticci devono essere piuttosto gravi e degni di severa censura.
L'anonimo PAP chieda la pubblicazione di tali atti.
L'indulto è sempre una concessione, un favore, un permesso che esime dall'obbedire ad una legge.
RispondiEliminaPer essere precisi l'indulto non è proprio una concessone ma consiste in un provvedimento generale che causa l'estinzione della pena. Quel che tu dici è una deroga ad una leggere. Ma perchè ci si una deroga occorre che il legislatore nella "nuova" legge, dica, formuli espressamente la deroga con le sue specifiche particolarità, cosa che non c'è! (es. "tutti i veicoli con motore diesel sono soggetti al tributo, eccettuati (deroga alla legge) quelli degli enti pubblici)
Quindi per dirla alla buona, meriti la galera per aver trasgredito la Legge, ed io (il legislatore) ti concedo l'indulto, ti faccio uscire di galera, ma rimani SEMPRE un fuorilegge. Quindi tutti coloro che avevano il famoso INDULTO erano dei fuori legge.
Ecco la "legge"!
In diritto il brocardo "lex posterior abrogat priori" (latino: "la norma posteriore abroga quella anteriore") esprime uno dei principi o criteri tradizionalmente utilizzati dagli ordinamenti giuridici per risolvere le antinomie normative: il criterio cronologico.
In base a questo criterio, in caso di antinomia tra due norme giuridiche prevale quella che è entrata in vigore successivamente, ossia quella più recente.
La norma anteriore cessa quindi di produrre i suoi effetti con l'entrata in vigore della norma posteriore; si parla, in questo caso, di abrogazione della prima da parte della seconda più nuova.
Confronta:
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http://books.google.it/books?id=F-xp7eEbn1cC&pg=PA384&lpg=PA384&dq=lex+posterior+abrogat+priori&source=bl&ots=0pdtr991Pw&sig=AQpev5CCar4teQ0WOt74x-fzYSo&hl=it#v=onepage&q=lex%20posterior%20abrogat%20priori&f=false
Dice MIC: L'antico Rito non ha bisogno di apologie da parte nostra, che ne abbiamo sempre parlato in maniera chiara ed esaustiva.
RispondiElimina__________________________
Ma infatti! E' compito del filologo ribadire e richiamare ad un rispetto del testo in se. In questo caso del Messale Romano. E come se dei professori di italiano modificassero o censurassero dei cantici dell'INFERNO di Dante, perchè "offensivi e politicamente scorretti". L'accademia della Crusca (faccio un esempio) giustamente condannerebbe questi individui.
Nella Chiesa Cattolica purtroppo per i soliti "motivi pastorali" non c'è un organo che tuteli il testo! Allora dovrebbero essere i filologi cattolici a ribadire e denunciare in ambito accademico questa violazioni.
Il messale Romano infatti non è di proprietà del Papa, ma è patrimonio culturale MONDIALE.
Han voluto fare un "nuovo" Messale Romano VABBENE, e per farlo han manomesso il Messale Tridentino (male)! Ma, visto che sono giunti al loro intento (il Messale del Papa Paolo VI) si RESTAURI il Messale Tridentino.
La norma anteriore cessa quindi di produrre i suoi effetti con l'entrata in vigore della norma posteriore; si parla, in questo caso, di abrogazione della prima da parte della seconda più nuova.
RispondiEliminami limito a ricordarle il canone 21, citato sopra:
persistendo il dubbio, deve applicarsi il canone 21: esso stabilisce infatti che in dubio revocatio legis praeexistentis non praesumitur, sed leges posteriores ad priores trahendae sunt et his, quantum fieri potest, conciliandae..."
Sa quel è il problema? Che la legge posteriore (il Messale di Paolo VI) non è né trahendus né concilians rispetto ai precedenti...
"persistendo il dubbio"!?!?! ma quale dubbio?!?!? Il Canone 21 non si può applicare in questo contesto giuridico.
RispondiEliminaI canonisti sono i primi a stracciarsi le vesti quando leggono il MP. Non ci sono dubbi che tengono!
Il Sommo legislatore ha abrogato la legge liturgica VECCHIA per farne una NUOVA lo dice la legge e tutti gli atti posteriori COGENTI confermano questa intenzione (INTENZIONE!!) del Papa.
E la non pubblicazione della conclusione di questa fantomatica riunione cardinalizia conferma quel che si evince dai documenti che in sintesi ho riportato sopra.
Io temo che il blogger qui sopra -a parte la foga che è condivisibilissima data la gravità inaudita degli argomenti esposti- abbia non una ma cento ragioni di dire ciò che dice.
RispondiEliminaIl povero e bistrattato "popolo di Dio" avrebbe il sacrosanto diritto di capirci qualcosa, in questo (lasciatemelo dire) orrendo e disgustoso pastrocchio o bailamme di leggi e contro-leggi, che si va svelando giorno per giorno davanti a noi, (de-narcotizzati ? quanti?) almeno agli occhi di chi vuole svegliarsi per RICOSTRUIRE LA STORIA di questo infame cinquantennio...e purtroppo è una infima minoranza.
Come possono sostenere certuni che, dopo 40 anni che l'INTERO ORBE cattolico ha capito che la Messa era dDEFINITIVAMENTE riformata da un Papa che ha la supremapotestà di legiferare nel campo liturgico, ora, sol per quella frasetta di un successore, inserita in quello "straordinario permesso" che è il MP, deve ritenere, da un giorno all'altro, che la Messa antica, SOSTITUITA con forza di legge dal papa di allora, in realtà non lo poteva essere ? ma allora, una pietra della strada si chiede:
ma a che gioco stiamo giocando ? i Vicari di Cristo si stanno prendendo gioco di noi (milioni di cattolici, per due generazioni e oltre) ? e con quale diritto ? uno stabilisce una cosa IMPORTANTISSIMA, e viene un altro e dice. "ma no...non poteva farlo....diceva COSI' PER DIRE....". Ma dico, ci hanno presi tutti per impecilli ?
per oltre 40 anni ?
(più tardi rivolgerò una preghiera alla blogger Azzurra)
QUOTO il richiamo dell'anonimo sopra:
RispondiEliminaIl messale Romano infatti non è di proprietà del Papa, ma è patrimonio culturale MONDIALE.
Han voluto fare un "nuovo" Messale Romano VABBENE, e per farlo han manomesso il Messale Tridentino (male)! Ma, visto che sono giunti al loro intento (il Messale del Papa Paolo VI) si RESTAURI il Messale Tridentino.
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già è gravissimo che abbiano manomesso il Messale Tridentino, ma è ancora più grave che continuino a prenderci in giro !
tanto, si sa...il popolo è bue, e sarà pronto a bere qualsiasi cosa piova "dall'alto", credibile o no che sia, lecita o illecita, gradita o non gradita a Dio !
l'importante è OBBEDIRE...a chi ? al regime conciliare, ovvio, ed al caos relativista da esso instaurato, oggni gionro più fumoso, soffocante e repellente nei suoi "tragici pastrocchi giuridici", accettati da tutto il gregge, come fatti compiuti sulle teste ignare del popolo-bue, nel SILENZIO della disinformatjia di regime.
Sull'argomento si legga l'interessante e approfondito saggio dell'insigne giurista Riccardo Turrini Vita, già Presidente di Una Voce Italia:
RispondiEliminaUNA VOCE ITALIA GENNAIO-APRILE 2008
PER UNA PRIMA LETTURA
DELLA LETTERA APOSTOLICA
SUMMORUM PONTIFICUM
PAP estende al Diritto Canonico il significato che indulto ha nel Diritto civile.
RispondiEliminaDal dizionario del Palazzini: "...si suole indicare qualsiasi benigna concessione dall'autorità che esime i sudditi dall'obbligo di osservare una legge."
Dall'Enciclopedia Cattolica, dopo aver spiegato l'etimologia ed il significato nel Diritto Civile, si legge:
"Nel Diritto Canonico il termine i. non ha un senso altrettanto definito. Alcuni, anche tra i più moderni, lo intendono come una esenzione dalla legge, ossia come un privilegio negativo che libera da una legge precettiva; altri invece più ampiamente, nel senso di qualunque concessione favorevole, contra o praeter ius, purché temporanea...Con il nome di indulto vengono designate generalmente le concessioni che i Pontefici Romani hanno fatto , anche senza limiti di tempo, a re, vescovi, parlamenti, università ecc. in materia di benefici, feste di precetto, astinenza e digiuno anche in deroga alle leggi ecclesiastiche..."
Seguono altri interessanti dettagli sulla temporaneità o meno dell'indulto, sulla revoca ecc. La voce è del card. Staffa che ricorre anche a canoni del CIC del 1917, che se ne occupa relativamente, ed ancor meno se ne occupa il nuovo CIC.
Nel Diritto Canonico il termine indulto non ha un senso altrettanto definito.
RispondiEliminaEcco appunto! Considerando il nostro caso delle due leggi contrapposte riguardanti un unico oggetto giuridico (la legge liturgica) e considerando la ferocia con cui gestirono quei preti (e i fedeli) che VOLEVANO continuare a celebrare la Messa Vecchia, credo bene che l'accezione corrisponda più all'interpretazione del Diritto da me esposto.
Commissione fantomatica? Era composta dai cardinali Paul Augustin Mayer, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, Agostino Casaroli, Bernardin Gantin, Joseph Ratzinger, William W. Baum, Edouard Gagnon, Alfons Stickler, Antonio Innocenti.
RispondiEliminaAlle risultanze dei lavori si accenna nel rescritto del 18 ottobre 1988 e ad essa ed ai suoi suggerimenti ricorre il card. Castrillon. Presidente dell'Ecclesia Dei in una sua Risposta a quesiti ecc.
In una voce venetia, oltre che nel documento di Castrillon c'è il succo dei suggerimenti della Commissione al Papa. Purtroppo i motivi per cui 8 cardinali su 9 si espressero negativamente sull'avvenuta abrogazione non son pubblici. Ed è un male.
Ma prima o poi si verranno a sapere.
Se nel CIC il termine indulto non ha un significato definito come nel diritto civile non si può per questo estendere questo a quello per assurda analogia. E' il legislatore che decide. E il legislatore supremo, ch'io sappia, è il Papa, che tiene conto del parere non vincolante dei canonisti. E nell'EC cit. si presentano i diversi significati da cui si deduce trattarsi sempre di una deroga o concessione.
RispondiEliminaNon capisco qual sia il soggetto del verbo "gestirono", per cui la frase non ha senso.