Discorso di congedo ai Cardinali |
Certamente è ben chiara l' esatta interpretazione che ne dà De Marco; ma saremmo più tranquilli per il futuro della Chiesa se essa coincidesse con quelle - stranamente convergenti - che vengono espresse dalla maggioranza di cattolici e non-cattolici e soprattutto se coincidesse con l'attesa interpretazione e conseguente applicazione che sarà loro data, insieme al gesto che accompagnano, dal prossimo Pontefice.
[...] Credo che vada chiarito fermamente – anche con l’aiuto delle parole del cardinale, lette con attenzione – che una gratitudine ben orientata non si accende perché Benedetto XVI ha rinunciato all’ufficio, ma nel momento in cui – lasciando Joseph Ratzinger l’ufficio – scaturisce un giudizio sulla sua opera.
E si deve essere altamente grati a Dio per il dono dell’uomo Joseph Ratzinger e del papa Benedetto XVI agli uomini. E grati all’uomo e al papa per la loro decisiva “impresa”. Chi scrive ha sempre sostenuto ciò, e specialmente nei numerosi momenti di aggressione a Benedetto XVI.
Ma in sé, nella prospettiva che chiamo carismatica legata al suo ufficio, non è certamente un bene che un papa “rinunci”.
Io non ho gratitudine perché Joseph Ratzinger si separa da Benedetto XVI, che terminerà di esistere il 28 febbraio alle ore 20, esattamente come se Joseph Ratzinger non fosse più in vita. Confesso, a questo proposito, che la formula “sommo pontefice emerito” scelta per lui dalla Santa Sede mi pare foriera di equivoci.
Non ha senso essere riconoscenti – che è cosa diversa da capire – per un evento del genere, se non da parte di chi spera che anche l’ufficio petrino ne sia colpito a morte.
Ho già scritto che le opposte opzioni tra il persistere e il rinunciare sono per un papa entrambe legittime, anche se non è casuale che nella storia la “renuntiatio” sia stata rarissima. Sono legittime sotto vincoli, come ogni legittimità, tanto più se di diritto sacro. Quanto al papa come persona individuale, deve essergli evidente in coscienza (una coscienza bene ordinata) la giusta causa per la rinuncia, che è in ultimo una eccezionale ragione di forza maggiore. Sotto rischio di peccato grave (1).
Le ragioni profonde che si oppongono alla “renuntiatio” convergono nella salvaguardia dell’ufficio dalle sempre temute conseguenze di un atto che scompone il mirabile equilibrio, anzi l’unità di ordine sacro e di giurisdizione universale nella persona del papa. Da ciò l’allarme non solo dei tradizionalisti (non tutti: qualcuno di loro avversa il magistero romano) ma di chiunque voglia riflettere e non solo ricamare sentimenti o mascherare problemi.
L’eventualità peggiore è che questa eccezionale frattura nell’ufficio personale del papa possa divenire prassi “a tempo” per il futuro, sotto un criterio estrinseco come l’efficienza o simili. Poiché il dono e il compito sono da Dio e l’uomo non può toglierli all’uomo, se non in condizioni di emergenza da sempre previste ma rarissimamente riconosciute. Per la tradizione giuridica della Chiesa è la stessa potestà sovrana del pontefice, che implica un giudizio sovrano, a decidere riguardo alla propria persona. In sé è una formula perfetta, di massima completezza: integra valore e calcolo, signoria di Dio e libertà umana; è un carisma mediato razionalmente. Per questa stessa ragione la decisione di sospendersi da parte di una tale potestà è sempre indesiderabile.
La consapevolezza di questo – né era da pensare diversamente – appare in diversi passi dell’ultima udienza generale di Benedetto XVI, di mercoledì 27 febbraio, un magnifico testamento spirituale. Ha detto riferendosi al momento della sua elezione a papa:
“Da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre: chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata”.
Entro questa appartenenza, ormai, alla totalità, non a sé, Benedetto XVI – col drammatico sentimento delle sue forze diminuite – ha detto d’aver compiuto il passo della rinuncia “nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità”.
Ed ha proseguito:
“Il ‘sempre’ [del ministero] è anche un ‘per sempre’: non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. […] Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro”.
Naturalmente il cenno alla rinuncia all’esercizio “attivo” non significa che persista in lui qualcosa come un carattere – non attivo – del ministero petrino. Il “servizio della preghiera” come tale è del cristiano e del sacerdote, non è una parte del “munus” di Pietro che resta su Joseph Ratzinger.
Il futuro pontefice, assistito dai cardinali e dalla scienza canonistica, dovrà, a mio avviso, dichiarare il carattere necessariamente tradizionale – non innovatore – della rinuncia di Benedetto XVI. E con ciò confermare l’intatta natura carismatica dell’ufficio sempre personale del successore di Pietro.
Ciò che la rinuncia di Benedetto XVI rappresenta per la Chiesa è nelle mani della Chiesa. L’idea che un evento “nuovo” rappresenti una cesura e una novità irreversibile da accogliere e celebrare come tale è un mito ottocentesco.
Il resto, poi, anche le formule del genere “il papa più umano” o “la Chiesa più moderna”, sono solo cascame. Il papa è sempre umano, la Chiesa è per sé moderna.
Firenze, 28 febbraio 2013
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(1) Che l’atto di rinuncia di un papa sia ammissibile solo se esso si dimostri utile al bene della Chiesa universale a lui affidata, ma in caso contrario costituisca peccato grave, è clausola che risale alle prime formulazioni giuridiche della materia, nel secolo XII, in particolare a Uguccione da Pisa nella sua “Summa decretorum” (1188-1190): “si expediret, alias peccaret” (ndr).
Segnalo un punto che giudico critico e fondamentale nell'articolo:
RispondiEliminaPer la tradizione giuridica della Chiesa è la stessa potestà sovrana del pontefice, che implica un giudizio sovrano, a decidere riguardo alla propria persona.
A mio avviso il problema sta proprio in questo: chi in Curia manovra - a parole ma soprattutto nei fatti l'operazione dimissioni (si noti il termine equivoco, mentre sarebbe più preciso parlare di abdicazione, trattandosi di un sovrano) mira a cancellare il carattere personale della Monarchia Papale, presentando il Papa non come un Sovrano, ma come il Presidente di un Collegio, di un'Assemblea, in chiave evidentemente sovversiva ed eretica.
Operazione eretica nel senso più vero e profondo: la costituzione della Chiesa è divina, e non è possibile apportarle modifiche in nome dell'opportunità contingente, dell'aggiornamento alla mentalità del secolo, o adducendo ragioni speciose quali la senescenza del Papa.
Per questo è massimamente inopportuna l'invenzione della figura di un Papa emerito, visto che essa ve esattamente in questa direzione, affiancando un Papa dimissionario ad un Papa regnante. Solo in un'ottica assemblearista, che fa derivare e dipendere il potere rappresentativo del Sovrano dal suffragio di chi lo ha eletto, un Papa può vedersi riconosciuto un qualche merito di carriera da compensare con un titolo onorifico e col mantenimento di certe prerogative.
Viceversa, se si segue la dottrina cattolica, laddove il Papa rinunci al Trono smette ipso facto di essere tale, e a rigore non vi è alcuna ragione di riconoscergli particolari privilegi rispetto agli altri Cardinali, specialmente perché con l'abdicazione egli si è dichiarato pubblicamente incapace di svolgere il ruolo che liberamente ha accettato. Quindi, se non si può prevedere a priori una qualche condanna morale per il gesto compiuto, di certo non vanno riconosciuti meriti di sorta al Supremo Pastore che abbandona il Gregge.
La legittimità dell'abdicazione, la sua liceità, è un'eventualità prevista dal Codice, così come è prevista la possibilità, a certe condizioni di abbandonare lo stato ecclesiastico o di essere sciolti dai voti religiosi. Ma quel che è permesso non è necessariamente né buono né raccomandabile.
Certo è che, proprio per l'assoluta novità e gravità dell'abdicazione, sarebbe stato più che auspicabile che non vi si accompagnassero altre innovazioni discutibilissime, quali appunto la trovata peregrina del Papa emerito.
Nell'antichità, era emeritus il soldato che aveva compiuto il proprio dovere militare ed era stato dimesso con onore, a campagna terminata, dal mestiere delle armi. Ma il Papato non è un mestiere per il quale è prevista una scadenza e un salario. O meglio: la scadenza ordinaria è la morte e il salario è il premio o la dannazione eterna, secondo ciò che ha meritato non solo come battezzato e come chierico, ma anche come Vicario di Cristo, colui che in vita ha ricevuto l'onore e l'onere di governare la Chiesa universale.
Anche il padre di famiglia ha un ruolo analogo, mutatis mutandis. Egli è padre per sempre, e non può dimettersi dalla propria paternità, né appellarsi al venir meno delle forze fisiche dovuto alla malattia o alla vecchiaia.
Solo la società moderna, infetta dei principi rivoluzionari, può concepire famiglie con due padri o due madri. Dio non voglia che la Chiesa segua le orme del mondo anche in questa sacrilega aberrazione.
In questo momento solo tante lacrime e una tristezza infinita.
RispondiEliminaPuo' darsi che il Santo Padre abbia notato i sintomi iniziali di una demenza senile, o dell'Alzehimer..... All'inizio tali malattie danno sintomi poco significativi, ma dopo qualche mese la situazione degenera e diventa veramente penosa per il quivis de populo, figurarsi per il Papa.... Bisogna conoscere bene le situazioni prima di commentare, specie in modo critico. Giovanni Paolo II era semi infermo, ma mentalmente e' rimasto lucido sino all'agonia....
RispondiEliminaCaro Felice,
RispondiEliminanon ti nascondo che ho fatto anch'io la tua stessa considerazione. Soprattutto dopo aver assistito, in TV, al congedo del Papa e alla sua partenza per Castel Gandolfo e non si può non notare quanto faccia fatica a camminare e come è visibile che negli ultimi tempi abbia perso quel vigore che gli vedevamo fino a non molti mesi fa.
Tanta commozione per la persona del Pontefice, ma anche un po' di turbamento nella consapevolezza della gravità e della eccezionalità dell'ora che stiamo attraversando.
Se ci sono delle cause più specifiche della ingravescens aetas, sarebbe stato quanto mai opportuno alludervi, sia pure senza entrare nei dettagli, anziché smentire categoricamente come ha fatto P. Lombardi ogni accenno di malattia.
Sarebbe molto più rispettoso nei confronti di chi è turbato dalla gravità e dalla incertezza del momento. Il problema è che chi gestisce il tutto sta facendo passare il messaggio dell'ordinaria amministrazione; il che rischia davvero di de-formare nel sentire comune, ma soprattutto nella vita della Chiesa, l'essenza del primato petrino.
Io mi aspettavo un accenno da parte dello stesso Santo Padre che ne richiamasse la natura rafforzandone la consapevolezza anche nei fedeli i quali, ignari, si stanno bevendo in una nube emozionale, l'ondata mediatica di umiltà e di gratitudine ma anche quella di un'orizzontalissima ordinaria amministrazione, appunto, che tale rischia di diventare anche per il futuro.
A meno che non vi ponga rimedio il nuovo Pontefice, nell'ipotesi che ci sia rimasto qualcuno che ancora sente e vive queste cose in maniera cattolica: il che significa secondo quel che la Chiesa ci ha sempre insegnato perché lo ha ricevuto dagli Apostoli e dal Signore e che nutre la nostra fede.
Condivido quanto hai scritto, cara Mic. Vorrei aggiungere un'unica nota: ora che il Pontificato di Benedetto e' consegnato alla storia, posso considerare che ho visto in Ratzinger un uomo di una santita' intensa e trasparente, di una intelligenza brillante e profonda, ma di una scarsa capacita' di governo, in particolare nella scelta dei collaboratori. Non mi stupisce che Lombardi, Bertone e c. Non abbiano saputo gestire al meglio questo delicato e storico momento: semplicemente non ne sono all'altezza. Condivido invece l'appunto che il Papa avrebbe potuto dire qualcosa di piu'. Coraggio cara Mic, verra' un tempo difficile, forse il Vescovo vestito di bianco che ora alloggia a Castel Gandolfo e il Camerlengo Pietro Romano Bertone che ora gestisce la sede vacante sono solo suggestioni, forse no,chissa'. Quel che e' certo e' che alla fine il cuore immacolato di Maria trionfera'. Ora dobbiamo solo pregare e stare saldi nella fede, per non scandalizzarci nella notte che sta per arrivare.....
RispondiEliminaCaro Papa Benedetto,
RispondiElimina..............
ritorno a quei giorni di aprile......
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struggente lettera al Papa uscente
di FRANCESCO Colafemmina:
http://fidesetforma.blogspot.it/2013/02/caro-papa-benedetto.html
dal film su San Pietro con Omar Sharif
RispondiEliminaPetrus: "Quo vadis, Domine?" Dominus: "Eo Romam, iterum crucifigi."
Mentre san Pietro si allontanava da Roma per sfuggire alla persecuzione di Nerone, a lui apparve Gesù. Pietro gli disse: Dove vai, Signore?". Gesù gli rispose: "Vado a Roma, per essere crocifisso una seconda volta".
Pietro comprese che Gesù sarebbe stato crocifisso nella persona del suo Vicario, cioè Pietro stesso, primo vescovo di Roma. Allora tornò indietro e si consegnò ai suoi persecutori.
https://www.youtube.com/watch?v=8v7g2qrO6jQ
Non fatevi illusioni. Il pontificato romano è finito dal vaticano II nella teologia, negli studi e dunque nelle menti dell'attuale gerarchia.
RispondiEliminaIl papa è il vescovo di Roma, punto.
E anche il papa che verrà....non avrà la giusta, cioé cattolica, concezione del papato romano = PRIMUS e basta, monarca della Chiesa per mandato divino, VICARIO in terra di NOSTRO SIGNORE. Il Papa è la Santità di Nostro Signore, si diceva qualche anno fa... Tutto, pian piano, ci ha portato qui....e ci porterà oltre.