Carissimi, siamo ben consapevoli che quel che accade oggi nella Chiesa - e che trova le sue scaturigini nel tanto osannato o vituperato Concilio Vaticano II - ha radici ben più lontane nel tempo e nella storia e risvolti ed aspetti che è bene riconoscere per non subire, e quindi per tentar di gestire, quel che è gestibile o per lo meno riconoscibile anche da noi. I mezzi e i Maestri non ci mancano. Si tratta solo di conoscerli e seguirne le luminose indicazioni. La maiuscola è giustificata dalla grande povertà anzi dalla pletora di 'falsi maestri', senza dimenticare che abbiamo un Unico Maestro, che è anche il Signore nostro Gesù Cristo. Oggi infatti si contano sulla punta delle dita coloro ai quali possiamo attribuire l'Autorevolezza e la Fedeltà al Magistero perenne che nutre la nostra appassionata ricerca e il nostro impegno. Ci soffermeremo ora su testi di Mons. Brunero Gherardini. In attesa di consultarlo direttamente, propongo alcune pagine molto centrate (*) su quanto si sta delineando davanti ai nostri occhi, nella nostra coscienza e interpella il nostro sensus fidei in questo nostro tempo, così oscuro, ma ricco di grande Grazia perché ci costringe ad andare l'oltre l'immediatezza delle evidenze che ci turbano, a dare un nome alle loro manifestazioni e al nostro disagio, che è proporzionato alla nostra Fedeltà alla Chiesa Mater et Magistra così come il Signore l'ha istituita e la guida.
È per questo che desidero condividere con voi questo testo, che per comodità di consultazione (e anche per darmi il tempo di scannerizzare) suddivido in tre parti.
Quella che segue è la prima: Rivoluzione e concilio: Concilio e Sessantotto, che introduce e sviluppa un aspetto di cui stiamo ancora vivendo le non sopite manifestazioni e conseguenze. La seconda e la terza, di imminente pubblicazione, ci aiuteranno a comprendere la Teologia della Liberazione e la Nouvelle Théologie.
Tutto questo, oltre a darci una maggiore comprensione del presente, ci aiuta a non focalizzarlo unicamente nella sua problematicità rimanendovi invischiati, ma ad allargare il nostro sguardo cogliendo il respiro più ampio, diacroniacamente e sincronicamente, della storia, del pensiero che la abita e delle azioni che esso muove. Ciò vale non soltanto riguardo al passato che ha forgiato il presente e prepara il futuro, ma proprio al fine di dare il senso (sia come direzione che come intenzionalità, secondo la Traditio autentica, senza la quale la Chiesa rischia di perdere sia la sua identità che la sua funzione umano-divina, propria della Presenza di cui è la sola portatrice) al nostro presente. Ciò soprattutto per individuare nelle tendenze e nelle azioni in campo ciò che è da seguire e ciò che è da rifiutare per un presente e dunque anche per un futuro che prosegua nella Via Verità e Vita e non porti in un "altrove" che disconosciamo e che non ci appartiene. E lo facciamo, Deo adiuvante, nella Sua Chiesa.
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(*) Brunero Gherardini, Il Vaticano II. Alle radici di un equivoco, Lindau, 2012 (p.253-261) [vedi anche]. Dopo il primo: Vaticano II. Un discorso da fare con Supplica al Santo Padre rimasta senza esito e il secondo: Il discorso mancato [vedi anche], questo testo riprende e sviluppa i temi più controversi e ci consegna un'analisi chiara e sapiente dei prodromi e degli sviluppi della crisi che stiamo vivendo.
Rivoluzione e Concilio. Concilio e Sessantotto
Balza all'evidenza il fatto che durante tutti i lavori conciliari, dall'inizio alla fine, ogni
decisione fu presa al seguito d'un certo vento di fronda. Come sempre, la
logica ha le sue esigenze e questa è una di quelle.
Non so con esattezza quand'il vento di fronda sia iniziato nella storia dell'umanità;
probabilmente con Adamo ed Eva. So però che quello da prender ora in
considerazione è un indotto ed un'espressione della così detta modernità. I
precedenti richiami al riguardo consentono, grosso modo, d'indicarne la data di
nascita - o meglio di comparizione - nello scoppio della Rivoluzione francese e
nel costituirsi del pensiero illuministico attraverso Voltaire, Rousseau e
quanti assecondaron l'impresa dì quella «spaventosa macchina da guerra»[1] che fu
l'Enciclopédie. Non mi riferisco, quindi, o non solamente, al triumvirato che
seminò in Francia i germi della contestazione globale, amorevolmente coltivati
da Voltaire e da Rousseau per avvelenar il terreno del consorzio civile e
falciare - non solo metaforicamente - tutti i veri o presunti nemici dell'ideale
rivoluzionario. Mi riferisco anche e principalmente a coloro che di codesta
falcidia posero le premessi ideologiche: un'astratta concezione filosofica,
all'insegna della pura ragione, per giustificare lo sconcio di sacrileghe follie[2] e di sanguinarie repressioni. Il cambiamento come fine a se stesso che,
decretando lo sgozzamento di nobili e di preti spalancava le porte all'era nuova,
aveva il placet della cultura imperante e, quasi contemporaneamente oltre che
specificamente, della filosofia hegeliana della storia: storia come dialettica
degli opposti.
Rivoluzione, peraltro, non era solo l'implacabile movimento della struttura ternaria,
condannato a negarsi per rinnovarsi senza soste e senz'eccezioni; uno spirito
rivoluziona rio proveniva pure dal Rinascimento sulle ali del libero per, siero
e dell'incontrollata gioia di vivere. Si tratta di quel medesimo spirito che,
pur tenendo sempre in evidenza le insopprimibili differenze tra epoca ed epoca,
le mutate condizioni sociali e la sempre nuova sensibilità comune ai fenomeni
dello spirito, s'affacciò nell'aula conciliare fin dalla sua prima apertura e
vi s'adagiò a suo piacimento. Quando, a Concilio concluso, ne uscì, non restò
con le mani in mano, ma fu la molla d'ogni spinta in avanti, d'ogni
contestazione del passato, d'ogni apertura al nuovo: fu l'anima del
postconcilio. I pochi che rivendicavan gl'inalienabili diritti della Tradizione vennero
pressoché travolti dal suo stesso impeto dialettico.
Lo spirito che imperò era parente prossimo di Hegel, anche se non lo confessava
apertamente: gli bastava rivelarsi nei fatti e nell'ansia che li esigeva:
quella dell'innovare, del riformare, dello svecchiare, del ricominciar tutto da
capo, in adorazione dell'idolo momentaneo - il progresso, la scienza, la
libertà, la razionalità, la natura, le nuove esigenze, l'uomo in una qualunque
delle sue ultime affermazioni culturali politiche e social-progressiste -
pronto a contestar tutto di nuovo in vista d'altre affermazioni e d'altri
traguardi.
1. Concilio e Sessantotto
Lungi da me l'affermazione, semplicemente irragionevole, ma anche il non meno
irragionevole sospetto, che il Concilio abbia prodotto il Sessantotto.
Assolutamente assurdo e contraddetto dalla stessa realtà storica sarebbe il
pensare che ne sia dipeso: lo precede infatti di qualche anno. Si può invece
metter in evidenza quanto concorre a costituirlo e caratterizzarlo.
L'amico de Mattei[3] parla di correlazione, ch'egli trova nel comune progetto di
trasformazione. Non c'è dubbio che ambedue gli eventi, correlati da codesto
medesimo progetto, abbian tenacemente operato - l'uno e l'altro a suo modo -
alla realizzazione di esso. Il progetto, però, non nacque all'improvviso; la
sua radice è lontana nel tempo e lunga la sua incubazione. È una radice che
s'affonda nel terreno di ben individuate ascendenze culturali. Si tratta, in
effetti, d'un'ispirazione di fondo, quella che A. Solzenicyn, citando K. Marx,
definì «un’umanesimo naturalizzato»[4], ossia violentemente privato del suo
respiro metafisico, religioso, soprannaturale, il che è come dire violentemente
strappato ed estraniato alla sua provenienza dalla Rivelazione cristiana. Un
umanesimo, dunque, in adorazione di se stesso e del nuovo idolo, che la
rivoluzione in atto dal Rinascimento in poi, prima quindi di quella francese,
identificò nell'uomo, nei suoi ideali, nei suoi sogni, nelle sue conquiste, nel
suo rinnovato impegno di progresso verso traguardi d'ispirazione immanentista.
Sì, l'incubazione fu lunga: furor secoli di coerente e sempre più deciso
smarcarsi della cultura imperante non soltanto dalla dottrina cristiana, ma
anche, anzi soprattutto dallo spirito soprannaturale dal quale essa dipende ed
al quale indirizza. Allo smarcarsi fece seguito, ridicola nemesi storica, tanto
l'autoadorazione quanto la cronolatria che un vecchio «contadino della Garonna,
interrogandosi a proposito del tempo presente», lamentò come insulsa e blasfema
compensazione di Dio e della sua divina Parola[5].
Tutte le filosofie moderne, radicate nel kartismo e non di rado unendo Cartesio a Kant
in una medesima dipendenza, presentar il principio dell'immanenza come loro pernio
dal quale ognuna, specificandosi, dipende. Il razionalismo, l'idealismo, la
sinistra ed in parte anche la destra hegeliana, l'indirizzo storicistico, il pensiero
evoluzionistico, lo stesso «slancio vitale» di E. Bergson (n. 1859 t 1941),
l'esistenzialismo in quasi tutte le sue forme ma, in particolare, in quella
nichilista di J.-P. Sartre, e per finire il modernismo, costituiscon aspetti
vari del pensiero moderno; vari e tuttavia tutti ben radicati nel principio che
unifica la loro varietà, signoreggiandola: l'immanenza.
Può sembrare strano che indichi nel divenire il segno dell'immanenza. Mi riferisco
al divenire concepito come principio immanente nelle realtà che, divenendo, non
sono statiche, s'evolvono, si perfezionano, si trasformano. Immanente si dice,
infatti, di ciò ch'è connaturato ed intimo alla realtà in cui è e dinanzi alla
quale il solo supporre che possa darsi qualcosa al di là o al di sopra di essa
- al di là o al di sopra del pensiero, in termini idealistici - è l'assurdo. Se
dunque tutto è dentro e si spiega dal di dentro, vien meno l'al-di-là, il
di-sopra, il soprannaturale come trascendente in senso assoluto. Se mai, la
trascendenza è limitata alla scansione dei gradi in uno medesimo soggetto.
Vien subito in mente M. Blondel (n. 1861 t 1949). A lui risale, ed alla sua opera
L'Action. Essay d'une critique de la vie et d'une science de la pratique (1893)
[6], il metodo dell'immanenza: in polemica con Hegel, Blondel ricostruì la realtà
in tutta la sua dimensione sulla base d'una dialettica della volontà e non
della ragione[7], sicuro di potere scoprire ciò che si vuole in ciò che si crede
di volere, o ciò che si è in ciò che si crede di essere. Immanente era per lui
questo «ciò che si crede». Con esso collegava perfino un senso positivo del
soprannaturale, da considerarsi già grazia, prima d'aspettarne un'altra che,
del soprannaturale, trascendesse il senso immanente. Il pericolo che naturale e
soprannaturale si fondessero in un'unica entità era in lui evidente. Non lo fu
meno ín K. Rahner, H. de Lubac ed altri pezzi da novanta che ebbero in mano la
bacchetta del comando, direttamente o no, nelle discussioni consiliari. E
soprattutto aggiornaron le idee storte dell'antropocentrismo e del modernismo,
che tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 avevan tentato, grazie al metodo
dell'immanenza, di toglier all'atto di Fede il suo respiro trascendente. Tutto
si concentrò all'interno del pensiero pensante, tutto acquisì dalla coscienza
l'ultimo ed indiscutibile valore[8]. Chiaro influsso, questo, di quel robusto
pensatore che fu E. Husserl (n. 1859 + 1.938} il quale, pur contrapponendosi al
naturalismo ed allo psicologismo, concentrò il suo atteggiamento fenomenologico
nel primato della coscienza, come pura presenza o evidenza dell'essere a se
stesso. Un'esistenza originaria, la sola che abbia in ogni suo momento la
garanzia di se stessa [9].
L'autoadorazione,
avvalendosi soprattutto della filosofia fenomenologica, continuò a fare dell'io
e della coscienza il centro demiurgico della realtà e della storia: A. Meinong,
N. Hartmann (questi sopra agli altri), M. Scheler, colleghi ed allievi del grande
fenomenologo Husserl, consegnarono, per così dire gli strumenti di lavoro ai
campioni del modernismo.
Una menzione speciale merita, ovviamente, colui che ne è il riconosciuto fondatore,
il già ricordato L. Laberthonnière, alla cui iniziativa si debbon pure quegli
«annali di filosofia cristiana» dai quali quasi tutti suoi scritti vennero
ospitati. Suo è il famoso metodo dell'immanenza, in base al quale non basta
scoprir o ricevere la verità, ma bisogna ricrearla in noi stessi. Ogni verità.
Anche quella cristiana o rivelata.
Quel che significò in filosofia e, di riflesso, in teologia il modernismo di
Laberthonnière, ebbe i suoi riflessi in campo esegetico-biblico nell'opera di
A. Loisy, che s'acquistò in tal modo, fra i vari modernisti, il ruolo di
prim'attore. La sua esegesi, anzi il suo criterio esegetico, rispondeva ad
un'esigenza critica che accomunava sott'un medesimo metodo scritti profani e
scritti sacri. Attese infatti ad un'esegesi puramente storico-critica, mediante
la quale individuò negli scritti neo- e veterotestamentari un messaggio valido
per gl'immediati destinatari, non per quelli d'epoche successive ed ancor meno
per quelli d'oggi. Vide inoltre negli scritti stessi quella manomissione
successiva e progressiva che, arricchendoli a favore del presente, li
allontanava sempre di più dalla loro origine e dal loro originario significato.
Per tratteggiar il variegato profilo del modernismo, agli autori già ricordati in
precedenza e a quelli che vengo ora presentando desidero aggiungerne uno, nel
quale si concreta l'espressione più rilevante del modernismo stesso come
movimento che sposta l'asse dell'esperienza religiosa dall'intelletto alla
volontà e quindi all'azione: E. Le Roy. Si tratta, forse, del modernista più
radicale nel dar a Dio un carattere puramente pragmatico e nel ritrovare noi
stessi in Lui, la regola della condotta cristiana nel dogma, l'emblema d'un
comportamento cristiano attuale nella risurrezione di Cristo[10].
La corrosione di questo tarlo all'interno del dogma cattolico non cessò, com'è
ampiamente risaputo, con la condanna di san Pio X. Nel Vaticano Il confluiron
le sue più tipiche istanze, riassunte nell'indirizzo di fondo: pacificarsi col
pensiero moderno assumendone le più conclamate metodologie: dal principio
dell'immanenza al metodo storico-critico, alla scienza filologico-positivista
in sé considerata e come tale applicata ai testi della divina Rivelazione, al
liberalismo nel suo senso più generico. Veniva in tal modo sottratta al
Magistero ecclesiale l'esclusiva dell'interpretazione. E già qui, prim'ancora
che diventasse operante, s'intravedeva la rivoluzione sostitutiva della scienza
alla Fede, del nuovo alla Tradizione, della coscienza e della libertà alla
norma.
Con la sua chiusura nel 1965, s'aprì al Vaticano Il il problema della sua continuità
mediante un processo di ricezione e d'applicazione. Ciò presupponeva il
permanere di quello spirito [vedi] che ne aveva guidato lo svolgimento e che, nelle
grandi linee del cambiamento e del rinnovamento, proveniva dalla cultura
profana e dalla modernità liberale già ampiamente assunta dal modernismo.
L'ambiente culturale nel quale il Concilio depositò i suoi aneliti innovativi
aveva risonanze simili a quelle conciliare. Anche quell'ambiente era tutt'un
fermento d'idee e di prospettive nuove; eran trascorsi appena tre anni dal 1965
quando esplose il Sessantotto. In comune con il Concilio - forse senz'una
diretta presa di posizione al riguardo, ma anche senza che ciò infirmasse lo
spirito dal quale ambedue eran mossi - aveva il sogno della liberazione da
tutti condizionamenti esterni. Non che il Sessantotto volesse mettersi alla
testa dell'attuazione conciliare, anzi, rimanendo in genere sul versante della
più rigida contrapposizione ecclesiale, rispondeva alle sollecitazioni in parte
eversive in parte innovative cui anche il Concilio e l'epoca conciliare
rispondevano. Tuttavia non sarebbe nel vero chi pensasse ad un Sessantotto
esclusivamente dedito all'emancipazione socio-politica dei popoli, della donna,
degli ultimi; o a quella che fu proprio allora chiamata contestazione globale.
Oggetto di questa furon la
Chiesa , la curia romana, le inadempienze conciliare e via di
questo passo. G.-M. Garrone, non ancora cardinale, proprio a me che avevo
ricollegato la contestazione globale ad alcuni spunti di GS e di DH, definì
superficiale l'analisi perché «non vedevo ciò che stava sotto». Non disse che
cosa e pertanto continuai a «non vedere».
Vissi con S. Em.za il cardinale Florit la vicenda dell'Isolotto e vidi la gioia del
vecchio cardinale quando, qualche tempo dopo la sostituzione di don Mazzi alla
guida della parrocchia, mi confidò che l'Isolotto stava diventando una
parrocchia esemplare. Un piccolo episodio che non cambiò le carte in tavola: la
rivoluzione sessantottina era in atto. Sul piano delle idee - si pensi al
famigerato catechismo olandese - e sul piano comportamentale: non mi riferisco
alle manifestazioni politiche, sgangherate e sfasciatutto, ma a quelle
intraecclesiali. Preti d'avanguardia, teologi - se questo titolo può esser
ancor applicato in casi del genere - e laici alla M. Capanna o alla P. Sorbi[11], l'uno proveniente dall'università cattolica di Milano, l'altro da
Trento, dove, e precisamente sul sagrato della cattedrale, organizzò uno
sconcio contro quaresimale, seppero infonder alla contestazione un carattere
tipicamente intraecclesiale, passando dalla fase analitica e teorica a quella
applicativa. Il gesto più clamoroso: l'occupazione della cattedrale di Parma.
Parallelamente andò sviluppandosi e prese in breve tempo vigore quello che
allora si chiamò « pentecostalismo cattolico», di cui per incarico ricevuto
fui, se pur brevemente, testimone diretto: nessun atto di ribellione assordante
e plateale, ma non meno plateale esaltazione del carisma anche a carico
dell'istituzione e delle sue istanze. O con la logorrea dei nuovi predicatori,
o con la conseguente azione di massa di chi li prendeva sul serio, o con la
pretesa di poter disporre a piacimento dello Spirito Santo per contestare dogma
e prassi del mondo cattolico, il Sessantotto applicava alla lettera la parola
d'ordine lanciata il 21 maggio da « Témoignage chrétien»: «Introdurre la
rivoluzione nella Chiesa»[12]. Una sorta di messianismo di nuovo conio si faceva
largo specialmente tra i giovani, nei conventi maschili e femminili, tra il
clero, negli ambienti di lavoro, sulle piazze. Parve un fenomeno di pazzia
collettiva. E da quella pazzia non si è ancora del tutto guariti.
_______________________________1. Cfr.G. Kurt, nelle ore decisive della storia, trad. it. di E. Bianchi, L'Editrice Fiorentina, Firenze 1945, p. 221.
2. risaputa l'oscenità d'una donna di malaffare, posta nuda sull'altare di Notre-Dame de Paris come emblema della dea ragione.
3. R. de Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau, Torino 2010, pp. 542-547.
4. A.I. Solzenicyn, Un mondo in frantumi. Discorso di Harvard, trad. it. de La Casa di Matriona, Milano 1978, p. 27, cit. da R. de Mattei, Il Concilio Vaticano II cit., p. 585.
5. J.Maritain, Le Paysan de la Garonne. Un vieux laic s'interroge à propos du temps présent, Desclée de Brouwer, Paris 1966, pp. 25-28, 85-97.
6. Ristampata, per le Ed. PUF, a Parigi nel 1974.
7. Cfr. soprattutto J. de Tonquédec, Immanente. Essai sur la doctrine de M. Blondel, Paris 1913. In italiano l'Azione fu presentata da vari autori e a varie riprese, per esempio da E. Codignola, Firenze 1921.
8. Si veda, soprattutto per i riflessi che l'egemonia della coscienza ebbe sulla Scolastica ed il suo metodo, E. Habsburg-Lothringen, Das Ende des Neuthomismus. Die 68er, das Konzil und die Dominikaner, Nova et Vetera Bonn 2007, pp. 86-94.
9. Espresse tali convinzioni sia in Idee su una fenomenoIogia pura e sulla filosofia fenomenologica del 1913, sia in Lezioni sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo del 1928 ed in altre opere dedicate all'intenzionalità e al primato della coscienza, fin a che il testimone passò ai suoi discepoli, specie M. Scheler e M. Heidegger che riproposero la lezione fenomenologica del Maestro nella rivista da lui stesso fondata (1913), lo «Jahrbuch fur Philosophie und phanomenologische Forschung».
10. Sul modernismo la letteratura è ampia. Ricordo gli scritti d'un letterato come G. Prezzolini, Cos'è il modernismo, Treves, Milano 1908 e Il cattolicesimo rosso, Ricciardi, Napoli 1908. Sul modernismo scrissero pure modernisti di prim'ordine, come R. Murri, La filosofia nuova e l'enciclica contro il modernismo, Società nazionale di cultura, Roma 1908 ed E. Buonaiuti, Lettere di un prete modernista, Libreria editrice romana, Roma 1908 e Il programma dei modernisti, Bocca, Torino 1911. Sempre del Buonaiuti, ad integrazione di studi più recenti quali quelli citati di E. Poulat, si veda: A. Houtin, Histoire du modernisme catholique, Paris 1913 e 1927 (in it. Modena 1943).
11. Cfr. R. de Mattei, Il Concilio Vaticano II cit., p. 544.
12. Tutti o quasi d'estrazione cattolica, figli spirituali di preti come padre E. Balducci, ammiratori del Che Guevara o di don Camillo Torres, animatori del dissenso cattolico, ferocemente accaniti contro quella che dicevano una Chiesa di classe.
"Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto." (Giovanni, 14, 26)
RispondiElimina"Ricorderà", appunto. Lo Spirito Santo non "rivoluzionerà" mai le parole del Figlio. Lo Spirito Santo E' DIO! Non lo ricorderemo mai abbastanza ...
"..Parallelamente andò sviluppandosi e prese in breve tempo vigore quello che allora si chiamò « pentecostalismo cattolico», di cui per incarico ricevuto fui, se pur brevemente, testimone diretto: nessun atto di ribellione assordante e plateale, ma non meno plateale esaltazione del carisma anche a carico dell'istituzione e delle sue istanze. O con la logorrea dei nuovi predicatori, o con la conseguente azione di massa di chi li prendeva sul serio, o con la pretesa di poter disporre a piacimento dello Spirito Santo per contestare dogma e prassi del mondo cattolico, il Sessantotto applicava alla lettera la parola d'ordine lanciata il 21 maggio da « Témoignage chrétien»: «Introdurre la rivoluzione nella Chiesa»[12]. Una sorta di messianismo di nuovo conio si faceva largo specialmente tra i giovani, nei conventi maschili e femminili, tra il clero, negli ambienti di lavoro, sulle piazze. Parve un fenomeno di pazzia collettiva. E da quella pazzia non si è ancora del tutto guariti."
RispondiEliminaLa fotografia della situazione attuale!
"... «un’umanesimo naturalizzato»[4], ossia violentemente privato del suo respiro metafisico, religioso, soprannaturale, il che è come dire violentemente strappato ed estraniato alla sua provenienza dalla Rivelazione cristiana. Un umanesimo, dunque, in adorazione di se stesso e del nuovo idolo, che la rivoluzione in atto dal Rinascimento in poi, prima quindi di quella francese, identificò nell'uomo, nei suoi ideali, nei suoi sogni, nelle sue conquiste, nel suo rinnovato impegno di progresso verso traguardi d'ispirazione immanentista. "
RispondiEliminaNon è anche l'umanesimo conciliare nella famosa svolta antropocentrica?
Approfondiamo la nostra Fede, è buona cosa.
RispondiEliminaMa il Demonio non ci farà mancare tentazioni e sconforto.
Scenderà la tristezza nel cuore, sentendoci intellettuali conservatori da strapazzo che ripetono sempre i soliti ritornelli.
La situazione della Chiesa sembra e sembrerà a tal punto irreversibile da provocare sconforto. E ci domanderemo se noi, o le prossime generazioni, o qualcuno vedrà mai la fine di questa crisi.
Dubiteremo allora della crisi stessa, o ci aggrapperemo irrazionalmente a qualunque segno di discontinuità, come tanti stanno già facendo per due o tre parole di Bergoglio.
O ci sentiremo una forma di resistenza inutile. Forse degli alienati.
E nemmeno la preghiera apparirà rifugio. La preghiera tradizionale inizierà a sembrare una vuota formula, ostentazione di un'identità forte per persone deboli. E per paura di cedere alla modernità, non ci fideremo nemmeno della preghiera del cuore.
E i nostri continui approfondimenti ci sembreranno sempre più vuoti, sempre più formali. Intellettualismi, e neppure così interessanti.
Approfondiamo allora, ma nella battaglia che infuria e infurierà non perdiamo la dolcezza di Gesù Crocifisso, il buon Gesù, la sola vera sapienza, il solo vero gaudio.
Dice l'inno meraviglioso di san Bernardo di Chiaravalle: nil cogitatur dulcius, quam Jesus Dei filius!
Parliamo, ma parliamo di Lui quanto più possibile.
Così che alla fine della giornata, rivolti al Crocifisso, possiamo dirgli: "oggi ho parlato di te, Signore"!
Scusate il fuori tema un po' sentimentale, ma non voglio scoprirmi un giorno una sorta di Melloni di destra!
Sono d'accordo sul parlare del Signore e, soprattutto, sul parlare nutrito essenzialmente dalla preghiera e dunque da un rapporto vivo con Lui.
RispondiEliminaCapisco che la nostra ricerca possa anche apparire intellettuale. Io la ritengo sapienziale e frutto di un uso equilibrato di Fede e Ragione.
Poi ognuno approfondisce quanto e ciò che crede.
Ben venga comunque il richiamo all'equilibrio tra cuore e intelletto e anche azione concreta nel quotidiano.
Quanto allo scoraggiamento. Molte sono le prove, anche al di là di questo versante, che potrebbero prostrarci.
Ma nel Signore e nella nostra Madre tutta la nostra Speranza, Rifugio e Fortezza, offrendo anche i momenti di buio e aridità. E li oltrepassiamo proprio grazie all'aiuto che non viene mai meno!
Cara Mic,
RispondiEliminabene su tutto, condivido, ma, scusa se mi permetto, non auto-definiamoci "sapienziali".
Questa rischia di essere una "mellonata"! Scusa ancora se mi permetto, è solo per restare nella linea di giusta umiltà che mi pare caratterizzi il blog.
E' un suggerimento dato per stima. Se ritieni, non è necessario che lo pubblichi.
Breaking News - I Gesuiti im Bassa Slesia, PL, da domenica scorsa celebrano mensilmente il rito antico nella loro chiesa... (Vide : Una Voce Cordoba -Argentina!)
RispondiEliminaHO FONDATO UN NUOVO GRUPPO
RispondiEliminaNel VII Secolo, un Sinodo riunitosi a Saragozza, stabilì che il 18 Dicembre dovesse essere festeggiata la prossima Maternità della Madonna.Da allora tale ricorrenze è presente nei Calendari Propri delle Spagne e della Città di Roma. Popolarmente è chiamata la festa della "Madonna INCINTA".
Scopo di questo gruppo [il18dicembre@yahoogroups.com] è tutto incentrato sul dare solide basi alle battaglie Pro-life. Pertanto saranno gradite presenze richieste di preghiere, ma anche approfondimenti teologico-culturali. In particolare, il Fondatore dichiara di ritenere che il LIMBO non è solo una pura ipotesi.Ciò senza nulla togliere alla misericordia di DIO e mantenendosi *PERFINO* nella scia di ciò che realmente dicono documenti ecclesiatici ufficiali (o presunti tali) di questi ultimi anni,(non le deformazioni giornalistiche degli stessi documenti). Se non si mette in chiaro che il particolare abominio del delitto di aborto, consiste nel fatto che, oltre a spegnere la vita fisica, fa, quanto meno, cadere un pesante dubbio su quella spirituale, ogni battaglia anti-aborto, somiglia alla Casa costruita sulla sabbia.
Questa rischia di essere una "mellonata"! Scusa ancora se mi permetto, è solo per restare nella linea di giusta umiltà che mi pare caratterizzi il blog.
RispondiEliminaBah, non capisco.
In effetti io non ho fatto alcuna lettura e non mi sono auto-definita 'sapienziale'. Mi limito a offrire e condividere il testo di Mons. Gherardini.
E' ovvio che quando parlo di nostra (compresa la mia) ricerca non solo intellettuale ma anche sapienziale, intendo riferirmi al fatto di potersi nutrire di approfondimenti sapienziali, facendo un'operazione diversa da un approccio solo intellettuale.
E la precisazione è stata indotta dall'intervento precedente che, insieme a giusti input, introduceva un quadro un po' fosco in questo senso:
i nostri continui approfondimenti ci sembreranno sempre più vuoti, sempre più formali. Intellettualismi, e neppure così interessanti.
Ed è a questo che mi è venuto spontaneo reagire.
Se nel papato si registrano cambiamenti radicali da un Papa ad un altro (soprattutto nel culto) della stessa portata dei cambiamenti che si registrano in politica, non è più la Chiesa cattolica della storia. Ci sono dei conti che non tornano.
RispondiEliminaNuovo blog, in spagnolo. Anzi, «dalla fine del mondo»
RispondiEliminahttp://in-exspectatione.blogspot.com.ar/
Per sdrammatizzare un po':
RispondiEliminaproposito di '68:
a) Contro il sistema
Io è dal sessantotto che mi batto con tutte le mie forze contro il
sistema. Fino ad oggi però non ho mai realizzato più di qualche ambo!
(Bilbo Baggins)
b) la prima vittima
La prima vittima del 68 fu Lucio Domizio Enobarbo. E' morto nel 68, quello senza apostrofo, il 68 d.C.(Marcello Veneziani)