Le nostre analisi sembrano tramontare in fretta, inghiottite, subendo i ritmi e lo stile imposti da questo strumento, dal nostro soffermare l'attenzione sui nuovi fatti che incalzano o dal desiderio di proporre nova et vetera da assumere come ineludibile fonte di informazione che può diventare formazione. Credo che ogni tanto sia il caso di tornare a riflettere su eventi superati nel susseguirsi temporale, ma che non lo sono affatto sia per la corretta interpretazione da darne, che richiede approfondimenti seri e meditati, che per le conseguenze che essi hanno sulla storia e sul cammino della Chiesa.
Uno di questi eventi è certamente l'abdicazione di Benedetto XVI [vedi anche qui] - [e qui].
Abdicazione è il termine usato da Jacques Le Goff, lo storico francese esperto di storia medievale intervistato da Repubblica proprio in concomitanza dell'evento.
Abdicazione è il termine usato da Jacques Le Goff, lo storico francese esperto di storia medievale intervistato da Repubblica proprio in concomitanza dell'evento.
Ne è venuta fuori un'analisi chiara ed essenziale sul significato storico del cristianesimo, sul papa, sul rapporto tra la Chiesa cattolica e il mondo, sulle ragioni che possono aver spinto Papa Ratzinger al suo gesto insolito e per molti versi ancora traumatico. Per questo motivo penso sia il caso di riproporre l'argomento. Molto calzante l'immagine del "trono vuoto" (ma anche l'interpretazione che ne dà Le Goff), che al momento dell'intervista ancora lo era, che ora non è più vuoto, e rischia di non essere più un Trono, ma un seggio qualunque...
Professor Le Goff, la rinuncia del Papa fa pensare al trono vuoto: è un’immagine adeguata a riassumere il gesto del pontefice?
«Sì e no. Personalmente, non è un’immagine che mi tocca molto, ma è importante per una religione: fa vedere che anche se la religione non ha una testa umana da mostrare, c’è sempre il trono che simboleggia l’esistenza di un re nel cielo, Dio. Di conseguenza, il trono vuoto è il simbolo della continuità. È uno degli atout del cristianesimo, che ha sempre evitato le rotture e per cui l’unica rottura è stata l’incarnazione di Gesù. Ci possono essere crisi, svolte, catastrofi, ma il trono di Dio è sempre lì. Questa eterna associazione fra il cambiamento e la continuità, incarnata dal trono vuoto, è una delle virtù del cristianesimo».
Come ha reagito alle dimissioni?
«Non si tratta di dimissioni, perché le dimissioni vengono date davanti a un’assemblea davanti a cui si è responsabili. È un termine che riguarda le democrazie, non esiste per il Papa. Credo si debba ritornare alla parola abdicazione come per i monarchi».
Perché lo ha fatto, secondo lei?
«Lui dice che è per l’età e la fatica, ma fondamentalmente si ritira davanti al mondo moderno. Si sente incapace di padroneggiare questo mondo, di far sentire sufficientemente la voce del Dio dei cristiani e della Chiesa cattolica in questo mondo. Nel suo ritiro si compendiano la lucidità, la modestia, la speranza di permettere alla Chiesa di rimontare la china e di affrontare meglio il futuro».
E adesso cosa succederà?
«È la domanda più importante: cosa farà il conclave? Certo, non lo so, non sono cardinale, né ecclesiastico e nemmeno uno specialista della chiesa contemporanea. Come storico guardo al passato: non c’è mai stato un papa che si sia ritirato fra il XV secolo e oggi. Nel Medioevo ci sono stati due casi. Si parla soprattutto di Gregorio XII, papa nel periodo del Grande Scisma, che si può dire si sia dimesso davanti al concilio di Basilea: nel Medioevo c’era chi pensava che il concilio fosse superiore al papa. Prima ancora, nel 1294, c’è stato Celestino V, di cui parla Dante nella Divina Commedia come colui che fece “il gran rifiuto”. Malgrado le differenze molto grandi, c’è qualcosa di comune a Celestino V e a Benedetto XVI».
A più di sette secoli di distanza vede una somiglianza fra i due casi?
«Celestino V era un eremita tradizionale, Ratzinger un teologo tradizionale. Penso ci sia qualcosa di paragonabile. Celestino V pensava di essere incapace di guidare la Chiesa perché apparteneva profondamente al cristianesimo medievale tradizionale, quello dominato dal monachesimo, l’anacoretismo, mentre la cristianità si era profondamente modificata, aveva conosciuto uno sviluppo rurale e urbano considerevole e alla fine del Duecento era diventato un mondo nuovo. Vedo una rassomiglianza tra allora e questo inizio del XXI secolo. Mi vien da pensare a una cosa che come storico mi ha sempre colpito, anche se non sono credente: penso che una parte dell’Occidente abbia avuto fortuna ad avere come religione il cristianesimo».
Come mai? Cosa c’è di così diverso dalle altre religioni?
«Essenzialmente per due ragioni. La prima è che il cristianesimo distingue quel che appartiene a Dio e quel che appartiene a Cesare, non mescola religione e politica. La seconda ragione è che, nonostante i ritardi e le lentezze, nonostante la crisi che colpisce tutte le religioni, è sopravvissuto piuttosto bene, perché ha saputo adattarsi alle mutazioni profonde di questo mondo. E credo che in queste ore stiamo assistendo a uno di quegli avvenimenti plurisecolari caratteristici del cristianesimo».
Lei ha detto che Ratzinger si ritrae davanti alla modernità, eppure il teologo che veniva catalogato come reazionario se ne va con gesto moderno.
«Era successa la stessa cosa con Celestino V: non si era mai visto niente del genere e per questo Dante ne parla. Ratzinger non rende omaggio alla modernità, perché al tempo stesso il suo gesto è un rifiuto della modernità: il papa che abdica se ne ritira». [Il dubbio e l'incognita è se, invece, non sia un gesto 'moderno'. Speriamo che i nostri timori siano fugati dai fatti che verranno.]
Il problema, credo, non è tanto sulla modernità o meno del gesto compiuto da Benedetto XVI, quanto sul suo significato e sulle sue conseguenze.
RispondiEliminaSia Le Goff che altri sottolineano come Benedetto XVI si faccia da parte perchè non più in grado di fronteggiare la modernità o di guidare la Chiesa attraverso di essa.
Questo comporta, a mio avviso, una seria riflessione sul ruolo del Papa all'interno della Chiesa e, anche, nei confronti del mondo. Benedetto XVI è di vecchia scuola, di un Papa come capo della Chiesa (pur con tutte le legittime perplessità che anche lui, figlio dei suoi tempi, ci ha lasciato).
Il nuovo Papa, Francesco, sembra insistere molto su questa divergenza dal Predecessore. Egli non sembra considerarsi Papa, ma semplice Vescovo. E se è vero, ed è vero, che il Papa è un Vescovo (il Vescovo di Roma) è altrettanto vero che il Papa, in quanto Papa, ha delle prerogative a Lui proprie e non presenti in nessun altro vescovo.
Qui sta il punto della questione. Il papato così come lo conosciamo avrà ancora senso? L'aspetto dogmatico del primato di Pietro è chiaro e incontrovertibile, quanto però esso verrà attivamente esercitato e non, per una serie di ragioni, piuttosto taciuto e nascosto (spero, almeno, non pubblicamente rinnegato).
Su questo, credo, si gioca la questione del ruolo che la Chiesa avrà nei confronti del mondo. Se continuerà a scenderne a patti e a dialogare con esso, la chiesa perderà sempre di più.
Se la chiesa deciderà di riscoprire e, soprattutto!, esercitare, quel suo munus particolare e unico, che è quello di santificare e convertire il mondo, allora per la chiesa, seppur tra annose lotte e difficoltà, ci sarà un futuro.
Se la chiesa deciderà di riscoprire e, soprattutto!, esercitare, quel suo munus particolare e unico, che è quello di santificare e convertire il mondo, allora per la chiesa, seppur tra annose lotte e difficoltà, ci sarà un futuro.
RispondiEliminaPer la Chiesa, fin dal momento della sua divina istituzione presente e futuro, in Cristo Signore sono assicurati.
E' del futuro della Chiesa conciliare e di quel che della chiesa visibile fanno molti uomini di chiesa che effettivamente viene da dubitare e proprio nei termini da te esposti...