Alla storiografia moderna – e, in modo precipuo, a quella post-conciliare – san Pio V e Paolo VI sono stati consegnati come due Pontefici in assoluta antinomia: intransigente, austero, inflessibile papa Ghislieri, il trionfatore di Lepanto, il “grande Inquisitore della Cristianità”, asceso nel 1566 al soglio pontificio; aperturista, tollerante, misericordioso papa Montini, così umano da autodefinirsi, in conclusione del Vaticano II, come “il cultore dell’uomo” (7 dicembre 1965).
Questa opinione, molto parziale e faziosa, è smentita dalla realtà dei fatti, che meriterebbero una ben più ampia trattazione. Vogliamo soffermarci qui soltanto su un punto – tutt’altro che secondario – che può gettar luce e verità su questi due Pontefici, certamente antinomici, ma nel senso opposto all’opinione corrente.
I due Papi in questione sono accomunati da un atto di governo che li ha resi celebri e memorabili in tutta la cristianità. Si tratta della promulgazione di un “nuovo” Messale, che entrambi i Papi operarono in ottemperanza al mandato di un Concilio ecumenico: Tridentino, nel primo caso; Vaticano II, nell’altro.
Il contenuto delle due riforme liturgiche e le modalità della promulgazione dei rispettivi Messali sono quanto mai sintomatici dell’ideologia che sottendeva all’operato dei due Pontefici.
San Pio V operò una riforma in assoluta continuità con la Tradizione perenne della Chiesa. Nella bolla Quo primum, che sigilla il Messale del 1570, papa Ghislieri spiega di aver affidato la “difficile incombenza” dell’edizione emendata del Messale a “uomini di eletta dottrina”. I quali “dopo aver diligentemente collazionato tutti i codici raccomandabili per la loro castigatezza e integrità — quelli vetusti della Nostra Biblioteca Vaticana e altri ricercati da ogni luogo — e avendo inoltre consultato gli scritti di antichi e provati autori, che ci hanno lasciato memorie sul sacro ordinamento dei medesimi riti, hanno infine restituito il Messale stesso nella sua antica forma secondo la norma e il rito dei Santi Padri”. Nulla di nuovo, dunque, nel Messale di san Pio V, ma piuttosto una restaurazione “ad integrum”.
Paolo VI operò una riforma in assoluta rottura con la Tradizione in ossequio ad un malinteso desiderio di avvicinare i fratelli separati. Si trattò di una riforma “fatta a tavolino” (cardinal Ratzinger), in assoluta discontinuità con la prassi liturgica precedente che illustri studiosi, specie del mondo anglofono – Dietrich von Hildebrand e Michael Davies, solo per citarne alcuni – hanno dimostrato con copiosità di prove non esser altro che una ripresentazione della riforma liturgica di Cranmer operata in ossequio al mandato di Lutero. Non è certo senza rilevanza se uno degli osservatori anglicani presenti al Vaticano II, l’arcidiacono Bernard Pawley, lodò il fatto che la riforma liturgica che fece seguito al Concilio Vaticano II non soltanto corrispose ma addirittura superò la riforma di Thomas Cranmer.
La cosa è comprovata non solo dal fatto eclatante che 6 osservatori protestanti parteciparono alla stesura del nuovo Messale cattolico, ma anche dalle ancor più sorprendenti dichiarazioni di esimi rappresentanti del mondo protestante i quali dichiararono di poter concelebrare – ora sì, col nuovo Messale! – con i cattolici, sollevando altresì il divieto imposto ai loro fedeli di partecipare alla Messa cosiddetta “papista”. Perché, evidentemente, papista più non era! Il teologo protestante Roger Mehl scrisse nell’edizione di Le Monde del 10 settembre 1970: “Se si tiene conto del cambiamento decisivo operato nella liturgia eucaristica della Chiesa Cattolica, della facoltà di sostituire altre preghiere eucaristiche al Canone della Messa, della soppressione dell’idea che la Messa è un sacrificio e della possibilità di ricevere la Comunione sotto le due specie, allora non c’è più motivo per cui le Chiese Riformate debbano proibire ai loro membri di assistere alla celebrazione eucaristica in una chiesa cattolica”.
A fronte di questa già sorprendente posizione antitetica dei due Pontefici, l’applicazione della legge da loro sancita suscita ancor maggior stupore. San Pio V con la bolla Quo Primum volle preservare tutti i libri liturgici che avessero oltre 200 anni di vita: “Non intendiamo tuttavia in alcun modo, privare del loro ordinamento quelle tra le summenzionate Chiese che, o dal tempo della loro istituzione, approvata dalla Sede Apostolica, o in forza di una consuetudine, possono dimostrare un proprio rito ininterrottamente osservato per oltre duecento anni”. Due secoli di storia convalidano una tradizione, secondo papa Ghislieri, che – in quanto tale – doveva “esser trasmessa”, tramandata ai posteri come parte del depositum fidei. A tal punto san Pio V volle che si mantenessero le antiche tradizioni, pur nella loro varietà, che – scrive nella Bolla – “se anche queste Chiese preferissero far uso del Messale, che abbiamo ora pubblicato, Noi permettiamo che esse possano celebrare le Messe secondo il suo ordinamento alla sola condizione che si ottenga il consenso del Vescovo, o dell’Ordinario, e di tutto il Capitolo”. Nell’applicazione della riforma liturgica post-tridentina san Pio V si mostra estremamente liberale, lungimirante e – si direbbe oggi – pluralista. Si mantengano ad ogni costo le tradizioni che abbiano più di 200 anni! Ma se si vuole abbracciare il dettame del Concilio tridentino, lo si faccia chiedendo il permesso! Tanto papa Ghislieri desiderava che le diverse tradizioni – purché fossero tali – continuassero a vivere.
Ben altra è la storia dell’applicazione del Nuovo Messale. Esso, benché non accompagnato da una Bolla della portata legislativa della Quo primum, venne “imposto” a tutti i sacerdoti e a tutti i fedeli che, in realtà, non l’avevano affatto richiesto. Al di là della portata legislativa della promulgazione del Messale e della seguente pioggia di documenti – sui quali, dopo oltre 40 anni, si continua a discutere – emanati dalle Congregazione per il Culto divino e dalle sempre più potenti Conferenze episcopali, la volontà di Paolo VI era chiara: il Messale nuovo doveva sostituirsi all’antico, e questo doveva cessare di esistere. Nell’allocuzione al Concistoro Segreto del 24 maggio 1976 Paolo VI affermò: «Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II», e rafforza questa affermazione precisando che: «L’adozione del nuovo “Ordo Missae” non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli».
Del resto, due anni prima, il 28 ottobre 1974, la Notifica Conferentia Episcopalium aveva affermato che quando una Conferenza Episcopale decreta che una traduzione del nuovo rito è obbligatoria, “la Messa, sia in Latino che in vernacolare, secondo la legge deve essere celebrata soltanto nel rito del Messale Romano promulgato il 3 aprile 1969 dall’autorità del Papa Paolo VI”. Gli Ordinari devono assicurarsi che tutti i sacerdoti e i fedeli di Rito Romano “nonostante il pretesto di una qualche consuetudine, anche di lunga data, accettino rigorosamente l’Ordinario della Messa nel Messale Romano”. La mens distruttiva ed antitradizionale di queste disposizioni – che tentano di gettare nell’oblio quello che era il Messale ufficiale dell’intera Cristianità, Messale che, essendo stato solo “restaurato” da san Pio V, risaliva “almeno” a san Gregorio Magno – è diametralmente opposta a quella della Quo Primum che voleva ad ogni costo salvaguardare i riti che avessero anche “solo” 200 anni di vita.
Ma l’ingiustizia perpetrata con l’iniqua e coatta imposizione del nuovo Messale è stata smascherata nel 2007, quando Benedetto XVI dichiarò che il Messale di Trento non è stato “mai abrogato”.
I Cardinali Bacci e Ottaviani, nel loro Breve Esame critico, asserirono che “l’abbandono di una tradizione liturgica che fu per 4 secoli segno e pegno di unità di culto […] appare, volendo definirlo nel modo più mite, un incalcolabile errore”. La storia ha dato loro ragione.
Essi avevano tentato di sventare il disastro liturgico che è sotto i nostri occhi rivolgendosi a Paolo VI con queste vibranti parole: “Supplichiamo perciò istantemente la Santità Vostra di non volerci togliere – in un momento di così dolorose lacerazioni e di sempre maggiori pericoli per la purezza della Fede e l’unità della Chiesa, che trovano eco quotidiana e dolente nella voce del Padre comune – la possibilità di continuare a ricorrere alla integrità feconda di quel Missale Romanum di San Pio V … dall’intero mondo cattolico così profondamente venerato e amato”.
Quei pur illustrissimi Porporati rimasero inascoltati. Noi – dopo oltre 40 anni di universale smarrimento e di aberrazioni liturgiche – speriamo in miglior sorte, memori che – come ha sottolineato il regnante Pontefice – “C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire” (Angelus, 1° settembre 2013).
Maria Pia Ghislieri
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Magister su Bergoglio e la teologia della liberazione
RispondiEliminahttp://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350589
"Il contenuto delle due riforme liturgiche e le modalità della promulgazione dei rispettivi Messali sono quanto mai sintomatici dell’ideologia che sottendeva all’operato dei due Pontefici."
RispondiEliminaBeh forse San Pio V, più che da "ideologia" era mosso dal fare ordine e universalizzare.
Paolo VI, invece, dall'avvicinarsi ai protestanti.
Forse sarebbe stato più corretto parlare di "intenzione". In ogni caso è tutto da riportare alla loro 'visione' di Chiesa...
Romano dice,
RispondiEliminaMic, chi è M. P. G.?
fuori argomento, ma ottimo...
RispondiEliminahttp://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV593_Lezione_di_San-Francesco.html
Il mons. Muller benedice la teologia della liberazione su vatican insider. Signore pietà! Da chiosare
RispondiEliminaIntanto, oggi, Francesco riceve Kiko Arguello.
RispondiEliminaAmen.
Ori
I contesti, in cui operarono i Papi sopra menzionati, sono molto diversi. Il primo doveva contrastare il dilagare del protestantesimo e portare avanti la Controriforma, invece il secondo si poneva in una prospettiva ecumenica, come era desiderio di Giovanni XXIII e del Vaticano II. Dire che la riforma liturgica sia stata fatta anche per favorire l'ecumenismo non significa che essa esprime una teologia non cattolica o che non sia in continuità con la Tradizione. Così come dire che entrambi i messali esprimono due ecclesiologie diverse, non significa che se uno è cattolico l'altro non lo è. Significa invece che il secondo è più aggiornato del primo, perchè da Trento al Vaticano II gli studi ecclesiologici sono progrediti moltissimo. Ricordo solo il '900: si passa approfondisce il discorso sulla Chiesa pasando dalla Vehementer nos alla Mysticis Corporis alla Lumen Gentium (grazie al recupero della ecclesiologia dei Padri della Chiesa).
RispondiEliminaDice bene, Anonimo perché l'ecumenismo è da sempre una realtà cattolica.
RispondiEliminaStiamo però bene attenti a verificare di quale "ecumenismo" si sta parlando perché il problema è che il concilio ha introdotto l'ecumenismo "senza reditus" (il ritorno alla Verità custodita tutta intera che è nella Chiesa cattolica), mentre quello conciliare prevede che tutte le Chiese (così vengono oggi chiamate anche le confessioni riformate) convergono insieme nella ricerca della Verità che nessuno custodisce in pienezza ma verso la quale convergono tutte in un punto omega non meglio identificato...
Ma non è la Chiesa di Roma da sempre e per sempre la custode, portatrice e trasmettitrice autentica della Verità?
Se non è più così, allora diventa normale porsi come obiettivo, anziché la funzione primaria del culto a Dio, come il Signore ce lo ha consegnato, l'attenzione all'uomo e quindi alla ricerca (attraverso la strategia umana di riformare la liturgia, il principale veicolo della Fede) di un'unità costruita appunto con mezzi umani.
Dimenticando che la vera unità è realizzata dal Signore in chi in Lui condivide la stessa fede e lo stesso Altare e dunque lo stesso culto.
Significa invece che il secondo è più aggiornato del primo, perchè da Trento al Vaticano II gli studi ecclesiologici sono progrediti moltissimo.
RispondiEliminaSecondo lei sono più importanti gli esiti di "studi ecclesiologici" o un "sensus fidei" assimilato e tramandato dall'epoca Apostolica fino al Concilio e che deve procedere oltre prendendo dal concilio solo ciò che non vi si oppone?
Col concilio è forse nata una "nuova" chiesa?
Un concilio - anzi 20 concili -dogmatici possono essere spazzati via da 1 concilio pastorale?
Signora mic, non condivido la sua ultima espressione che contrappone concili "dogmatici" e concilio "pastorale". Il Vaticano II è allo stesso livello degli altri, solo che questo Concilio non aveva in agenda la condanna di eresie. Il Magistero è sempre identico, solenne e vincolante. E ciò che viene fuori da esso sono documenti votati dai Vescovi e approvati dal Papa. Non mi piace l'espressione di "nuova Chiesa", la considero faziosa, quasi che si volesse intendere che si vuole creare una Chiesa che prima era cattolica e che ora non lo è più. Il concetto di novità non dovrebbe spaventare nessuno, dato che nella Chiesa c'è sempre un progresso legittimo. Quando parlavo dell'ecumenismo non intendevo contrappore riflessione teologica-dottrina. Mi riferivo alla riflessione del Magistero non di teologi. Lo so che lei segue la scuola di Gherardini, che vuole prendere dal concilio solo alcune parti e tralasciarne altre. Mi dispiace ma qui non posso condividere: il Vaticano II va accolto tutto, interamente, altrimenti lo si rende inutile. E Giovanni XXIII, Paolo VI e tutti i Papi del post concilio hanno parlato chiaro. Grazie del confronto.
RispondiEliminaSignor anonimo, il mio "nuova chiesa" non è un'affermazione, ha un punto di domanda.
RispondiEliminaNon mi spaventano affatto le novità, non sono affetta da misoneismo. Mi limito ad esaminare e vagliare (non certo a stabilire) ciò che delle novità introdotte è in continuità o meno con la tradizione (viva e non vivente in senso storicistico). Altrimenti nella novità è possibile che si nasconda l'errore, con esiti devianti, che purtroppo sonp sotto i nostri occhi.
Se il concilio fosse necessariamente da prendersi come un "unicum" e non come un insieme di documenti con vari livelli d'importanza e dunque di assenso, lo stesso Benedetto XVI non avrebbe tirato fuori la distinzione tra ermeneutica della rottura e quella della continuità.
Ovvio che nella chiesa ci sia sempre un progresso legittimo. Resta da stabilire cosa si intende per progresso (non tutto ciò che è nuovo è di per sé un bene e dunque un progresso) ed anche su cosa se ne fonda la legittimità.
L'articolo di Ghislieri è pieno di imprecisioni. Si dovrebbe ricordare che Pio V non toccò i riti che avevano più di duecento anni, ma non si parla dei testi liturgici del rito romano, ma di quello ambrosiano, ecc... Quindi dire che Pio V è stato liberale e Paolo VI un dittatore intransigente è affermare una cosa non vera. E poi ha dimenticato un pezzo importante della citazione del discorso di Paolo VI: "Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino". Sono parole del Papa, che dice "Non diversamente...", ossia Paolo VI ha fatto come Pio V.
RispondiEliminaDDG
Grazie della sua risposta. Ma io ritengo che è compito del Magistero dire se una novità è in continuità con la Tradizione, non il singolo fedele. E per me il Vaticano II è insegnamento del Magistero, i cui documenti sono stati approvati dal 98% dei Vescovi e dal Papa. Inoltre, Benedetto XVI ha parlato di "ermeneutica della riforma nella continuità", il che è l'opposto di una "ermeneutica della continuità". La ringrazio.
RispondiEliminaL'articolo di Ghislieri è pieno di imprecisioni. Si dovrebbe ricordare che Pio V non toccò i riti che avevano più di duecento anni, ma non si parla dei testi liturgici del rito romano, ma di quello ambrosiano, ecc... Quindi dire che Pio V è stato liberale e Paolo VI un dittatore intransigente è affermare una cosa non vera
RispondiEliminaLeggere attentamente e interpretare il senso prima di sparare giudizi approssimativi.
Il testo specifica (e così è nei fatti) che San Pio V ha rispettato e salvaguardato i riti con una tradizione di più di 200 anni, mentre Paolo VI non ha salvaguardato, di fatto demolendolo, un rito bimillenario: il suo nucleo com'è noto risale all'epoca apostolica.
L'espressione "è stato demolito l'antico edificio e con i suoi pezzi ne è stato fatto uno nuovo" (cito a memoria) ma è nel suo libro "la Mia vita" è di Ratzinger, non mia...
"Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II.
Quest'affermazione potrebbe essere impugnata, perché il "nuovo rito" si discosta dalla Sacrosanctum concilium (e dunque non risponde in pieno alle istanze del concilio) in diversi punti più volte evidenziati.
Un discorso, per quanto solenne nei toni, non equivale ad una Costituzione Apostolica in forma di Bolla pontificia come la Quo primum che Paolo VI avrebbe dovuto modificare, peraltro oltrepassandone gli anatemi, con un atto di pari livello...
io ritengo che è compito del Magistero dire se una novità è in continuità con la Tradizione, non il singolo fedele. E per me il Vaticano II è insegnamento del Magistero, i cui documenti sono stati approvati dal 98% dei Vescovi e dal Papa. Inoltre, Benedetto XVI ha parlato di "ermeneutica della riforma nella continuità", il che è l'opposto di una "ermeneutica della continuità". La ringrazio.
RispondiEliminaQuesto è un discorso che né io né lei possiamo sbrogliare.
Io mi sono limitata ad affermare il principio indicato da Ratzinger che, se parla di ermeneutica, significa che il concilio non può essere preso in blocco. E questo è e resta un punto fermo.
Poi sul discorso del tipo di ermeneutica, e cioè quella della "riforma nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa", se esso è sganciato dall'oggetto-Rivelazione, solo un Papa potrà pareggiare questo serio 'vulnus'.
Non mi dilungo qui perché ne ho già parlato a lungo e ripetutamente.
Paolo VI ha modificato (verbo da lei usato) la Quo Primum. Mai letta la costituzione Missale Romanum?
RispondiEliminaInfine, mic, la stessa cosa che lei dice al termine del suo commento dovrebbe valere per l'affermazione del Messale "mai abrogato". Non basta dire una cosa. Bisogna anche dimostrarla. L'ha detto lei, non io.
DDG
Paolo VI ha modificato (verbo da lei usato) la Quo Primum
RispondiEliminaSotto l'aspetto formale lei ha ragione.
Ma il "mai abrogato" da parte di Benedetto XVI, in un atto ufficiale ha un valore giuridico che costituisce interpretazione autentica dell'atto di Paolo VI.
Ho già detto a questo proposito che, se è vero che un Papa può cambiare una regola sancita da un suo predecessore, egli incontra - oltre ai limiti riferiti alla costituzione essenziale della Chiesa, alla legge divina e al diritto naturale - i limiti dogmatici che lo vincolano alla rivelazione e alla testimonianza autorevole codificata in maniera autoritativa dai Papi in precedenza: è questa l'unica testimonianza autorevole che la Chiesa può dare di se stessa. Altrimenti siamo nell'arbitrio, che sfocia nell'anomia...
E la Divina Liturgia più che millenaria del Rito Romano non è proprietà papale, è proprietà di tutta la Chiesa, costituendone la forma cultuale consolidatasi in due millenni di Tradizione ininterrotta, sedimentatasi intorno al nucleo centrale del canone che risale all'epoca Apostolica. Ed è proprio questo che è stato -e non poteva- essere sovvertito, insieme all'Ordo mirabile che ne è preludio e compimento.
Una piccola nota linguistica, nella speranza che possa essere utile.
RispondiEliminaQuando S. Pio V parla di "codici raccomandabili per la loro castigatezza" non vuole dire, come si potrebbe essere portati a intendere oggi, che i codici erano censurati e casti: in età umanistica quella parola si riferiva alla correttezza filologica. Quindi il Papa parla di codici filologicamente corretti (per quanto poteva giudicare) e integri.
Anche "collazionare" si riferisce alla pratica filologica di confrontare i codici per stabilire un testo: nei diversi codici infatti ci possono essere delle discrepanze, e per stabilire qual è il testo corretto è necessario confrontarne molti - possibilmente tutti.
Va detto peraltro che a quell'epoca i metodi della filologia non avevano ancora la raffinatezza che hanno acquisito a partire da metà Ottocento.
Vorrei poi riprendere almeno la questione dell'interpretazione autentica che Benedetto XVI avrebbe dato dicendo che il rito tridentino non era mai stato abrogato.
RispondiEliminaMi pare innanzizutto una posizione rischiosa, perché se mai in futuro un Papa affermasse in una sede adeguata che invece quel rito era stato abolito, allora ci si dovrebbe attenere alla nuova interpretazione autentica in senso opposto, senza poter obiettare che è un errore. E credo che nessuno si stupirebbe se la Chiesa cadesse in una simile contraddizione.
E poi, e soprattutto, mi pare che sia un po' un voler nascondersi dietro un dito.
La volontà di Paolo VI, da quanto si è detto anche qui, è ed era chiarissima, al di là di ogni possibile fraintendimento e di ogni bisogno di interpretazione.
Più discutibile semmai è se il Papa abbia esercitato nelle forme adeguate il suo potere per porre in atto quella sua volontà. Da quello che mi ricordo dell'articolo di don Camillo e don Cekada io direi che lo fece.
Più di peso mi sembra la riserva sulla liceità di *quel* determinato cambiamento, o comunque di un cambiamento di quella portata. Ma questa cosa io ho l'impressione che nessuno di noi sia qualificato per stabilirla. Mi sembra che vada al di là della mera preparazione che possiamo avere - e certo non io.
… il Messale di Trento non è stato “mai abrogato” …
RispondiEliminaOui, juridiquement, mais dans les faits il l'a bien été. Et un peu plus que dans les faits puisque, pendant près de quarante ans, les hiérarques de l'église dite conciliaire ont prétendu qu'il l'avait été juridiquement.
En quoi ils mentaient.
Ces gens-là ont menti pendant près de quarante ans.
Vous feriez confiance, vous, à des menteurs, à des gens qui vous ont menti pendant près de quarante ans — et qui, pour la plupart, continuent de le faire.
Moi, non. C'est pourquoi je ne peux pas m'empêcher de dire que je n'ai que mépris pour ces gens-là.
Et je ne suis pas le seul.
E poi, e soprattutto, mi pare che sia un po' un voler nascondersi dietro un dito.
RispondiEliminaLa volontà di Paolo VI, da quanto si è detto anche qui, è ed era chiarissima, al di là di ogni possibile fraintendimento e di ogni bisogno di interpretazione.
Più discutibile semmai è se il Papa abbia esercitato nelle forme adeguate il suo potere per porre in atto quella sua volontà. Da quello che mi ricordo dell'articolo di don Camillo e don Cekada io direi che lo fece.
Lo ricordo anch'io; ma ho lasciato prevalere le ragioni del cuore.
Ho approfondito la questione anche sul fronte dei "resistenti" francesi che non accettano l'atto proprio sottolineando questo che dici qui:
Più di peso mi sembra la riserva sulla liceità di *quel* determinato cambiamento, o comunque di un cambiamento di quella portata. Ma questa cosa io ho l'impressione che nessuno di noi sia qualificato per stabilirla. Mi sembra che vada al di là della mera preparazione che possiamo avere - e certo non io.
Su questo hai ragione.
Noi ci esprimiamo da fedeli che conoscono e amano ciò che conoscono e vivono. Su questa base è il nostro confronto.
sonon una semplice fedele, e da semplice fedele osservo che D.Pio V nella sua Bolla parla di anatema per color che non osserveranno e celebreranno La S. Messa cosi' costituita. Paolo Vi ha commesso anatema ? ha promulgato una nuova bolla che annullav quell' anatema ? quanti si sono riempite le chiese dopo la decisione di Paolo VI ? quanti seminari nuovi sono nati, quanti nuovi preti, e frati e suore ? Dai frutti li riconoscerete...
RispondiEliminarosa
PS: oggi notizia del numzio a santo Fomingo richiamato a Roam perhce'accusato di pedofilia. Un altro, l' ennesimo, verrebbe da dire...
"La volontà di Paolo VI, da quanto si è detto anche qui, è ed era chiarissima, al di là di ogni possibile fraintendimento e di ogni bisogno di interpretazione.
RispondiEliminaPiù discutibile semmai è se il Papa abbia esercitato nelle forme adeguate il suo potere per porre in atto quella sua volontà. Da quello che mi ricordo dell'articolo di don Camillo e don Cekada io direi che lo fece."
Caro Latinista,
Se legge il testo "Ritus romanus e Ritus modernus" di Mons. Klaus Gamber (http://www.unavox.it/Giornale/127g_p_App_Ritus.htm) troverà una risposta diversa di quella di don Cekada.
Il problema da considerare prima di parlare dell'abrogazione della Quo Primum Tempore, è se Paolo VI, ha fatto una riforma del Rito Romano o se ha introdotto un nuovo rito nella Chiesa. Se legge il testo di Mons. Klaus Gamber vedrà che il Papa ha il diritto di introdurre un nuovo rito, ma se introduce questo nuovo rito, sotto l'aspetto di riforma liturgica, la questione sarebbe quella di abolizione del Rito Romano che è più grave di quella di abrogare la "Quo Primum Tempore".
L'argomento centrale del testo di don Cekada è che Paolo VI ha usato le stesse parole di S. Pio V, così se avevano validità in quello tempo, hanno anche validità oggi. Infatti, le parole di S. Pio V hanno validità per quello che lui ha fatto (una riforma liturgica), ma sarà che hanno validità per l'introduzione di un nuovo rito, sotto l'aspetto di riforma liturgica?
Rosa, qui non si tratta di dare un giudizio di merito sui due riti o forme, come avevo specificato in un'altra discussione, né sulla Chiesa di prima e di dopo.
RispondiEliminaDell'anatema e in generale del vincolo posto da S. Pio V ai suoi successori abbiamo già discusso. Io sono del parere che quell'anatema, per quanto si fondava sulla bolla di un Papa, non era tale da vincolare un altro Papa.
Se poi ci sono ragioni perché la messa fosse irreformabile *a prescindere* dalla "Quo primum" - perché essendo di diritto divino non era nella disponibilità di nessun Papa - devo innanzitutto notare che una certa evoluzione nella liturgia c'è sempre stata, e quindi l'irreformabilità non si potrebbe intendere in senso restrittivo; e concludo ripetendo che mettere il paletto nel punto oltre il quale una riforma liturgica diventa illecita non può spettare a noi, come riconosce anche mic.
a. noi non puo' spettare di dichiarare se una riforma liturgica sia illecita o no, ma, osservando che cos'e'successo alla Chiesa ed alla cattolicita' da qua ndo la riforma e' entrata in vigore , parecchi dubbi vengono in mente. Ed allora il semplice fedele comincia a cerca testi di esperti, e magari scopre quel che scrivevano Bacci e Ottaviani, ed i dubbi aumentano ancora. Poi legge sulle rifirme di Lutero e c., e i dubbi diventano colossali. Sara' che sono medico, ma se uno ha la pressione alta, e fuma, e ha il colesterolo alto, e viene da me a chiedermi se il dolore che sente al petto, potrebbe essere un infarto, io non mi chiedo se ci siano tutti gli aspetti "leciti" della malattia, ma lo spedisco subito in pronto soccorso, cosi magari si salva la pelle. E l' anima ?
RispondiEliminaRosa
Caro Gederson Falcometa,
RispondiEliminagrazie per la segnalazione. Prima non l'avevo vista.
Questa è storia: un caro confratello di Bologna, confessore in seminario e per alcuni anni facente parte della famiglia di Don Dossetti, mi fece una confidenza.
RispondiEliminaAi tempi del Card. Lercaro, quando a Bologna si svolgevano esperimenti di ogni sorta, circolava nelle riunioni del clero il seguente adagio: "Il Concilio ha scritto 'Si faccia… ma anche'; il si faccia lo abbiamo scritto in Concilio per i Vescovi vecchi, il ma anche è il vero Concilio".
Il si faccia ma anche è stato, storicamente, il grimaldello per andare ben oltre le indicazioni conciliari.
Il fatto che Paolo VI abbia ratificato la riforma liturgica, mi rende tranquillo nel ritenere come cattolico il Novus ordo, ma non rende lo stesso non migliorabile e non discontinuo rispetto agli stessi testi conciliari.