La Chiesa, essendo di carattere soprannaturale, a differenza di tutte le altre istituzioni del mondo, non trova la sua ragion d’essere nella maggioranza di coloro che sostengono determinate posizioni, ma nella Verità di cui si fa latrice.
Per tale ragione, finché i nodi maturati, cresciuti e legiferati durante il Concilio Vaticano II, non saranno sciolti, continueranno ad alimentare la permanenza della crisi della Chiesa. Siamo quindi grati al filosofo e saggista Paolo Pasqualucci che da tanti anni esamina ed approfondisce le questioni conciliari, dimostrando, in ogni suo lavoro, che i dilemmi teologici e dottrinali che hanno inondato l’ultima Assise ecumenica hanno avuto risposte atte non a risolverli, bensì a complicarli e moltiplicarli.
Pasqualucci ha scritto un saggio in grado di spiegare a tutti, anche ai non addetti ai lavori, che cinquant’anni fa venne a costituirsi un vero e proprio Concilio in linea con la Tradizione della Chiesa a fianco di un Concilio rivoluzionario, e ciò accadde fin dall’alba di quella che Giovanni XXIII definì «la nuova pentecoste», come se lo Spirito Santo dovesse scendere in terra una seconda volta e per volere umano.
Fu proprio Giovanni XXIII a manovrare segretamente in accordo con gli “ecumenici”. L’autore de Il Concilio parallelo. L’inizio anomalo del Vaticano II (Fede & Cultura, Verona 2014, pp. 123, € 12.00) spiega accuratamente lo svolgersi dei fatti, dove la cronaca storica, metodologica e tecnica si intreccia alla volontà di gettare alle ortiche gli schemi preparatori, ovvero le architravi che avrebbero dovuto sostenere l’intero impianto conciliare. Esistevano delle vere e proprie commissioni atte a preparare gli schemi sulle tematiche che si sarebbero affrontate durante il Concilio.
Per la commissione teologica e dottrinale venne incaricato di presiederla il cardinale Alfredo Ottaviani, il quale fu affiancato, in qualità di segretario, da padre Sebastiano Tromp sj. Venne a costituirsi, parallelamente alla Commissione teologica, un Consilium «concepito come una sorta di organo di controllo o di supervisione sia nei confronti di fondamentali istituzioni della Curia sia nei confronti delle Commissioni conciliari. Ma che cosa doveva controllare? La corrispondenza delle loro iniziative all’indirizzo voluto da Giovanni XXIII, ossia ai canoni del nuovo verbo ecumenico» (p. 93).
Tale Segretariato venne predisposto per diventare «polo alternativo» al Sant’Uffizio. Infatti, «il Segretariato di Bea fu in pratica il contraltare della Commissione Teologica, presieduta da Ottaviani, perché fu l’organo che vagliava la correttezza ecumenica di tutti gli schemi da presentare in aula ossia la loro conformità alle direttive ecumeniche impartite da Giovanni XXIII. Alla correttezza dogmatica si contrapponeva così – da parte di un organo voluto da papa Roncalli proprio con questa finalità – una correttezza ecumenica, in fatale, stridente contrasto con la prima» (pp. 93-94).
Il cardinale Augustin Bea era stato, già nel 1960, presidente del Segretariato per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, carica che lo rese figura-chiave nello sviluppo dell’ecumenismo nel senso più deleterio del termine: deturpare la Fede per accondiscendere alle illusioni e alle utopie menzognere del mondo. Con Pasqualucci si entra nel vivo di quella che fu una vera e propria arena di pensieri liberali che si prefiggevano di scalzare i principi tradizionali, paludandoli di pastoralità: l’aggiornamento era, in realtà, vero e proprio cambiamento dettato dalla mens ecclesiastica progressista.
La pessima pastorale propugnata nei documenti conciliari e applicata negli anni a seguire, non è altro che il prodotto di quel “colpo di Stato” che maturò nei mesi che preparano il tumultuoso e anomalo Vaticano II e le cui conseguenze sono già presenti nell’elaborazione della costituzione Dei Verbum sulla Divina Rivelazione, la cui storia viene peculiarmente riportata dall’autore, il quale, insieme ad altri studiosi, in particolare a monsignor Brunero Gherardini, a padre Serafino Lanzetta e al prof. Roberto de Mattei, è andato a colmare quel vuoto accademico che, fino ad alcuni anni fa, era lasciato ai figli di Rahner, Teilhard de Chardin, Bea, Suenens, Lercaro.
La maggioranza dei Vescovi che entrarono in Concilio erano pastori genuini, che vennero trascinati dalla piccola, ma solida e combattiva corrente dell’avanguardia teologica. Essi non erano uomini d’apparato assimilati alla macchina divorante del liberalismo, bensì uomini di Chiesa ancora e veramente liberi perché si sentivano in obbligo di servire Cristo e la Sua Sposa: la loro vita era costituita e condizionata non da idee rivoluzionarie e dall’opinione pubblica dettata dalle testate giornalistiche, bensì dai loro parroci, dai loro religiosi, dalle loro suore e dal loro gregge cattolico. Un gregge che oggi vuole sempre più comprendere la strana Chiesa emersa nel terremoto vaticano del 1962-1965. (Cristina Siccardi - Fonte)
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