«Ho partecipato a vari Sinodi e il meccanismo non funziona bene. Stavolta poi c’era troppa carne al fuoco, si è partiti senza certezze, ma non si può mettere in discussione tutto, la Chiesa è custode di una verità di cui non può disporre». È critico verso l’utilità della «istituzione sinodale» il cardinale Velasio De Paolis, presidente emerito della Prefettura per gli Affari economici della Santa Sede e tra i firmatari del testo «Permanere nella verità di Cristo» contrario alle aperture della Chiesa sulla comunione ai divorziati risposati. «C’è stato un errore originario di impostazione».
Cosa non la convince nel Sinodo?
«Si sono registrate un’influenza eccessiva del timore che la gente non ci segua e un eccesso di enfasi sulla retorica della novità. Sui temi della famiglia servono il tempo e la riflessione. Non la fretta. Al Sinodo tutti vogliono intervenire, ma il tempo e l’ascolto sono limitati così come è insufficiente lo spazio concesso alla discussione nei circoli minori. Paolo VI fondò mezzo secolo fa il Sinodo come strumento agile di collaborazione al governo della Chiesa. Però il confronto deve riguardare temi studiati e approfonditi sui quali ciascun padre sinodale abbia un parere preciso».
Ci sono state resistenze al cambiamento?
«Questo Sinodo ha risentito di un’evidente originalità nell’impostazione. Si è rivelata errata la scelta di discutere un po’ di tutto, come se si dovesse rifondare tutto. La Chiesa ascolta la gente ma ha certezze che perseverano nel tempo. Il Sinodo ha ripetuto il dramma del Concilio: coniugare novità nella continuità».
Un’occasione mancata?
«È stato chiamato in causa un numero eccessivo di questioni che quindi hanno alimentato aspettative infondate. E alla fine ciò ha pesato negativamente sul Sinodo. Non può essere tutto nuovo. La vita della Chiesa necessita di continuità per progredire davvero. E’ una questione di fondo, filosofica. Francesco chiede di tornare a un Vangelo che però si è calato nel tempo in tante culture. Il punto fermo è la parola di Dio. Un tesoro che nessuno può cambiare, neppure il Papa».
La pastorale contrasta con la dottrina?
«Sperimentiamo una confusione difficile da tenere a bada. Si ascolta più la gente delle verità di fede. Ma la Chiesa deve comunicare una verità ricevuta dall’alto, non assecondare gli orientamenti dell’opinione pubblica. Al Sinodo si sono fatti troppi riferimenti alla pastorale. La prassi deve rispettare i principi: è inconcepibile che sia separata dalla dottrina. Fossi intervenuto in aula avrei ribadito le verità di fede».
Quali in particolare?
«Per esempio, chi convive non può fare la comunione. Negli anni è diminuito il ruolo della religione e la società non accetta più influenze da parte della fede. Viviamo in un mondo che teme la religione come fonte di conflitti. La contrapposizione tra fede e ragione ci rende schizofrenici. Così oggi è lo Stato ad occuparsi di questioni etiche. Non ci si può attendere che la Chiesa parli in contraddizione con la dottrina».
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