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martedì 7 aprile 2015

Giuseppe Siri, principe vescovo di Genova

Dopo aver recentemente attinto a testi magistrali del cardinal Siri, pubblichiamo un documento tratto dall'archivio storico del Corriere della Sera.

RISPONDE SERGIO ROMANO

Giuseppe Siri, principe vescovo di Genova

Vorrei un suo giudizio sulla contraddittoria figura del Cardinal Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, di cui a breve ricorrerà il centenario della nascita. Esistono libri sulla sua persona? 

Milano - Caro Carpani, ho abitato a Genova per parecchi anni e ho conosciuto Siri negli anni in cui la borghesia industriale e mercantile lo chiamava scherzosamente la «First Lady» della città. Ogniqualvolta avevo occasione di sentirlo parlare mi colpiva una straordinaria combinazione di sussiego, solennità, alterigia, paternalismo e familiarità, toni aulici e toni popolareschi, frasi dotte ed espressioni dialettali. Parlava come un manuale teologico (aveva insegnato per molti anni al seminario vescovile), ma poteva accentuare l'accento genovese e usare parole volutamente sciatte, un po' rudi. Non credo che i toni popolareschi fossero l' insopprimibile residuo delle sue origini sociali. 

Credo piuttosto che negli anni trascorsi in curia, come vescovo ausiliario del vecchio cardinale Boetto, avesse imparato a recitare la parte del principe vescovo. Aveva capito che a Genova un aristocratico deve parlare il dialetto e deve avere un rapporto diretto con il popolo scavalcando i mercanti, gli armatori, gli industriali, i banchieri. Ma deve essere anche ieratico, autoritario e principesco.

Fu questo stile che gli permise di regnare su Genova per quarant'anni e di mobilitare contro i comunisti una larga area di consenso popolare. 

Fece il suo apprendistato di leader religioso fra il 1943 e il 1945 quando le circostanze lo costrinsero a recitare una parte classica nella storia d' Italia: quella del vescovo che protegge la pieve contro i barbari e può essere ora umile e implorante, ora energico e minaccioso. 

In alcune conversazioni con Benny Lai, pubblicate in un libro del 1994 edito da Laterza («Il Papa non eletto. Giuseppe Siri, Cardinale di Santa Romana Chiesa»), raccontò di avere avuto una tempestosa conversazione con un comandante partigiano che non voleva permettere il transito di un convoglio di viveri. A un certo punto, raccontò a Lai, perse la pazienza: «Vomitai tutte le parolacce udite da bambino nei vicoli di Genova e che mai avevo usato, parlai il linguaggio dei facchini e dei portuali». Poco tempo dopo, dovette trattare con i tedeschi per evitare la distruzione del porto di Genova al momento della ritirata. 
Poiché la conversazione si prolungava inutilmente, si alzò, dette un pugno sul tavolo e disse, quasi urlando: «Vi garantisco che se toccherete il porto di Genova nessun tedesco ne uscirà vivo perché lei sa meglio di me che prestissimo scapperete tutti». 

Un altro pugno sul tavolo lo dette durante un altro negoziato, quello che precedette l'elezione di Giovanni XXIII. Raccontò a Benny Lai: «Prima dell' inizio del Conclave, perché solo di quel periodo posso parlare senza cadere nella scomunica, venne un tale a sondarmi circa l'eventuale candidatura dell'arcivescovo di Milano (Giovanni Battista Montini, ndr). Detti un pugno sul tavolo così forte da far saltare la pietra dell' anello che portavo al dito». 

Fu esattamente l'opposto di Paolo VI. Mentre Montini era sensibile alle suggestioni spirituali di Maritain e alle tesi «democratiche» dell' intellighenzia cattolica francese sul ruolo dei laici nella vita ecclesiastica, Siri era ostile alle influenze francesi, tedesche, olandesi, e deciso ad affermare l'influenza della Chiesa nella società e della gerarchia all'interno della Chiesa. Mentre Montini accompagnò benevolmente l'apertura a sinistra della Dc, Siri fece del suo meglio per evitare l'alleanza con i socialisti e utilizzò a questo fine la Conferenza episcopale sino al giorno in cui Paolo VI gliene tolse la presidenza. 

Combatté per le sue convinzioni in ogni sede in cui ebbe posizioni di autorità, ma perdette quasi tutte le sue battaglie e dovette accettare il Concilio, il centro-sinistra, la solidarietà nazionale, il populismo becero di una parte della Chiesa post-conciliare, la riforma della liturgia, la sciatteria vestimentaria dei preti in maglione e giacca a vento. Perdette soprattutto la battaglia per un trono che fu, più di una volta, a portata di mano e che in due circostanze, forse, avrebbe potuto avere. Si richiuse nella sua diocesi dove continuò a difendere la «sua» Chiesa opponendosi alla costruzione di altari posticci, alla distribuzione dell' eucaristia ai fedeli in piedi, all' abbandono dei paramenti preziosi, al clergyman per i sacerdoti e ai pantaloni per le donne. 

Nella sua ultima conversazione con Benny Lai, il 18 settembre 1988, lasciò intendere tutta la sua amarezza per ciò che la Chiesa era diventata dopo la morte di Pio XII. Lo fece indirettamente chiedendo perdono a Dio per non avere accettato l' offerta di elezione nei primi due Conclavi a cui aveva partecipato. «Ho fatto male perché avrei evitato di compiere certe azioni... Vorrei dire, ma ho timore a dirlo, certi errori. Quindi ho avuto un grande rimorso e ho chiesto perdono a Dio. Spero che Dio mi perdoni».
Romano Sergio
Pagina 39
(1 giugno 2006) - Corriere della Sera

6 commenti:

  1. In date situazioni alcuni sono insostituibili ma, a volte, non lo credono loro per primi.Peccato contro lo Spirito Santo?
    Difficile giudicare dopo,ancor più che al momento.
    Certamente ora farà del suo meglio!

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  2. Certe cose del "foro interno" le sa solo Dio. Fino a che punto ci si dà un tono per vanagloria e fino a che punto lo si fa per conferire dignità al ruolo che si svolge? Per il poco che so di Siri, propendo per la seconda alternativa. I discorsi e gli scritti
    del cardinale sono così densi da far pensare che fosse interamente compreso dalla grandezza della Chiesa come "societas perfecta", ponte fra l'umano e il divino. Grandezza tale da far pensare e sentire che
    ( cito a braccio ) "una cosa il mio cuore domanda: abitare nella casa del Signore ogni giorno di vita."
    C'è un filmato in cui Siri appare in uscita dal Conclave del 1978, in cui avrebbe ancora potuto essere eletto: si passava il dorso della mano sotto il mento per indicare che non gli importava nulla della occasione sfumata; anzi più tardi affermò che quello di Wojtyla sarebbe stato un grande pontificato. A Siri venne attribuita una battuta molto pesante a proposito di Giovanni XXIII: "Per mettere riparo ai danni fatti da questo sant'uomo ci vorranno cinquant'anni." Paolo VI gliene chiese conto, ma lui smentì.

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  3. A volte ho l'impressione che i membri del clero che provengono da famiglie modeste siano ,mediamente , molto meno sensibili al pauperismo ed alla sciatteria. Questa secondo me è la regola ,poi ci sono le eccezioni. Bobo

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  4. Come ogni articolo di Romano, anche questo va letto ricordando chi è e cosa è stato(ambasciatore a Mosca) e per quale giornale scrive.
    Rr

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  5. Rafminimi@infinito.it09 aprile, 2015 11:40

    "Per mettere riparo ai danni fatti da questo sant'uomo ci vorranno cinquant'anni." Paolo VI gliene chiese conto, ma lui smentì. Sicuro Siri? Io sapevo Ottaviani. Comunque, nel '78 fu lui che si bruciò, dando un'intervista che fu pubblicata prima dell'"Extra omnes".
    Comunque, visto che mi perdonate il "narcisismo", vi annoio ricordandovi, per l'ennesima volta, la novella che scrissi sul tema "Siri pontefice " nel 2006.

    http://www.fmboschetto.it/Utopiaucronia/PioXIII.htm

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  6. Il card. Siri era un vero credente e un eccellente teologo non un leone tuttavia - durante il Vaticano II erano necessari leoni (come il card Ottaviani) purtroppo Siri non si schierò con Ottaviani -
    tuttavia il Concilio Vaticano II lo sconvolse e gli causò perfino disturbi e svenimenti - in privato sosteneva che sarebbero stati necessari cinquanta anni per rimediare ai danni causati da papa Roncalli e tuttavia accettò la riforma liturgica di Bugnini & Paolo VI "per evitare uno scisma"
    -
    a mio avviso non usava il pugno di ferro necessario a mettere in riga i preti recalcitranti /modernizzanti - destituì l'inquieto e caotico don Gallo (era parroco della Chiesa del Carmine) e lo nominò parroco di una chiesa vicina.

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