Riprendiamo una edificante intervista a P. Benedetto Nivakoff OSB, realizzata in vista del Pellegrinaggio Summorum a Norcia [qui], che ci introduce nella spiritualità dei Benedettini di Norcia. Significativo che all'inizio (non molti anni fa) erano solo in 4, ora sono quintuplicati. Deo gratias!
Padre ci racconti brevemente la sua esperienza: da dove viene? Come ha sentito questa chiamata?
Sono americano, convertito quando avevo dodici anni. Mio padre era ebreo non praticante e mia madre cattolica. Credevano che fosse più giusto lasciare loro figlio decidere la sua religione da solo e non imporla e quindi mi hanno lasciato “libero”. In realtà non ero libero prima del Battesimo, ma uno schiavo del buio, ma questo non lo hanno capito. Dopo la mia prima conversione sono stato mandato ad un “boarding school” (collegio, convitto, NdR) per il liceo, gestito da monaci benedettini. Lì ho cominciato a pensare che potevo, forse, diventare un monaco. Ma aspettavo di finire sia il liceo sia l’università per rispondere a Dio.
Dio l’ha scelto per me. Ho conosciuto la comunità “per caso” durante una vacanza a Roma, che ho fatto perché il mio insegnante di italiano mi suggeriva di andare in Italia. Non c’è una spiegazione razionale. Non dovevo conoscere la comunità.
Perché riportare alla vita il monastero di Norcia?
Sopratutto per offrire agli uomini di oggi la possibilità di santificarsi come monaci, secondo la regola che san Benedetto ci ha donato, dimostratasi in quindici secoli di storia un mezzo efficace per la crescita spirituale e la perfezione. Naturalmente ci potrebbero essere anche benefici per il mondo intorno al monastero e per la Chiesa, ma lo scopo principale del monastero è la santificazione dei propri membri.
Qual è il suo rapporto con la preghiera?
È il mio modo quotidiano per parlare con Chi mi ha creato e con Chi mi ha redento.
C’è una preghiera alla quale si sente più legato?
Prego il Memorare quando c’è una situazione seria. Ma normalmente la mia preghiera è basata solo sulla semplice frase di Cristo: «sia fatta la Tua volontà».
Il monaco in greco è il “solitario”: qual è l’equilibrio fra vita del singolo e vita comunitaria nel cenobio?
Ci sono tanti sposi che pur vivendo insieme giorno e notte, si sentono soli. Per loro la solitudine è una pena e una sofferenza, perché è frutto di peccato o tensione. Per il monaco, invece, l’obiettivo è di cercare e di avere la solitudine, pur non togliendo la carità dal rapporto con gli altri monaci. Questo è possibile solo con la vigilanza totale sui pensieri e sull’azione.
La vita del monaco è una vita isolata, per così dire “fuori dal mondo”?
Sì. Ma con lo scopo di rendere ogni monaco più cosciente della Redenzione del mondo, con il risultato che non ci dovrebbero essere persone che conoscono il mondo meglio dei monaci stessi. E, conoscendolo, amarlo.
San Benedetto è forse il più noto santo dell’Alto Medioevo. Niente di più lontano dall’attualità, verrebbe da dire. Ma è davvero così?
È del V-VI secolo. Quando sono entrato in monastero, non mi è piaciuto per niente. Toppo distante, troppo freddo. Ma ho preso il suo nome una volta che l’ho conosciuto. È l’esemplare del monaco che ho descritto prima: pur essendo lontano da tutto, anche nella storia, conosce meglio di tanti la natura umana e, come conseguenza, me.
Quale fu il ruolo della preghiera nella vita di san Benedetto?
Era il linguaggio di un dialogo costante tra lui e Dio, che alla fine della sua vita l’ha portato anche all’unione mistica con Dio.
San Benedetto suggerisce un particolare “modo” di pregare?
Preferisce che i monaci usino i testi della Bibbia e che facciano diventare le parole della Scrittura loro proprie parole, specialmente i Salmi. Ma il genio del Santo è che non vede la persona in maniera divisa, con momenti di preghiera di un certo tipo o di un altro, o momenti di lavoro: tutta la vita del monaco è una preghiera, che egli impieghi le parole della Scrittura o no.
San Benedetto è noto come esorcista: qual è il ruolo della preghiera nella lotta contro il Nemico?
Nella vita spirituale non basta una serie di “no”. L’anima è costruita per un “sì”, un “sì” all’amore di Dio. Più la nostra vita diventa una preghiera totale, meno danno può farci il diavolo.
La vita del monaco è ancora una vita di “combattimento”?
Sì. Quotidianamente. Se non c’è combattimento spirituale non c’è vita. Il monaco morirà. Certo un monaco anziano non può combattere come uno giovane, ma anche lui può e deve combattere. Lo facciamo principalmente contro i pensieri.
Qual è l’importanza di ricordare oggi, come fece nel suo tempo san Benedetto sulla base dell’insegnamento di Cristo, che il Maligno non è un semplice “principio astratto” o un “mito”?
Cristo è stato tentato esplicitamente tre volte da satana, non come principio astratto, ma come vero nemico di Dio, come assenza totale di bontà, di verità, di bellezza. Dimenticando questo fatto ci allontaniamo da Cristo stesso, nostro Redentore. Inoltre, ci sono alcune tentazioni e fenomeni che non si spiegano in sé. Si possono capire solo rendendosi conto della presenza di satana nella realtà quotidiana.
Nella preghiera della Croce o Medaglia di san Benedetto, un verso recita «bevi tu stesso il tuo veleno» (Ipse Venena Bibas): quali sono i principali “veleni” del Nemico, oggi?
La tristezza e l’accidia. Certo a causa di alcuni avanzamenti tecnologici alcuni peccati sono più facili da commettere, per esempio la contraccezione, la pornografia, l’aborto, ecc. E sono senz’altro peccati gravi. Ma sono conseguenze di una cultura, di un mondo, e forse anche di una Chiesa, che hanno messo l’uomo al centro di tutto, sperando di trovare in lui la realizzazione delle aspettative più alte. Trovando invece delusione dopo delusione, l’uomo diventa triste e perde il senso del Bene Ultimo. Il diavolo sfrutta questa tristezza per allontanarci sempre di più da Dio.
«Ora et labora» è tra le più note espressioni della tradizione cristiana, per molti versi un vero e proprio “slogan”. Come coniugare, anche per questioni di tempo, preghiera e lavoro?
San Benedetto non ha mai detto quelle parole (letteralmente prega e lavora, sono parte di elaborazioni e riflessioni intorno alla Regola, riconducibili anche all’opera di papa Gregorio Magno, NdR) e lette nel contesto di oggi creano l’idea che avesse in mente una distinzione tra lavoro e preghiere che invece egli non aveva. Per lui la preghiera si chiama Opus Dei – il Lavoro di Dio – e il lavoro per lui è tutto un’estensione della preghiera. Se riusciamo a vedere tutto nel contesto della volontà di Dio la vita spirituale si semplifica molto.
Chi si aspetta un monaco inattivo deve ricredersi: la storia ci insegna come questo sia molto lontano dal vero. Oltre al normale lavoro di una comunità, nel Monastero producete birra (la Birra Nursia), siete impegnati nel progetto di ristrutturazione di un ex convento di frati cappuccini, fate musica, gestite un negozio: come può il lavoro diventare preghiera?
San Benedetto ci dice che possiamo fare tutto ciò che vogliamo come lavoro, finché si rispetta il principio da lui articolato: nulla anteporre all’Opus Dei. L’Ufficio Divino deve essere il primo lavoro del monaco e tutta la vita del monastero deve essere strutturata per favorire la sua esecuzione con bellezza e completezza. Se il monastero mette l’Opus Dei come priorità, tutto segue.
Spesso si è portati a credere che il labora meglio si adatti ai lavori di un mondo passato, per taluni forse un po’ “idilliaci”. Coniugare preghiera, lavoro e svago è possibile anche per un laico impegnato con il più comune lavoro in fabbrica, in ufficio, l’università o la scuola?
Certo. Molto utile per un laico sarebbe un appoggio su un monastero benedettino per eventuali ritiri e direzione spirituale per aiutarlo nel suo cammino.
Ad un giovane che ha scelto di consacrare la propria vita a Dio, ma non sa ancora bene in quale modo, cosa consiglierebbe?
Cristo stesso da’ il consiglio: chi vuole essere perfetto deve vendere tutto e seguirLo. Alla fine, seguirLo come benedettino o francescano importa meno che seguirLo in maniera seria. Il giovane deve capire, deve trovare il posto dove secondo il suo carattere avrà la più grande possibilità di santificazione. Non si può basare questa decisione sui bisogni della Chiesa, almeno non esclusivamente, perché la Chiesa ha bisogno di tutto.
Un’ultima domanda: personalmente, cosa ama di più nella vita che conduce? C’è qualcosa che la diverte fare?
Condividere la nostra birra con gli altri, guardare la loro espressione quando l’assaggiano. Vedere un monaco giovane trovare la pace nella nostra vita come l’ho trovata io. Pensare alla generosità di Dio, specialmente al Suo perdono per i nostri più grandi peccati. Ancora meglio quando la prima porta una persona alla seconda e alla terza!
Per coloro che conoscono l'inglese qui una bella intervista di qualche giorno fa al priore di Norcia, Padre Cassian Folsom
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=77vsiEwIAQs
OT altra voce azzittita, Blondet lascia FdF.......si allunga la lista dei non graditi....
RispondiEliminaSperiamo che non sia per ragioni di salute.
RispondiEliminaGrazie RIC per le tue segnalazioni.
RispondiEliminaHo programmato per dopodomani una stupenda conferenza di Padre Folsom sulla Preghiera liturgica.
Una domanda: non capisco bene se questi monaci, che sembran peraltro dei bravi uomini di Dio, celebrino la Messa di sempre, e se si in modo esclusivo o saltuario?
RispondiEliminaUn caro saluto.
PS: è una curiosità mia, per capire quanto la Messa di sempre li aiuti nella loro fedeltà a San Benedetto.
RispondiElimina@maccabeo
A Norcia si segue il calendario liturgico del 1962 e le celebrazioni sono esclusivamente in Vetus Ordo. L'ufficio continua a seguire in modo esclusivo il breviario e non la liturgia delle ore, tutte le preghiere sono esclusivamente in latino.
Consiglio a tutti quelli che non lo hanno ancora fatto di fare un pellegrinaggio presso il monastero di assaggiare la buona birra dei monaci e soprattutto di assistere alle loro celebrazioni assai frequentate e molto, molto belle.