Abbiamo presentato qui La Sussidiarietà e il bene comune. Il libro muove dei passi che approfondiscono il nesso tra le due nozioni come chiave di interpretazione alternativa che consente di leggere le dinamiche e le istituzioni giuridico-politiche in continuità con l’azione personale e come luoghi in cui si esprime la cooperazione tra gli esseri umani. E investe l'intera realtà istituzionale, al fine di comprendere la crisi nella quale siamo immersi.
Il testo pubblicato di seguito estrae per renderli condivisibili qui - a cura dell'Autore che ringrazio di cuore - brani significativi dell’Ottavo passo tratti dalla II edizione ampliata del libro, Edizioni Nuova cultura, Roma, 2015.
Paolo Savarese (1956) è professore ordinario di Filosofia del diritto presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Teramo e Coordinatore del dottorato di ricerca in Multilevel governance: analisi critica dell’azione pubblica e delle sue trasformazioni (XXIX Ciclo). È stato a lungo professore invitato presso la P.U. Gregoriana per la filosofia del diritto e l’etica sociale (1992/2012) ed e professore invitato per la filosofia del diritto presso la Universidad Mundial di La Paz, BCS (Messico).
Il Numero Immaginario e
la Struttura categoriale della Menzogna
la Struttura categoriale della Menzogna
Estratto dall’Ottavo passo di La sussidiarietà e il bene comune,
II edizione ampliata, Edizioni Nuova cultura, Roma, 2015.
II edizione ampliata, Edizioni Nuova cultura, Roma, 2015.
L'integrarsi della cooperazione interumana nell'ordine che intrama la realtà sociale, introduce, strutturalmente, il problema della verità e della vita nella verità. Il delinearsi di quell'ordine secondo schemi di ricorrenza aperti, consente di integrare nell'aggregato sociale[1], senza fratture, la componente intenzionale[2], risultandone come ordine strutturalmente, non solo quantitativamente, complesso[3]. Ciò significa che in quella trama d'ordine, l'intenzionalità umana, o meglio, tutto ciò che discende dall'inclusione dell'uomo in quegli schemi di ricorrenza, non è un accessorio marginale, né un apporto che possa essere letto o trattato in chiave riduzionistica. Poiché, anzi, è qualificante quello specifico livello di complessità, la presenza umana introduce, strutturalmente, il problema della verità e la trama d'ordine pone altrettanto strutturalmente il problema della vita nella verità.
Se l'infrastruttura operativa del bene d'ordine consiste in schemi di ricorrenza aperti, capaci di includere complessità tipica della presenza e dell'azione umane, ossia l'innesto della componente intenzionale in quella naturale, allora vivere nella verità significa innanzitutto custodire l'apertura a tale complessità. In breve, una riduzione abusiva della ricchezza e della complessità della relazione dell’uomo con la realtà è un prodromo delle varie espressioni culturalmente totalizzanti e politicamente totalitarie.
Per identificare la menzogna in quanto capovolgimento completo della verità, prendo come guida l'approfondimento della struttura categoriale del numero immaginario[4]. Stando all'insegnamento di Franco Piccari, il numero immaginario costituisce la verità della menzogna, sottintende, cioè, e racchiude la struttura della menzogna[5]. Il numero i, o j che dir si voglia[6], è un numero che, palesemente, mente: j, infatti è uguale alle sue potenze e, insieme, alle sue radici. Caratteristica sorprendente di j è che le sue potenze hanno risultato uguale alle sue radici e che la ciclicità implicita in j conduce alla scoperta per cui j è uguale all’inverso del suo opposto (o all’opposto del suo inverso)[7]. Già nell'uguaglianza tra potenze e radici è palese la contraddizione; infatti, come si può sostenere che xn sia uguale a n√x? Ad esempio che 35=5√3? La contraddizione è chiara anche se si afferma che un numero è uguale al suo inverso; come si può sostenere, infatti, che x sia uguale al suo inverso 1/x? Ad esempio. Scrivere 4=¼ è palesemente falso[8]. È anche erroneo porre l'uguaglianza di un numero con il suo opposto, ossia che x sia uguale a −x; scrivere 1=−1 è, anche qui, palesemente sbagliato[9]. La contraddizione appare ancora più flagrante nel momento in cui si giunge all'uguaglianza di un numero con l'inverso dell'opposto di se stesso (x=−1/x) Ad esempio, scrivere 4=−1/4 è doppiamente contraddittorio, dove la doppia contraddizione si cumula e non si elide affatto.
Con i numeri immaginari le cose cambiano; qui j=−1/j. Sembra introdursi una doppia contraddizione, due contraddizioni che, sommandosi, non sembrano affatto annullarsi, ma potenziarsi. Eppure l'equazione j=−1/j è algebricamente ineccepibile; ne riporto la formulazione più semplice e quasi intuitiva[10]. Se partiamo dall'equazione j=j, possiamo svilupparla sostituendo al secondo termine j l’equivalente j2/j. Abbiamo dunque j = j2/j[11] . Ma j2=−1; possiamo quindi sostituire −1 a j2, ottenendo j=−12/j. La sequenza delle radici e delle potenze di j ci porta, a concludere che j=−1/j è l'esito di un calcolo corretto, si tratta di uno sviluppo più che legittimo nell'algebra ed il risultato esatto[12].
La contraddizione si scioglie grazie ad una dimostrazione che non fa salti dialettici, ma sviluppa semplicemente la sintassi dell'algebra. Rimane, però, che, prendendo il risultato da solo, separatamente dal calcolo che lo ottiene e dimostra, che ne dimostra la verità, il suo presentarsi è sconcertante. È per questo che si può dire che i numeri immaginari rappresentano la verità (del risultato ottenuto mediante un calcolo corretto) della menzogna (l'evidenza della contraddizione). J in quanto uguale all’inverso del suo opposto (o all’opposto del suo inverso) attesta la possibilità di rappresentare matematicamente la menzogna, ne rivela, cioè, la struttura; partendo da j e dalla sua identità, si giunge all’equivalenza con un numero, un'espressione numerica, che è insieme l’opposto e l’inverso di j[13]. Essere uguale, non identico, all’inverso dell’opposto di se stesso, o all’opposto dell’inverso di se stesso che dir si voglia, sembra farci varcare la soglia della follia oppure introdurci nel cupo campo della menzogna: si sostiene ed argomenta come vero, incontrovertibilmente vero in seguito al processo argomentativo seguito (allo sviluppo algebrico), il completo ribaltamento del punto di partenza[14].
La sorprendente struttura sottintesa dal numero j va, però, esplicitata sul piano categoriale, ossia va chiarito il significato dell'opposizione, dell'inversione e della loro combinazione[15]. Qual è il significato strutturale della combinazione dell'opposizione e dell'inversione implicite nel numero immaginario? Iniziamo dal significato dell'opposizione: algebricamente questa qualifica la posizione dei numeri positivi rispetto ai negativi, o se vogliamo, quella di un numero che, nel momento in cui viene qualificato come positivo, si trova di fronte a se stesso, ma qualificato come negativo: sono opposti +n e −n, ad es. +1 e −1. è con questa opposizione, strettamente collegata alla scoperta dello zero, che si passa dall'aritmetica all'algebra. Per chiarire il significato categoriale, che dentro quello algebrico, dell'opposizione, occorre tenere presente che i numeri negativi non esprimono quantità, ma immagini di quantità. È, infatti, impossibile prendere o mangiare −1 o −2 mele, ma −1 e −2 servono egregiamente per tenere la contabilità delle mele man mano che si raccolgono o mangiano. I numeri negativi sono, per così dire, l'immagine dei positivi, così come si forma oltre e grazie a quello specchio che è lo zero. Il primo errore, quindi, sta nel non distinguere tra ciò che gode di una sua porzione di quantità ed ha, quindi, una consistenza misurabile e ciò che non lo ha, ma di quella quantità è una proiezione e di quella quantità facilita il calcolo. D'altra parte, sostenere che n sia uguale a −n, è un errore grossolano e ben rilevabile. È più sottile rilevare il salto categoriale, algebricamente irrilevante, che si fa entrando nel campo dei numeri negativi. L'operazione di opposizione consiste nel significa creare l'immagine dell'unità/identità iniziale e rilevabile nella sua fisicità[16]. Non rilevare la soglia ed il salto categoriale significa scambiare la realtà con la sua immagine. Si noti, inoltre, che tra gli opposti c'è una reciprocità, ma nell'immagine, una reciprocità immaginaria e che la loro posizione è reciprocabile, ossia i due termini sono equivalenti, solo sul piano immaginario, ma non su quello reale e nemmeno su quello categoriale.
Passiamo ora all'operazione di inversione ed alla posizione che ne consegue: in che relazione stanno n e 1/n? E che significato ha, qui, il numero 1? 1/n, un ennesimo, rappresenta una parte di n, ne è la frazione o anche porzione unitaria che risulta dividendo n volte un intero; l'unità frazionaria è ciò l'inverso rispetto all'intero di consistenza n. L'uno nell'espressione 1/n svolge la funzione di unità frazionaria, in quanto ci dice una delle parti o porzioni in cui si riparte un intero qualora sia suddiviso o ripartito tante volte quante ne consente o chiede il numero di partenza, dal numero che, appunto, entra nell'operazione di inversione. Ossia, ad esempio, se 4 è l'inverso di ¼, ¼ significa che prendiamo una delle quattro parti in cui si può suddividere l'unità, l'intero quantitativo o quantificabile che sta nella posizione di partenza. È chiaro che una parte non è uguale al tutto da cui viene ricavata e l'errore, prima che di calcolo, consiste in una confusione categoriale. L'equiparazione di un intero ad una sua parte è un errore chiarissimo ed innegabile[17].
Un qualsiasi numero non può, dunque, essere scambiato con il suo opposto ed ancor meno con il suo inverso. Se, però, entriamo nel campo degli immaginari, qualcosa cambia. Se, infatti, +j è chiaramente inconfondibile con −j, la cosa è un po' meno chiara se prendiamo j e 1/j. È chiaro che si tratta di espressioni diverse, ergo non confondibili, ma qui sorge una domanda. Se nel caso di numeri esprimenti quantità, appare intuitivo il salto tra la parte ed il tutto, cosa può mai significare, categorialmente, 1/j, ossia, ha senso prendere una porzione di un immaginario? L'unità immaginaria, la qualità silvestre di Bombelli, è suddivisibile in parti? Nello svolgimento sintattico del sistema algebrico la “frazione” 1/j è utile, direi indispensabile, ai fini del calcolo, ma non sembra implicare un preciso significato quantitativo; che senso può mai avere una unità o parte di un intero immaginario? Sembra che qui si debba arrestare. Ci si può, però, chiedere quale sia il significato categoriale della porzione unitaria di un immaginario. Se j è unità immaginaria, intero immaginario, frazionarla e prenderne una parte sembra consistere nel prenderne una parte immaginaria. L'operazione sembra algebricamente semplice, ma l'ambito in cui viene effettuata fa sfumare l'altrimenti chiara non identificabilità della parte con il suo tutto e non più non immaginabile l'equiparazione, immaginaria certo, della parte immaginaria con il suo intero immaginario. L'ambito immaginario dissimula il salto tra la parte ed il tutto. Se, infatti j non esprime una quantità, una porzione di non quantità non è quantificabile, esattamente come l'unità da cui viene frazionata. Se ciò è esatto, e mi rendo conto di muovermi su un crinale scivoloso, allora l'inversione di j, l'operazione di inversione consentita da j, già apre una porta a qualcosa di più di un errore, ossia alla confondibilità dell'errore con la verità.
Per rendere più comprensibile la sfuggente grammatica della menzogna, è opportuno far qualche esempio. Prima, però, la portata dell'operazione di opposizione/inversione, ossia la potenza, oscura, di quella grammatica, occorre notare che la verità della menzogna non è solo la parte destra dell'equazione, ossia −1/j, ma l'intera equazione j=−1/j. Questa si mostra come palesemente, ictu oculi falsa ed insieme, non appena sviluppata nei suoi passaggi, sintatticamente vera, algebricamente esatta. La parte destra rende palese la combinazione di opposizione ed inversione che innerva la menzogna, ossia, la sua infrastruttura categoriale. La combinazione della confusione tra realtà e immagine e di quella tra parte e intero, alterano a tal punto la verità, da renderla quasi indistinguibile dalla menzogna. È una sofisticatissima operazione di mimesi.
L'indistinzione, però, sembra affermarsi in modo compiuto nel momento in cui l'equivalenza tra la parte sinistra dell'espressione, j, e la parte destra, −1/j, viene fraintesa come identità[18]. La confusione e la dissimulazione della distinzione tra operatore di uguaglianza e operatore di identità, apre la possibilità di sostituire senza cautele e non solo per fini di calcolo, ossia per sviluppare le espressioni algebriche, della seconda parte dell'espressione alla prima. La struttura categoriale della menzogna, così, non è più solo interna ad un membro dell'espressione, ma la infetta tutta, rendendo possibile la sua ipoteticamente completa sovrapposizione alla verità. In definitiva il capovolgimento reso categorialmente apprezzabile dall'infrastruttura del numero j, consiste nella combinazione che integra un'opposizione ipostatizzante e un'inversione reificante (parzializzazione) del punto o della realtà da cui si parte. A costituire e cementare la menzogna non è la semplice sostituzione dell’inverso/opposto all'identità di partenza, che potrebbe essere una sofisticata ma semplice bugia, ma la sua sovrapposizione obliterante all'intero ed alla grammatica della sua esplicitazione. Insomma, l'equivoco tra uguaglianza e identità dissimula lo scambio e la confusione tra opposti, ossia tra realtà e la sua immagine e si irrigidisce con l'inversione che scambia la parte per il tutto; ciò altera ab imis la lettura della complessità. Il giocarsi di tutto ciò nell'arco che congiunge la realtà (o, almeno, le sue dimensioni quantificabili e percepibili/misurabili) con le sue proiezioni immaginarie, implica che nella menzogna la componente intenzionale, soprattutto nel versante della volontà, è costitutivo ed immancabile. L'identificazione della realtà con una sua immagine parziale chiama, cioè, comunque, anche se spesso poco distintamente, in causa il soggetto umano e la sua responsabilità[19]. Se l'indistinzione tra uguaglianza ed identità viene trascurata, da errore logico e sintattico diviene uno strumento, si potrebbe dire un metastrumento, consapevolmente e deliberatamente adottato per costruire ed amministrare la realtà istituzionale, la struttura del numero immaginario diviene matrice totalizzante. È la menzogna, la vita nella menzogna, a generare i mostri totalitari.
Il cerchio della confusione si chiude nel momento in cui j dispiega la sua grammatica latente, esplicitandosi, usufruendo di passaggi sintatticamente ineccepibili, nell'inverso dell'opposto di se stesso. Occorre allora ritornare sulla combinazione di opposizione ed inversione. In questa operazione la sostituzione dell'immagine all'unità/identità di partenza si combina con l'equiparazione della parte al tutto. È un'immagine confusa o frammentaria quella che prende il posto dell'intero di partenza. L'operazione si compie come menzogna nel momento in cui tra quest'ultimo e il combinato inverso/opposto si stabilisce l'equivalenza, ossia si sancisce l'indistinzione. La grammatica profonda dell'immaginario si impone al reale, ne riscrive le modalità di costituzione e funzionamento. Ciò che ne risulta non è un singolo errore e nemmeno una singola menzogna, bensì la matrice che capovolge la verità, la realtà nella sua complessa verità, nel suo inverso/opposto, ossia nella menzogna. La sintassi dell'immaginario, sostituendosi alla grammatica profonda di costituzione della realtà, diviene la fabbrica della menzogna. L'errore della sostituzione dell'opposto/inverso alla realtà di partenza è, di per sé facilmente identificabile, ma si maschera nel momento in cui il reale viene trasposto nell'ambito immaginario. La cosa, apparentemente improbabile, diviene possibile per le realtà strutturalmente complesse, in quanto risultano dalla somma vettoriale di una componente quantitativa o anche reale e di una immaginaria. L'unità immaginaria, cioè, coniugandosi con una grandezza reale, può imporle la grammatica di inversione/opposizione che sottintende, trascinandola nel gorgo della menzogna. L'errore può nascondersi e si nasconde così bene da generare la menzogna che arriva a sostituirsi alla verità e pretende, alla fine, di poterlo fare, di avere il diritto di farlo. Sul piano dell'ordine che costituisce le realtà sociali ed istituzionali, diviene principio totalizzante che produce regimi totalitari. Un esempio di tale capovolgimento immaginario è la sostituzione, anche qui obliterante, di un gruppo di funzioni all’unità/identità umana; oppure l’imposizione di un gruppo di procedure autoreferenziali come modalità esclusiva di amministrazione della cosa pubblica. Poiché ciò avviene nell’area dell’immaginario, tutto ciò si traduce anche in instancabili narrazioni mitopoietiche.
Tentando una sintesi, il profilo categoriale per cui il numero j racchiude ed illustra la verità della menzogna consiste nella combinazione dell'opposizione e dell'inversione della posizione di partenza e, subito a seguire, nella sovrapposizione dell'equazione dell'immaginario con il suo inverso/opposto allo sviluppo di ciò che è implicito in un'identità non immaginaria bensì complessa. Detto altrimenti, l'opposizione condensa un'immagine dell'identità o entità di partenza e l'operatore di uguaglianza comporta l'ipostatizzazione dell'immagine, ossia la sua equivalenza con il punto di partenza reale. Tale ipostatizzazione avviene in re virtuali ossia in un campo di immagini, anche se non ancora tecnicamente immaginario[20]. L'inversione, da pare sua, comporta una parzializzazione, ossia una sostituzione della parte al suo intero, e ciò sempre in re virtuali; così, nel caso in cui siano in gioco esseri umani, si condensa la reificazione e si concretizza un secondo passo di derealizzazione. La combinazione delle due modalità di mutazione, fa sì che la valenza dell'una si moltiplichi con quella dell'altra. La sovrapposizione e la sostituzione del combinato derealizzante all'entità di partenza e l'imposizione della grammatica e sintassi immaginarie all'andamento delle sue esplicitazioni, rendono presente ed operante la menzogna che si fa verità. La menzogna diviene orizzonte che pretende di essere normativo nell'articolarsi e nell'esprimersi della realtà, soprattutto quella sociale ed istituzionale.
Le implicazioni di tale sofisticata struttura e dinamica alterano e inficiano le modalità della cooperazione interumana e l'innesto della presenza e delle operazioni umane nel bene d'ordine, ossia la partecipazione al bene comune. Cooperazione e infrastruttura d'ordine della società si frammentano e sono costrette in un andamento circolare vizioso, tendenzialmente in accelerazione vorticosa. Il numero immaginario in quanto verità della menzogna è, a questo punto, la chiave per smascherare non solo la menzogna, ma le sue implicazioni totalizzanti. Per converso si chiarisce perché la vita nella verità è la chiave per la costruzione di spazi pubblici ed istituzionali refrattari a qualsiasi forma di chiusura totalizzante ed alla conseguente affermazione storica di regimi totalitari.
Alla luce di tali premesse si può filtrare la parabola che congiunge, seguendo una grammatica sussidiaria, la cooperazione con il bene comune. La sussidiarietà può attestarsi come la grammatica e filtro categoriale di quella vita nella verità che è il presupposto di ogni società autenticamente libera[21]. Un tale filtro può aiutare a identificare camuffamenti linguistici, paralogismi e mitopoiesi che ne alterano la comprensione e la traduzione operativa, dando luogo al fenomeno del misconoscimento ed alle varie deformazioni della realtà sociale ed istituzionale.
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L'inversione/opposizione che capovolge la sussidiarietà in un intervento di ingegneria istituzionale è, di conseguenza e necessariamente, un fattore di declino degli spazi pubblici ed istituzionali. In altri termini, la proceduralizzazione della sussidiarietà ne significa la reificazione immaginaria, con tutti i corollari di denegazione del riconoscimento che ciò comporta. Dal punto di vista della chiusura totalizzante degli spazi pubblici e delle loro infrastrutture istituzionali, ciò pone le premesse dei regimi totalitari. Ciò non appartiene al passato, anche se tale pericolo oggi è, tutto sommato maldestramente, dissimulato dalla virtualizzazione e dalla digitalizzazione delle procedure e potenziato esponenzialmente dal crescere metastatico, e densissimo di risvolti illiberali, delle neolingue politicamente corrette[22].
Sull'asse intermedio della cooperazione, tale capovolgimento immaginario si configura come pretesa di riscrivere la cooperazione stessa come esecuzione di regole e gruppi di regole, dimenticando che l'interscambio e la cooperazione umana vivono, oltre la superficie fotografabile, dell'intersezione di una complessità sterminata di fattori e, soprattutto, implica elementi e fattori non quantificabili, seppur costitutivamente connessi con quelli fotografabili e quantificabili[23].
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Il numero j può funzionare da filtro anche per la questione del riconoscimento. Questo, infatti, situandosi nell'ambito della relazione tra soggetti, ossia in un ambito complesso che coniuga la dimensione intenzionale, direi anche coscienziale, con quella più direttamente quantificabile dell’uomo, è strettamente legato alla dinamica delle immagini, al loro formarsi ed intersecarsi, al loro rispecchiarsi le une nelle altre ed anche al loro reciproco deformarsi. Il capovolgimento che avviene con la combinazione delle operazioni e posizioni di inversione ed opposizione, appare quindi di primaria importanza nelle relazioni tra soggetti coscienti, tra io e tu, tra interlocutori e quale altra declinazione si voglia dare all'aver a che fare gli uni con gli altri, allo stare gli uni di fronte agli altri. Il capovolgimento immaginario trova terreno fertile negli intrecci, infinitamente complessi, che si danno tra gli esseri umani e influiscono nel loro prendere forma e consistenza come soggetti e come soggetti personali al centro e in definitiva anche oltre tutto ciò che sono, dicono e fanno. Il filtro che la lettura categoriale del numero j è, pertanto, prezioso per identificare le deformazioni e le alterazioni della relazione di riconoscimento e, eventualmente per intervenire sulle distorsioni del riconoscimento..
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Su tale asse si rincorrono le illusioni palingenetiche e, quindi, il reciproco eccitamento delle passioni che sognano un uomo e un'umanità nuova, svicolata, nel suo calarsi nel vortice immaginario, da tutto ciò che la possa richiamare alla realtà. Dal punto di vista delle dinamiche storiche si configura un canale di inevitabile decadenza delle culture e delle civiltà e, a maggior ragione, della superciviltà avvitata nel gorgo immaginario dell'onnipotenza promessa dalla tecnoscienza[24]. L'ipostatizzazione reificante dell'immagine che pretende di sostituirsi alla realtà non opprime l'uomo tanto per la crescente potenza della tecnoscienza, quanto per l'espropriazione a carico dell'uomo della sua identità complessa, della vettorialità complessa della sua azione, della complessità di tutto ciò che opera e produce nei campi della significazione, della cooperazione e della partecipazione al bene comune. L'integrazione condotta sull'asse immaginario che, ipostatizzandosi si reifica e reifica sia ciò che aggrega che gli aggregati che ne risultano, si riduce ad un annessione piatta, priva di gradazioni categoriali, in cui la sintassi vorticosa dell'inversione/opposizione, finisce per snaturare, disgregandoli, sia ciò che viene integrato che l'insieme integrante.
In senso opposto, il filtro categoriale del numero j letto come la verità della menzogna, consente di non fraintendere l'integrazione, dinamica del bonum ordinis, e parallelamente il riconoscimento, come processo che riduce ciò o chi si aggrega a mera parte funzionalmente misurabile di un tutto compresso nella somma delle parti e trattato come risultato della disposizione, ossia del progetto di ingegneria sociale o culturale proiettato sulle sue parti da una qualche centrale di potere che pretende di proiettare la sua verità immaginaria sull’uomo e sul suo mondo[25]. In altri termini, la partecipazione al bene comune, se innervata dalla grammatica della sussidiarietà, non mortifica o mutila ciò che confluisce in aggregati più grandi e ordinati secondo livelli gerarchici, la cui complessità si accresce sì esponenzialmente, ma proprio perciò è esprimibile mediante una sintassi logaritmica, che la semplifica senza in nessun modo sminuirla[26]. Su tale asse il progressivo costituirsi del bene comune, Gemeingut che è Gemeinwohl, possibile solo attuando e custodendo la grammatica profonda della sussidiarietà, apre orizzonti più ampi e significativi, delinea un mondo in cui l’uomo può, senza dimenticare i suoi limiti e la sua contingenza, vivere senza autocensure e senza dover rincorrere sogni di perfezione irrealizzabile che, alla fine, possono solo condurlo alla disperazione.
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1. Già in natura l'integrazione progressiva, che presiede all'emergenza improbabile di livelli di superiore complessità, avviene aggregando aggregati unitari di minore complessità. Nelle scienze esatte ed in particolare in biologia, per denominare la struttura unitaria è stato proposto il termine integrone. “... a ciascun livello [di complessità] unità di dimensioni relativamente definite e di struttura pressoché identica si associano per formare un'unità di livello superiore. Si può chiamare integrone ciascuna di tali unità formata dall'integrazione di sotto-unità.”, F. Jacob, La logica del vivente. Storia dell'ereditarietà, Einaudi, Torino 1971, p. 384. Il termine integrone (vicino a termini quali olomero o sistema) non è certo elegante, ma incisivo. “Integrone dice, infatti, che la storia dell'universo può essere letta come una concatenazione di integrazioni successive di materiali pre-esistenti.”, C. Cirotto, L'applicazione del concetto di scienza nei diversi campi della ricerca, in Aa. Vv. Realismo e metodo, a c. di R. Finamore, G&BP, Roma 2014, p. 186.
2. L'integrazione di componenti naturali e componenti intenzionali è resa possibile dagli schemi di ricorrenza aperti costituenti in bene d'ordine cui sopra al Quarto passo.
3. Per leggere questo specifico livello di integrazione, in cui entra una componente non quantitativa che si coniuga con quella quantitativa, adotto una nozione di complessità ricalcata sulla struttura categoriale dei numeri detti, appunto, complessi, la cui espressione algebrica consiste nella somma di un numero reale e di un numero immaginario. Per una trattazione più organica della tutt'altro che semplice questione, mi permetto di rinviare alla prosecuzione della riflessione da me avviata in Diritto ed episteme (Ediz. Nuova Cultura, Roma 2014), che dovrebbe vedere la luce in una prossima monografia in fase di avanzata redazione. Per un abbozzo, abbastanza acerbo, della questione, si può vedere P. Savarese, La regola del diritto tra Verbum e Imago, in “Sergio Cotta (1920-2007). Scritti in memoria", a c. di B Romano, Giuffré, Milano 2010, pp. 791-810.
4. La metodologia che qui adotto segue l'insegnamento di Franco Piccari, le cui valenze quanto alla costituzione della episteme sono state da me trattate, certo in maniera solo iniziale, in Diritto ed episteme, cui rimando. Le implicazioni categoriali dell'insegnamento di Franco, che filtrano in quanto sto per scrivere, sono in corso di elaborazione nella nuova monografia cui sopra ho fatto cenno.
5. Si deve al matematico Raffaele Bombelli (1526-1572) la scoperta di due numeri da lui denominati quantità (o addirittura qualità) silvestri: +J e −J [NB: j=√−1]; la denominazione di queste strane entità come numeri immaginari viene fatta risalire a Cartesio. Questi numeri non sono quantità, bensì lettere non quantificabili, qualità non quantificabili.
6. I matematici puri lo denominano i, mentre gli ingegneri j, per distinguerlo dal simbolo i, usato per rappresentare l’intensità. Nel mio testo adotto j in omaggio a Franco Piccari, matematico insigne che si è sempre presentato come ingegnere. Sottolineo che l'analisi da me svolta si situa sul piano categoriale e non è uno sviluppo assiomatico.
7. Osserviamo la seguente progressione
j = −11/2 [=√−1]
j2 = j x j = −1
[se j=√−1, j2=−1: si tenga presente che, nell’ambito degli immaginari, un numero positivo moltiplicato per un altro positivo dà un risultato negativo, ossia +x+=−]
j3 = j2 x j = (−1) x j = −j
j4 = j2x j2 = (−1) x (−1) = +1
j5 = j4 x j = (+1) x j = j
con j5 si torna a j. E’ un ciclo, un ritmo. Sono numeri ritmici, ossia sono una qualità ed una relazione. Caratteristica sorprendente di j è che le sue potenze hanno risultato uguale alle sue radici:
√j = j2 = −1
3√j = j3 = −j
4√ j4 = j4 = +1
5√ j5 = j5 = j
Da questo segue che j = −1/j
8. Fa eccezione il numero 1; infatti 1=1/1. Ciò è legato, però, ai molteplici significati, operativi e categoriali del numero uno, che è elemento neutro nella moltiplicazione, operatore di inversione e, categorialmente, operatore relazionale di identità quantitativa.
9. Qui l'eccezione la fa, semmai, lo zero, infatti 0=−0. Dal punto di vista dei significati operativi e categoriali, lo zero si delinea come elemento neutro nella somma algebrica e, categorialmente, operatore relazionale di identità qualitativa.
10. Oltre la sequenza riportata in nota 14, la dimostrazione più semplice per cui j = −1/j si può formulare così:
j = j2/j = j oppure j = j3/j2 = −j2/j
ove j2 = −1
e quindi −j2/j = −1/j
ossia j = j3/j2 = −j2/j = −1/j
j = [ j3/j2 = −j2/j =] −1/j
ecco che: j = −1/j
11. Si noti che mentre j = j andrebbe scritto j ≡ j, non si può scrivere j ≡ j2/j; è un errore che confonde l’identità con l’uguaglianza o, qui, non trattandosi di valori immediatamente esprimenti quantità, equivalenza.
12. Infatti:
√j = j2 = 1; 3√j = j3 = −j;
4√ j4 = j4 = +1; 5√ j5 = j5 = j
13. −1/j è, infatti, l’opposto in quanto contrassegnato dal segno meno, come 1 è l’opposto di −1, e l’inverso, in quanto troviamo j come denominatore nella frazione con numeratore 1.
14. La struttura implicita nel numero j, oserei dire il suo comportamento, ha un sorprendente riscontro nell'ottica; d'altra parte, è del tutto casuale che il numero immaginario sia a casa sua nel regno delle immagini? Se l’immagine di un oggetto passa attraverso una lente biconvessa si riforma dalla parte opposta e risulta rovesciata rispetto all’oggetto dalla cui fisicità prende origine. Staccando l’immagine dalla fisicità dell’oggetto che la produce, la lente la riproduce, custodendone rapporti e relazioni che la costituiscono. L’immagine non viene alterata, quanto piuttosto sottratta alla fisicità dell’oggetto o se vogliamo, è la fisicità dell’oggetto ad essere sottratta all’immagine, lasciando la fisicità come una sorta di residuo non significativo per lo studio e la comprensione dell’immagine stessa. Questa non esaurisce certo l’oggetto nella sua fisicità, ma questa può ostacolare l’analisi e la lettura dell’immagine in quanto tale, le caratteristiche della luce che la forma e ciò che, tramite l'immagine, possiamo scoprire dell’oggetto.
15. Anche per l’impostazione di questa metodologia, che adombra una sorta di calcolo o algebra categoriale, sono costretto a rimandare alla monografia in preparazione cui ho fatto sopra cenno.
16. Termini come realtà o fisicità sono chiaramente scivolosi e richiederebbero ben altra esposizione e ben altre distinzioni; qui li utilizzo come prima approssimazione, ingenua ma non falsa, all'oggetto dell'analisi.
17. L'errore categoriale, implicito in quello quantitativo è, però, meno chiaro, se non altro perché mentre si fanno i conti non si fa attenzione, non è affatto necessario, al loro sfondo categoriale. Non è, però, difficile incorrere in questo tipo di errore categoriale; si pensi, ad esempio, alla facilità con cui si può scambiare un gesto complesso come il saluto con la sequenza di alcuni segnali (per la nozione di complessità rinvio a quanto sopra accennato alla nota 3; per segnale alludo, invece e in via molto approssimativa, allo scambio proceduralizzato e codificato di informazioni).
18. È la distinzione, cui faccio ricorso già sopra alla nota 18, tra = e ≡. Da qui, mentre è esatto j=−1/j, è errato j≡−1/j e l'errore è ancor più marcato sul piano del significato categoriale dell'espressione che non da quello algebrico (quantitativo).
19. La verità della menzogna, così come racchiusa nel numero immaginario sembra, in altri termini, indissociabile dalla volontà di potenza; ma ciò richiederebbe ben altro sviluppo.
20. Tale stadio della dinamica della derealizzazione sociale ed istituzionale è illustrata magnificamente dalla celebre fiaba di Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore. In genere si riporta l’espressione: “Il re è nudo”, ma la citazione esatta (almeno in traduzione), è la seguente: “«Ma non ha niente addosso!» disse un bambino. «Signore, sentite la voce dell’innocenza!» replicò il padre, e ognuno sussurrava all’altro quel che il bambino aveva detto.”, H.C. Andersen, Fiabe, a c. di A. Castagnoli Manghi, trad. di A. Cambieri, Mondadori, Milano 2015, p. 104.
21. Adotto questa terminologia, società libera, sulla scia di M. Polanyi, The Logic of Liberty, Routledge and Kegan Paul, London 1951.
22. È d’obbligo il riferimento a G. Orwell, ma nell’orizzonte virtuale odierno la neolingua sembra ricevere un’accelerazione ed un potenziamento prima quasi inimmaginabile. Cfr. la Appendice. I principi della neolingua, in G. Orwell, 1984, a c. di G. Baldini, Arnoldo Mondadori, Milano 1973, pp. 313 ss.
23. Rinvio allo statuto della complesso dell'azione e della realtà umana elaborato nel libro in preparazione, cui ho già ripetutamente accennato.
24. Riprendo il termine da Jan Patočka, alle cui analisi rinvio; cfr. Patočka, La superciviltà e il suo conflitto interno.
25. Non da ultimo, il capovolgimento risultante dalla combinazione di opposizione ed inversione può fungere da guida per leggere il modo in cui i vizi deformano la virtù, qualsiasi virtù, non semplicemente, appunto, negandola, ma ipostatizzando di fronte ad essa una sua immagine parziale che, insieme, pretende di sostituirsi alla virtù nella sua promessa di vita buona ed, in ultimo, di felicità. La struttura del numero immaginario può, analogamente, filtrare la questione dei rapporti tra l'uomo e la natura.
26. Per l'infrastruttura categoriale di tale integrazione mi permetto di rinviare alle considerazioni sul tutto e le parti, nonché alla struttura del pi greco come modello euristico della partecipazione al bene comune, che svolgo nella monografia in preparazione cui ho già accennato.
STUPENDO.
RispondiEliminaEsercizio pratico di menzogna, segnalo:
RispondiElimina"Vatileaks 2, un esercizio di menzogna e ipocrisia"
di Riccardo Cascioli
Riporto la conclusione dell`articolo illuminante di Cascioli:
"Ma il vero scandalo sarebbe una Chiesa che decidesse di cambiare il depositum fidei , ciò che Cristo ha annunciato e gli apostoli hanno tramandato, cosa che non è mai venuta meno anche nei secoli più difficili. Ed è purtroppo ciò che invece alcuni stanno tentando di fare, approfittando e anche fomentando polveroni sul nulla come quello di questi giorni o come quelli alzati durante il Sinodo."
E ha ragione Cascioli, in effetti la stampa "cattolica" e laicista hanno, dal 13 marzo 2013, stretto un`alleanza contro natura, si sono riunite un un cartello, dicono le stesse cose, insieme idolatrano Bergoglio e disprezzano chi non si allinea, stesse parole, stessa ipocrisia, stesse menzogne, stessi bersagli.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-vatileaks-2-un-esercizio-di-menzogna-e-ipocrisia-14318.htm
La critica di Marcel De Corte alla Pacem in terris e i pericoli del personalismo.
RispondiEliminahttp://www.vanthuanobservatory.org/notizie-dsc/notizia-dsc.php?lang=it&id=1991
seguito:
RispondiEliminaquesta è gente che vuole come negli anni del sovietismo, il culto della personalità, e a livello mondiale lo stà ottenendo a pieni voti - loro stanno con gli uomini e non con Dio; infatti cosa dicono? di non credere in un Dio Cattolico (toglierebbe il culto della personalità) - più chiari di così.?
Esempio deboluccio nel merito e nel metodo. Nel metodo perchè credo che ben pochi abbiano la pazienza di seguirlo. Nel merito perchè i numeri immaginari a livello pratico possono essere tranquillamente ignorati a beneficio delle soluzioni reali (se parliamo di soluzione di un equazione). Mentre a livello teorico sono utilissimi e spesso indispensabili per descrivere una serie di fenomeni fisici (quindi di nuovo reali). La menzogna non può rientrare in nessuna delle due categorie.
RispondiEliminaPremetto che non sono un esperto, pur sapendo che cosa sono i numeri complessi.
RispondiEliminaVisto che qui si parla di verità "nell'ordine che intrama la realtà sociale",facendo ricorso ai numeri complessi, mi farebbe piacere sapere da qualcuno che ne sa più di me, che valore si può invece dare a tutte quelle branche scientifiche che si basano su questi numeri per creare o dimostrare "verità scientifiche". Solo giochi numerici o anche realtà fisiche concrete? E la menzogna potrebbe giocare questo ruolo anche in ambito scientifico?
Angheran trovo invece deboluccio il suo commento che, a fronte di un'argomentazione complessa e articolata, conclude con un'affermazione categorica non dimostrata.
RispondiEliminaCapisco , un altro amico da tutelare da ogni minimo rilievo , buona giornata.
RispondiEliminaAngheran,
RispondiEliminanoto che continua ad trinciare giudizi sommari.
Di fatto è una semplice questione di obiettività. In ogni caso certi Autori non hanno bisogno di alcuna tutela da parte mia.
Se lei argomentasse la sua affermazione categorica, potrebbe essere interessante un dibattito.
E intanto a Bruxelles arriva il figlio spirituale di Danneels, con qualche anno di ritardo sui desideri di Danneels, un vescovo progressista aperto su questioni come il sacerdozio femminile o il celibato sacerdotale, insomma proprio quel che ci voleva per una chiesa belga moribonda, come scrive una giornalista belga: hanno amato Danneels adoreranno De Kesel!
RispondiEliminaA questo punto, Luisa, che il Belgio perisca nel suo finto Cattolicesmo e nel suo vero Islam, e non se ne parli più. "Poca brigata, lieta serata". Se resteremo senza Belgi, ce ne faremo una ragione (e a parte Simenon, Degrenelle, non mi viene in mente nulla di signifcativo e di valore da quel paese, sul quale già Baudelaire aveva detto parole definitive).
RispondiEliminaPensavo mandasse Bonny.
Rr
Interessanti riflessioni su povertà e pauperismo. (il papa a Santa Marta e nell'intervista olandese: "Non può parlare dei poveri chi vive da 'faraone'. Intanto bisogna vedere chi sono questi 'faraoni' e se davvero sono tali...)
RispondiElimina....
Infine, la logica: tutti i ragionamenti moralisti e moralizzatori, si muovono sempre sullo stesso schema, l’errore di ragionamento chiamato ad hominem (contro la persona). Si sostiene il fatto che una cosa sia vera o falsa, buona o cattiva, non a seconda dei dati di fatto e della natura della cosa ma per il comportamento della persona che la dice. “Non puoi dire che il fumo fa male perché tu fumi” non è un buon ragionamento. Il fumo fa male anche se lo dice un fumatore e si può apprezzare lo sforzo di dire il vero anche quando non si è coerenti con esso. Confondere coerenza e verità è un ottimo modo per evacuare i problemi, con la facile operazione di screditare le persone. Nel caso della Chiesa cattolica il gioco è ancora più divertente perché gli ideali che propone sono alti, e la caduta di chi afferma cose migliori di noi ci consola sempre della personale pochezza. E’ il principio della satira e della commedia antica ed è ottimo per farsi giustamente due risate. Ma non per ragionare sul serio.
http://www.ilfoglio.it/chiesa/2015/11/06/perche-le-polemiche-sulle-spese-di-preti-e-cardinali-sono-ridicole___1-v-134687-rubriche_c353.htm
Ma se c'ha tanto la fissa dei poveri, perché appunto non da' il buon esempio, pianta S.Marta e va nella Terra del fuoco a fare il missionario? O in Congo? O nella foresta amazzonica ?o dove cavolo gli pare, purché faccia veramente qualcosa in prima persona, come Madre Teresa o gli innumerevoli missionari?
RispondiEliminaIntanto della seconda famiglai di immigrati clandestini, pardon di rifugiati, da accogliere in Vaticano, non se ne parla più.
Rr
senza cattiveria, ma....cito dal post sopra
RispondiElimina"...modo per evacuare i problemi..."
uh mamma, era davvero meglio usare "evadere i problemi"......
a proposito di verità e menzogne: cfr. il ministro che affermava che avrebbe addirittura denunciato chi continuava a dire che il gender è di fatto introdotto nelle scuole italiane, perchè non era così,
RispondiEliminaecco la prova...è introdotto pure negli asili:
http://www.ilgiornale.it/news/milano/gender-arriva-pure-negli-asili-ecco-disegno-choc-dato-ai-bam-1191455.html
Grottesca questa caccia ai metri quadrati degli alloggi di vescovi e cardinali, a chi ha la macchina più costosa e la croce in oro e non in ferro, ancor più grottesca che guarda caso si fa la caccia solo ad un certo tipo di prelati, quelli che bisogna assolutamente screditare e togliersi dai piedi per accelerare la revoluciòn bergogliana.
RispondiEliminaLa stampa di regime, quella laicista, chi ruba documenti, chi li raccoglie e diffonde, tutti mano nella mano per fare di Bergoglio un eroe senza macchie che lotta finalmente contro la melma nella chiesa.
Sono pietosamente ridicoli ma siccome fare autocritica è una capacità di cui sono totalmente sprovvisti i giornalisti, continueranno il loro stucchevole martellamento che purtroppo attecchirà su chi come uno zombie si beve tutto quel che gli vien servito nei media, nei salotti=osterie televisi, e poi lo ripeterà da persona "informata".
Così, tanto per restare in tema di soldi, di povertà, umiltà, e di coerenza, il 1 dicembre sarà presentato in Vaticano, Sala Paolo VI,
RispondiElimina"Call Me Francis": un film sulla vita di San Francesco forse? No, sulla vita di Jorge Bergoglio!
E quanto è costato questo inno a lode e gloria del papa argentino?
12 millioni di euro.
Ma il papastar non si limita al cinema, in novembre, uscirà anche il suo album pop-rock.
Una vera popstar il vescovo di Roma, umile, semplice, ostile a onori e corti adulatrici.
A proposito di media e trash, tanto il tono e "l'approfondimento" è quello,
RispondiEliminasi informa che su web e tv torneranno...Wanna Marchi e la figlia Stefania Nobile.
Stavolta a perorare varie cause perse e storie strappacuore.
Nozze gay comprese, lo dicono loro.
http://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/vanna-marchi-tv-1.1459496