IL SUCCO DELL’APOCALISSE
LA SECONDA PARTE DELL’APOCALISSE (IV, 1-XIX, 10)
La seconda parte dell’Apocalisse (capp. IV-XIX) contiene le visioni relative agli ultimi avvenimenti e specificatamente
- la descrizione del trono di Dio; il libro dai sette sigilli, che sono aperti dall’Agnello; i cavalieri che escono dopo l’apertura dei sigilli; il terremoto che segue l’apertura del sesto sigillo e l’apparire di sette angeli con sette trombe successivamente all’apertura del settimo sigillo (capp. IV, 1-VIII, 6);
- il suono delle prime quattro trombe e la distruzione di una terza parte della terra e del cielo; il suono della quinta tromba e l’aprirsi del pozzo dell’abisso; suona la sesta tromba e un terzo degli uomini viene annichilato; si annunzia la venuta di due testimoni, la loro morte e resurrezione (capp. VIII, 7-XI, 19);
- appaiono gli attori principali della scena descritta in questa seconda parte: la donna e il dragone; la bestia che sale dal mare; la bestia che viene dalla terra; i sette angeli dalle sette piaghe e con sette coppe (capp. XII, 1-XV, 8);
- le sette coppe vengono versate sulla terra e sul mare producendo grandi disastri (capp. XV, 9-XVI, 21);
- il giudizio di Dio su Babilonia, che viene presentata seduta sulla bestia; la rovina di Babilonia; la gioia del Cielo e Cristo come Agnello immolato e glorificato (capp. XVII, 1-XIX, 10)[1].
Tratto la seconda parte dell’Apocalisse (capp. IV-XIX), che è abbastanza lunga, in varie puntate. Questa seconda puntata inizia con il capitolo IV verso 1 e termina col capitolo X verso 11. Pian piano commenteremo l’Apocalisse intera, anche se brevemente.
Capitolo IV (1-11)
Giovanni inizia a trasmettere alle sette Chiese le visioni che hanno per teatro il cielo, la residenza di Dio[2]. Egli le riceve da Gesù ed esse riguardano gli avvenimenti che avverranno verso la fine del mondo.
“Vidi una porta aperta in Cielo” (v. 1) in modo che Giovanni poteva scrutare quanto succedeva lì. Poi udì una voce simile allo squillo di una tromba (v. 1), la voce di Cristo o di un angelo, che gli disse: “ti farò vedere le cose che debbono accadere in seguito” (v. 1), cioè le lotte, le persecuzioni e i trionfi che sosterrà la Chiesa specialmente verso la fine del mondo.
Si comincia, quindi, con la descrizione del trono di Dio: “un trono era alzato in cielo e sopra il trono c’ero uno a sedere” (v. 2), è Dio assiso sul suo trono di gloria quale re e giudice (cfr. Dan., VII, 9).
L’aspetto della gloria di Dio è di uno splendore irradiante paragonato e assimilato allo scintillio di molte gemme preziose, vale a dire al diaspro e al sardio, che son trasparenti come il cristallo e significano lo splendore della gloria di Dio; intorno al trono vi è un’iride (arcobaleno), che è il simbolo della riconciliazione tra Dio e gli uomini e indica la misericordia divina. Lo scintillio di queste gemme rappresenta Dio nella sua pura spiritualità di luce viva, eliminando ogni elemento materiale ed ogni antropomorfismo dalla sua descrizione. Infatti non ne viene descritto l’aspetto per metterne in risalto la sua assoluta trascendenza.
A partire dal verso 4 sino all’11 si descrive la corte celeste: ventiquattro sedie con ventiquattro anziani (presbiteri, sacerdoti) seduti sopra di esse (v. 4): sono i Santi della Chiesa trionfante dell’Antico e del Nuovo Testamento (le 12 tribù d’Israele e i 12 Apostoli), i quali esercitano in paradiso il culto divino, la liturgia celeste e il sacerdozio spirituale che dura per tutta l’eternità attorno a Dio e all’Agnello, dai quali gli uomini hanno ottenuto la salvezza attraverso la mediazione del sacerdozio vetero-testamentario e cristiano.
Capitolo V (1-14)
L’Apostolo vede nella mano destra di Dio assiso sul trono di gloria “un libro (rotolo di papiro) scritto dentro e fuori” (v. 1), ciò mostra la preziosità delle cose scritte nel libro: l’annunzio della storia dei destini umani, ai quali non è possibile aggiungere o togliere nulla, essendo scritto retro/verso. I decreti di Dio, scritti nel libro da una parte e dall’altra, sono completi e immutabili e nessun uomo è degno di aprirlo con le sue sole capacità naturali.
Dio tiene senza stringerlo il libro nella sua mano destra, con un atto di tranquillo dominio, il quale racchiude tutta la storia dell’umanità stabilita da Dio sino all’ultimo giorno.
Il libro, infatti, è “sigillato con sette sigilli” (v. 1), cioè ogni suo foglio è avvolto ad un’asticella mediante una cordicella che è sigillata. Quindi per conoscere i misteri contenuti nel libro prima bisogna rompere tutti e sette i sigilli: sette è un numero simbolico che indica pienezza, totalità e perfezione. Quindi è cosa impossibile all’uomo conoscere e penetrare la totalità delle vicende umane. Il libro che le contiene, infatti, non solo è sigillato, ma lo è sette volte, ossia un numero grandissimo di volte; come quando Gesù insegna che bisogna perdonare settanta volte sette, ossia un numero infinito di volte. Il contenuto del libro sono i decreti di Dio intorno alla storia della Chiesa, i quali prima che avvengano non possono essere conosciuti con certezza dall’uomo se non per una rivelazione speciale di Dio.
Quindi l’Apostolo vede “un angelo forte, che gridava con gran voce: Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i suoi sigilli?” (v. 2), vale a dire: chi è talmente santo da poter rompere i sette sigilli e leggere il contenuto misterioso del libro? La lettura del libro è una prerogativa divina, assolutamente non umana, per cui nessun uomo è in grado di poterlo aprire ben sigillato come è.
Giovanni piange perché “non si trovò nessuno che fosse degno di aprire il libro” (v. 4) e pensava quindi che i misteri i quali avrebbero potuto giovare alla Chiesa e all’umanità dovessero restare segreti. Infatti nessun uomo per quanto pio può da sé solo scrutare i misteri soprannaturali di Dio.
Tuttavia l’Apostolo viene rincuorato da uno dei vegliardi (i santi del Paradiso) che siedono in Cielo sulle 24 sedie attorno al trono di Dio il quale gli dice: “Non piangere. Ecco il leone della tribù di Giuda, la radice di David, ha vinto il demonio e ha ottenuto di aprire il libro e di sciogliere i suoi sette sigilli” (v. 5). Il vegliardo terge le lacrime di Giovanni e lo rassicura: qualcuno ha risposto all’appello dell’angelo, cui sembrava impossibile rispondere. Costui è Gesù presentato in termini simbolici desunti dai Profeti dell’Antico Testamento.
Egli è il “leone della tribù di Giuda” e Gesù, infatti, è annunziato con questo appellativo nella profezia di Giacobbe (Gen., XLIX, 9) relativa alla tribù di Giuda, da cui sarebbe disceso il Messia (cfr. Mt., II, 6). La “radice o rampollo di David” come lo chiama Isaia (XI, 10) è un altro appellativo del Messia. Infatti Gesù come uomo discendeva dalla tribù di Giuda e dalla famiglia di David. Egli con la sua morte in croce ha vinto il diavolo, il peccato, la morte e ha redento l’umanità ed è per questo che è stato riconosciuto degno di aprire il libro.
In mezzo allo spazio tra il trono e i vegliardi Giovanni vede un Agnello (Gesù). Si noti come prima Gesù è stato paragonato al leone per la sua potenza ed ora ad un agnello per la sua mansuetudine e misericordia; quest’agnello sta dritto sui suoi piedi, come il sacerdote che offre il Sacrificio, inoltre è “come scannato”, ossia immolato, crocifisso. Il fatto che la vittoria di Cristo, la quale gli conferisce il potere di aprire il libro, si sia verificata mediante la sua crocifissione risulta dall’apparire di Gesù sotto la forma simbolica dell’agnello. Il suo corpo glorioso porta i segni delle ferite ricevute e oramai glorificate. Tutto indica la sua morte cruenta e assieme la sua gloriosa resurrezione. Egli, inoltre, ha “sette corna e sette occhi” (v. 6): sette indica la pienezza, le corna la forza e gli occhi l’onniscienza.
L’Agnello, ossia Cristo, venne presso il trono del Padre, pienamente conscio della sua divinità e del suo diritto di ricevere ed aprire il libro (v. 7). Lo aprì e subito i quattro animali (tutte le creature) e i ventiquattro vegliardi (i santi del cielo) si prostrarono in adorazione davanti all’Agnello divino (v. 8).
I vegliardi cantavano un cantico nuovo (celebrante la resurrezione e il trionfo glorioso di Cristo redentore asceso in Cielo, che rinnova tutto) dicendo: “tu sei degno, o Signore, di ricevere il libro e di aprirne i sigilli, poiché sei stato scannato e ci hai redenti per Dio col tuo Sangue” (vv. 9-10).
Capitolo VI (1-17)
Dopo le visioni preparatorie dei capitoli IV e V inizia ora a svolgersi il dramma degli avvenimenti che subirà la Chiesa nella sua storia e specialmente verso la fine del mondo.
Il tema centrale dell’Apocalisse è la vittoria di Cristo e l’instaurazione del suo regno santo ed eterno sopra quelli di questo mondo.
Dopo le sette lettere (capp. II-III) appaiono sin d’ora tre settenari, ossia
- sette sigilli (VI, 1-VIII, 1);
- sette trombe (VIII, 2-XI, 19);
- sette coppe (XV, 1-XVI, 21), tutti e tre disposti secondo la proporzione quattro più tre. I settenari sono la preparazione al trionfo di Cristo re e giudice attraverso una serie di sconvolgimenti che preludono al giudizio universale.
L’Agnello (Gesù) apre in questo VI capitolo i primi sei sigilli del libro, per il settimo bisogna attendere il capitolo VIII. Subito si intravedono le grandi linee dei decreti di Dio sulla storia umana: Gesù è il vincitore finale ed ogni potere malvagio sarà da lui abbattuto (primo sigillo); i ministri di cui si serve la giustizia divina sono la guerra, la fame e la morte (secondo, terzo e quarto sigillo); il trionfo di Gesù verrà solo quando lui lo ha stabilito (quinto sigillo); ma sarà preceduto da sconvolgimenti tremendi, che ci faranno capire la sua prossimità (sesto sigillo).
All’apertura di ognuno dei quattro primi sigilli, appaiono quattro cavalieri o angeli del castigo, che recano con sé quattro flagelli (guerra esterna, guerra civile, carestia e pestilenza).
Al versetto 1 Gesù (secondo altri esegeti un angelo) apre il primo sigillo e l’Apostolo Giovanni sente una voce forte come un tuono che dice: “vieni e vedi” (v. 1).
Quindi San Giovanni vede un cavallo bianco (rappresentante, nell’antica Roma, il simbolo della vittoria e del dominio) con un cavaliere seduto sopra di lui (Gesù Cristo), che vince su tutti i nemici suoi e della sua Chiesa e conquista il mondo al suo Vangelo. Egli aveva un arco (per combattere e vincere) e gli fu data una corona come pegno della sua vittoria e “uscì come vincitore per vincere” (v. 2), ossia si lanciò a nuove battaglie e a nuove vittorie.
Gesù apre il secondo sigillo ed esce un cavallo rosso o color di fuoco (testo greco), che è il simbolo dell’ira divina, della guerra e della strage: “A colui che v’era seduto sopra fu concesso di togliere dalla terra la pace, affinché si uccidano gli uni e gli altri, e gli fu data una grande spada” (v. 4). Ecco il primo strumento di cui si serve Gesù per abbattere i suoi nemici: la spada che fa la guerra, descritta in maniera assai cruda dal Libro sacro, e toglie la pace. I nemici di Dio che si uccidono reciprocamente simboleggiano la guerra civile, che è la guerra più crudele in cui gli abitanti di una stessa nazione si uccidono a vicenda.
Giunge l’apertura del terzo sigillo ed appare “un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva in mano una bilancia” (v. 5). Il nero è il simbolo del lutto e della morte. Il cavaliere rappresenta la carestia e la fame poiché tiene in mano una bilancia per pesare il cibo senza doverne sprecare nulla. Infatti al v. 6 si sente una voce che dice: “una misura di grano per un denaro e tre misure d’orzo per un denaro e non sprecare il vino né l’olio”. La misura equivale a circa un chilo e rappresenta la quantità di pane (grano) necessaria per un giorno ad un uomo che vive frugalmente. Un denaro corrisponde alla paga giornaliera di un operaio. Si noti che il prezzo del grano qui enunziato è, a motivo della carestia, dodici volte maggiore del prezzo allora corrente in Sicilia (cfr. Cicerone, In Verrem, III, 81). L’orzo vale meno del grano ed è il cibo dei poveri. Ciò significa che la carestia è talmente grave che gli uomini riusciranno a malapena a non morir di fame. Infine Gesù invita il cavaliere che rappresenta la carestia a non sprecare o danneggiare troppo le cose necessarie per la vita: il grano e l’orzo e che non si attenti a quelle indispensabili: il vino e l’olio; di modo che anche nel castigo della carestia risplenda la misericordia divina. Gli Atti degli Apostoli (XI, 28) ci narrano di una carestia universale di grano, orzo, olio e vino nel I secolo sotto Claudio.
Si apre adesso il quarto sigillo “ecco un cavallo pallido/verdastro” (v. 7), il pallore è l’emblema della morte e del cadavere. Il Testo sacro precisa che si tratta proprio di essa: “colui che lo cavalcava ha come nome (o come natura) la morte”, ossia la personifica e l’incarna, ma per di più “le andava dietro l’inferno”, che qui in maniera specifica non è il luogo delle pene eterne dove si trovano i diavoli e gli uomini morti col peccato mortale, ma genericamente l’ade o il soggiorno dei morti, il quale inghiottisce tutti coloro che trapassano. Queste indicazioni generali non si riferiscono necessariamente ed esclusivamente alla fine del mondo, ma alle gravi tribolazioni che caratterizzano la vita degli uomini su questa terra. Ora alla morte “fu dato potere sopra la quarta parte della terra per uccidere con la spada (la guerra), con la fame (la carestia), con la mortalità (la peste) e con le belve” (v. 8). Non è ancora la fine del mondo, perché solo un quarto della terra viene messo a morte: Dio anche nel punire usa misericordia non distruggendo totalmente. Pure gli eletti dovranno subire queste calamità e sopportarle con grande fede e fiducia in Dio onnipotente (cfr. Mt., XXIV, 22 ss.).
L’apertura del quinto sigillo produce una visione totalmente inattesa e completamente diversa da quelle prodotte dall’apertura dei primi quattro sigilli. Si vede il cielo raffigurato a somiglianza del tempio di Gerusalemme, che era già stato distrutto (anno 70) da venticinque anni nel tempo in cui l’Apocalisse venne composta (anno 95).
“E avendo aperto il quinto sigillo, vidi sotto l’altare (nella cavità ove si raccoglieva il sangue degli animali sacrificati) le anime di quelli che erano stati uccisi per la parola di Dio” (v. 9). Il cielo è rappresentato come il tempio gerosolomitano con il suo altare degli olocausti. Qui si vuol indicare la visione dei martiri di questo mondo (sotto il cielo), sgozzati come l’Agnello per la fede in Cristo da loro professata e la cui morte è simile pure ad un sacrificio o un olocausto offerto sull’altare del tempio di Gerusalemme. Il tempio qui è, quindi, eminentemente spirituale e ci si è serviti dell’immagine del tempio materiale di Gerusalemme per dare una pallida idea del paradiso.
Questi martiri rappresentano i fedeli di tutte le epoche, che, seguendo Gesù odiato e ucciso dal mondo infedele, affrontano la morte per testimoniare Gesù vero Dio e vero uomo.
I martiri “gridavano dicendo: sino a quando Signore non vendichi il nostro sangue sopra coloro che abitano la terra?” (v. 10). Questa domanda non è ispirata da sentimenti di vendetta personale o di odio, ma dallo zelo per la giustizia e per l’annientamento dei nemici ostinati di Dio; essa è il grido irresistibile del sangue che grida al cielo ed esige riparazione: i martiri desiderano soprattutto che sia reso a ciascuno ciò che gli è dovuto: al tiranno il castigo e al martire la gloria del cielo, come il sangue di Abele domandava giustizia a Dio (Gen., IV, 10). Il “sino a quando?” ci rammenta il sonno apparente di Gesù durante la tempesta (Mt., VIII, 24) o di Dio (Sal., LXXX, 5), che ritarda il giudizio su questo mondo.
Ai martiri vien data subito una stola bianca, simbolo della gloria celeste e della visione beatifica. Inoltre “fu detto ad essi che si diano pace ancora per un poco sino a che sia compiuto il numero dei loro confratelli, i quali debbono essere trucidati come loro” (v. 11), ossia viene loro detto che debbono aspettare nella pace del Signore il compimento del martirio di tutti gli altri predestinati alla suprema testimonianza di Dio col proprio sangue e solo allora scoccherà l’ora del giudizio di Dio riguardo ai carnefici dei giusti. Il numero dei martiri come quello degli eletti in generale è stato fissato da Dio nei suoi decreti immutabili ed eterni; essi, che sono il “Corpo Mistico di Cristo” (Coloss., I, 24), debbono compiere coi loro patimenti ciò che “manca” alle sofferenze di Cristo e occupare i seggi del cielo che son stati lasciati vuoti dagli angeli apostatici.
Con la frase “ancora poco tempo” (v. 11) si afferma chiaramente che vi saranno ancora “per poco tempo” (circa due secoli) altre persecuzioni pagane contro i cristiani. È un tempo indeterminato, relativamente breve soprattutto in proporzione all’eterno premio futuro (Rom., VIII, 18).
Sant’Agostino scrive che Dio parla ai suoi santi come un padre di famiglia, il quale invita i figli, che tornano uno dopo l’altro a casa dal lavoro e chiedono da mangiare, di aspettare che arrivino pure i loro fratelli, anche se tutto è già pronto, affinché quando ci saranno tutti potranno mangiare assieme (Sermo XI, de Sanct.).
Il termine del capitolo VI inizia con l’apertura del sesto sigillo e si assiste allo sconvolgimento del cosmo che caratterizza il giorno del giudizio finale: “un gran terremoto e il sole diventò nero e la luna come sangue, le stelle del cielo caddero sulla terra” (vv. 12-13), “il cielo” viene figurato addirittura come un padiglione enorme che “si piega come un libro” (infatti i libri nel 95 venivano scritti su fogli di papiro o di carta-pecora, che potevano essere arrotolati o piegati). Infine “tutti i monti e le isole furono smosse dalla loro sede” (v. 14). Tutti gli uomini, re e servi, ricchi e poveri “si nascosero nelle spelonche e nei massi delle montagne” (v. 15) e chiesero alle montagne e ai massi di cadere sopra di loro e soprattutto implorarono: “nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello” (v. 16). Si noti l’apparente contraddizione tra “Agnello”, simbolo di misericordia, e “ira” per farci rimanere bene impresso, tramite un paradosso, che la giustizia accompagna sempre la misericordia. “Poiché è venuto il gran giorno dell’ira e chi potrà sussistere?” (v. 17), die irae dies illa… si iniquitates observaveris Domine, Domine quis sustinebit…Inoltre l’Agnello divino ora viene come il guerriero con la spada tagliente nella bocca (I, 16) a sterminare i nemici ostinati di Dio e della Sua Chiesa per poi riconsegnare il mondo restaurato al Padre (1 Cor., XV, 28). Tuttavia il giudizio finale non è imminente, anzi sarà preceduto da molti eventi poi descritti dall’Apostolo Giovanni.
Molte calamità anche presso i Profeti dell’Antico Testamento accompagnano il giorno di Jahweh. Sono fenomeni cosmici, da interpretarsi come descrizioni e simboli iperbolici, che esprimono le sciagure con cui Dio affermerà la sua giustizia sovrana. Dinanzi a tali spaventosi cataclismi gli uomini terrorizzati, sbigottiti e - in certi casi di empietà ostinata - disperati fuggono come per nascondersi dal cospetto di Dio (come fecero Adamo e Caino). Dal contesto si capisce che coloro i quali hanno vissuto bene saranno esenti dalla disperazione, ma non da un certo sbigottimento misto a spavento.
Viene qui descritto lo sconvolgimento generale del mondo intero. Anche nel Vangelo (Mt., XXIV, 24 ss.) Gesù ha parlato di questi sconvolgimenti universali come segni precursori della sua seconda venuta, oggetto di cui si occupa abbondantemente l’Apocalisse.
Capitolo VII (1-17)
Una grandiosa consolazione segue immediatamente la descrizione terrificante del panico universale prodotto all’apertura del sesto sigillo. I fedeli non parteciperanno alla disperazione dei malvagi. In particolare sono due le visioni (vv. 1-8; 9-17) che precedono l’apertura del settimo sigillo al capitolo VIII. In esse è descritta la calma e la gioia degli eletti in opposizione allo spavento degli empi e riprovati negli ultimi giorni, che precedono la fine del mondo.
Nella prima visione (vv. 1-8) San Giovanni ode il numero (simbolico e non matematico) degli eletti (v. 4) che si trovano ancora sulla terra e debbono essere marchiati con il sigillo di Dio per essere preservati dai castighi che colpiranno i malvagi. Invece nella seconda (vv. 9-17) vede la turba innumerevole degli eletti che già si trovano in cielo nella visione beatifica di Dio. Ecco, dunque, la risposta alla domanda della fine del capitolo VI: chi potrà sussistere al giorno del Giudizio? Solo gli eletti e non i riprovati.
La prima visione ci mostra quattro angeli ai quattro lati della terra che trattengono i quattro venti affinché non si abbattano sulla terra (v. 1); qui i venti impetuosi trattenuti, e per poco, solo dalla forza angelica sono il simbolo dei castighi con cui Dio si prepara a colpire il mondo per le sue scellerataggini.
Al v. 2 San Giovanni vide un altro angelo, il quale “aveva il sigillo di Dio”, che rappresenta lo stato di grazia santificante impresso in un certo modo figurato (come segno spirituale) da questo angelo nelle anime dei giusti, che così scamperanno alla collera divina[3]. Questo angelo gridò ad alta voce ai quattro angeli, che stavano per lasciare i quattro venti abbattersi sulla terra: “non fate del male alla terra sino a che io non abbia segnati nella loro fronte (anima) i servi fedeli del nostro Dio” (v. 3): i quattro spiriti celesti debbono attendere, prima di scatenare i venti sulla terra, che l’ultimo angelo abbia segnato i fedeli col sigillo di Dio (la grazia santificante) di modo che le calamità scatenate dai quattro angeli non nuocciano loro.
Poi l’Apostolo ode il numero degli eletti, segnati col sigillo divino, essi sono 144 mila, una cifra simbolica, risultante dalla moltiplicazione per mille di 12 eletti per ognuna delle 12 tribù d’Israele, da non prendersi strettamente alla lettera. Ma non si tratta solo del popolo d’Israele, oramai siamo, con San Giovanni, nella Nuova Alleanza e c’è l’Israele spirituale, ossia la Chiesa di Cristo composta di ebrei e di pagani.
Ecco la seconda visione (vv. 9-17) che riguarda i santi del cielo e non quelli della prima visione, i quali si trovano ancora su questa terra in mezzo alle persecuzioni e alle tribolazioni. I santi della seconda visione sono una “turba magna” (v. 9) che nessuno poteva contare con precisione, in opposizione ai 144 mila eletti della terra. I santi sono “di tutte le genti e le razze” e questo ci fa capire che siamo nell’economia della Nuova Alleanza. Essi adoravano l’Agnello assiso sul trono.
Ora un vegliardo spiega a San Giovanni chi sono questi santi del cielo: “sono quelli che son venuti dalla grande tribolazione” (v. 14). Questa persecuzione non è solo quella gravissima che scoppierà verso la fine del mondo sotto il regno dell’Anticristo (la bestia che sale dal mare), ma va intesa in un senso generale che comprende tutti i tempi (Tertulliano e Origene). La Chiesa è sempre perseguitata, negli ultimi tempi lo sarà ancor di più, ed ogni vero cristiano deve aspettarsi una parte più o meno larga di tribolazione. Costoro “hanno imbiancato le loro stole nel sangue dell’Agnello” (v. 14), ossia si son santificati ed hanno purificato la loro anima (stola) mediante i meriti di Gesù al quale si sono avvicinati con fede vivificata dalla carità. Si noti il contrasto apparente tra sangue e imbiancare. Infatti il sangue di Cristo non sporca, ma rende l’anima pura e bianca. “Perciò sono dinanzi al trono di Dio” (v. 15), ossia sono in cielo perché hanno sopportato la persecuzione e le prove della vita con pazienza ed hanno purificato le loro anime mediante le virtù e la grazia divina. Dio abiterà sopra di essi, cioè li proteggerà e li ammetterà nel suo regno celeste, “e non avranno più né fame né sete, né darà loro addosso il sole, né calore alcuno: poiché l’Agnello, che è nel mezzo del trono, li governerà e li guiderà alle fontane delle acque della vita e Dio asciugherà tutte le lacrime dai loro occhi” (v. 17). La cessazione di ogni dolore è contrapposta alla “grande tribolazione”. Il cielo è il luogo di ogni bene senza alcun male e perciò Dio asciugherà le lacrime che i cristiani hanno sparso su questa terra di modo che vivano eternamente senza tristezza e senza affanno.
Padre Sales commenta: “Le due visioni di questo capitolo sono destinate a consolare i fedeli in mezzo alle tribolazioni a cui si trovano esposti. Il pensiero del premio che li aspetta, se saranno perseveranti nel bene, non può fare a meno di infondere loro coraggio e renderli lieti anche in mezzo alle maggiori afflizioni” (capitolo VII, nota 17).
Capitolo VIII (1-13)
L’Agnello apre finalmente il settimo sigillo e in cielo si fa silenzio per quasi “mezz’ora” (v. 1): è il silenzio solenne di attesa ansiosa del venturo prossimo giorno del Signore; poi segue una visione preparatoria in cui San Giovanni vede sette angeli che ricevono ciascuno una tromba (per far intendere lontano l’annuncio degli avvenimenti contenuti nel libro). Le trombe evocano la potenza, la gloria e gli interventi sconvolgenti e costituiscono, perciò, un elemento potentemente evocatore del giudizio finale. Un altro angelo che offre a Dio dei profumi ed anche le orazioni dei santi, compie un gesto sacerdotale: porta le braci dall’altare degli olocausti sull’altare d’oro e poi i profumi bruciandoli col versarli sulle braci e il fumo ossia la preghiera dei santi sale a Dio. Queste preghiere dei santi ottengono il giudizio di Dio sul mondo che non ha accettato Gesù. Ecco perché dopo che le preghiere dei santi son giunte, tramite l’angelo, a Dio, il medesimo angelo ne esegue il giudizio e, infine, getta il fuoco sulla terra (vv. 2-6), in cui il fuoco simboleggia l’ira divina producente il castigo. Ne risulteranno tempeste, sconvolgimenti, grida, lampi e un terremoto.
Tutto il libro è stato aperto con la rottura del settimo sigillo. I disegni di Dio sulla sua Chiesa appaiono chiari ai santi del cielo, che in lungo silenzio adorano la saggezza dei decreti divini. Nelle visioni seguenti viene rivelato a San Giovanni ciò che sta scritto nel libro.
Il fuoco gettato sulla terra, come sopra accennato, simboleggia la giustizia divina che castiga gli empi collo scopo di convertirli o di punirli se resistono alla grazia; da questo fuoco gettato sulla terra “ne vennero tuoni, voci, folgori e un gran terremoto” (v. 5), i tuoni annunziano mali ancora maggiori, che stanno per abbattersi sulla terra e che vengono annunziati subito dal suono delle sette trombe.
Il primo angelo suonò la tromba e ne venne “grandine e fuoco mescolati con sangue e furono gettati sulla terra e la terza parte della terra fu arsa” (v. 7), la terza parte dei raccolti fu distrutta con una grande carestia conseguente e anche qui come al capitolo VI verso 6 il castigo di Dio viene temperato dalla misericordia e perciò è solo parziale: “un terzo” dei raccolti. Tuttavia il cumulo di tanti cataclismi esprime quanto sia terribile l’intervento del giudice divino.
Il secondo angelo suona la seconda tromba (v. 8) e “fu gettato nel mare quasi un grande monte ardente di fuoco e la terza parte del mare diventò sangue” (v. 9): dopo la terra ferma il castigo tocca al mare e la terza parte dei suoi animali e delle navi muore e perisce.
Il terzo angelo suona la tromba (v. 10) e dal cielo cade una grande stella (una meteora enorme), ardente come una fiaccola, nella terza parte dei fiumi e delle fonti. Il nome della stella è “assenzio” che indica qui un veleno mortale e quindi molti uomini ne muoiono, avendo l’assenzio (pianta dal sapore amarissimo considerata velenosa) avvelenate un terzo delle acque (v. 11).
Il quarto angelo suona la sua tromba (v. 12) e viene percossa la terza parte del sole, della luna e delle stelle producendo un’oscurità parziale ma permanente, connessa con l’imperversare della morte. A questo punto l’Apostolo ode la voce di un’aquila (che figura un angelo quale ministro dei castighi divini) che grida tre volte “Guai[4] agli abitanti della terra!”, ossia vengono annunciati con la quarta tromba gli ultimi tre castighi, proclamati dalle ultime tre trombe, che cadranno soprattutto sugli empi che vivono sulla terra e non sui veri fedeli di Gesù Cristo.
Capitolo IX (1-21)
La quinta, sesta e settima tromba annunziano castighi che toccheranno direttamente gli uomini, mentre le prime quattro trombe riguardavano i castighi della natura.
Il quinto angelo suona la tromba e una stella cade sopra la terra (v. 1). Secondo alcuni si tratta di un angelo buono inviato sulla terra ad eseguire i decreti divini; invece secondo molti altri autori questa stella rappresenta un angelo malvagio precipitato con Lucifero dal cielo nell’inferno e che scorrazza per il mondo a perdizione delle anime, perché gli viene data la “chiave del pozzo dell’abisso” (v. 2), che è l’inferno (cfr. Lc., VIII, 31) per poterlo aprire e farne uscire numerosi altri diavoli a vessare gli uomini, come castigo dei loro peccati. Sembrerebbe quasi che l’inferno, le cui pestilenziali schiere invadono la terra, stia per prevalere contro i fedeli e la Chiesa di Cristo, ma Gesù ha promesso che “le porte dell’inferno non prevarranno contro essa”.
Il “pozzo” è un corridoio angusto che collega l’abisso, ossia l’inferno, con la superficie della terra.
Papa Gregorio XVI nella sua Enciclica Mirari vos del 1832, in cui condanna il cattolicesimo liberale e gli errori della filosofia moderna o soggettivista, si chiede se, data la gravità della situazione dell’epoca caratterizzata dal culto dell’uomo, il suddetto versetto dell’Apocalisse sul “pozzo dell’abisso” non si riferisse ai suoi tempi…
Il diavolo (o l’angelo buono) apre il pozzo dell’abisso (v. 2) o il corridoio dell’inferno dal quale esce un gran fumo come quello di una grande fornace, che oscura il sole e l’aria. Inoltre dal fumo del pozzo uscirono delle locuste ad invadere la terra (v. 3). Le locuste sono il simbolo dei demoni liberati con l’apertura del pozzo, i quali tormenteranno atrocemente gli empi e proveranno la pazienza dei buoni; infatti le locuste sono una delle più terribili calamità in oriente. Per di più a queste locuste “fu dato un potere come lo hanno gli scorpioni e fu ordinato loro di non far male all’erba né ad alcuna pianta, ma solo agli uomini, che non hanno il segno di Dio sulla loro fronte” (v. 4), ossia agli infedeli e agli empi che non hanno la grazia di Dio.
Tuttavia “fu dato loro il potere non di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi e il loro tormento era come il tormento che dà lo scorpione quando morde un uomo” (v. 5). Cinque mesi sono il tempo ordinario della vita delle cavallette. Questi tormenti saranno talmente atroci che gli uomini “cercheranno la morte, ma non la troveranno; brameranno di morire, ma la morte fuggirà da loro” (v. 6).
Nel versetti 7-11 si descrivono le locuste in modo da far capire che non si tratta di semplici animali. Infatti esse sono simili a cavalli preparati per la battaglia, i loro volti simili al volto dell’uomo (v. 7), i capelli simili a quelli delle donne, i denti voraci e aguzzi come quelli del leone (v. 9), sono munite come di corazze di ferro ed hanno le code simili a quelle degli scorpioni, munite di pungiglioni (v. 10).
Il loro capo era “l’angelo dell’abisso, chiamato lo sterminatore” (v. 11). Satana è l’angelo dell’abisso; quindi è pacifico che queste cavallette sono spiriti maligni e non semplici locuste.
Il sesto angelo suona la sesta tromba (v. 13) e gli viene detto di sciogliere i quattro angeli legati presso il fiume Eufrate, i quali sono atti a raggiungere l’universo intero (quattro è un numero cosmico e indica i quattro punti cardinali, ossia tutto il mondo) e preparati ad uccidere la terza parte dell’umanità per l’ora, il giorno, il mese e l’anno stabiliti (vv. 14-15). Alcuni autori ritengono che i quattro angeli siccome son legati siano angeli perversi o diavoli, altri invece reputano siano angeli buoni, che vengono legati solo perché son impediti di nuocere e non devono infliggere castighi all’umanità sino al momento determinato da Dio con estrema precisione: l’anno, il mese, il giorno e l’ora; come pure è determinata da Dio l’ora della morte di ogni uomo.
Poi (v. 16) l’Apostolo vede un enorme esercito demoniaco a cavallo composto da duecento milioni (“ventimila per diecimila”) di cavalieri, il quale solo per il numero ci fa capire la gravità del castigo che si avvicina. Quindi descrive i cavalli e i cavalieri (v. 17), che hanno un valore allegorico. I colori che avvolgono le corazze dei cavalieri sono il fuoco, lo giacinto (viola cupo) e lo zolfo; le teste dei cavalli sono simili a quelle dei leoni e dalla loro bocca escono tre materie corrispondenti ai tre colori, ossia il fuoco, il fumo (viola cupo) e lo zolfo. Essi son cavalieri demoniaci, molto più nocivi delle cavallette, cui rassomigliano per le loro code simili a scorpioni, perché non solo tormentano ma uccidono anche.
Se questa strage colpisce solo coloro che non portano il sigillo di Dio, benché tale precisazione non sia qui ripetuta, anche i discepoli di Cristo subiscono le conseguenze di questi terribili flagelli, ma dal dolore sopportato con pazienza traggono occasione di purificazione e di avvicinamento a Dio.
Ora da queste tre piaghe: fuoco, fumo e zolfo (v. 18), che uscivano dalle bocche dei cavalli, fu uccisa la terza parte dell’umanità: “Poiché il potere dei cavalli sta nelle loro bocche e nelle loro code. Infatti le loro code sono simili a serpenti ed hanno teste con le quali recano nocumento” (v. 19). Il potere di nuocere che hanno questi cavalli annunzia una terribile guerra, che porterà stragi in tutto il mondo e precederà il regno dell’Anticristo finale.
Gli uomini che non furono uccisi da questi flagelli non vollero far penitenza della demonolatria, dell’idolatria, dei loro omicidi, delle loro fornicazioni e furti (v. 20). Mistero del libero arbitrio umano che si ostina nel male anche quando Dio gli usa ancora misericordia. Lo scopo di questa calamità è soprattutto medicinale: punendo Dio vuol portare i superstiti al ravvedimento e a ristabilire il primato del bene che era stato rovesciato nel mondo. Purtroppo, come sopra accennato, nemmeno i non colpiti da questi flagelli cessano di peccare e la loro volontà permane opposta a quella divina.
Padre Sales commenta: “Verso il tempo dell’Anticristo si avrà una recrudescenza di idolatria nel mondo e l’Anticristo muoverà, poi, guerra feroce a tutti i culti per essere adorato egli solo quale Dio (cfr. II Tess., II, 4; Dan., II, 36)” (nota 21, capitolo IX).
Capitolo X (1-11)
Tra lo squillo della sesta e della settima tromba vi è un’interruzione. L’Apostolo inserisce col capitolo X due visioni (X, 1-11; X, 12-13) che servono come preparazione al suono della settima tromba (XI, 14 ss.).
Nella prima visione (v. 1-11) un angelo dà all’Apostolo un libro che deve mangiare. Il libricino è diverso da quello sigillato sette volte (v. cap. VI); in esso son contenute le rivelazioni che vengono annunziate al versetto 4 sui sette tuoni, i quali simboleggiano la potente voce di Dio, che annunzia quel che accadrà ai nemici di Cristo e della Sua Chiesa.
Si tratta di un “angelo forte”, che per alcuni autori è Gesù stesso per altri S. Gabriele arcangelo “potenza di Dio”. I suoi piedi son come colonne di fuoco poste sulla terra e sul mare (v. 2), la voce come un ruggito di leone (v. 3). Da ciò si evince che questa profezia ha un valore assai minaccioso e tremendo: Gesù è venuto a far giustizia sui peccatori impenitenti e nulla può sfuggirgli né sulla terra ferma né sul mare. L’angelo forte domina, perciò, il mondo intero, dal quale sbucheranno tra poco le due bestie del mare e della terra.
Una volta che l’angelo forte ha gridato come se emettesse un ruggito (v. 3) i sette tuoni fecero sentire la loro voce. Giovanni stava per scrivere anche il contenuto di queste sette rivelazioni del libricino, ma una voce dal cielo gli disse: “Sigilla quel che hanno detto i sette tuoni e non lo scrivere” (v. 4), ossia tieni dentro te stesso e nel tuo cuore ciò che ha detto la voce di Dio mediante i sette tuoni. In breve Dio non vuole che San Giovanni manifesti alla Chiesa il contenuto terrificante di queste sette rivelazioni.
Il libricino è un breve rotolo non sigillato, ma aperto, così da poter essere letto senza difficoltà, anche se solo da San Giovanni (A. Romeo).
L’angelo forte alzò la mano al cielo (v. 5), unendo, così, tramite i suoi piedi e la sua mano cielo, terra e mare, come in segno di giuramento e al tempo stesso per richiamare l’attenzione. Quindi l’angelo “giurò che non vi sarà più tempo” (v. 6) per far penitenza poiché ora è tempo di giustizia e dunque il castigo non sarà differito ma eseguito immediatamente.
Infatti (v. 7) quando il settimo angelo suonerà la sua tromba e si svelerà il settimo segreto sarà “compiuto il mistero di Dio”, ossia saranno realizzati tutti i suoi disegni relativi allo stabilimento del suo regno ancora imperfetto sulla terra (Chiesa militante) e perfetto in cielo (Chiesa trionfante). La settima tromba simboleggia, quindi, l’inizio del giudizio universale: “tuba mirum spargens sonum”. E qui, questo misterioso piano divino racchiude, insieme alla fondazione del nuovo popolo santo di Dio che è la Chiesa di Cristo, l’abbattimento degli infedeli (A. Romeo).
Giovanni viene interpellato una seconda volta dalla “voce del cielo” (v. 8), la quale gli dice di prendere il libricino che sta nella mano dell’angelo forte.
Mentre il libro chiuso con sette sigilli racchiude tutti i destini del mondo decretati dal Signore onnipotente, questo libricino contiene solo la descrizione del giudizio divino di condanna per gli empi e di salvezza per i giusti.
Allora Giovanni va dall’angelo e lo prega di dargli il libricino (v. 9) e l’angelo gli dice: “Prendilo e divoralo, amareggerà il tuo ventre ma nella tua bocca sarà dolce come il miele”, ossia l’Apostolo deve ricevere dentro di sé, nel suo stomaco dopo aver ben masticato colla sua bocca, il contenuto delle rivelazioni del libro, che deve essere ben assimilato. Il contenuto è miele nella bocca poiché in parte rivela la gloria degli eletti, che manifesta la misericordia divina; ma è pure amaro come il fiele in quanto svela i mali che piomberanno sui malvagi impenitenti. Questi mali profetizzatigli devono restare dentro il suo ventre e non essere annunziati dalla bocca, talmente son terrificanti.
Giovanni obbedisce, mangia il libro, il suo ventre ne è amareggiato e la sua bocca deliziata (v. 10).
Il mistero di Dio viene assimilato da San Giovanni, che, dopo aver ben compresa la parola di Dio, sperimenta, prima, la dolcezza delle promesse divine di salvezza eterna, ma poi come tutti gli apostoli del Signore soffre intensamente per l’incorrispondenza di molti al dono di Dio.
Quindi l’angelo forte (v. 11) dice a Giovanni: “è necessario che tu riceva altre rivelazioni e metta per iscritto queste nuove profezie relative all’avvenire di molti popoli”. Infatti a partire da qui le profezie hanno un carattere più universale. Giovanni, dunque, viene esplicitamente nominato profeta dall’angelo forte e dalla voce celeste le quali gli dicono che bisogna assolutamente annunziare o profetizzare il giudizio divino di salvezza per i giusti e di condanna per i malvagi.
Il capitolo XI[5], XII[6] e XIII[7] li abbiamo già commentati [leggi qui]. Rinvio quindi il lettore a rivederli eventualmente.
d. Curzio Nitoglia
(continua)
I migliori auguri di una santa Pasqua di resurrezione
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1. In questa breve e sintetica serie intitolata “Il succo dell’Apocalisse” ometto di commentare i capitoli XI, XII, XIII, XIX e XX che ho già trattato in maniera più approfondita su questo stesso sito.
2. Queste visioni danno inizio all’esposizione delle vicende del regno di Dio, il quale ha per principio e fine il cielo mentre si attua imperfettamente già su questa terra nella lotta tra il bene e il male, la Chiesa e la contro-chiesa, Cristo e l’Anticristo.
3. Anche gli adoratori della Bestia (il diavolo) portano in fronte o sulla mano destra il sigillo di essa (Ap., XIII, 16; XIV, 9; XX, 4). Si noti che già nell’Antico Testamento furono segnate con il sangue dell’agnello pasquale, simbolo di Cristo crocifisso, le case degli israeliti che scamparono così alla vendetta dell’angelo sterminatore abbattutasi sugli egiziani (Es., XII, 7).
4. “Guai!” è un grido di lamento e di minaccia connesso col giorno del Signore, ossia il giudizio finale ed è frequente nelle maledizioni dei profeti scagliate contro i pagani ed anche contro gli apostati d’Israele.
5. Nel capitolo XI appaiono Enoch ed Elia i due testimoni che combatteranno l’Anticristo, saranno uccisi da lui, ma risuscitati da Gesù (vv. 3-13). Poi suona la settima tromba che annunzia lo stabilimento del regno di Dio e il giudizio universale (vv. 14-21).
6. Nel capitolo XII si assiste alla lotta tra la donna (Maria SS. e la Chiesa) contro il dragone rosso (il diavolo), che è stato sconfitto da San Michele e precipitato all’inferno donde tenta i fedeli di Maria e Gesù su questa terra (vv. 1-18).
7. Nel capitolo XIII appare la bestia che sale dal mare (l’Anticristo finale) e si erge direttamente contro Dio (vv. 1-10), poi sopraggiunge la bestia che sale dalla terra (vv. 11-12): i falsi profeti, gli eresiarchi e il potere temporale che si rivolta contro Dio e la sua Chiesa per mettersi al servizio dell’Anticristo e del dragone rosso (il diavolo). La bestia della terra costringe gli uomini che non hanno una fede forte e una carità ardente ad adorare l’Anticristo come se fosse Dio, mentre perseguita crudelmente quelli che non si arrendono (vv. 13-17). Al v. 18 è svelato il numero (666) della bestia.
Con la prossima puntata (la terza) riprenderemo il breve commento all’Apocalisse a partire dal capitolo XIV
Per capire il significato del primo cavaliere dell'Apocalisse bisogna osservarlo insieme al Cavaliere verace e fedele che appare in Ap.19,11-15. Qui Gesù Cristo appare come veramente Egli è con la corona d'oro che gli appartiene come Re dei Re ( e nessuno gli da una corona...)
RispondiEliminaMentre nel primo cavaliere è scritto :"...gli fu data una corona.." Nell'antica Roma si dava una corona di alloro al vincitore nell'arena .
In passato sono molti i Padri ed i santi della chiesa che seppur riconoscendo le "apparenze divine" come l'abito bianco, etc....non si sono mai espressi apertamente nel senso di scrivere che non c'era alcun dubbio che il primo cavaliere simboleggiasse il Signore . Quando ci sono dubbi allora bisogna fare attenzione e non lasc iarsi ingannare dalle apparenze.
Sebastiano,