IL SUCCO DELL’APOCALISSE
È giunta l’ora del giudizio di Dio su Babilonia, personificata in una regina-meretrice in cui si condensa la potenza del male (vv. 1-10).
Uno dei sette angeli che hanno le sette ampolle si rivolge a San Giovanni e gli dice: “Vieni, ti farò vedere la condanna della gran meretrice che siede sopra molte acque” (v. 1), ossia il veggente-profeta di Patmos assisterà ora all’esecuzione del giudizio di condanna emesso da Dio contro Babilonia, che è definita spregiativamente “gran meretrice” non solo in senso carnale (per i suoi peccati di lussuria), ma anche in senso religioso e spirituale (per la sua fornicazione idolatrica).
Babilonia sarà distrutta (cap. XVIII) e il Verbo incarnato risulterà il vincitore, che si erge sui cadaveri dei suoi nemici (cap. XIX).
Come già detto sopra, Babilonia incarna la massa degli empi di tutti i tempi e di tutti i luoghi, la città terrestre o di satana, che si erge contro la città di Dio (S. Agostino, De Civ. Dei). La città di satana di volta in volta si concretizza nelle varie capitali degli imperi anticristiani (la Gerusalemme deicida, la Roma pagana ebbra del sangue dei cristiani, le megalopoli contemporanee sede delle sette occulte, dei governi massonici e atei, che cospirano contro la Chiesa e la perseguitano apertamente…).
Gli autori reputano comunemente che Babilonia non rappresenti la singola città della Mesopotamia sorta sulle acque del fiume Eufrate, ma sostengono che essa è il simbolo della massa dei reprobi riunita nella contro-chiesa. Le acque sono anche il simbolo dell’incostanza, dell’irruenza e del ribollir delle passioni dei popoli. Perciò la festa che si fa in cielo per la caduta di Babilonia conviene molto meglio allo sterminio generale degli empi alla fine del mondo che alla caduta di una sola città (padre Marco Sales, nota 1, cap. XVII). Inoltre la meretrice siede sopra sette monti e sette re (vv. 9-10), l’ultimo dei quali è l’Anticristo. Quindi la distruzione di Babilonia è simbolicamente legata alla disfatta dell’Anticristo finale verso la fine del mondo.
Certamente è vero che essa “siede sopra molte acque” e Babilonia sorgeva sopra l’Eufrate, ma ogni grande città o capitale ha il suo grande fiume. Oltre a ciò secondo gli esegeti le acque sono il simbolo dei popoli sempre in rivolta, mutevoli e frenetici sui quali “la gran meretrice” o la città di satana estende il suo dominio, spingendoli all’apostasia e al vizio e tenendoli per schiavi.
Babilonia è definita “meretrice” in contrapposizione alla “Donna” del capitolo XII, che rappresenta la Chiesa (sposa senza macchia di Cristo) e Maria Immacolata. Ora, se la Chiesa è la congregazione dei fedeli, Babilonia è la contro-chiesa o la conventicola dei malvagi infedeli che odiano Cristo.
In breve Babilonia o la città di satana è l’antitesi della città sposa dell’Agnello, la Chiesa o città di Dio. In questo passo dell’Apocalisse si ricevono, perciò, tramite un angelo, le rivelazioni divine sulle due città antagoniste che lotteranno incessantemente sino alla fine del mondo. La Genesi ci parla dei figli della donna (Maria/Chiesa) e dei figli del serpente (mondani/contro-chiesa); S. Agostino della Città di Dio e di quella di satana; S. Ignazio da Loyola dello stendardo di Cristo e di quello di Lucifero; S. Luigi Maria Grignion de Montfort del partito di Maria e di quello del mondo.
Con la gran meretrice “hanno fornicato i re della terra” (v. 2), vale a dire che i grandi di questo mondo si son lasciati trascinare all’idolatria e all’infedeltà con i conseguenti disordini morali da Babilonia o dalla città del diavolo in lotta perpetua con la città di Dio. Inoltre “gli abitanti della terra si son ubriacati col vino della fornicazione (di Babilonia)”, cioè la maggior parte degli uomini spinta dalla città di satana si è abbandonata ad ogni vizio.
L’angelo conduce San Giovanni “in spirito”, ossia in visione profetica, “nel deserto” (v. 3), per indicare in quale stato sarà ridotta la città empia che combatte contro Cristo e i suoi Santi. Inoltre la parola “deserto” vuol farci capire che la città di satana o terrena è un deserto totalmente privo di vita spirituale e soprannaturale, simboleggiate dall’acqua.
Quindi Giovanni vede “una donna seduta sopra una bestia di colore cocco-scarlatto” (v. 3); la bestia[1] è quella che sale dal mare il che si ricollega alle “molte acque” su cui sorge Babilonia, ossia è l’Anticristo aiutato dal potere politico (la bestia che sale dalla terra); la donna è “piena di nomi di bestemmia” (v. 3), perché l’attività principale dell’Anticristo è il bestemmiare Dio e il voler usurparne il posto. Quindi la donna seduta sulla bestia (v. 3) è tutto il contrario della donna del capitolo XII (la Chiesa di Cristo e Maria SS.), ossia è la contro-chiesa che odia Maria come il serpente infernale, suo caporione, che insidia il suo tallone (Gen., III, 15). Il “colore cocco-scarlatto” è il rosso e indica il carattere sanguinario dell’Anticristo. Si noti che il rosso è anche il colore del dragone ossia del diavolo (cfr. capitolo XII, verso 3).
Anche la donna è vestita “di porpora e cocco” (v. 4), ossia essa ha i tratti di una regina (che si ammanta di porpora) ma è crudele come il diavolo e l’Anticristo. Inoltre la donna ostenta “oro e pietre preziose” (v. 4), cioè è vestita come una regina, con gran sfoggio di ricchezza e di eleganza, ed ha “in mano un bicchiere d’oro pieno di abominazione e della sporcizia della sua fornicazione”: essa non solo è ricca, ma è anche immersa nei piaceri sensuali e idolatrici e fa bere le sue immondezze a tutti i popoli che le sono soggetti. Si noti la contrapposizione tra il calice che è di “oro”, ma è ripieno di “abominazioni” e di “impurità”.
Sulla fronte della donna è «scritto il nome: “Mistero”: “Babilonia la grande”, la madre delle fornicazioni e delle abominazioni della terra»[2] (v. 5). Il nome della donna, che essa porta scritto in fronte, è “Mistero”, ossia qualcosa di non conoscibile naturalmente in opposizione a “nome” che indica una natura o persona con chiarezza; questo nome cioè non è il suo vero nome, ma è un mistero o un simbolo razionalmente inintelligibile. Questo nome misterioso è “Babilonia la grande, la madre delle prostituzioni e delle abominazioni della terra” e qui ancor di più si scorge che Babilonia va interpretata in senso simbolico quale città di satana e degli empi, maestra dei disordini e delle perversioni. Infatti come Sion o la Gerusalemme celeste è madre degli eletti, così Babilonia è la madre dei reprobi.
L’Apostolo vede pure che la donna è “ebbra del sangue dei santi e dei martiri di Gesù” (v. 6), vale a dire che l’odio dei tiranni i quali governano questo mondo ostile a Dio (Babilonia) è talmente feroce che la donna (ossia la città di satana) è assetata del sangue dei fedeli a tal punto da essere come ubriaca. San Giovanni rimane “sorpreso e ricolmo di gran meraviglia” (v. 6) al solo vedere l’odio insondabile che anima Babilonia, in ciò vera figlia della bestia che sale dal mare cioè dell’Anticristo.
I versi 7-18 son reputati i più oscuri e di difficile interpretazione di tutta l’Apocalisse. Quindi anche dopo averli commentati rimane qualche oscurità. Vediamoli.
“L’angelo mi disse: Perché ti meravigli? Io ti dirò il mistero della donna e della bestia che la porta, la quale ha sette teste e dieci corna” (v. 7), ossia ti svelerò il significato simbolico della donna (Babilonia) e della bestia (l’Anticristo) sulla quale siede la donna. Nel versetto 5 la parola “mistero” era applicata al nome “Babilonia”, qui invece è simbolo relativo alla coorte intera della donna (la città di satana) e della bestia (l’Anticristo) sopra la quale è seduta la donna. Qui la meretrice (Babilonia o la città di satana) e la bestia (l’Anticristo) sono intimamente associate come cavaliere e cavallo. L’angelo parla prima della bestia e poi della donna meretrice, che è quasi un accidente della fiera ed un suo strumento per perdere le anime: la fiera è l’elemento essenziale e il principio satanico da cui procedono le male azioni della donna e gli eventi funesti da queste prodotti.
“La bestia che hai veduto fu e non è[3], e salirà dall’abisso, e andrà in perdizione: e gli abitanti della terra, i nomi dei quali non sono scritti nel libro della vita, resteranno ammirati vedendo la bestia che era e non è ” (v. 8). La “bestia” è l’Anticristo; essa “fu” viva e presente nei suoi ministri, ossia negli anticristi iniziali, che sono i vari capi delle false religioni e dei poteri politici ostili a Dio e a Cristo, ma “non è” più poiché tutti costoro son passati come ogni creatura di quaggiù ed inoltre andrà alla “perdizione” eterna del fuoco dell’inferno.
Sappiamo infatti che con l’Incarnazione del Verbo il dragone rosso ossia il diavolo, che è il “principe di questo mondo” (Gv., XII, 31), è stato incatenato e non ha potuto fare tutto il male che avrebbe voluto fare. Ma verso la fine del mondo apparirà l’Anticristo finale e l’impero di satana o del dragone rosso riprenderà tutta la sua forza persecutrice e tenterà l’ultimo assalto contro Dio stesso, portando dietro a sé la maggior parte degli uomini, che “non sono scritti nel libro della vita”, ossia non entreranno nel Regno dei Cieli. Tuttavia il suo trionfo durerà solo tre anni e mezzo (“un tempo, due tempi e mezzo tempo”; “42 mesi”; “1260” giorni) poiché Gesù lo ucciderà col soffio della sua bocca (Ap., XIX, 20 ss.).
L’Anticristo, come spiega il profeta di Patmos nel versetto 8, “salirà dall’abisso”, cioè dal mare (come inviato dall’inferno e dal dragone rosso) e ciò ci fa capire quanto intimamente sia legato al diavolo l’Anticristo finale e come riceva tutto il suo potere da satana stesso, di cui sarà il principale strumento. Infine, però, “andrà in perdizione”. Il veggente di Patmos stabilisce una sorta di analogia tra la parusia di Cristo alla fine del mondo e quella dell’Anticristo verso la fine del mondo e predice una “parusia” dell’uomo del peccato, che è l’Anticristo. Allora i reprobi, ossia coloro “i cui nomi non son scritti nel libro della vita”, di fronte alla venuta e alla sconfitta del loro caporione “resteranno meravigliati” vedendo la “bestia che era e non è più”, anche se “riapparirà” (v. 8), dopo la sua pseudo-resurrezione dalla ferita apparentemente mortale: l’Anticristo che dominava il mondo con gran potenza, alla fine cessa subitaneamente di esistere, ucciso realmente dal soffio della bocca di Cristo.
“Le sette teste sono sette monti sopra dei quali siede la donna e sono sette re” (v. 9), ora la donna siede non più sulla bestia ma sulle sue teste che sono sette monti, i quali simboleggiano per alcuni Padri (S. Ireneo, Adv. Haer., V, 26; S. Girolamo, In Isaiam, XXIV, 7) i sette colli di Roma e quindi il paganesimo persecutore dei cristiani; invece per altri (Andrea da Cesarea, San Beda il venerabile) i sette imperi che si son succeduti nel corso dei secoli da quello egiziano sino a quello romano ed infine all’ultimo, ossia quello dell’Anticristo finale (passando per quello assiro-babilonese, caldeo, persiano e greco) e che con il loro paganesimo e politeismo hanno sostenuto la donna o Babilonia. Padre Sales (nota 9, cap. XVII) commenta che, pur se si allude a Roma o alle altre capitali degli imperi su citati, essi sono il simbolo della capitale del regno dell’Anticristo finale (la Gerusalemme deicida per alcuni o la Roma cristiana caduta nella grande apostasia per altri). Vi è dunque un’equivalenza tra monti e re o regni. Ora i monti che sorreggono la prostituta simboleggiano le potenze terrestri e politiche, promotrici della rivolta e della sovversione contro la legittima autorità e in ultima analisi contro Dio dal quale discende ogni autorità agli uomini. Infatti nel linguaggio biblico il monte è sinonimo di superbia, la valle di umiltà e i monti sono i principali ostacoli alla conversione degli uomini, perché “Dio dà la sua grazia agli umili”.
I “sette re” simboleggiano i capi degli imperi anticristiani e oppressori dei fedeli di Dio. “Cinque (regni/re) son caduti, l’uno è (ancora) e l’altro non è ancora venuto” (v. 10). I prime cinque regni vanno dall’Egitto alla Grecia e son finiti, il sesto è quello romano che nel 95 sotto l’imperatore Domiziano era nel pieno delle sue forze e perseguitava allora la Chiesa (San Giovanni era stato esiliato nell’isola di Patmos per ordine dell’imperatore romano), il settimo non è ancora venuto, infatti è quello dell’Anticristo finale, che prenderà forma verso la fine del mondo e “venuto che sia deve durar poco tempo”, ossia solo tre anni e mezzo (cfr. XI, 2; XIII, 5).
“E la bestia, che era e non è (più) è l’ottavo ed è di quei sette regni, e va in perdizione” (v. 11), ossia il settimo impero è la personificazione del dominio della città terrestre avversa alla città di Dio poiché si identifica con la bestia che sale dal mare; l’ottavo impero (otto in simbologia è il perfezionamento e il rafforzamento del sette), pur essendo il culmine dei sette regni, è pur sempre uno dei sette, anche se spunta qui all’improvviso e inatteso. Quindi il settenario primitivo viene mantenuto e non contraddetto dall’ottavo monte. Ma esso “va in perdizione” conformemente al v. 10 “venuto che sia deve durare poco tempo”, chiara allusione al tema costante dell’Apocalisse: lotte incessanti tra bene e male, ma vittoria finale di Cristo. Insomma le “sette teste” sono il simbolo della pienezza (il numero sette) del potere della città terrena o di satana, che, nonostante le divergenze tra i malvagi, costituisce un unico corpo: la contro-chiesa, prevaricatrice e tiranneggiante sino alla parusia di Gesù, il quale distruggerà il regno dell’Anticristo proprio quando “l’uomo del peccato” sembrava aver prevalso. “La fiera è l’aspetto satanico dell’Anticristo, di cui le sette teste sono le sporgenze o i poteri umani e politici; ciò spiega il paradosso dell’ottavo re, che è la stessa bestia in tutte le sue fasi anti-divine: passato, presente e futuro ed è anche vero uomo: uno dei sette re” (A. Romeo).
“Le dieci corna sono dieci re i quali non hanno ancora ricevuto il regno, ma riceveranno la potestà per un’ora con la bestia” (v. 12); questi dieci re e regni non sono figurati da teste come al versetto 7, ma da dieci corna (colà annunziate e qui riprese) poiché la loro potenza è meno forte delle sette teste, ossia dei grandi imperi precedenti. Alcuni ritengono che sono regni formatisi a partire dalla scomparsa dell’impero romano, formanti i vari reami che succederanno all’impero di Roma. Essi al momento della visione di San Giovanni “non hanno ancora ricevuto il regno (il potere)”, perché nel 95 sussisteva ancora l’impero romano antico e questi regni sarebbero venuti dopo la sua caduta ed avrebbero governato “per un’ora”, vale a dire per un tempo relativamente breve, “con la bestia”; si tratta quindi dello stesso potere infernale della bestia di cui sono strumenti. Questi regni diverranno come i sette imperi precedenti precursori del regno dell’Anticristo a causa del loro odio contro Dio. Ma mentre la bestia esercita il potere per tre anni e mezzo i dieci re lo eserciteranno solo per “un’ora” poiché partecipano in grado molto inferiore al potere dell’Anticristo.
“Costoro hanno un medesimo parere” (v. 13), ossia sono animati dallo stesso sentimento di ostilità contro Dio e la sua Chiesa. Infatti “porranno la loro potestà in mano alla bestia”, cioè si metteranno totalmente al servizio dell’Anticristo preparandogli la via.
“Costoro combatteranno l’Agnello, ma l’Agnello li vincerà”, l’Apostolo riprende il tema annunziato nel capitolo XVI versetto 14 dell’unione dei malvagi per sferrare l’attacco finale contro Gesù, ma proprio perché riunitisi in un sol luogo e nel medesimo tempo l’Agnello li annienterà tutti. Questa è la guerra dei re di tutta la terra (dieci re) radunati in Armagedon (XVI, 12 ss.). Tuttavia il motivo principale della vittoria dell’Agnello è che “Egli è il Signore dei signori, il Re dei re” (v. 14). In realtà è solo l’Agnello che vince, mentre senza di lui anche i suoi santi vengono travolti e martirizzati, e questo versetto esplicita il dogma espresso nel Vangelo giovanneo della indispensabilità della grazia e dell’aiuto di Cristo: “sine Me nihil potestis facere” (Gv., XV, 5).
L’angelo precisa alcuni aspetti dello schieramento anticristico che sarà debellato da Gesù e dice a San Giovanni: “Le acque che hai visto, dove siede la meretrice, sono i popoli e genti e lingue” (v. 15), ossia la donna che siede sopra la bestia (v. 3) e sopra i sette monti (v. 9) siede anche sopra molte acque, che simboleggiano i popoli e le nazioni di diverse lingue (le quali nazioni sono fluttuanti e mutevoli come l’acqua) e su di esse la bestia (l’Anticristo) estende il suo potere.
Inoltre l’angelo rivela all’Apostolo che “Le dieci corna che hai visto alla bestia, odieranno la meretrice e la renderanno deserta e nuda mangeranno le sue carni, e la bruceranno col fuoco”, vale a dire queste potenze della bestia (le dieci corna) formatesi sulle rovine dell’impero romano, dopo aver servito di sostegno alla meretrice, l’abbandoneranno e la lasceranno nell’ignominia e infine la distruggeranno col fuoco. In breve queste dieci corna combatteranno la città di satana e la rovineranno per un certo tempo, mettendola a ferro e a fuoco. L’Apostolo descrive qui la fine miseranda che farà ogni super-potenza mondiale (Babilonia, la città di satana) per opera degli stessi caporioni e popoli che avrà soggiogati; queste potenze parziali (nazionali) e momentanee (dieci corna) nel loro coalizzarsi e combattersi contribuiscono al crollo del potere universale e mondiale che le accomuna ma nello stesso tempo è odiato da esse. In questo modo i re e i regni parziali (nazionali), pur se animati da spirito anti-divino, sono inconsciamente strumenti della divina Provvidenza: Dio li muove ad eseguire malgrado loro il suo disegno e non quello della bestia di cui son fedeli.
“Poiché Dio ha posto loro in cuore di fare quel che a Lui è piaciuto” (v. 17), vale a dire nei suoi decreti misteriosi Dio ha disposto che i dieci regni (“corna”) si unissero contro “la gran meretrice” o città di satana e la sbaragliassero per un certo tempo. Tuttavia, aggiunge l’Angelo, Dio ha anche stabilito “di dare il loro regno alla bestia sino a che le parole di Dio siano compiute” (v. 17), cioè il Signore ha pure permesso che questi dieci regni cadessero nella grande apostasia e che fossero a loro volta vinti dalla bestia ossia dall’Anticristo finale, ma solo sino a che siano compiute le parole o i decreti di Dio con la distruzione definitiva di tutte le potenze nemiche compreso l’Anticristo stesso e con l’instaurazione perfetta del Regno di Cristo in Paradiso dopo il giudizio universale e la fine del mondo. In breve è sempre per divina disposizione che questi dieci re cedono la loro regalità alla bestia in modo che il suo potere sia davvero universale e quasi onnicomprensivo. Tuttavia ciò durerà solo sino a che saranno compiuti i misteriosi disegni della divina Provvidenza ed allora Babilonia, la grande meretrice, sarà distrutta dallo stesso potere satanico su cui poggia e che serve, anche non volendolo, la Volontà divina. Infatti tutti gli intrighi del diavolo alla fine si risolvono contro di lui e compiono il piano di Dio al quale nessun essere creato può sottrarsi.
Quindi l’Apostolo conclude il XVII capitolo asserendo: “la donna che hai vista è la grande città, che ha il potere sopra i re di questa terra” (v. 18). Egli riafferma, così, che la donna o “la gran meretrice” simboleggia Babilonia, la grande città o la città di satana, e che essa è un governo talmente esteso da essere quasi universale governando la maggior parte degli uomini e delle nazioni.
d. Curzio Nitoglia
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1. Cfr. capitolo XIII versetto 1: “Vidi salire dal mare una bestia, che aveva sette teste e dieci corna… e sopra le sue teste nomi di bestemmia”.
2. Analogamente il marchio della bestia è impresso sulla fronte o sulla mano dei mondani o seguaci dell’Anticristo.
3. Si noti il contrasto tra “Colui che è ed era” (I, 4), ossia l’Essere per essenza (Jahweh), il quale non può non essere, mentre la bestia “era e non è” (XVII, 11), vale a dire non solo è ente per partecipazione ed è causato dall’Essere per essenza e può benissimo non esistere, ma inoltre - pur se la fiera supera una prima volta la morte, quasi risuscitando per un prodigio diabolico, suscitando l’ammirazione delle grandi masse (XIII, 3) - anche la bestia ha i suoi alti e bassi come ogni creatura; Dio no, Egli è “immotus in se permanens”. Per cui si dice “stat beata Trinitas dum volvitur orbis”, Dio e il suo Unto sono “viventi per i secoli dei secoli”. Cristo è morto, ma è risorto, invece la bestia era il principe di questo mondo e lo dominava, ma poi è morta come tutti gli enti creati e “non è più”.
A dire il vero, verranno anche le tempeste, ma chi ama sinceramente l'Immacolata passerà incolume, non macchiato dal peccato, attraverso tutte le burrasche, comprese le più pericolose. SK 750
RispondiEliminaSan Massimiliano Maria Kolbe
Come se non bastassero i tanti peccati accumulati fin'ora ! L'Italia viene esortata ad aumentarne :
RispondiEliminahttp://www.riscossacristiana.it/diktat-europeo-allitalia-migliorate-i-servizi-abortivi-e-le-pecore-belano-obbedienti-di-elisabetta-frezza/