Il perno del suo Pontificato: la creazione della figura del “Papa emerito”
È appena uscito (settembre 2016) un interessante libro/intervista a cura dello scrittore e giornalista tedesco Peter Seewald (Milano, Corriere della Sera/RCS) intitolato Benedetto XVI. Ultime conversazioni.
Benedetto XVI risponde chiaramente e concisamente alle domande del giornalista. Quindi,leggendo questo libro,ci si può formare un’immagine più chiara della personalità e del pensiero filosofico/teologico del giovane teologo don Joseph Ratzinger, del maturo cardinale Prefetto della Congregazione Per la Dottrina della Fede e del Papa, che non solo ha dato le dimissioni dal S. Soglio nel 2013, ma ha inventato la figura del “Papa emerito”. Mi sembra, come evidenzia il Seewald stesso, che questa sia la chiave di volta, il perno, il fulcro o il cardine del Pontificato di Benedetto XVI, il quale proprio per questo motivo passerà alla storia come il “primo Papa emerito”. Questo, piaccia o no è un fatto esistente, constatato e quindi innegabile: “contra factum non valet argumentum/ contro il fatto non vale il ragionamento”, anche se la valutazione di quest’atto dal punto di vista della Tradizione apostolica, della teologia tradizionale e della storia ecclesiastica non può che essere negativa. Infatti è un fatto
- che sino al 2013 non è mai esistito nessun “Papa emerito” e
- che tale figura non era contemplata né dal diritto né dalla teologia della Chiesa.
Ora il Papa è una figura istituita da Gesù, come successore di Pietro in quanto Vicario di Cristo in terra sino alla fine del mondo. Il Papa è il Capo e il Fondamento della Chiesa, che è Cristo continuato nella storia. Pio XI era solito dire: “Chi tocca il Papa muore”. Non mi sembra, a partire da quanto detto e scritto da Ratzinger nel libro/intervista in questione, che sia possibile scusare Benedetto XVI di aver voluto toccare e ritoccare la natura del Papato e la funzione del Papa. Ma la parola definitiva spetta a Dio, che lascia fare e non strafare. Ora di fronte ad un atto così grave, nella sua essenza e nelle sue conseguenze, solo l’Onnipotenza divina può porvi rimedio, o convertendo il Pontefice “scellerato” o togliendolo dalla faccia della terra, come insegna S. Tommaso d’Aquino: “Il cattivo prelato può essere corretto dall’inferiore che ricorre al superiore denunciandolo, e, se non ha un superiore ricorra a Dio affinché lo corregga o lo tolga dalla faccia della terra” (IV Sent., dist. 19, q. 2, a. 2, qcl. 3, ad 2).
Innanzitutto Peter Seewald nella sua Introduzione mette bene in luce come il giovane don Ratzinger, appena 35nne,“educato al pensiero progressista dei migliori teologi del suo tempo” (Benedetto XVI. Ultime conversazioni, cit., p. 11) è stato elogiato da Giovanni XXIII poiché “nessuno, eccetto questo ‘teenager della teologia’, ha saputo esprimere meglio le intenzioni che hanno spinto il Papa [Roncalli, ndr] a indire il Concilio Vaticano II” (ivi). Quindi Ratzinger non solo sin da giovane ha colto molto bene lo spirito del Concilio come “apertura con cui la Chiesa entra nell’età moderna” (ivi), ma ha partecipato in prima fila con “i suoi impulsi ad imprimere al Vaticano II” quest’apertura alla modernità[1] e, si badi bene, non all’uomo contemporaneo al quale ci si doveva necessariamente rivolgere nel 1962: egli voleva e vuole tuttora l’apertura alla filosofia moderna, che si basa sul primato del soggetto sulla realtà,per conciliarla con la dottrina cattolica. Ora S. Pio X ha insegnato che la natura del modernismo, “collettore di tutte le eresie” (Pascendi, 1907), è lo spurio connubio tra pensiero il moderno soggettivista e la dottrina cattolica, che viene relativizzata ed erosa soggettivisticamente dalla filosofia idealistica di Kant ed Hegel.
Ratzinger è sempre stato una “figura scomoda” (ivi), difficile da inquadrare, data la sua propensione ricercata e voluta a conciliare gli opposti estremismi[2] anche a costo di scandalizzare e provocare, certe volte, pure i modernisti di marcia accelerata, come Küng, Rahner, Boff, Metz. Egli è un modernista di marcia lenta, ma molto acuto, che sa occultare le conclusioni estreme di alcuni suoi atti e pensieri, espressi pacatamente. In questo è più pericoloso di papa Bergoglio, che esprime apertissimamente il suo super-modernismo radicale e che suscita reazioni certe volte anche esagerate come quella di accusarlo di eresia formale e manifesta e, quindi, di dichiararlo deposto ipso facto da Cristo.
Certamente Ratzinger incarna meglio la figura del modernista classico, condannato da S. Pio X nei primi del Novecento con l’Enciclica Pascendi (8 settembre 1907), come colui che vuol erodere e trasformare occultamente la Chiesa dal suo interno, senza esplicitare la sua perversa intenzione. Invece Francesco I, anche data l’ultima tappa che sta percorrendo il modernismo da Giovanni XXIII sino ad oggi, rappresenta il neo-modernista, condannato da Pio XII nella seconda metà del Novecento con l’Enciclica Humani generis (12 agosto 1950), che può permettersi di non occultare più nulla, poiché le reazioni anti-moderniste sono oramai dopo circa 60 anni quasi del tutto scomparse. Siamo arrivati all’atto finale della folle corsa modernista (“motus in fine velocior”), che si prefigge di cambiare la natura del Papato e della Chiesa. Umanamente parlando la sua battaglia sembrerebbe vinta, ma soprannaturalmente parlando la sua guerra è perduta poiché Cristo ha solennemente promesso che “Le porte degli Inferi non prevarranno” contro la Sua Chiesa (Mt., XVI, 18).
Seewald mette bene in chiaro che Benedetto XVI non è un Papa conservatore, come alcuni vogliono immaginarselo quasi per esorcizzare il “fenomeno Bergoglio”, che sembra un incubo da cui si vuol uscire anche sognando una situazione leggermente meno angosciante e opprimente quale sarebbe il Pontificato di Ratzinger.
Tuttavia bisogna fare i conti con la realtà e non con i sogni ad occhi aperti. Infatti Benedetto XVI:“dopo Giovanni Paolo II è il secondo Papa a parlare in una moschea; è il primo a partecipare ad una funzione religiosa protestante. […]. Nomina un protestante presidente della Pontificia accademia delle scienze; porta un musulmano a insegnare alla Gregoriana” (cit., p. 13).
Il caso Williamson: uno dei momenti più difficili del suo Pontificato
Uno dei momenti più difficili del suo Pontificato è stato il “caso Williamson”. Infatti “si ritiene ancora oggi che revocando la scomunica al vescovo Richard Williamson della Fraternità San Pio X il Papa avrebbe riaccolto nella Chiesa cattolica un negazionista dell’olocausto. Effettivamente questa notizia, nel gennaio del 2009, produsse una svolta nella percezione dell’opinione pubblica, che sino ad allora aveva espresso un giudizio estremamente positivo sul lavoro del Papa” (p. 14). Il libro in esame torna sul “caso Williamson” a pagina 22, 210 e 222. In effetti questo caso ha significato qualcosa di veramente decisivo nell’ambiente ecclesiale, sia progressista che tradizionalista. È stato una “pietra d’inciampo”. Il fatto singolare è quello che a condannare mons. Williamson è stato in primis il superiore generale della Fraternità San Pio X, seguìto dalla sua grande “maggioranza silenziosa”, il quale ha aderito alla vulgata sterminazionista ed ha preteso l’adesione al dogma della “Holocaustica Religio” da mons. Williamson, che ha avuto la disgrazia di aver chiesto solo delle prove di un piano sistematico di distruzione dell’ebraismo europeo tramite camere a gas e forni crematori per potervi aderire e siccome non gli son state date non ha potuto prestare un “ragionevole ossequio” a ciò che non è ragionevolmente provato. Quindi mons. Richard Williamson - paradossalmente, ma non troppo dati i tempi che corrono - è stato assolto dal Tribunale penale di Norimberga in Germania, ma è stato condannato dai modernisti post-conciliari (cosa del tutto normale dopo 50 anni di giudaizzazione dell’ambiente ecclesiale a partire da Nostra aetate, 28 ottobre 1965). Tuttavia ciò che impressiona e fa capire quanto il virus modernista di omologazione del pensiero cattolico al mondo moderno sia profondo è il fatto che mons. Williamson è stato espulso dalla Fraternità San Pio X nata per combattere il modernismo e che invece ha sposato la causa di coloro che hanno contribuito ad elaborare la “nuova teologia” giudaizzante del Vaticano II mediante “Nostra aetate” (Paolo VI, 1965), la “Antica Alleanza mai revocata” (Giovanni Paolo II, 1981) e gli “Ebrei fratelli maggiori dei cristiani nella fede di Abramo” (Giovanni Paolo II, 1986).
Il tema del rapporto tra mondo ebraico e cristiano quello che sta più a cuore a Ratzinger
Seewald spiega che “il tema del rapporto tra il mondo ebraico e quello cristiano è tra quelli che stanno più a cuore a Ratzinger. Senza di lui, affermò Israel Singer, segretario generale del Congresso ebraico mondiale dal 2001 al 20017, non sarebbe stata possibile la determinante svolta storica nei rapporti bimillenari tra Chiesa cattolica ed ebraismo. Rapporti che, riassume Maram Stern, vicepresidente del Congresso ebraico mondiale, sotto il Pontificato di Benedetto XVI sono stati i migliori di sempre” (p. 15). Quindi, impossibile ma vero, in fatto di giudaizzazione dell’ambiente ecclesiale e cattolico Ratzinger sorpassa lo stesso Woytjla (Singer et Stern dixerut).
Dopo l’Introduzione al libro/intervista Seewald inizia con le domande e chiede a Benedetto XVI: «C’è stato un momento in cui ha pregato Dio: “Toglimi di qui, non ce la faccio più, non ne ho più voglia?”» e Ratzinger afferma: “Così no. Non in questi termini. Ho pregato il buon Dio, pensando per esempio al caso Williamson, di strapparmi da quella situazione e aiutarmi. Questo sì” (p. 22). Ed ancora alla domanda: “Il caso Williamson si può considerare una svolta nel suo Pontificato?”, risponde: “Ci fu naturalmente un’enorme propaganda denigratoria nei miei confronti. La gente che era contro di me ebbe il pretesto per dire che ero inadatto [….]. Quindi fu un momento cupo e un periodo molto pesante” (p. 211). Verso la fine del libro/intervista Benedetto XVI conclude: “Non riesco a vedermi come un fallito. Per otto anni ho svolto il mio servizio. Ci sono stati momenti difficili, basti pensare allo scandalo della pedofilia e al caso Williamson” (p. 222). Forse è un “lapsus calami” (oggi vanno di moda), ma mi sembra che sia molto poco elegante accostare due casi completamente “diversi”.
La figura del Papa emerito: un cambiamento radicale del ministero petrino
Peter Seewald chiude la sua Introduzione al libro/intervista con queste parole: “Lo storico gesto delle sue dimissioni ha cambiato radicalmente il ministero petrino, restituendogli la dimensione spirituale delle origini. […]. Visto così, l’ultimo Papa di un’epoca di decadenza ha costruito un ponte per l’avvento del nuovo. Una volta portato a termine il suo compito ha rimesso il suo incarico” (p. 17). La frase è inquietante, poiché sa di millenarismo gioachimita (secondo il quale all’èra veterotestamentaria del Padre sarebbe successa quella neotestamentaria del Figlio e poi la terza èra dello Spirito Santo, guidata non più dalla gerarchia sacerdotale, ma da una élite tradizionale spirituale e profetica) perché vi si parla
- di un cambiamento radicale del ministero papale;
- di un ultimo Papa di un’era decadente, che fa da ponte al nuovo Papa dell’era nuova;
- questi due passaggi son visti come il compito di Benedetto XVI, svolto il quale,egli ha potuto dimettersi avendo compiuta la sua missione.
Seewald domanda: “Veniamo alla decisione che già di per sé fa apparire storico il suo Pontificato. Con le sue dimissioni […], con quest’atto rivoluzionario lei ha cambiato il Papato come nessun altro Pontefice dell’epoca moderna. L’istituzione è diventata più moderna, in un certo senso più umana, più vicina alla sua origine petrina” (p. 31). In breve: non con le dimissioni dal Sommo Pontificato, che son contemplate dal CIC e si sono verificate circa quattro volte nel corso della storia della Chiesa e quindi non possono essere lette come “rivoluzionarie”, ma con la creazione della figura del “Papa emerito”, inesistente de jure e de facto nella teologia, nel diritto e nella storia ecclesiastica, Benedetto XVI ha compiuto un atto storico, unico e veramente rivoluzionario. Egli “ha cambiato radicalmente il Papato”, ma il Papato è di istituzione divina e nessun Papa può cambiarlo radicalmente. Infatti, se il Pontefice romano non ha un’autorità umana al di sopra di sé, egli tuttavia è limitato dal diritto divino, ossia da ciò che Gesù ha istituito fondando la Sua Chiesa e non può cambiarlo, sotto pena di commettere un grave abuso del potere datogli da Dio per conservare e tramandare inalterato il Depositum fidei e non per cambiarlo. Ora il Seewald afferma che Benedetto XVI “ha cambiato il Papato”, nel senso di averlo reso “più moderno, più umano e più vicino alla sua origine petrina”. Innanzitutto balza agli occhi l’evidente e stridente contraddizione tra il “più moderno” e il “più vicino alla sua origine petrina” risalente a 2000 anni fa. Poi si afferma che tale gesto ha reso il Papato una istituzione più “umana”, mentre esso è di divina istituzione e di natura che confina con la divinità poiché il Papa è il Vicario di Cristo vero Dio e vero Uomo. Perciò Seewald afferma candidamente che Ratzinger ha cambiato il concetto, la natura e la funzione del Papa e da Vicario di Cristo lo ha reso, abusivamente e contraddicendo la divina volontà e la pratica bimillenaria della Chiesa universale, una semplice istituzione umana. Il che è abominevole. “Che l’uomo non sciolga ciò che Dio ha unito” (Mt., XIX, 6). Tale versetto del Vangelo si applica direttamente al Matrimonio, ma si può applicare analogicamente al Papato in cui Dio ha unito una persona umana (Pietro e i suoi successori) ad una funzione rappresentativamente divina, ossia ad essere il Vicario o il Rappresentante in terra di Cristo (asceso in Cielo) sino alla fine del mondo; ad essere il Fondamento su cui poggia la Chiesa di Cristo e il Capo visibile di Essa, che è il “Corpo Mistico di Cristo” (S. Paolo, Coloss., I, 18-24; Efes., I, 23 e Pio XII, Enciclica, Mystici Corporis Christi, 1943). Se il Capo è divino anche il Corpo lo è quanto alla sua causa efficiente (Dio/Cristo) e finale (il Paradiso) e quanto ai mezzi di cui la Chiesa è stata dotata da Cristo per la salus animarum, suprema Ecclesiae lex (Sacramenti, Magistero infallibilmente assistito da Dio a quattro specifiche condizioni e il Governo delle anime in ordine alla loro salute eterna e soprannaturale). Infine il fatto di avere reso l’istituzione del Papato più vicino alla sua origine petrina lascia più che perplessi. Infatti significherebbe che per centinaia e centinaia di anni la Chiesa si è allontanata dall’istituzione del Papato quale Dio l’ha voluta e fondata nella persona storica di Pietro. Ora ciò è impossibile perché, se così fosse, le porte degli Inferi avrebbero prevalso contro la Chiesa, che sarebbe stata “vacante” per secoli interi e solo con Benedetto XVI,“Papa emerito”, avrebbe ritrovato le sue vere origini e la sua vera natura.
Tuttavia l’asserto di Seewald ci fa capire come la marcia del modernismo, che a partire da papa Roncalli (1958) ha iniziato l’occupazione del vertice umano della Chiesa di Cristo, sia statacondotta ora con un moto più veloce e apertamente innovatore (Paolo VI, Francesco I) ora con un moto apparentemente più conservatore e realmente più lento (Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI). Infatti Ratzinger, con l’istituzione de facto del “Papato emerito”, ha svolto il ruolo di colui che ha posto le basi per far spiccare a Francesco I l’ultimo balzo in avanti verso la trasformazione radicale della Chiesa (“si fieri potest”): il “Papato emerito” de jure. È ora “che Dio ci metta le mani e i piedi”, come era solito dire don Francesco Putti, perché umanamente non si può nulla contro l’occupazione del vertice della Chiesa da parte dei nemici di Cristo: “Prima Sedes a nemine judicatur”.
Benedetto XVI non corregge l’asserzione di Seewald, ma, facendo una distinzione tra la “funzione” e la “missione” del Papa, aggiunge una precisazione importante.
Secondo Benedetto XVI
- la “funzione” papale significa governare in atto la Chiesa universale ossia consiste nel potere di giurisdizione del Papa, svolgendo l’incarico, l’ufficio o il compito di Papa, tenendo “sotto controllo l’intera situazione” della Chiesa universale (p. 35); tale funzione può essere abbandonata tramite le dimissioni, se il Papa non ha più la capacità di fare tutto ciò. Invece
- la “missione”, ossia la vocazione e l’elezione del Papa, è simile al fatto di essere padre fisico, il quale è sempre padre e anche se, psicologicamente e moralmente, non riesce più a fare il padre egli resta ed è padre fisico per sempre, pur abbandonando le “responsabilità concrete”, ossia la “funzione” di padre morale (p. 38).
Poi Benedetto XVI aggiunge che il “Papa emerito” è una figura simile a quella del “Vescovo emerito”, la quale prima del 1966 non esisteva (ivi). Egli ammette che con tale innovazione (del “Vescovo emerito”, introdotta da Paolo VI nel 1966 e con quella del “Papa emerito”, introdotta da lui nel 2013) il “funzionalismo”[3] (p. 39) ha conquistato l’istituzione papale e fa il paragone con l’Episcopato emerito, dicendo che “anche i Vescovi si son trovati di fronte ad un passo simile. Prima [del 1966] nemmeno il Vescovo poteva lasciare il posto e molti di loro dicevano io sono il ‘padre’ e tale rimango per sempre. Non si può smettere di esserlo, significherebbe conferire un profilo funzionale e secolare[4] al ministero, e trasformare il Vescovo in un funzionario come un altro” (ivi).Quindi Ratzinger non ripudia la domanda/obiezione di Seewald, che giustamente aveva detto: “Qualcuno ha sollevato l’obiezione che le sue dimissioni abbiano secolarizzato il Papato. Adesso non sarebbe più un ministero senza eguali, ma un incarico come un altro” (p. 38).
Benedetto XVI dà, quindi, una breve dimostrazione della natura delle riforma dell’Episcopato/Papato emerito. Infatti egli distingue
- da un lato il Vescovo, che ha una missione sacramentale (missio, da mittere = inviare, il Vescovo è il successore degli Apostoli ed è inviato dal Padre a continuare la loro opera evangelizzatrice), ossia il potere dell’Ordine sacro, che è eternamente indelebile;
- dall’altro lato il Vescovo che deve esplicare il compito o la funzione inerente alla sua carica; ora, mentre il carattere dell’Ordine sacro (missione) resta per l’eternità, la giurisdizione che il Vescovo esercita governando la sua Diocesi (funzione) può cessare per malattia invalidante (e questo era pacifico anche prima del 1966, ma con Paolo VI deve cessare e il Vescovo deve andare in pensione diventando “Vescovo emerito” raggiunti i 75 anni di età poiché a tale età il Vescovo non sarebbe più in grado di governare la sua Diocesi.
Ora il buon senso, la pratica bimillenaria della Chiesa, la sacra teologia e il diritto ecclesiastico e naturale smentiscono questo principio sofistico, anzi tessono l’elogio della sapienza ed esperienza che si acquistano con la vecchiaia). Analogamente, continua Benedetto XVI, il Papa “che non è un superuomo” (p. 39),… come Gesù non è Nietzsche viene spontaneo da aggiungere…, ha non un Ordine sacro, ma una missione divina come Cristo la dette a Pietro e quindi tale missione o chiamata e investitura da parte di Cristo resta per sempre, però l’esercizio (funzione) di questa missione, ossia il potere di giurisdizione sulla Chiesa universale, non solo può cessare per malattia invalidante (come si riteneva già prima del 2013), ma non può durare in eterno ossia… il Papa deve andare in pensione come i Vescovi (attenzione! Ratzinger non lo dice esplicitamente, tuttavia questa conclusione è contenuta nelle premesse del suo ragionamento). Però, se il Papa si dimette, mantiene la “responsabilità che ha assunto” (ivi) il giorno della sua elezione canonica (missione), ma “in un senso interiore e non nella funzione” o nel potere di governare la Chiesa (ivi). In breve il “Papa emerito” resta interiormente chiamato (vocatus) e inviato (missus) da Dio, ma cessa di esercitare la sua carica (funzione) o potere di giurisdizione.
Dimissioni libere e non sotto ricatto
Benedetto XVI è chiarissimo nell’affermare che tale scelta egli l’ha fatta liberamente e non in séguito a pressioni, ricatti, minacce ricevute, come si vorrebbe sperare per uscire dall’incubo dell’attuale Papa (Francesco I). Anzi Benedetto XVI dice che ha dato le dimissioni solo dopo aver chiarito ogni cosa riguardo lo scandalo “Vatileaks”. Infatti “Uno non può dimettersi quando le cose non sono a posto, ma può farlo solo quando tutto è tranquillo” (p. 38). Egli ha avuto un calo di forze nell’estate del 2012 e ha previsto che non avrebbe potuto governare la Chiesa con efficienza, così ha scelto di dare le dimissioni. Se si fosse limitato a dare le dimissioni non ci sarebbe stato nulla da obiettare, ma ha creato la nuova istituzione, che rischia di divenire stabile, del “Papa emerito”, la quale scardina sempre più il concetto di Episcopato monarchico papale, di Episcopato subordinato al Pontefice romano ed accentua quello di Collegialità episcopale.
Poi Benedetto XVI tesse l’elogio di Francesco I non in quanto Papa ma quanto al suo stile, alla sua cordialità, al suo parlare al cuore della gente, al suo decisionismo, al suo saper parlare con Dio e con gli uomini (pp. 42-43), addirittura afferma che “c’è una nuova freschezza in seno alla Chiesa, una nuova allegria, un nuovo carisma” (p. 47) E, dulcis in fundo, dichiara: “Mi chiedo quanto potrà andare avanti” (p. 45), lasciando intendere che la figura del “Papa emerito” oramai de facto è già un’istituzione stabile, anche se non ancora de jure.
Conclusione: “parvus error in principio fit magnus in fine”
La figura del “Papa emerito” è la logica conclusione della teoria della Collegialità episcopale, che diminuisce la dottrina del Primato petrino o dell’Episcopato monarchico del Papa e dell’Episcopato subordinato dei Vescovi a quello del Papa. Questa nuova dottrina della Collegialità episcopale fu sostenuta al Concilio Vaticano II (particolarmente durante i dibattiti del 1963) specialmente dal giovane teologo Joseph Ratzinger, che, divenuto Benedetto XVI, ha inventato (esattamente cinquanta anni dopo nel 2103) la figura del “Papa emerito” portando a termine la rivoluzione della Collegialità episcopale.
La Collegialità episcopale e Joseph Ratzinger
La dottrina della Collegialità episcopale è stata innovata ufficialmente anche se pastoralmente e non dogmaticamente il 21 novembre 1964 dalla Costituzione su “La Chiesa” del Concilio Vaticano II Lumen gentium, n. 22.
Essa attribuisce al Corpo dei Vescovi, del quale il singolo entra a far parte con la sola consacrazione episcopale, un potere e una responsabilità stabile sulla Chiesa intera e non solo sulla sua propria singola diocesi; perciò fu ritenuta da vari Cardinali e Vescovi «recante detrimento al potere primaziale del Papa ed essi contestavano che avesse solide basi nella S. Scrittura» (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia-Roma, Morcelliana-Herder, 1978, p. 240).
Questa dottrina di un duplice soggetto del supremo e totale potere di magistero e impero nella Chiesa (e quindi di un duplice Capo della Chiesa) era già stata condannata da papa Clemente VI (29 settembre 1325) nella Lettera Super quibusdam ad Mekhithar patriarca degli Armeni (DS 1050-1065, De primatu Romanae Sedis).
È stata tacciata di favorire l’eresia da numerosi e valentissimi Cardinali, Vescovi (Ottaviani, Siri, Parente, Staffa, Carli) e da famosi teologi (Lattanzi, Piolanti) durante il Concilio Vaticano II e nel post-concilio sino ai recenti studi di mons. Brunero Gherardini (Cfr. “Divinitas”, n. 2/2011, p. 188 ss.)[5]. Per quanto riguarda l’ecclesiologia conciliare di Lumen gentium, non ostante la “Nota esplicativa previa”, mons. Gherardini osserva che «Dottrina della Chiesa è quanto la sua Tradizione, dagli Apostoli sino ad oggi, presenta e propone come tale: la collegialità non ne fa parte»[6].
Tra i progressisti il card. Franz König fu uno dei paladini principali della Collegialità episcopale ed era coadiuvato dal suo giovane teologo don Joseph Ratzinger.
Giustamente San Tommaso d’Aquino diceva: “parvus error in principio fit magnus in fine”. Dall’innovazione della “Collegialità episcopale” si è arrivati oggi al “Papa emerito”. Ci si domanda: sino a quando i modernisti abuseranno della Pazienza di Dio? Exurge Domine!
d. Curzio Nitoglia
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1. Egli continua: “Non volevo muovermi nell’ambito di una filosofia stantia, già bell’e pronta e etichettata, ma […] soprattutto volevo conoscere la filosofia moderna. In questo senso ero moderno e critico” (p. 81) ed ancora: “Eravamo progressisti. Volevamo rinnovare la teologia e con essa la Chiesa, rendendola più viva. […], volevo uscire dal tomismo classico […] e non potevo prescindere dal dialogo con le nuove filosofie” (p. 83 e 84).
Ora padre Gabriele Roschini scrive: «l’età moderna, iniziatasi con l’umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’io, che il Medio Evo aveva mortificato in omaggio a Dio. Per riconquistare quest’io, mortificato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’io dall’autorità religiosa. Venne Cartesio e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’io dalla filosofia tradizionale, ossia dalla filosofia perenne che è l’unica vera; emancipazione filosofica poi agli ultimi termini da Kant, da Hegel, ecc… Venne Rousseau e con i suoi princìpi sociali rivoluzionari segnò l’emancipazione dell’io dall’autorità civile. Questa continua, progressiva emancipazione dell’io è poi culminata nella divinizzazione dell'io medesimo e nella conseguente umanizzazione, o meglio, distruzione di Dio. Si è avuta così l’uccisione nicciana di Dio in omaggio all’io. Dio è luce, amore, letizia, ha cantato il Poeta: “luce intellettual, piena d’amore; / amore di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogni dolzore” (Paradiso, XXX, 40-42). Tolto di mezzo Dio, si son tolti di mezzo la luce, l’amore e la letizia; e si è avuto tutto l’opposto, vale a dire: tenebre, odio, tristezza. Si è avuto, così, l’uomo finito, ossia un cadavere ambulante, cui quadra a pennello l’epitaffio che aveva preparato il Papini per se stesso, prima che fosse risollevato dalla fede di Cristo: “L’ascensione metafisica di me stesso è fallita. Sono una cosa e non un uomo. Toccatemi! Sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. Qui è sotterrato un uomo che non poté diventare Dio”. La conquista si è mutata in disfatta».
2. Alla domanda di Seewald se è stato un Papa riformatore e conservatore, egli risponde: “Bisogna sempre fare l’uno e l’altro. Bisogna rinnovare, e io ho cercato di portare avanti la Chiesa sulla base di una interpretazione moderna della fede. Nello stesso tempo c’è bisogno di continuità” (p. 222).
3. Funzionale etimologicamente significa relativo alle funzioni esercitate da una persona e qui dal Papa, che deve adempiere ai suoi compiti o funzioni (N. Zingarelli). Ora dando un risalto principale alle funzioni esplicitate dal Pontefice romano, cioè alle attività connesse alla carica di Papa, il Papato viene automaticamente diminuito al livello di una funzione umana e il Papa è abbassato al livello di un funzionario puramente umano (che deve soprattutto esplicare le funzioni della sua carica) e dal livello di una istituzione divina e di una persona umana, ma vicaria di Dio qual è il Papa “Vicarius Christi”, Capo della Chiesa e suo Fondamento, tolto il quale Essa crollerebbe. Si capisce quindi l’enorme portata dell’innovazione prima dell’ “Episcopato emerito” e poi del “Papato emerito”.
4. Secolarizzare etimologicamente significa mondanizzare in contrapposizione a ciò che è spirituale e divino (N. Zingarelli).
5. Cfr. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Tradidiquod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010;Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Quaecumquedixerovobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.
6. Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011, p. 101.
Ma perché Benedetto insiste nell'accettare interviste che immancabilmente contengono domande sulle sue dimissioni? E perché Benedetto risponde sempre che le sue dimissioni non sono frutto di costrizione, pressioni e quant'altro ma libera volontà e autonoma scelta? E perché Benedetto paragona l'episcopato, che è sacramento, al papato che sacramento non è? Un vescovo è tale in forza del sacramento, dunque tale resta anche da "emerito", ben inteso emerito di una diocesi, ma sempre vescovo in forza del sacramento dell'ordine; ma un papa che decidesse di lasciare "emerito" di che sarebbe? Il papato non è sacramento. E comunque che è un assurdo lo dimostra il fatto che i precedenti casi di papi dimissionari o dimissionati tornano ad essere quello che erano prima. Un esempio il papa è vescovo di Roma. Ma può essere eletto papa perfino un laico o comunque un semplice prete, che però dovrà ricevere a breve tempo l'Ordime Sacro nella sua pienezza. Ma se venisse eletto un non vescovo e questi accettasse immediatamente la carica sarebbe papa a tutti gli effetti, ma ancora non vescovo di Roma! E se questi nel frattempo decidesse di dimettersi senza esser consacrato vescovo per svariate ragioni, emerito di che sarebbe? Papa emerito ma non vescovo emerito? Bah!
RispondiEliminaLeggo questa "recensione" del libro di Benedetto XVI sapendo che don Curzio Nitoglia, come sacerdote indipendente , fa parte della "resistenza" il gruppo di sacerdoti che ha fatto scissione con la FSSPX (http://www.unavox.it/CartinaResistenza.html), egli è dunque una sorta di antenna italiana di quel gruppo e vicino a mons. Williamson, non sono sorpresa dunque da quel che leggo, solo il contrario avrebbe potuto sorprendermi, malgrado ciô resto basita che egli possa e osi scrivere che:
RispondiElimina"da mons. Williamson, che ha avuto la disgrazia di aver chiesto solo delle prove di un piano sistematico di distruzione dell’ebraismo europeo tramite camere a gas e forni crematori per potervi aderire e siccome non gli son state date non ha potuto prestare un “ragionevole ossequio” a ciò che non è ragionevolmente provato",
non ci sono prove?
Il "non ci sono prove" si riferisce alla entità del fenomeno, cioè al numero delle vittime dell'orrenda strage, che orrenda resta a prescindere dalla quantità, che nessuno storico ha mai confermato. È la quantità sulla quale alcuni storici non ritengono ci siano prove inconfutabili. Aderire all'una o all'altra corrente storica non implica essere antisemiti (come pure affermare che si tratta di due fedi diverse non significa essere antisemiti). Se proprio gli si volesse dare un'etichetta lo si potrebbe definire "riduzionista" non "negazionista".
RispondiEliminaInfatti mons. Williamson non è un "negazionista", cioè non ha mai negato lo sterminio degli ebrei. Ha consultato fonti storiche che ne ridimensionano il numero. Dunque si è pronunciato su un dato storico. Non altro. Ma tanto basta ai "benpensanti" per approfittarne e demonizzare la persona.
Sul resto delle sue posizioni non approfondisco, perché i miei riferimenti sono altrove. Ma per amore di verità resta fermo quel che ho scritto sopra.
In ogni caso la vicinanza tra don Curzio e mons. Williamson non cambia di un'acca l'attendibilità delle affermazioni di don Curzio, che non vengono sempre prese come oro colato, ma che vanno criticate argomentando su quel che dice e non riferendosi ad altro.
Mi dispiace Maria ma la vicinanaza di don Nitoglia con mons. Williamson e i resistenti usciti dalla FSSPX colora la sua analisi critica e non penso essermi riferita ad altro quando regisco a quel che dice su Williamson e le prove che non ci sarebbero, anche difendere una posizione sedicente "riduzionista" è per me un`assurdità, ma è solo la mia opinione, su qusto punto dunque non siamo d`accordo.
RispondiEliminaPer il resto che cosa dovrei commentare, quel che don Nitoglia pensa e scrive su Benedetto XVI, modernista, eretico e chi più ne ha più ne metta, mi è arciconosciuto, la sua è una requistoria tutta a carico, la sentenza è senza possibilità di appello, e anch`io mi domando perchè Benedetto XVI ha accettato quell`intervista consapevole come è dell`uso che poteva essere fatto non solo delle sue parole ma anche di quelle di Seewald, del resto le interpretazioni di quest`ultimo come quando scrive che “Lo storico gesto delle sue dimissioni ha cambiato radicalmente il ministero petrino, restituendogli la dimensione spirituale delle origini. […]." mi convincono cha la pubblicazione del libro risponde ad una sorte di mandato, in effetti quelle note dovevano servire a redigere una biografia da pubblicare post mortem.
Luisa,
RispondiEliminaIl fatto che l'intervistatore in molte sue affermazioni riporti la vulgata corrente non dimostra che il gesto e la mancata motivazione canonistica e teologica della figura del Papa emerito non siano sulla stessa lunghezza d'onda.
Purtroppo la mancanza di dati oggettivanti attribuibile anche al successore avvalora, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l'applicazione della famosa "Tradizione vivente" storicista centrata sul soggetto Chiesa (e quindi mutevole nel tempo) e non sull'oggetto Rivelazione.
È questo il punto di svolta "rivoluzionario" (cambiamento di paradigma con implicazioni nefaste) del quale non si riesce a venire a capo...
E il nodo da sciogliere è proprio l'attribuzione al papato della sacramentalità che non gli è propria.
si afferma che tale gesto ha reso il Papato una istituzione più “umana”, mentre esso è di divina istituzione e di natura che confina con la divinità...
RispondiEliminadi natura che confina con la divinità, certo :
appunto perciò tale gesto di fatto stride fortemente con le affermazioni dello stesso card. Ratzinger rilasciate in occasione di quella nota intervista a Bruno Vespa, (in "Porta a porta") quando gli fu chiesto un parere circa le possibili dimissioni di un papa (GPII) già gravemente malato; egli dichiarò:
"Solo Dio può licenziare il papa" (s'intende, ponendo fine alla sua vita terrena). Ne era convinto allora ?
il link era questo:
https://www.youtube.com/watch?v=cxo9C4PLRKE
ma il filmato è scomparso sia da youtube che da gloria.tv
(forse non è gradito a qualcuno che si discuta sulla liceità delle dimissioni + istituzione rivoluzionaria del "papa emerito", ormai assorbita come "normale" dalle acritiche masse cattoliche?)
Gentile Mic, volevo sapere se ha ricevuto via mail l'informativa riguardante la Messa tridentina di Mirano (nuovo giorno e orario di celebrazione). Grazie.
RispondiEliminaJoseph Ratzinger, San Bonaventura, la teologia della storia, Nardini Editore, Firenze,1991.
RispondiElimina"Conclusioni
Così come tanti capolavori della scienza anche l'interpretazione di Bonaventura dell'opera dei sei giorni è rimasta incompiuta; come all'Aquinate anche a lui non fu dato di portare a termine la vera e propria 'summa' della sua esistenza...Tuttavia il quadro si ricompone in unità e le linee fondamentali di ciò che il Santo aveva voluto sono inconfondibili. Nel punto di fuga della sua teologia della storia trova posto la stessa parola con cui Agostino chiudeva la sua opera così simile eppure così diversa, il 'De civitate Dei'- la parola pace: 'E allora sarà la pace'. Ma questa pace è divenuta in Bonaventura più vicina alla terra. Non è quella pace nell'eternità di Dio che mai più avrà fine e che seguirà alla rovina di questo mondo; è una pace che Dio istituirà su questa stessa terra, spettatrice di così tanto sangue e lacrime, come se volesse ancora mostrare per lo meno nel momento della fine come avrebbe potuto o dovuto essere in realtà secondo i suoi disegni. Spira dunque già il soffio di un tempo nuovo in cui il desiderio dello splendore dell'altro mondo è plasmato da un profondo amore per questa terra sulla quale noi viviamo. Ma pur con tutta la molteplice diversità dei tempi, che in questo modo divide anche l'opera dei grandi teologi cristiani, persiste tuttavia un'unità fondamentale: sia Agostino che Bonaventura sanno che alla Chiesa, che spera nella pace per 'un giorno avvenire', è affidato l'amore per il 'presente', e che il regno della pace eterna cresce nel cuore di coloro che realizzano nel proprio tempo la legge dell'amore di Cristo. Entrambi si sanno sottomessi alla parola dell'Apostolo: 'Ora, dunque, rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. La più grande è però la carità'(1Cor. 13,13)."
OT. http://www.antoniosocci.com/scandalo-in-vaticano/?
RispondiElimina
RispondiEliminaMagnífico comentário de Don Curzio Nitoglia. Obrigado. Gracias. Grazie.
Per Francesco e Mirano.
RispondiEliminaHo ricevuto e l'avviso è programmato per i prossimi giorni :)
Luisa ha già scritto molte obiezioni che avrei fatto anch'io, e quindi non le ripeto.
RispondiEliminaIn generale, invece, visto che si parla dell'ultimo libro di Seewald, segnalo questo passaggio di Ettore Gotti Tedeschi intervistato da Campari & De Maistre:
http://www.campariedemaistre.com/2016/10/un-campari-con-ettore-gotti-tedeschi.html
"Anzitutto mi permetto di avanzare dei dubbi attorno alle Ultime Conversazioni di Benedetto XVI, chi lo conosce non vi ritrova né la cultura, né i riferimenti, né i modi di dire consueti di questo grande Papa. Chissà piuttosto se un giorno potrò collaborare anche io a scrivere le sue memorie, perché ci sono dettagli del pontificato benedettiano che nessuno sa."
Altra frase notevole:
"I fattori [delle dimissioni] sono stati ben altri e sarebbe bello un giorno poterli dimostrare e non solo argomentare, del resto una parte almeno di essi la conosco di persona, non dimenticate che lo scandalo Vatileaks scoppia a partire dal ruolo del sottoscritto."
EGT non può dire di più, ma è noto che era parte della cerchia di confidenti più intimi di BXVI e quindi era nella posizione di sapere molte cose. Non potendo fare elucubrazioni su due frasi non vado oltre, se non ribadire che non tutto quello che ci arriva è genuino e ci vorrà del tempo per comprendere le cose nella loro interezza.
--
Fabrizio Giudici
Joseph Ratzinger, San Bonaventura, la teologia della storia, Nardini Editore, Firenze, 1991
RispondiElimina"Premessa all'Edizione Italiana
...Ma anche il problema stesso, che ho cercato di studiar in Bonaventura, è divenuto di nuovo attuale. H.De Lubac ha dedicato ampi studi alla posterità di Gioacchino da Fiore. Così se egli si è sforzato di fare ciò con la precisione e l'oggettività dello storico, l'impulso per il suo lavoro è però scaturito dall'attualità che oggi Gioachino ha raggiunto. Il problema se sia possibile per un cristiano concepire una sorta di compimento all'interno delle vicende di questo mondo, se sia possibile cioè una specie di utopia cristiana, una sintesi di utopia e di escatologia, può forse essere considerato la chiave teologica dl dibattito sulla teologia della liberazione.Non è un caso che a ciò si connetta ancora una disputa su quale speciale significato contraddistingua gli Ordini religiosi (e in particolare quelli mendicanti), come esponenti della componente 'pneumatica'dell'esistenza cristiana, nell'approssimarsi di una tale nuova era storica. A ciò si collega anche il problema del rapporto tra il Cristo e lo Spirito, secondo un ritmo trinitario della storia ed una determinata figura 'pneumatica' della Chiesa.In tale modo possiamo ancora meglio comprendere per più di un aspetto la situazione conflittuale nella quale Bonaventura venne a trovarsi.Oggi come un tempo questa non è una pura disputa accademica, bensì una lotta su come la storia possa essere rettamente delineata e su come essa venga corrotta. Come questo libro cerca di mostrare, Bonaventura ha assunto a tale riguardo una posizione fortemente differenziata e non ha in alcun modo condannato nella sua globalità il pensiero di Gioachino. Certo egli respinse inesorabilmente le aspirazioni che tendevano a dividere il Cristo e lo Spirito, la Chiesa organizzata secondo un ordinamento cristologico-sacramentale e la Chiesa pneumatico-profetica dei nuovi poveri e che rivendicavano inoltre la pretesa di poter rendere presente l'utopia attraverso la loro stessa forma di vita. Su tale sfondo si può comprendere, anche se forse non ci è possibile approvarla, la severità- a stento comprensibile in un'epoca d tranquillità- dimostrata da Bonaventura, con l'arresto del suo predecessore Giovanni da Parma (venerato dalla Chiesa come beato), al fine di tutelarne il nome e la reputazione dall'abuso che ne veniva fatto attraverso opinioni radicali e fanatiche...
Roma, 24 luglio 1991
Joseph card Ratzinger"
RispondiElimina@ Non ci sono le prove dell'Olocausto?
Al Museo dell'Olocausto in Israele (Yad Vashem), organizzato dagli stessi israeliani, hanno raccolto nomi, cognomi, data di nascita e di morte, nonche' fotografia individuale di 4 milioni e passa di ebrei ed ebree sterminati da Hitler. Non basta come prova? Dobbiamo ritenere che si tratti di un colossale falso? L'opera di raccolta e catalogazione dei dati non e' ancora finita.
A parte questo tipo di documentazione, le prove della politica di sterminio di Hitler (rivolta non solo contro gli ebrei, che ne costituirono tuttavia l'obiettivo principale) sono numerose ed inconfutabili, per chi si voglia documentare seriamente. La cifra accettata dagli storici piu' seri e' di circa 5 milioni di israeliti. Del resto fu lo stesso Hitler, nelle sue deliranti dichiarazioni finali, assediato nel Bunker di Berlino, a vantarsi che la gente sarebbe sempre stata grata al nazionalsocialismo "del fatto che io ho eliminato gli ebrei dalla Germania e dall'Europa centrale". In effetti, continua lo storico che riporta la frase, "con la morte di piu' di cinque milioni di ebrei era stata messa fine con la violenza alla storia bimillenaria dell'ebraismo europeo, risalente all'epoca romana" (Andreas Hillgruber, Il duplice tramonto. La frantumazione del Reich tedesco e la fine dell'ebraismo europeo, tr. it. di E. Galli della Loggia con Introduzione del medesimo, Il Mulino, Bologna, 1990, pp. 83-102, p. 99. Si tratta di due saggi, il secondo del quale titola: Il luogo storico dello sterminio ebraico. Hillgruber era storico conservatore, fortemente inviso alle sinistre). Historicus
per Anonimo delle 10:39
RispondiEliminagrazie per l'interessante informazione. Per fortuna il video si può ancora trovare, ad esempio all'indirizzo :
http://video.repubblica.it/dossier/benedetto-xvi-abbandona-dimette-papa/ratzinger-a-porta-a-porta--solo-il-signore-puo-licenziare-da-papa/119075/117559
Durata 1.35 minuti.
Historicus,
RispondiEliminamons. Williamson non ha affermato che "non ci sono prove dell'Olocausto" (che comunque è improprio definire tale, perché "olocausto" è il sacrificio espiatorio di Cristo Signore, mentre shoah significa ed è un abominevole "sterminio"). Ha solo messo in discussione la cifra "accettata dagli storici" in relazione ai forni crematori. Questo di certo non serve a sminuire l'enormità dell'orrore perpetrato, serve soltanto a ridimensionare l'enfasi con cui ci sbattono in faccia una realtà storica che sta diventando impropriamente un "luogo teologico". Facendone la "memoria" imperitura del "sacrario dell'odio" dal quale tirar fuori ogni possibile ricatto morale nei confronti del resto del mondo chiamato a testimone.
Questo e non altro è l'elemento da cui cercar di sottrarre le nostre coscienze. E credo che questo e non altro fosse l'intento di mons. Williamson, che gli hanno ritorto contro ad arte, facendo esplodere lo scandalo ad orologeria appena Benedetto XVI ha reso nota la revoca della scomunica ai vescovi ordinati da mons. Lefebvre.
Tutt'altra questione è la "dottrina della sostituzione" - che pure mette in fibrillazione i modernisti - che ha valenza ontologica e riguarda il piano teologico prima di quello storico.
Se così non fosse di certo non avrei speso una parola in più nei confronti di Mons. Williamson, che forse è un po' una testa calda, ma che conosco come ottimo sacerdote, anche se - ripeto - non è tra i miei immediati punti di riferimento.
Cara Irina,
RispondiEliminaGrazie per la segnalazione e l'ulteriore tassello che ci offre.
Del nuovo concetto di tradizione avevamo parlato anche qui
http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2012/11/davvero-e-accaduto-qualcosa-di-grande-e.html
Il link è utile anche perché nella nota 1. riprende l'accenno a Bonaventura e implicazioni...
Per Luisa e Fabrizio Giudici,
RispondiEliminaho colto anch'io quella che appare come una forzatura per mettere alcune toppe ad affermazioni di mons. Georg e conseguenti congetture, così come ho colto le discrepanze con lo stile di Benedetto XVI. Su questo convengo e condivido le riserve.
Purtroppo, però, sono le ambiguità più volte riconosciute, compresa quella che chiama in causa la collegialità e la funzione di emerito parificata alla sacramentalità del vescovato che rendono la questione aperta alle critiche e il discorso per nulla concluso.
Ci sono prove? Non ci sono prove? L'olocausto è stato veramente tale? Non lo so. So solo che numerosi storici e studiosi hanno messo in dubbio la narrazione attuale dell'evento. Ma non è questo il problema: da sempre gli storici discutono sugli eventi passati. Ciò che è inaccettabile è che un crescente numero di Stati (ultimamente anche l'Italia) abbiano imposto - autonomamente? su imposizione della nota lobby? - l'olocausto come "verità storica", indiscutibile, dogmatica, la cui negazione, o anche la sua critica messa in dubbio, o la sua ridefinizione quantitativa e qualitativa, merita il processo e la galera. Ci sono decine di persone, tra Germania, Francia, Austria, Svizzera che sono in galera per questo reato d'opinione. Persone normali, storici, giornalisti, ricercatori indipendenti. L'olocausto è ormai l'unico dogma della chiesa progressista.
RispondiEliminaEd è per questo che, a prescindere da altre motivazioni teologiche o canoniche, Monsignor Williamson mi è molto simpatico.
Sul "papa emerito" sono d'accordissimo con i dubbi di mic. Non vivo con il dogma dell'infallibilità di Ratzinger, né per tutte le cose che dice ora, né per tutte le cose che ha detto in passato, pur avendo di lui una ottima opinione. Il punto è di metodo: se abbiamo fondati dubbi che certi suoi scritti siano taroccati in un punto, dove abbiamo testimonianze di un certo rilievo, come facciamo a sapere che non ci sono taroccamenti altrove? Per questo, prendo nota di tutte le osservazioni, ma credo che per ora non si possa trarre nessuna conclusione.
RispondiElimina--
Fabrizio Giudici
Joseph Ratzinger, San Bonaventura, la teologia della storia, Nardini Editore, Firenze,1991.
RispondiElimina"Prefazione all'Edizione Americana
...Quando nell'autunno del 1953 iniziai il lavoro di preparazione per questo studio, una della questioni che occupavano un posto di primo piano all'interno dei circoli teologici cattolici di lingua tedesca era la questione concernente la relazione tra la storia della salvezza e metafisica.Si trattava di un problema sorto soprattutto dai contatti con la teologia protestante che, sin dai tempi di Lutero, tendeva a vedere nel pensiero metafisico un allontanamento dall'istanza specifica della fede cristiana la quale non indica semplicemente all'uomo la via verso l'eterno ma verso quel Dio che opera nel tempo e nella storia. A questo riguardo sorsero interrogativi di carattere differente e di diverso ordine. Come può divenire storicamente presente ciò che è avvenuto? Come può avere significato universale ciò che è unico e irripetibile? Ma, d'altra parte, la 'ellenizzazione' della cristianità, che tentò di vincere lo scandalo del particolare attraverso una miscela di fede e metafisica, non ha forse portato ad uno sviluppo in direzione sbagliata? Non ha creato uno stile statico di pensiero che non è in grado di rendere giustizia al dinamismo dello stile biblico?
Queste domande esercitarono in me un forte influsso ed io intendevo dare il mio contributo per rispondere ad esse. Alla luce della Tradizione comunemente accettata della teologia tedesca, mi pareva ovvio che non si sarebbe potuto fare questo 'a priori'; al contrario, ciò si poteva realizzare solo e proprio nel dialogo con quella tradizione teologica chiamata in questione.Unicamente sulla base di questo tipo di studio poteva aver luogo una formulazione sistematica...In relazione alle questioni di cui mi occupavo, Bonaventura era un soggetto naturalmente più adatto di San Tommaso d'Aquino. In questo modo si trovò un interlocutore per la discussione.Le domande che speravo di volgere a questo interlocutore si possono riassumere in termini generali nei concetti di rivelazione-storia-metafisica...Così concentrai sempre più la mia attenzione sulla teologia della storia così come Bonaventura stesso l'aveva sviluppata nella lotta spirituale della sua età. E' questo il modo in cui nacque il presente volume.
.
I risultati furono abbastanza sorprendenti. Divenne evidente che la teologia della storia di Bonaventura rappresentava la lotta per giungere ad una vera comprensione della escatologia.In questo modo essa si ancorava all'istanza centrale della questione stessa del Nuovo Testamento. Era chiaro che la discussione che Bonaventura intraprese con Gioacchino da Fiore- lo straordinario profeta di quel periodo-portò ad un cambiamento del concetto di escatologia che è ancora oggi operativo.Infine risultò ovvio che la teologia della storia non rappresentava un'area isolata del pensiero di Bonaventura. Al contrario, essa era legata alle scelte filosofiche e teologiche di base che costituirono il presupposto della sua partecipazione alle aspre controversie degli anni 60' e 70'del XIII secolo. Fu in queste controversie che venne trattato il problema della filosofia e della teologia e anche quello dell'ellenismo e della de-ellenizzazione, nonchè la questione in merito al fatto se la fede può essere trasformata in comprensione. Per molti aspetti quegli anni turbolenti, con l'improvvisa penetrazione della scienza araba nella struttura saldamente consolidata della teologia tradizionale, sono simili allo stato d'animo post-conciliare. Dieci anni fa non sarebbe stato difficile progettare delle applicazioni al presente. La disciplina degli storici, tuttavia, vietò un simile procedimento.Compito dello storico è mostrare i suoi risultati e null'altro che i suoi risultati. Talvolta questa limitazione mi ha infastidito ma credo che fosse e sia giustificata...
RispondiEliminaMi pare chiaro che Bonaventura 'non poteva' tacere su Gioacchino essendo egli Ministro Generale di un ordine che era quasi giunto al suo punto di rottura a causa della questione gioachimita. L'Hexaemeron è la risposta che egli diede a questo problema in qualità di Generale dell'ordine;è una discussione critica con l'abate ed i suoi seguaci. Senza Gioacchino quest'opera sarebbe incomprensibile. Ma la discussione è portata avanti in modo tale che Gioacchino viene interpretato all'interno della tradizione, mentre i gioachimiti lo interpretavano contro la tradizione.Bonaventura non rifiuta totalmente Gioacchino (come aveva fatto Tommaso):
egli lo interpreta piuttosto in modo ecclesiale, creando così un'alternativa ai gioachimiti radicali. Sulla base di questa alternativa egli cerca di conservare l'unità dell'ordine...
Oggi porrei in modo differente molti accenti e cambierei molte sfumature ma l'argomento generale resta intatto e non vedo alcuna ragione di rielaborarlo. A questo una ristampa mi pare giustificata dal punto di vista storico e sono inoltre convinto che, proprio al momento attuale, la teologia ha tutte le ragioni di rimanere in contatto con la propria storia. Senza questo essa è condannata a inaridirsi come un albero divelto dalle proprie radici.Pertanto è mia speranza che questo libro sia utile anche in questo campo e possa stimolare altri ad entrare in quel dialogo con la storia che deve continuamente essere ripreso...
Tubingen, 15 Agosto 1969
Joseph Ratzinger"
I ricordi di un nuovo teologo: "La mia vita" del card. Ratzinger
RispondiEliminahttp://pascendidominicigregis.blogspot.com.br/2012/07/i-ricordi-di-un-nuovo-teologo-la-mia.html
Sur le prétendu "holocauste" ou "shoah" (que Giulia et Lister me pardonnent !), sur le chiffre mythique de six millions, utilisé par la propagande sioniste dès le 19e siècle, voir le livre, notable à tous égards, de Gerard Menuhin (fils du grand musicien juif Yehudi Menuhin) : "Tell the Truth and Shame the Devil : Recognize the True Enemy and Join to Fight Him", 2nd ed., Castle Hill Publishers, 2016. Vendu par Amazon.uk.
RispondiEliminaIl donne entièrement raison a Mgr Williamson et à D. Curzio Nitoglia.
sur le chiffre mythique de six millions, utilisé par la propagande sioniste dès le 19e siècle
RispondiEliminaNon continueremo le disquisizioni sul "numero" perché è un elemento venuto fuori nostro malgrado ed è stato usato strumentalmente nel caso di mons. Williamson. Così come la strumentalizzazione continua nel momento in cui lo "sterminio" degli ebrei, come ho detto sopra, oltre ad esser fatto assurgere impropriamente a "luogo teologico", viene imposto come "memoria" imperitura del "sacrario dell'odio" dal quale tirar fuori ogni possibile ricatto morale nei confronti del resto del mondo chiamato a testimone.
Dimenticando che purtroppo la storia di "stermini" ne conosce anche altri che non sto qui ad enumerare. Forse esiste una "scala" dell'orrido e quello degli ebrei è più orrido di altri? Credo che ogni vita umana sia preziosa allo stesso modo davanti a Dio che, nel Figlio, si è Incarnato ed è morto e risorto non solo per i cristiani ma per tutti gli uomini. E la Sua salvezza diventa operante per coloro (i "molti") che Lo accolgono (ebrei compresi, checché ne dicano i modernisti che hanno tirato fuori "le alleanze parallele")
Fatti non parole per o contro.
RispondiEliminaQui un estratto dell`intervista di Williamson alla televisione svedese, il solo commento che mi viene è di dire che quel che afferma, e come lo dice, è allucinante.
Secondo Williamson NON UN SOLO EBREO È MORTO IN UNA CAMERA A GAZ, per lui le camere a gaz non sono mai esistite, per mons. Williamson al massimo 2-3 cento mila ebrei sono morti MA non nelle camere a gaz ma nei campi di concentramento.
http://lacriseintegriste.typepad.fr/weblog/2009/01/entretien-de-mgr-williamson-%C3%A0-svt.html
A me risulta che, almeno fino ad un anno fa circa, lo Yad Vashem fosse arrivato alla cifra di 3 milioni e qualcosa di Ebrei vittime, in un modo o nell'altro, della Shoah, e che di molte di loro, in realtà, non ci fosse una gran documentazione. Ho inoltre visto il modulo di segnalazione al Museo dei dati di un eventuale congiunto scomparso allora e, sinceramente, non mi sembrava molto preciso ed accurato, anche perché non richiedeva, almeno in prima battuta, di allegare materiale documentale (certificati di nascita o residenza, stato civile, fotografie, ecc,). Nel corso dei decenni post guerra la definizione di "vittima dello Shoah" si è notevolmentete ampliata, e quindi i numeri variano molto. È inoltre emerso, da ricerche accurate negli archivi ex sovietici come molti Ebrei dell' Est Europa allora appartenente all'URSS (Paesi baltici, Bielorussia, Ucraina, Russia stessa, e poi la parte di Polonia occupata dai Sovietici) furono evacuati verso regioni più interne dell'UNione Sovietica stessa, e quindi fare conti precisi su quanti Ebrei, e come, morirono o comunque scomparvero nel carnaio della II Guerra mondiale, soprattuto ad Est, è veramente molto difficile. Ad Auschwitz si disse per anni che fossero morti più di 4 milioni di persone, ora il numero ufficiale è di un milione e mezzo circa, ma studiosi NON revisionisti stimano più verosimile meno di 1 milione.
RispondiEliminaAltro libro da leggere, oltre a quello gia segnalto di Menuhidin, e quello famos di Norman Finkelstein "L' industria dell' Olocausto", reperibile almeno in originale ed online un po' ovunque.
Valutare un testo dalla vicinanza del suo autore a Caio o Tizio, e quindi pre-giudicarlo negativamente in seguito a ciò, è un ritenerlo "guilty by association", colpevole del reato di associazione criminale, ed è un tipico espediente dei marxisti e dei neomodernisti (che nella Chiesa sono praticamente la stessa cosa).
RispondiEliminaAltro espediente tipico, sec. me, dei "sinistri" è non citare mai o quasi mai direttamente la fonte, il documento, il testo d' archivio, se esiste, il brano di intervista, magari televisiva, quindi riosservabile, e via dicendo, di questi o di quello che si critica, e riportare il tutto quasi mai nella lingua originale, ma di solito in traduzioni più o meno corrette.
Almeno noi NON dovremmo ricorrere a simili espedienti.
Lasciate perdere la shoah, condivido Giudici e Gotti Tedeschi, le parole riportate sul libro non sono ascrivibili a Ratzinger, perché continuino col mantra del pace e bene fratelli e dell'unità nella diversità degli stili dei due papi non lo so, GT dice che se potesse parlare salterebbero fuori i VERI motivi delle dimissioni, al resto penserà la storia, non insistete più di tanto su certi toni, lo dico con affetto. Lupus et Agnus.
RispondiEliminaLo ripeto anch'io. Cancellerò qualunque commento sullo "sterminio" (che, ripeto, peraltro non è un olocausto).
RispondiEliminaC'è molto da dire, invece, sul tema dell'articolo.
Lo ripeto anch'io. Cancellerò qualunque commento sullo "sterminio" (che, ripeto, peraltro non è un olocausto).
RispondiEliminaC'è molto da dire, invece, sul tema dell'articolo.
RispondiElimina@ Cerchiamo di chiarire, precisando, se possibile
1. Nel suo articolo, Don Curzio da' un'immagine deformata della FSSPX e del suo Superiore Generale, mons. B. Fellay, in riferimento al caso Williamson. Fa capire che il vescovo ribelle sarebbe stato espulso dalla stessa perche' non avrebbe aderito alla "vulgata sterminazionista" e al dogma della "Holocaustica Religio". Dall'articolo si evince che per mons. Williamson e D. Curzio lo sterminio hitleriano degli ebrei non sarebbe "ragionevolmente provato". In realta', mons. Williamson fu espulso per indisciplina, avendo apertamente contestato l'autorita' del Superiore Generale con il rifiutarsi di ottemperare a cio' che gli veniva richiesto. Nel far cio', mons. Fellay non ha utilizzato un metodo diverso da quello impiegato in altri casi simili: di fronte a ribellioni ostinate non e' mai venuto a compromessi, ha sempre e rapidamente picchiato duro. E ha fatto bene, devo dire.
2. Secondo D. Curzio la FSSPX sarebbe dunque infettata dal "virus modernista". Le prove? I "lefebvriani", osservo, hanno forse portato al Papa l'acqua con le orecchie per ottenere uno straccio di "riconoscimento canonico" o non hanno da poco tempo affermato ufficialmente che la cosa non interessa loro? Che la loro missione, nella presente crisi della Chiesa, va ben al di la' di una piccola cosa come questa, dell'accordo con la Roma modernista, a tutti i costi?
3. La polemica contro la FSSPX cosa c'entrava con l'argomento vero e proprio dell'articolo, che pur offre utili spunti di riflessione sul tema attuale e sconcertante del "Papa emerito"? E da questo punto di vista, che e' il piu' importante, Mic ha fatto bene a pubblicarlo. Ritengo le sia sfuggita la perfidia nascosta nel paragrafo sul caso Williamson.
4. Restando in tema di "Olocausto". Il termine e' ormai entrato nell'uso, anche se si presta a noti travisamenti, concorrendo ad una sorta di inaccettabile teologia della storia che pone il popolo ebraico al centro della storia stessa, quale novello e sofferente Messia. Questa e' una deformazione che va combattuta, come ha notato giustamente Mic. Negare tuttavia la storicita' dello sterminio nazista degli Ebrei e' assurdo. Non vedo come sia possibile, di fronte alla massa delle testimonianze e delle prove.
5. Il fatto storico e' impossibile da negare, nella sua sistematicita' e vastita'. Quando Hilter in persona, poco prima di suicidarsi, si vantava di aver "eliminato" gli ebrei dalla Germania e dall'Europa centro-orientale (dove erano milioni), cioe' dall'Europa occupata dai suoi eserciti, millantava forse?
6.E' anche vero, pero', che considerare reato il "negazionismo" e' del tutto inaccettabile. Si tratta di una norma liberticida, contraria ai valori democratici sempre e di continuo invocati, distruttrice della liberta' di pensiero, che contempla anche la liberta' di dire fesserie o comunque cose storicamente inesatte. Chi sbaglia sui fatti storici va convinto con la discussione razionale. Se non si convince, pazienza. Mettere la gente in galera per un reato d'opinione (concernente l'esistenza o il significato di fatti storici) non e' civile. Non credo nemmeno il fascismo lo facesse: per le critiche al regime si poteva finire al confino per qualche tempo, non in carcere. E il regime di internamento era abbastanza moderato, oltre che abbreviato in genere da amnistie e condoni: basta leggere i libri di Levi e Pavese in proposito. PP
Lupus,
RispondiEliminaperché continuino con il refrain, con il "meme" o mantra, è chiaro come il sole: con tutte le cose NON cattoliche che dice e fa il VdR, potrebbe balenare a qualche Cattolico potente di tirar furoi BXVI dal suo eremo e rimetterlo sul trono. Come si faceva ai bei tempi degli Imperi e delle Monarchie. Ed allora tutto il castello costruito, preparato da anni, cascherebbe giu' .
Quindi distogliamo l'attenzione, facciamo credere che tutto vada bene e i due filino d'amore e d' accordo, e poi, ottenuto lo scopo
( l'annichilimento della Chiesa, o almeno della sua gerarchia e del suo potere), potremo anche, forse, lasciare che la verità si sappia. Tanto, a quel punto, BXVI sarà morto, il VdR probabilmente pure, e chi sa chi ci sarà, se ci sarà, sul trono di Pietro. Ma soprattutto chissà se ci saranno ancora Cattolici, o saranno tutti inglobati in una melassa amorfa di New World Religion.
Sull' altro argomento: OK, non è questa la sede. Solo una cosa: prima zittirono con la forza i negazionisti, poi i revisionisti. Poi zittiranno i tradizionalisti cattolici e poi i Cristiani "tout court", ed infine tutti coloro che non obbediranno ai dogmi del NWO. Compresi noi. Se non si capisce questo, se non si comprende la portata della non studiabilita' di quell'evento, dell' averne idee diverse e non conformi alla vulgata, non si capisce dove ci hanno portato, e dove ci condurranno.
Rosa, forse sarò io che mi proietto film sul muro, ma l'ho già detto e, a rischio di diventare pedante, la CC è finita il 28/02/13 quando l'ultimo Papa di SRC si è chiuso il portone dietro le spalle, adesso Castelgandolfo diventerà una meta turistica con museo annesso.....il 2017 è dietro l'angolo, io già prego e questo è un mezzo miracolo, un paio di noterelle, il giorno 7 u.s. un fulmine si è schiantato sul cupolone alle ore 13 ca. i testimoni hanno preso uno scagazzo tremendo perché hanno tremato le fondamenta della basilica e sono parecchi 'sti 'fulmini a ciel sereno'che si sfogano rabbiosamente là, chissà perché, ultimo la commemorazione della infame pagina della storia della chiesa costata fiumi di sangue e violenze inenarrabili e sofferenze indicibili per i remnants, priest'holes, coraggiosi francesi sopravvissuti anche a la terreur e i tanti martiri di tutta Europa, una vergogna per entrambi, altro che reunion festosa, una frustata in piena faccia a chi ancora ricorda. Qui non serve altro che silenzio, preghiera riflessione; sul libro, è stato chiesto il permesso al vdr per la pubblicazione, non fatemi aggiungere altro. Lupus et Agnus.
RispondiEliminaLupus,
RispondiEliminasulla data fatidica, il,significato ed i fulmini concordo completamente.
E chiaro che sul libro doveva esserci l' imprimatur del Jefe. O non si chiedeva forse il beneplacito a Stalin prima di pubblicare alcunché in URSS? I sistemi sono gli stessi. Speriamo che almeno si formi e si sviluppi un "samidzat" tra i veri Cattolici.
Interessante lo spunto offerto da PP: in realtà il fascismo fu sempre assai morbido con le opinioni anti-regime. Se non c'erano cospirazioni politiche, al massimo si rischiava un limitato periodo di confino. Oggi, in caso di violazione dalla famigerata legge Mancino, che colpisce semplicemente opinioni in merito a fascismo, razzismo, omofobia, revisionismo e negazionismo storico e via discorrendo, il presente regime democratico irroga anni e anni di carcere.
RispondiEliminaOh, quant'è bella la democrazia!