Scriveva Don Divo Barsotti: Dio ti fa un grande onore non quando ti dà qualcosa, ma quando ti chiede qualcosa. Noi, invece, attratti - anzi - inchiodati alla nostra umanità, siamo abituati a ringraziare Dio per le cose che ci dà, non per le cose che ci chiede e non pensiamo che quando Dio ci chiede qualcosa, prepara cose grande per noi, quelle che valgono per l’eternità. Quando Dio ci chiede o ci toglie cose a cui teniamo o quando siamo colpiti da sofferenze corporali o spirituali, prepotente entra in gioco la nostra umanità. Ci assalgono l’angoscia e il terrore e chiediamo – umanamente – condivisione della pena e la partecipazione a chi ci è vicino. Il parente, l’amico, anche il distante da noi. Qual è, di solito, la reazione di coloro a cui ci rivolgiamo, ai quali chiediamo partecipazione al nostro dolore, alla nostra tristezza?
La prefigura il Vangelo, perché è la stessa dei discepoli di Gesù. Quando il Signore si reca al Getsemani, prende con sé due dei Suoi discepoli, Pietro e i due figli di Zebedeo e dice loro di sedersi mentre Lui va a pregare (Mt 26, 36-39).
Gesù comincia a provare tristezza e angoscia ed è questa l’ora in cui esprime tutta la Sua umanità, come quella che esprimiamo noi, quando ci sentiamo avvolti dalla cose della terra, che ci opprimono e ci allontanano da Dio. E’ proprio in quei momenti che il demonio ci assale e prende il sopravvento. Nel caso di Gesù, il demonio - che dopo le tentazioni del deserto, si era da Lui allontanato per ritornare al tempo fissato (Lc 4,13) – torna di nuovo all’attacco: è il momento della Passione e il principe di questo mondo fa affidamento sulla ripugnanza dell’Uomo-Cristo e della Sua carne per la sofferenza. Questa è la sua ora, è l’impero delle tenebre (Lc 22,53). Gesù deve condurre la sua battaglia contro Satana e questo prefigura anche l’itinerario dell’uomo che ha fede e che vive su questa Terra: la sua battaglia è quella che ha combattuto Gesù, contro il Principe di questo mondo..
Ai Suoi amici, Gesù chiede aiuto, fa una richiesta: La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me. Aiutatemi con la preghiera - sembra dire - e aiutate anche voi stessi a fronteggiare le tentazioni che si avvicinano. Il Signore chiede compagnia nella preghiera, chiede di farlo sentire meno solo, di partecipare in qualche modo alla sua tristezza mortale. Gesù è dolcissimo e delicatissimo nel rivolgere quest’invito, tanto che avanza un poco (alla distanza di un tiro di sasso, secondo Luca, 22, 41) rispetto al luogo in cui si trovano i discepoli, perché forse li vuole preservare dalla visione della Sua angoscia e della Sua tristezza, della Sua lacerante e straziante agonia. Li vuole partecipi e li ama e nel momento della Sua estrema sofferenza, il Suo è un pensiero e un agire d’amore per loro.
Il Signore si prostra con la faccia a terra e prega dicendo: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu! Le fonti storiche – checchè ne dica il Padre Arturo Sosa Abascal, il capo generale dei Gesuiti, che se mette in dubbio quello che ha detto Gesù, figuriamoci se conosce le sequenze storiche dei giorni sulla Terra del Figlio di Dio - raccontano che si era in tempo di plenilunio e quindi i discepoli potevano vedere il Signore e forse potevano anche sentire le Sue parole. Ma i discepoli né vedono né sentono. Gesù torna da loro e che cosa vede? Vede che dormono. Dice a Pietro, rimproverandolo: Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carte è debole.
Gesù si allontana di nuovo e prega, dicendo: Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io beva, sia fatta la tua volontà. Torna dai Suoi, ma anche questa volta i discepoli dormono. Si allontana e prega per la terza volta. Poi si avvicina ai discepoli. Tutto ormai sta per compiersi. Dice loro: Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l’ora nella quale il Figlio dell’Uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo: ecco, colui che mi tradisce si avvicina.
Gli apostoli, quindi, non partecipano – come Gesù chiede loro ripetutamente in questa meravigliosa scena del Vangelo – alla tristezza mortale del Signore, all’ora terrena che sta per scoccare, al Suo martirio. Gli apostoli dormono. Se avessero vegliato forse avrebbero capito meglio, forse non sarebbero scappati.
Nel Vangelo non risulta mai che il Signore chieda agli apostoli la partecipazione al suo stato interiore di gioia ineffabile di unione con il Padre; non chiede mai la partecipazione alla Sua vita intima, in nessun altro tipo di sentimento o situazione spirituale [tranne che sul Tabor e ai discepoli più intimi]. Chiede la partecipazione solo la sera del Getsemani, alla Sua tristezza mortale. Sembra dunque che l’unione tra Dio e gli uomini avvenga massimamente, in questa terra, nell’ora del Getsemani, dove il Signore non chiede tanto: chiede solo di essere consolato, di vegliare, di pregare. Chiede ai Suoi amici fedeltà, che è il solo modo per stare con il Signore.
Di sicuro noi vorremmo altro, ossia la condivisione della gloria e della gioia ineffabile di saperci e sentirci uniti a Gesù in quanto Verbo del Padre. Ma evidentemente per quella avremo tutto il tempo in Paradiso. Qui in terra l’unione con Gesù è quella richiesta nel Getsemani. Chi non crede vive le sofferenze nelle tenebre, chi crede le vive nella luce, anche se le prove esteriori aumentano. Per questo padre Pio diceva che la vita dei santi è una vita da cani. Padre Pio scherzava. In realtà, era felicissimo di vivere una vita da cani, perché non avrebbe barattato una sua Messa (nella quale soffriva enormemente) con null’altro al mondo. Perché, proprio nella Messa, viveva il senso dell’attesa dell’altra vita, partecipava al sacrificio e alla gloria del Signore. Che non gl’interessasse questa vita - come ripeteva Santa Monica, madre di Agostino – e la considerasse una vita da cani, sta nel fatto che questa vita, con le sue sofferenze, è proprio questo: attesa di compimento e di splendore. Il Signore ci chiede di rimanere qui, per qualche suo motivo. E ci stiamo. E, quel che più conta, il Signore ci chiede di rimanere qui a lui fedeli, da Santi, perché chiamati, giustificati, purificati e glorificati!
Se questa è l’unione con il Cristo, questa è anche l’unione con gli uomini, perché noi siamo uniti in Cristo per e con i nostri fratelli, attraverso l’amore che abbiamo ricevuto in dono, che riversiamo ai nostri fratelli. Trattiamo con amore, quindi – come ha fatto Cristo – anche coloro che non partecipano alle nostre sofferenze terrene. Preghiamo anche per loro, oltre che per noi. E non lamentiamoci mai con Dio. Non sentiamoci mai soli. La nostra solitudine non è mai totale, come disse Dio ad Elia, che si era lamentato di essere rimasto solo, anche quando c’è il vuoto intorno a noi e tutti ci abbandonano. Ci sono altri settemila che non hanno piegato il ginocchio a Baal, gli dice l’Altissimo. Dove fossero questi settemila, non si sa, ma c’erano. Così, con questa certezza, si può continuare la buona battaglia.
Danilo Quinto
A volte penso a Danilo Quinto... La sua vita, la sua storia.
RispondiEliminaEra nel covo della serpe, ne è uscito e l'ho incontrato in una kermesse di preghiera collegata a Medjugorje. Palazzo dello sport stracolmo, seimila persone a pregare dalle nove del mattino alle otto di sera. File ai confessionali, pochi sacerdoti presenti, perchè la diocesi "non approvava"... Non si sa bene se Medjugorje o 11 ore di preghiere e sacramenti con migliaia di presenti senza bisogno di manifesti e fervorini... Insomma Danilo Quinto racconta chi è e perchè, e gli applausi a scena aperta rimbombano calorosi, sentiti, commossi.
Sono passati cinque anni. Gli incontri di preghiera non si svolgono più, Danilo Quinto adesso non solo è un punto di riferimento per raccontare una conversione. Anzi: si trova a sentir lodati, additati a "grandi" del nostro Paese, proprio quelli dal cui covo era riuscito ad uscire!
Leggo ciò che scrive, citando don Divo Barsotti. E anch'io ringrazio il Signore, per quello che mi ha tolto. Mi ha tolto l'essere un "attivista" nella chiesa del fare, l'essere gratificato dai servizi svolti, l'essere "qualcuno" in un'organizzazione. Mi ha lasciato lo sconcerto per i pastori che dicono quel che dicono, da Santa Marta alla parrocchia. E mi ha dato la grazia di alcuni incontri molto speciali, pieni di fede, che mi hanno smascherato nel mio volontarismo filantropico, anche un po' borioso, umiliandomi proprio nelle sue strutture, per consolarmi nell'esperienza di qualcosa di molto più vero e speciale.
Senza merito, per dono, rinnegando un po' me stesso, anche se non con l'eroismo di Danilo Quinto. Semplicemente nella mia miseria, raggiunta dalla misericordia di Dio, ho capito di aver fatto, per anni, il gioco della chiesa bergogliana ora in gran spolvero.
Ho fatto in tempo a comprendere la grandezza di Danilo Quinto, per poi patire con lui la tremenda amarezza di quel che è oggi la facciata mondanamente lodata e pretesa della Chiesa.
Il Getzemani è luogo di passione; il papa-pop, il papa-rock, il papa-cicc' ed accoliti, no.
RispondiElimina# Preghiamo affinché sorgano presto i Settemila
Bell'articolo. Ci richiama ai valori essenziali. La lotta terribile contro le tentazioni, che sono di tanti tipi, che possiamo vincere solo con la preghiera (mediante la preghiera, la Grazia che ci sostiene nella lotta) poiché i buoni ragionamenti per sconfiggerle, pur necessari, non bastano, da soli.
La lotta nostra individuale terribile contro il mondo ostilissimo a Cristo, che è la faccia esteriore della tentazione, per così dire. Molto azzeccato direi il paragone con il Getsemani. Nel senso che anche noi qui oggi ci sentiamo sempre più isolati, traditi e abbandonati, come Nostro Signore nell'Agonia del Getsemani. Abbandonati non solo dai pastori ma anche dai politici, dalla classe dirigente laica che dovrebbe fare la sua parte e non la fa. Non solo la Chiesa anche l'Italia è in rovina. Poco consola vedere che questa rovina è generale, europea, americana, occidentale.
Fino a quando, mi chiedo ogni giorno? E faccio tutto quello che devo fare per lottare contro le tenebre, dentro e fuori di me? Sì preghiamo e lottiamo, perché sorgano presto "i settemila", attorno a capi ancora in formazione, che ai nostri occhi non compaiono o compaiono solo in modo ancora sfumato.
PP
Estremamente valido. Nell'ultima generazione prima della parusia, dei chierici dell'ultimo degli apostoli, forse anche l'ultimo accolto tra i 12, dei tradimenti totali, 7000 non piegano il ginocchio al nemico, 144.000 volano nella parusia.Restiamo a vegliare nel Getzemani, il trionfo del Cuore Immacolato ci attende.
RispondiEliminaLettera di un prete alla corona di spine di Gesù
RispondiEliminahttps://www.infooggi.it/articolo/lettera-di-un-prete-alla-corona-di-spine-di-gesu/96181/
Un poco di Don Francesco Cristofaro : " Per anni non accettavo la mia vita e oggi vivo per difendere la vita "
https://www.infooggi.it/articolo/don-francesco-cristofaro-per-anni-non-accettavo-la-mia-vita-e-oggi-vivo-per-difendere-la-vita/96052/
E noi, che pensiamo la vita sia sacra e non oggetto di mercato, che dobbiamo dire? Che dobbiamo fare? Dobbiamo farci sentire perché il nostro modo di vedere il mondo non divenga lettera morta. Non è ancora venuto il momento di scrivere il testamento biologico della fede.
RispondiEliminahttps://berlicche.wordpress.com/category/meditabondazioni/
Le dolci morti sono quando la Madre di Dio viene a prendere l'anima tua insieme a S.Michele
Non di solo pane vive l'uomo ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio .
Nutriamoci di verita' della Parola , anziche' di La Reppubblica
https://www.riscossacristiana.it/13-marzo-2017-quarto-anniversario-dellalba-radiosa-un-lettore-ci-scrive/
RispondiEliminaCommento mio : non scontentare nessuno .
Gli stessi predicatori cercano di comporre i loro discorsi in modo da non
dispiacere ad alcuno. L'intenzione certo sarà buona, e sarà anche bene far
così, ma pochi intanto sono i frutti.
Perché pochi si allontanano dai pubblici vizi per le prediche che
ascoltano? Sa che ne penso? Perché i predicatori hanno troppa umana
prudenza, perché non bruciano di quel gran fuoco di amor di Dio di cui
bruciavano gli apostoli: per questo la loro fiamma scalda poco. Non
pretendo che siano così infuocati come gli apostoli, ma solo un po' più
accesi di quanto li vedo. E vuol sapere a cosa gioverebbe a questo scopo?
Avere in disprezzo la vita e in nessuna stima l'onore. Quando gli apostoli
proclamavano la verità e la difendevano per la gloria di Dio, perdere o
guadagnare era per essi la stessa cosa, com'è pure per coloro che sono
pronti a tutto sacrificare per amor di Dio. Non già che io sia tale, ma molto
desidero di esserlo.
8 – Oh che grande libertà ritenere per schiavitù la necessità di trattare
e vivere secondo le leggi del mondo! Ma siccome essa non ci viene che da
Dio, non vi dev'essere schiavo che non sia pronto a tutto osare pur di
riscattarsi e tornare in patria. Questa è la vera via e per questa bisogna
camminare, non potendosi raggiungere così gran tesoro che col finire della
vita. – Ci aiuti in questo il Signore!
SANTA TERESA DI GESÙ CAPITOLO 16
Barbari ! Macellai !
RispondiEliminahttp://www.lanuovabq.it/it/articoli-pochi-fronzoli-si-scrive-dat-si-legge-eutanasiai-pazienti-firmeranno-la-loro-condanna-a-morte-19234.htm