Abbiamo riportato in diversi articoli la funesta notizia di una possibile ulteriore manipolazione della Messa riformata di Paolo VI, in termini di ulteriori decentramento ed inculturazione e in chiave ecumenica [qui - qui].
Poiché c'è chi ha fatto l'ipotesi del ricorso alla preghiera eucaristica di Addai a Mari, pubblichiamo la documentazione raccolta a suo tempo e che oggi è bene riprendere e condividere.
Un documento "ecumenico" che tocca la dottrina sulla validità della Santa Messa. Il documento sull'anafora di Addai e Mari
Il fatto
Il 26 ottobre 2001 L'Osservatore Romano ha pubblicato il documento del "Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani" che detta gli "Orientamenti per l'ammissione all'Eucarestia fra la Chiesa Caldea [cattolica] e la Chiesa Assira [nestoriana e scismatica] dell'Oriente".
Il documento intende rispondere ad una richiesta motivata dal fatto che "numerosi fedeli caldei e assiri si trovano in una situazione di necessità pastorale per quanto riguarda l'amministrazione dei sacramenti".
«La principale questione per la Chiesa cattolica nei riguardi dell'accoglimento della richiesta — continua il documento — si riferiva al problema [sic] della validità dell'Eucarestia celebrata con l'anafora [canone] di Addai e Mari, una delle tre anafore tradizionalmente in uso nella Chiesa assira dell'Oriente».
"Problema", questo, non da poco, dato che, come ci informa lo stesso documento, "l'anafora di Addai e Mari [detta anche «degli Apostoli»] è singolare in quanto, da tempo immemorabile, essa è adoperata senza il racconto dell'Istituzione", presente, invece, nelle altre due anafore nestoriane.
Un "problema" inesistente
Diremo subito che il "problema" non esiste e, in ogni caso, è un problema già risolto.
Il problema non esiste perché è evidente che un'anafora, cioè un canone, senza le parole consacratorie ("Questo è il Mio Corpo"; "Questo è il Mio Sangue") non serve a nulla: senza consacrazione, non c'è Messa (v. DB. 1640).
È un problema, comunque, già risolto per i caldei tornati all'unione con Roma, per i quali o "si supplisce a questa mancanza gravissima prendendo il testo di una delle due altre anafore" , nelle quali le parole consacratorie ci sono (v. Enciclopedia Cattolica voce caldei), oppure si inserisce nell'anafora di Addai e Mari la formula della consacrazione.
Una curva ad U
Questa soluzione, però, tanto elementare quanto ovvia, è stata di fatto rimessa in discussione dall'ecumenico "Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani": «Poiché la Chiesa cattolica — continua il documento reso noto da L'Osservatore Romano — considera [sic! una semplice opinione?] le parole dell'Istituzione Eucaristica parte costitutiva e quindi indispensabile dell'anafora o Preghiera Eucaristica, essa [Chiesa cattolica] ha condotto uno studio lungo e accurato sull'anafora di Addai e Mari da un punto di vista storico, liturgico e teologico, al termine del quale, il 17 gennaio 2001, la "Congregazione per la dottrina della Fede" è giunta alla conclusione che quest'anafora può essere considerata valida».
In breve: la "Chiesa cattolica" sarebbe giunta ad una conclusione diametralmente opposta a quella cui era giunta in passato, e questo grazie ad uno "studio lungo e accurato" condotto "da un punto di vista storico, liturgico e teologico". Ma vediamo gli "argomenti" sui quali è fondata una siffatta curva ad U.
"Antica", sì, ma non necessariamente "integra"
"La conclusione a cui si è giunti — dice il documento — si basa su tre principali argomenti.
— In primo luogo l'anafora di Addai e Mari è una delle più antiche anafore, risalenti ai primordi della Chiesa. Essa fu composta e adoperata con il chiaro intento di celebrare l'Eucarestia in piena continuità con l'Ultima Cena e secondo l'intenzione della Chiesa. La sua validità non è mai stata ufficialmente confutata né nell'Oriente né nell'Occidente". Cominciamo dall'antichità.
Che l'anafora di Addai e Mari sia una delle più antiche anafore, risalenti ai primordi della Chiesa, nessun dubbio. È molto dubbio, però, anzi è certo che essa non è giunta fino a noi integra, qual era anticamente, ai primordi della Chiesa, anche se si discute tuttora sul perché, sul come e sul quando la formula consacratoria è scomparsa da quell'anafora. Per un errore dei copisti? perché il celebrante la recitava a memoria? per riflesso della controversia sull'epiclesi, a cui i nestoriani attribuiscono l'efficacia consacratoria invece che alle parole dell'Istituzione? Il problema rimane irrisolto per mancanza di documenti decisivi (v. Dictionnaire de Théologie catholique, voce Nestorienne/ l'Eglise col. 310).
Medesima incertezza sulla data della scomparsa della formula consacratoria da quel rito: alcuni la pongono intorno al XV secolo; altri in tempi più remoti (v. l'Eucarestia a cura di A. Piolanti, ed. 1957, pp. 514-516 e A. Raes Le recit de l'institution eucharestique dans l'anaphore chaldeenne et malabare des Apotres).
La lezione delle "antichità" guaste
Non ci fermiamo oltre sull'argomento. Sottolineiamo soltanto che anche altre anafore, tra "le più antiche" e tuttora in uso in comunità scismatiche orientali, presentano lo stesso guasto o perché prive affatto della formula consacratoria o perché questa vi appare mutilata (v. Dictionnaire de Théologie catholique t. XII /2° voce Orientale / Messe col. 1452 ss.).
Questa "antichità" pervenuta a noi così gravemente guasta non attesta affatto la validità di dette anafore, ma attesta soltanto i danni sostanziali apportati alle comunità orientali dallo scisma da Roma, danni che non hanno risparmiato neppure la validità del Santo Sacrificio dell'Altare. Scrive giustamente dom Cabriol: «Ma il fatto più straordinario nel racconto dell'Istituzione nelle anafore orientali è che le parole di Nostro Signore, le quali hanno l'importanza che sappiamo nel sacramento eucaristico, alcune liturgie le amplificano e cambiano, senza però modificarne il senso, altre le alterano in tal modo che si può dubitare persino della validità della formula, altre ancora le omettono addirittura! [È il caso appunto dell'anafora di Addai e Mari]. Si vede con ciò, dal punto di vista dogmatico, la necessità d'un magistero che si eserciti sulle liturgie e il danno di lasciar alla fantasia formule di siffatta importanza. Sotto questo punto di vista — l'abbiamo detto — l'Occidente offre [invece] un'uniformità pressoché completa» (Dictionnaire d'archéologie chretienne et de liturgie, t. I, 2a parte, col. 1914, Parigi 1907).
L'intenzione non basta
Parimenti, non mettiamo in dubbio che l'anafora di Addai e Mari "fu composta e adoperata con il chiaro intento di celebrare l'Eucarestia [...] e secondo l'intenzione della Chiesa" come afferma il documento. Domandiamo, però, quando mai la Chiesa abbia insegnato che alla validità dei Sacramenti basta la sola intenzione. Al contrario. Essa ha sempre, insegnato che per la validità dei Sacramenti occorrono, oltre all'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, anche la materia e la forma (o formula) e che "se uno di questi elementi manca, non si ha il sacramento" (Concilio di Firenze DS 1312).
Nell'anafora di Addai e Mari manca la forma dell'Eucarestia, costituita dalle parole con le quali Cristo la istituì, e perciò non c'è Santa Messa. E per cogliere questa evidenza non occorreva nessuno "studio lungo e accurato"; bastava semplicemente che gli "studiosi" della Congregazione per la Fede richiamassero alla mente il catechismo di San Pio X che dovrebbero aver studiato nella loro infanzia.
Un'affermazione insostenibile
La validità di quest'anafora — dice ancora il documento — «non è mai stata ufficialmente confutata né nell'Oriente né nell'Occidente».
Per l'Oriente questo si può comprendere, visto il guasto in cui versano le liturgie e le teologie delle diverse sette orientali: perché mai sgomentarsi per l'assenza della formula consacratoria quando in Oriente per lo più l'efficacia consacratoria è attribuita principalmente all'epiclesi o invocazione dello Spirito Santo?
Per l'Occidente, invece, l'affermazione del documento non regge. Il solo inserimento della formula consacratoria nell'anafora di Addai e Mari per i caldei ritornati all'unione con Roma è una condanna ufficiale di quella medesima anafora priva delle parole della consacrazione, qual è in uso tuttora presso gli scismatici assiri. Perciò non può sostenersi che la validità di questa anafora senza la formula consacratoria "non è stata mai ufficialmente confutata" in Occidente. Tanto più che a confutarne la validità basta, anche in assenza di confutazioni "ufficiali", la sola dottrina cattolica sulla validità dei Sacramenti che abbiamo sopra richiamato. Perché non si sfugge: o si condanna l'uso di un'anafora priva delle parole del Signore o si condanna la dottrina cattolica, la quale insegna che le parole del Signore sono "la vera ed unica forma del Sacramento dell'Eucarestia" (v. Eucaristia cit. p. 438): «Forma dell'Eucarestia sono le parole del Salvatore con le quali Egli fece questo Sacramento; difatti il Sacerdote produce questo Sacramento parlando in nome di Cristo» (Concilio di Firenze Decreto per gli Armeni D. 698).
Un secondo "argomento" che non argomenta nulla
Ed ecco il secondo "argomento" offerto dal documento:
«In secondo luogo la Chiesa cattolica riconosce la Chiesa assira dell'Oriente [nestoriana e scismatica] come autentica Chiesa particolare [sic] fondata sulla fede ortodossa [sic] e sulla successione apostolica [sic]. La Chiesa assira dell'Oriente ha anche preservato la piena fede eucaristica nella presenza di Nostro Signore sotto le specie del pane e del vino e nel carattere sacrificale dell'Eucarestia. Pertanto nella Chiesa assira dell'Oriente, sebbene essa non sia in piena [sic] comunione con la Chiesa cattolica, si trovano "veri sacramenti, soprattutto, in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l'Eucarestia" (Unitatis Redintegratio n. 15)».
Sono qui condensate tutte le deviazioni ecclesiologiche della "dottrina ecumenica" rispetto alla dottrina costante della Chiesa: è promossa ad «autentica Chiesa particolare» una setta scismatica ed è dichiarata "fondata sulla fede ortodossa" una setta nestoriana (la "Dichiarazione comune cristologica", cui fa cenno il documento, ha risolto — si ammette — solo "il principale problema dogmatico", ma non tutti i problemi dogmatici); è riconosciuta fondata sulla "successione apostolica" una setta priva di continuità dottrinale con gli Apostoli e di legittima giurisdizione, dato che questa "viene ai Vescovi unicamente attraverso il Romano Pontefice'' (Pio XII Ad Apostolorum Principis); è detta fornita di "veri Sacramenti" una setta in cui due Sacramenti di istituzione divina sono stati sostituiti da due "sacramenti" di istituzione umana e l'Eucarestia è resa invalida da un canone privo dell'essenziale (v. Dict. de Th. cath. voce Nestorienne / l'Eglise).
Per tutti questi punti rimandiamo a quanto già ampiamente confutato in sì sì no no 15 dicembre 2000 pp. 1 ss. a proposito della Dichiarazione Dominus Iesus. Qui ci preme osservare che anche questo secondo "argomento", così come il primo, non argomenta proprio un bel nulla in favore della validità del rito celebrato con la mutilata anafora di Addai e Mari.
Che la «Chiesa assira dell'Oriente» abbia «preservato la piena fede eucaristica nella presenza di Nostro Signore sotto le specie del pane e del vino» è cosa dubbia e tuttora discussa e non basta scegliere, così semplicisticamente, la tesi più comoda all' «ecumenismo» per troncare una questione che tiene divisi gli studiosi degni di questo nome (v. Eucaristia cit. a cura di A. Piolanti pp. 512—13 con relative note). È certo, comunque, che la transustanziazione è negata dagli scismatici assiri (ivi), sulla scorta dell'eretico Nestorio (alla cui "riabilitazione" — guarda caso — si dice favorevole in Gesù il Cristo Walter Kasper, ora Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani [2002]). E benché sia vero che gli assiri credono che l'Eucarestia è un vero Sacrificio, il quale rinnova in modo incruento il Sacrificio dell'Altare, è altresì vero che in pratica tale fede è "privata del proprio oggetto" per tutto il tempo dell'anno, che è il più lungo, in cui la loro liturgia prescrive l'uso della mutila anafora di Addai e Mari. Infatti la sola fede nella Presenza Reale e nel carattere sacrificale dell'Eucarestia, anche se "piena", non basta a produrre il Sacramento dell'Eucarestia quando nel rito manca la formula della consacrazione. Nella stessa Chiesa cattolica, se un sacerdote omette la formula della consacrazione, non c'è Messa, non c'è Eucaristia valida né basta a renderla valida la fede veramente "piena" che la Chiesa cattolica ha nella Presenza Reale e nel carattere sacrificale dell'Eucarestia.
Un "argomento" a cui mostra di non credere lo stesso documento
Terzo argomento addotto dal "Pontificio Consiglio per la promozione dell'Unità dei Cristiani":
«Infine le parole dell'Istituzione Eucaristica sono di fatto presenti nell'anafora di Addai e Mari, non in modo coerente e "ad litteram", ma in modo eucologico e disseminato, vale a dire che esse sono integrate in preghiere successive di rendimento di grazie, lode e intercessione».
Ci sarebbe stato facile riportare da varie fonti l'anafora di Addai e Mari nel suo testo integrale. Sennonché nell'articolo "Ammissione all'Eucarestia in situazione di necessità pastorale", che accompagna il documento con "lo scopo di chiarire il contesto, il contenuto e l'applicazione pratica di tale disposizione", lo stesso Osservatore Romano ci offre le preghiere "successive" al buco in cui avrebbe dovuto esserci, ma non c'è, la formula della consacrazione, e nelle quali preghiere sarebbero a giudizio della Congregazione per la Fede "di fatto presenti", anche se "disseminate", le "parole dell'Istituzione Eucaristica" così da costituire un "quasi-racconto [sic] dell'Istituzione Eucaristica". [La Consacrazione, non è un racconto, è Actio di Cristo Signore!]. Eccole:
1) « Tu, mio Signore, per le tue molte e indicibili misericordie, abbi un ricordo buono e accetto di tutti i padri, retti e giusti, che furono graditi davanti a te, nella memoria del corpo e sangue del tuo Cristo, che noi offriamo a te sull'altare puro e santo, come tu ci hai insegnato»;
2) «ti conoscano tutti gli abitanti della terra [...] e anche noi, mio Signore, tuoi servi piccoli, deboli e miseri, che siamo riuniti e stiamo davanti a te, abbiamo ricevuto per tradizione l'esempio che viene da te, rallegrandoci, glorificando, esaltando, facendo memoria e celebrando, questo mistero grande e terribile della passione, morte e resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo»;
3) « Venga, mio Signore, il tuo Spirito santo e riposi su questa offerta dei tuoi servi, la benedica e la santifichi; affinché sia per noi, mio Signore, per la remissione dei debiti, per il perdono dei peccati, per la speranza grande della resurrezione dalla morte, e per la vita nuova nel regno dei cieli, con tutti coloro che furono graditi celebrando questo mistero grande e terribile della passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo».
Queste preghiere indubbiamente presuppongono la consacrazione, attestano che anticamente essa c'era nell'anafora di Addai e Mari, però il lettore può, come abbiamo fatto noi, leggerle e rileggerle, ma non vi troverà, neppure "disseminate", le parole della consacrazione: "Questo è il Mio Corpo"; "Questo è il Mio Sangue". Non si comprende, perciò, come l'articolo de L'Osservatore Romano possa concludere: "In tal modo le parole dell'Istituzione non sono assenti [sic!] nell'anafora di Addai e Mari, ma menzionate esplicitamente [sic] anche se disseminate [?] attraverso i passaggi più importanti dell'anafora».
Dobbiamo noi forse trovare in questa anafora quello che non c'è, solo perché così vuole il "Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani"? Certamente no. La fede e l'ubbidienza non esigono le dimissioni della retta ragione. I fatti sono fatti e l'onestà intellettuale esige che il pensiero si adegui alla realtà (anche se i "nuovi teologi" pretendono piuttosto di piegare la realtà e la ragione altrui al proprio pensiero).
D'altronde, lo stesso "Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani" mostra di non credere troppo a quanto afferma, dato che al n. 3 del medesimo documento raccomanda; "quando dei fedeli caldei [= cattolici] partecipano ad una celebrazione assira [= nestoriana scismatica] della Santa Eucarestia il ministro assiro è caldamente [sic] incoraggiato ad introdurre nell'anafora di Addai e Mari le parole dell'Istituzione". E perché mai è "caldamente" incoraggiato a ciò se non perché "il rito nestoriano si serve normalmente per la messa di un'anafora che non possiede l'essenziale"? (v. Dict. de Th. cath. voce Orientale/Messe col. 1459). Neppure la Congregazione per la Fede e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani credono, dunque, che (con tutta la fede "piena" della Chiesa cattolica) il rito romano senza la formula della consacrazione o il Pange Lingua, con il suo "quasi-racconto" dell'Istituzione Eucaristica, sia sufficiente a celebrare validamente la Santa Messa.
Un documento vergognoso
Con questo documento "ecumenico" i fedeli cattolici sono autorizzati e spinti a partecipare attivamente ad atti di culto di eretici e scismatici (communicatio in sacris), benché ciò sia proibito dal diritto divino naturale e positivo: Haereticum hominem devita (Tit. 3, 10). In ossequio a questo diritto divino la Chiesa non ha mai ammesso casi di "necessità" in questo campo: si veda il Codice piano-benedettino can. 1258 § 1 e il decreto del S. Uffizio del 7 agosto 1704, il quale precisa che "un cattolico non può assistere alla Messa di un sacerdote eretico o scismatico, anche se, urgendo il precetto festivo, dovesse altrimenti rimanere senza Messa" (Enciclopedia cattolica voce Comunicazione nelle cose sacre col. 118).
Inoltre, con questo documento "ecumenico" si autorizzano (con un'autorità di cui si è privi) i fedeli a violare il diritto divino per partecipare ad una "Messa" che Messa non è, essendo il rito privo della formula consacratoria, così che suona irrisoria l'asserzione che in tal modo "i fedeli caldei [cattolici]... possono ricevere la Santa Comunione [?] in una celebrazione assira della Santa Eucaristia" (L'Osservatore Romano cit. Ammissione all' Eucarestia... articolo illustrativo cit.).
Infine questo documento, per la sua reciprocità, dà il via all'«intercomunione» con eretici e scismatici, finora, almeno ufficialmente, vietata. Infatti anche gli "assiri" sono autorizzati in caso di necessità a ricevere — loro, però, realmente — la Santa Comunione in una celebrazione "caldea", cioè cattolica.
Non crediamo di andare errati dicendo che questo documento andrà a perpetua vergogna nella storia della Congregazione per la Fede e a dimostrazione che il "Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani" in realtà promuove l'unità dei cristiani con gli eretici e gli scismatici in una "comune rovina" (Pio XII Humani Generis).
Iulianus
* * *UN "OSCURO" DOCUMENTO
Nel precedente articolo abbiamo esposto e giustificato il nostro giudizio negativo sul documento emanato dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Questo giudizio è sostanzialmente condiviso, ma con giubilante soddisfazione, dai neomodernisti.
Il corrispondente romano del National Catholic Reporter (16 novembre 2001) ci fa sapere che «questa recente oscura (obscure) [sic] direttiva sull'intercomunione con i cristiani assiri» è, nondimeno, giudicata dal gesuita Robert Taft, "liturgista ed esperto della Cristianità Orientale", "probabilmente la decisione più significativa emessa dalla Santa Sede in questi ultimi 50 anni".
Più "significativa", dunque, della stessa "riforma liturgica" di Paolo VI. E perché mai? Perché questo documento "ci fa superare una teologia medievale di parole magiche". Proprio così! E si tratta qui delle parole con le quali fu istituita da Nostro Signore Gesù Cristo l'Eucarestia e con le quali il sacerdote, "in persona Christi", rinnova il Sacrificio di Cristo sull'altare! Parole, nelle quali, non la "teologia medievale", ma Cristo stesso, e poi l'antichissima ininterrotta Tradizione custodita e difesa dalla Chiesa, ha indicato la virtù consacratoria della Messa (v. Concilio di Firenze D. 698).
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Sempre secondo il gesuita Taft, «il documento riconosce gli enormi progressi fatti negli studi sull'evoluzione della Preghiera Eucaristica. Chiunque abbia letto un libro sulla liturgia negli ultimi 50 anni sa che oggi è generalmente ammesso che la preghiera consacratoria dell'Eucarestia è l'intera [sic] preghiera sui doni, non soltanto una formula verbale [sic] tratta [sic] dal contesto».
E chiunque — replichiamo noi — non si sia limitato a leggere i libri dei "nuovi liturgisti" (ovvero dei neomodernisti che guastano la liturgia secondo la loro guasta teologia) sa che la Tradizione costante e il Magistero infallibile della Chiesa insegnano esattamente l'opposto, come abbiamo sopra documentato: «Sempre vi è stata nella Chiesa di Dio questa fede: che, subito dopo la consacrazione, sotto le specie del pane e del vino vi è il vero corpo di Nostro Signore e il suo vero Sangue, insieme con la sua anima e divinità... il corpo sotto le specie del pane e il sangue sotto le specie del vino in forza delle parole (ex vi verborum)...» (Concilio di Trento DB 1640).
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In ogni caso il ragionamento (se così può dirsi) del gesuita Taft non regge. La "nuova liturgia" — egli dice — concorda nell'ammettere (contro la Tradizione divino-apostolica e il Magistero infallibile) che la formula consacratoria dell'Eucarestia «è l'intera preghiera sui doni, non soltanto una formula verbale tratta dal contesto». Dunque, benché sia evidente che, come dice il Concilio di Trento (DB 1745), il canone è composto non solo "dalle parole stesse del Signore", ma anche "dalle Tradizioni apostoliche" e persino "da quanto hanno piamente stabilito i Romani Pontefici", l'intero canone, e non le sole parole del Signore ("Questo è il Mio Corpo", "Questo è il Mio Sangue") avrebbe virtù consacratoria. Ma — domandiamo — se, come accade nell'anafora di Addai e Mari, la "preghiera sui doni" non è più "intera" perché dal suo "contesto" è scomparsa quella "formula verbale" cui la Chiesa, non solo in Occidente, ma, anticamente, anche in Oriente, ha (erroneamente, per il Taft) attribuito forza consacratoria (non "traendola" dal contesto, ma indipendentemente da esso)? Allora la "preghiera consacratoria dell'Eucarestia", anche, secondo la "nuova liturgia", è inefficace perché mutila. Questo almeno vuole la logica. Ma il gesuita Taft non ci arriva e giubila per un documento, del quale ogni buon cattolico, e, a maggior ragione un ministro di Dio, non può che rattristarsi e preoccuparsi.
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Il documento — ha detto il gesuita Taft — «ha due aspetti notevoli. 1) Esso riflette la fiducia nei risultati degli studi liturgici moderni; 2) rompe con il letteralismo rigido di una politica molto recente nel campo della liturgia e del linguaggio».
Se questo è vero, lo scisma di fatto dal Magistero tradizionale continuerà ad attirare nel mondo cattolico ancora altri guasti, anche quei guasti che lo scisma dichiarato ha provocato in alcune liturgie delle comunità orientali separate da Roma, fino a privarle della validità dell'Eucarestia. D'altronde da una Messa che favorisce l'eresia e che già è lasciata al "decentramento" nonché alla "creatività" ovvero alla fantasia dei singoli ad una Messa invalida il passo è breve e potrebbe avverarsi alla lettera, e forse in alcuni luoghi già si è avverata, la previsione del card. Pacelli, che già avvertiva intorno a sé il lavorio dei "novatori" per "smantellare la sacra Cappella": "verrà un giorno in cui... nelle chiese i cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li aspetta" (mons. Roche e p. Saint Germain in Pie XII devant l'Histoire pp. 52-53).
Lucianus
[Fonte: Sì Sì No No Anno XXVIII n. 1 (15 Gennaio 2002)]
Bene! visto che molti considerano la nuova messa valida e pertanto lecita(le due cose non vanno a pari passo), ora si spazzerà via anche questa pia illusione. Così toccando veramente il fondo dell'eresia, finalmente si potrà iniziare a salire, senza più avere il modo di accomodarsi dietro falsi autoconvincimenti. Con questo aggravarsi della crisi sono venuti fuori i volti dei rivoluzionari e piano piano non ci sarà più posto nemmeno per i titubanti, perchè veramente sarà il tempo di decidersi dove stare e chi servire e con quale messa onorare Dio. Due messe opposte nello spirito e nella forma non possono essere entrambe buone.
RispondiEliminaconcordo con Annarè. Decade così quella convinzione proposta da BXVI, per cui NO e VO erano definite "le due forme dell'unico rito", quasi fossero equivalenti: la cosa non mi aveva mai convinto, dato che è proprio un servire/onorare due padroni, (Dio e l'uomo, il cielo e la terra, l'Eterno e il transeunte) anzi compiere sia il sacrificio di Caino che quello di Abele, con indifferenza (> porta dell'indifferentismo)
Elimina"Sempre secondo il gesuita Taft, «il documento riconosce gli enormi progressi fatti negli studi sull'evoluzione della Preghiera Eucaristica. Chiunque abbia letto un libro sulla liturgia negli ultimi 50 anni..."
RispondiEliminaIl simile riconosce il simile: il fedifrago riconosce il fedifrago. L'impenitenza, la correzione sono dettagli destinati a sparire, in maniera sì magica, infatti il fedifrago, ignorando il riconoscimento del male fatto, si sposta in un altro "luogo spirituale" ove la fede infranta o la si ignora volutamente o la si conosce superficialmente. Costoro si spostano, anche se nei fatti sono stanziali, da un "luogo spirituale" ad un altro per poter rompere la propria fede, senza sensi di colpa nè dolore. Il fedifrago è un nomade della mente perchè non coerente. Rincorre il nuovo,la modernità, per nascondere la sua incoerenza, facendo continui passi avanti, spostando se stesso e quelli che lo seguono, in un altro contesto nel quale si illude di non portare il mal fatto, la sua incoerenza.
Passaparola: vediamo di non farci colpire da tutti questi lanciatori di incoerenza, vero boomerang, che se non colpisce il bersaglio torna al lanciatore.
Articolo preciso, logico, ben argomentato che polemizza puntualmente rispetto a quanto pubblicato sull'OR (non su una gazzetta qualunque)
RispondiEliminaNella aggiunta si trova questo commento:
"Sempre secondo il gesuita Taft, «il documento riconosce gli enormi progressi fatti negli studi sull'evoluzione della Preghiera Eucaristica. Chiunque abbia letto un libro sulla liturgia negli ultimi 50 anni sa che oggi è generalmente ammesso che la preghiera consacratoria dell'Eucarestia è l'intera [sic] preghiera sui doni, non soltanto una formula verbale [sic] tratta [sic] dal contesto».
Questo pare un distillato di modernismo. Insegna S. Pio X (Pascendi) in merito al rapporto dei modernisti con le "formole" che per loro queste non sono altro che uno strumento che il soggetto utilizza in ordine al proprio sentimento religioso il quale avendo per oggetto l'assoluto, ha infiniti aspetti emergenti oggi l'uno e domani un altro, e come anche il soggetto è interessato da continui cambiamenti di condizione, così le formule devono a queste vicende, adeguarsi e quindi cambiare.
Le formule devono adeguarsi al credente e vengono caricate di significato religioso e morale, vengono così svuotate di tutta la loro oggettività, così devono per forza modificarsi di continuo e possono anche essere infine abbandonate.
Marco P.
..." Vidi che nella chiesa venivano accolti eretici di ogni genere...e tutti avevano uguali diritti..."...
RispondiEliminaNel mio blog un lettore mi ha posto la domanda sull'Anafora di Addai e Mari.
RispondiEliminaPenso sia perfettamente inutile lanciare invettive verso il "cattivo Oriente" che "a causa dello scisma" ha radicalizzato le cose. Questo tipo di lettura a posteriori fa molto presa sull'emotività ma non aiuta a ragionare a freddo sulla questione che ha bisogno, al contrario, di una lettura sincronica!
Ragionando a freddo non c'è poi molto da dire se non quanto segue:
1) La tradizionale dottrina cattolico-romana sostiene l'importanza dell'azione sacerdotale poiché il sacerdote, si afferma, agisce in "persona Christi". Come Cristo, il sacerdote ripete le parole sul pane e sul vino (parole consacratorie) effettuando il sacramento.
2) L'Oriente bizantino ha "da sempre" visto il momento consacratorio nell'epiclesi (la discesa dello Spirito santo) vedendo contemporaneamente il ruolo sacerdotale come una intermediazione tra Dio e gli uomini per invocare la discesa dello Spirito stesso, unico e vero attore del miracolo eucaristico. Non mi consta che anticamente la Chiesa di Roma avesse difficoltà davanti a questa prospettiva...
3) Dal punto di vista tradizionale cattolico-romano, non avrebbe dunque senso una anafora priva delle parole sul pane e sul vino (le parole consacratorie).
4) Dal punto di vista bizantino queste parole non sono particolarmente vincolanti (per quanto tutte le liturgie strettamente bizantine le abbiano!) perché la consacrazione avviene con l'invocazione dello Spirito.
5) La posizione attuale del mondo cattolico romano sembrerebbe, dunque, vicina a quella bizantina, visto com'è esaminata l'Anafora di Addai e Mari.
6) In realtà, temo che si stia sempre più insinuando una posizione che non è neppure quella dell'Oriente bizantino, per quanto possa sembrare. Pare, infatti, che il Vaticano, soprattutto oggi con l'attuale papa, sia piuttosto indifferente alle varie posizioni teologiche, come alle posizioni teologiche del cattolicesimo fino a 60 anni fa. Quanto pare essere importante, alla fine, è la prassi ma una prassi sempre più sganciata dalla riflessione teologica.
7) In definitiva, quello che deve polarizzare l'attenzione, su questo documento vaticano relativo all'Anafora, non è tanto pasticciare con le contrapposizioni del passato accusando una parte o l'altra, non è tanto essersi posto in contraddizione con la dottrina tradizionale cattolica (per quanto sia pure questo) ma l'essere espressione di un cripto indifferentismo teologico, almeno così sembra perché così può essere pure recepito.
Detto questo, credo che si sia rispettata l'oggettività. Chi vuol intendere, intenderà!
2) L'Oriente bizantino ha "da sempre" visto il momento consacratorio nell'epiclesi (la discesa dello Spirito santo) vedendo contemporaneamente il ruolo sacerdotale come una intermediazione tra Dio e gli uomini per invocare la discesa dello Spirito stesso, unico e vero attore del miracolo eucaristico. Non mi consta che anticamente la Chiesa di Roma avesse difficoltà davanti a questa prospettiva...
RispondiEliminaL'unico vero attore del miracolo eucaristico è Cristo Signore (per questo il sacerdote agisce "in persona Christi"). E che bisogno c'è di insistere sull'Epiclesi, quando chi pronuncia le parole della formula Consacratoria è il Verbo della Vita, nel quale è contestualmente presente il Padre e lo Spirito Santo?
E' proprio per questo che lo stesso Sant'Ambrogio parla delle parole efficaci: sermo operatorius di Gesù Cristo come causa della conversione eucaristica.
Insomma la Consacrazione è Actio di Cristo, vera "riattualizzazione". Mentre i 'novatori' di turno (vogliamo aggiungere ignoranti o fedifraghi?) arrivano a parlare dell'anafora di Addai e Mari come di "quasi racconto"...
ignoranti o fedifraghi ?
Eliminala seconda che hai detto..........perlomeno coloro che decideranno la innovazione perniciosa e "irreversibile" (sic dixit il vdr in persona 2 anni fa, sentito in tv da molti fedeli allibiti....)
Sta di fatto che prima di un certo periodo la visione pneumatica conviveva con la prospettiva ambrogiana e non era in contrapposizione. Questo è un dato di fatto dal quale partire, possibilmente senza sterili polemiche, per osservare quanto poi è successo.
RispondiEliminaCredo che Mic abbia colpito nel segno. Le liturgie latine, come il canone romano, non hanno una vera e propria epiclesi, anche se all'offertorio s'invoca: «Veni, sanctificator omnipotens æterne Deus: et benedic hoc sacrificium...» È un'invocazione allo Spirito Santo che però non consacra in quel momento, ma prepara la consacrazione, che non consiste in un racconto, ma in una vera e propria azione di Cristo che agisce con la potenza dello Spirito Santo. Non c'è dunque una contrapposizione tra azione dello Spirito e Sermo operatorius. Mi paiono precise le riflessione di Inos Biffi:
RispondiElimina«Riconoscere, però, una simile virtù alle parole della consacrazione non comporta l'attribuzione alle "parole" come tali di una specie di potere magico, e neppure misconoscere il profondo significato e valore dell'intera anafora della messa.
La formula consacratoria è operativa perché colui che la presiede la pronunzia come "vicario" in persona Christi, ossia rappresentando sacramentalmente il Signore, che in ogni celebrazione è l'autore principale: nell'Eucaristia sono presenti in forma sacramentale il Corpo e il Sangue di Gesù, perché anzitutto è Gesù medesimo a presiederla realmente nella figura del sacerdote.
Tali parole, quindi, non contengono e non manifestano una loro separata e magica potenza verbale, indipendentemente da Cristo; al contrario, la consacrazione è sempre originariamente e "attualmente" un atto di Cristo, un intervento della sua signoria, che agisce mediante lo Spirito Santo, che è la stessa che nell'Ultima Cena, "creativamente", ha convertito il pane spezzato nel suo Corpo e il vino della coppa nel suo Sangue.
Il Decretum pro Armenis, del 1439, dichiarava che "la forma di questo sacramento sono le parole del Salvatore, con le quali egli istituì questo sacramento: infatti il sacerdote compie questo sacramento parlando a nome di Cristo"».
Non per attizzare polemiche con Chiaranz, ma ritengo più corretto quanto dice Mic: "Il Verbo della vita, nel quale è contestualmente presente il Padre e lo Spirito Santo". Infatti quando Cristo, evocato dal sacerdote, pronuncia le parole dell'istituzione, emette lo Spirito Santo che implicitamente è stato invitato a santificare l'oblazione nell'orazione "Hanc igitur". In questa prospettiva l'esigenza orientale di una epiclesi più esplicitamente pneumatica si armonizza e non contrasta con la tradizione romana. Diversamente Chiaranz e tutti i filoortodossi dovrebbero chiarire come mai San Giovanni Crisostomo scrive che la consacrazione dei doni avviene per le parole stesse di Cristo (nell'ultima cena) pronunciate dal sacerdote.
RispondiEliminaTEOFILATTO
Chiedo scusa per la svista: devo correggere la citazione. L'orazione del Canone da me indicata doveva essere "Quam oblationem" anziché "Hanc igitur oblationem". Aggiungo una considerazione. Se nella Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, per ammissione dello stesso santo dottore, la consacrazione è già avvenuta per le parole dell'istituzione, l'epiclesi consacratoria successiva potrebbe interpretarsi piuttosto come una "consecratio quoad nos" e non "quoad oblata", ossia l'invocazione che il Corpo e il Sangue di Cristo siano per noi fonte santa di vita eterna e di comunione. Analogamente nel Canone romano si chiede la stessa cosa (senza nominare esplicitamente lo Spirito Santo) nell'orazione "Supplices te rogamus... ut quotquot ex hac altaris participatione... omni benedictione caelesti et gratia repleamur".
RispondiEliminaAncora più avanti anche nel rito romano bisogna dare un significato meno tecnico e assoluto al termine "consecratio" nella formula successiva alla frazione del pane, che dovrebbe suonare piuttosto come un'endiade (haec commixtio et consecratio).
Oggi c'è meno consapevolezza che le parole della consacrazione siano veramente efficaci, tanto che, a differenza del rito tradizionale, viene scoperto il calice prima dell'epiclesi, quasi ad indicare che quell'invocazione sia decisiva per realizzare la transustanziazione, mentre nella forma straordinaria il calice viene scoperto solo dopo la consacrazione del pane. Sono piccoli particolari che però indicano una diversa accentuazione nel cuore della Messa. È più importante l'epiclesi della parola, forse per paura di dare una valenza magica alle parole (se fossero parole umane, sarebbe una preoccupazione giustificata, ma sono parole di Cristo).
RispondiElimina@don gianluigi. Scusi: che significato dà lei al termine "epiclesi"? Ancora: cosa intende per calice scoperto?
RispondiEliminaTEOFILATTO.
Si ignora, come è stato sottolineato più su, che sono quelle parole consacratorie ad essere operanti ed epicletiche in quanto pronunciate nomine Christi, le cui parole sono Spirito e Vita! Si tratta di parole creatrici e performatrici. Ma i liturgisti sono concordi nel sostenere che è tutta la preghiera eucaristica a "consacrare" o meglio "eucaristizzare" pane e vino. E faranno ogni sforzo per far credere il contrario della realtà. Abbiamo forse dimenticato i fiumi di inchiostro contrari al "pro multis"? Chissà perché la Verità ha tanti oppositori e la menzogna galoppa.
RispondiEliminaGrazie per avermi dato uno stimolo che mi ha fatto scrivere quanto segue:
RispondiEliminahttp://traditioliturgica.blogspot.it/2017/03/la-consacrazione-delleucarestia.html
@Teofilatto. In parole povere con epiclesi intendo l'invocazione dello Spirito Santo sulle oblate. Si scopre il calice dopo la consacrazione del pane, togliendo la palla che lo protegge.
RispondiElimina@ Pietro C. Non mi sembra corretto venire in questo blog e pubblicizzare il proprio dove si denigrano coloro che qui intervengono e indirettamente chi lo gestisce, giudicandoli ottusi, ripiegati su schemi mentali giuridici e romani, quasi che la vera liturgia fedele alle origini sia quella orientale.
RispondiEliminaLo trovo sbagliato per tre motivi:
1. Il canone romano non è certamente posteriore a quelli orientali, ma di origina apostolica e non v'è traccia di epiclesi.
2. Quello che stabilisce il Concilio di Firenze e il Tridentino non è un'involuzione liturgica, ma un approfondimento di un patrimonio già appartenuto ai padri latini e orientali.
3. La visione romana dei sacramenti non esclude quella mistica degli orientali, perché l'azione di Cristo nella consacrazione non esclude, anzi è possibile grazie all'opera dello Spirito Santo. Sperando di essere compreso non per un signore che ama polemizzare, ma per un prete che cerca di essere fedele al patrimonio liturgico che ha ricevuto in dono.
Concordo. Infatti nel "racconto dell'istituzione" così come lo riportano i vangeli non c'è traccia di epiclesi o sbaglio? Ciò non per sminuirne l'importanza...ma direi che è più una preghiera - gesto invocativo-eplicativo che performativo.
Elimina@pietro C. Grazie per gli spunti ma....quando avviene la consacrazione non lo dice, se alle parole del Cristo o all'epiclesi. Quando possiamo determinare l'istante della consacrazione?
a distanza di anni rileggo questo articolo è noto i suoi notevoli errori:
RispondiElimina- il documento sembra ignorare l'esistenza del Codice di Mar Esaya, risalente al X secolo e riportante una versione arcaica dell'anafora di Addai e Mari, la riporta senza il Racconto dell'Istituzione. tanto che anche Raes, citato nell'articolo come sostenitore della scomparsa del Racconto, dopo la pubblicazione della scoprta si convinse questa anafora non l'aveva mai avuto. quindi negli anni la certezza della non integrità dell'anafora si è dissolta
- fa sempre simpatia vedere citato il decreto per gli armeni come prova incontestabile che sono le Parole dell'Istituzione l'unica forma dell'Eucarestia. stranamente di questo documento ci si dimentica quando si parla della forma dell'ordine sacro, che il decreto identifica nella 'consegna degli strumenti', cerimonia assente fra gli orientali e introdotta tardivamente nei riti occidentali
- fa simpatia anche riportare i pezzi della parte epicletica dell'anafora e dire 'ecco, queste parti presuppongono la Consacrazione, quindi essa c'era'. è così vera la cosa che l'anafora Sarar (versione maronita di Addai) nell'inserire il Racconto non lo mette in mezzo alle preghiere, ma sostituisce la parte 2) con un'introduzione, il Racconto più un'anamnesi, tutte rivolte a Cristo, questo segno di una non grande antichità, visto che l'anafora di Addai invece ha tinte di monarchianesimo
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