Esame dell’eracliteismo latente di Papa Francesco
di Don Renuad de Sainte Marie, FSSPX
Pubblicato sul n. 600, giugno 2017, del Courrier de Rome
L’apparente pragmatismo dell’attuale pontificato contrasta con i numerosi articoli e analisi che si sforzano di scoprire i presupposti intellettuali che costituiscono la trama dei discorsi e dell’agire del Papa attuale. Il ruolo dell’analisi intellettuale non è solo di cogliere le grandi linee, ma anche di segnalare le conseguenze funeste che sono legate al pensiero che essa prende in esame.
Il lungo articolo del Professor Turco (Courrier de Rome n° 593, novembre 2016) aveva permesso di stabilire, tra l’altro, la natura eraclitea del pensiero di Francesco. Notiamo che anche Giovanni Scalese (1) aveva segnalato la cosa, quando aveva rilevato nella serie di affermazioni papali riguardanti il tempo e lo spazio, il primato del divenire sull’essere.
La qualifica di eracliteo non sempre permette di cogliere tutta la sua gravità. L’eracliteismo è più un’opzione metafisica radicale che una vera scuola, ma una tale opzione ha delle conseguenze pesanti se viene assunta concretamente.
I presupposti e le conseguenze della filosofia di Eraclito d’Efeso sono, come il loro autore, totalmente sconosciute alla maggioranza. Analizzare i detti di Francesco e comprendere l’estrema gravità di ciò che accade sotto i nostri occhi non si può fare senza scoprire un po’ il contenuto della filosofia che anima l’attuale pontificato. In realtà, molti rifiutano ancora di vedere la verità, così ci è sembrato necessario mostrare verso quale abisso veniamo spinti da parole rassicuranti e da aforismi in apparenza fruttuosi.
L’eracliteismo: la contraddizione come principio
Eraclito è stato accusato di aver messo in discussione il principio di non-contraddizione. Infatti, non si può affermare che una cosa è nera e bianca nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto. Riassumendo il pensiero dei Greci per questo paradosso, possiamo parlare di: contraddizione come principio. E allora sarà bene accennare alla «dottrina» di quest’uomo morto nel V secolo avanti Cristo. Non è rimasto granché del suo pensiero, ma i pochi frammenti pervenutici danno a sufficienza l’idea dell’importanza di quest’uomo. Maritain considerava che le affermazioni di questo personaggio sconosciuto al grande pubblico costituivano delle pietre miliari dell’errore. Il pensiero umano non può andare oltre le affermazioni che di lui ci sono pervenute, pensieri estratti dalla sua opera Sulla natura, oggi scomparsa.
Che dice Eraclito? La filosofia nascente delle colonie greche dell’Asia Minore cercava di conoscere di cosa fossero fatte le cose. Si trattava di una ricerca sugli elementi primari della natura. Talete per primo dichiarava che l’insieme dell’universo era composto di uno solo e stesso elemento. Per Eraclito, la fissità e la stabilità degli elementi del mondo erano illusori, apparenti. La sola realtà era il divenire, e nulla di ciò che esisteva poteva sussistere (2). Il mondo era un fuoco che si accendeva e si spegneva secondo una misura. (3).
Anche se è difficile abbozzare uno schizzo del pensiero di questo Greco originale: la sua audacia intellettuale, il suo amore per la contraddizione (4), la sua marcata preferenza per il divenire, la sua tesi del conflitto armonico, sono elementi assai prossimi a certe affermazioni di Bergoglio.
Lo si vede quando si leggono queste due frasi:
«Il tenone e la mortasa si assemblano, i colori (o i suoni) complementari conducono alla più bella armonia e ogni equilibrio deriva da forze antagoniste» (5).«I razionali e gli irrazionali fanno tutti i numeri; le centripete e le centrifughe danno tutte le forze; quelli che si accordano e quelli che combattono realizzano tutti i popoli. Da tutti i possibili emerge una realtà e a partire dall’esistente si aprono tutte le possibilità» (6).
Paragoniamo queste frasi al pensiero del Papa che espone uno dei suoi quattro princípi:
«Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto.» (7).
Non è difficile constatare la più grande prossimità di queste affermazioni di Papa Francesco con quelle di Eraclito, piuttosto che con il pensiero di Platone o di Aristotele. Ma questa potrebbe essere solo aneddotica. Senza fermarci al fondo di questa somiglianza tra le frasi di Eraclito e quelle del Papa, la nostra riflessione verterà sul principio dello spazio e del tempo. Questo principio, enunciato e commentato dal Papa è, dal nostro punto di vista, il più importante, perché si relaziona col problema dell’essere e del divenire. Quello che è ballo è dunque tutta la questione metafisica, e in ultima analisi la capacità dell’intelligenza umana di conoscere Dio.
Il principio dello spazio e del tempo e i quattro princípi bergogliani
Quattro princìpi formano la chiave di lettura del pensiero e dell’agire di Papa Francesco. Egli in qualche modo ha esposto questi quattro princìpi nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, al n° 3 del capitolo IV, che tratta dell’aspetto sociale dell’evangelizzazione e più particolarmente del Bene comune.
Ricordiamo che questi quattro princìpi sono: l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte, e il principio che cercheremo di comprendere: la dialettica tra tempo e spazio.
Prima di cominciare ad analizzare questi pochi paragrafi dell’esortazione del 2013, che contengono la sintesi del pensiero pratico di Papa Francesco, ci sembra importante ricordare la dinamica d’insieme del testo. In effetti, i quattro princìpi, di cui fa parte la dialettica tra tempo e spazio, sono enunciati in una parte che riguarda i rapporti sociali e politici tra gli uomini.
L’esortazione apostolica – dopo una breve introduzione in cui il Papa intende definire gli aspetti principali della missione della Chiesa – si divide in cinque parti:
- trasformazione missionaria della Chiesa,
- crisi dell’impegno comunitario,
- annuncio del Vangelo,
- dimensione sociale dell’evangelizzazione,
- evangelizzatori con lo Spirito. Questo testo costituisce il programma del pontificato e insieme dà uno sguardo d’insieme sulle difficoltà attuali ed anche sui princìpi di analisi del reale.
E’ nella quarta parte che il Papa dà questi quattro princìpi che secondo lui governano l’elaborazione della città in quanto comunità umana:
«Per avanzare in questa costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, vi sono quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale. Derivano dai grandi postulati della Dottrina Sociale della Chiesa (8), i quali costituiscono “il primo e fondamentale parametro di riferimento per l’interpretazione e la valutazione dei fenomeni sociali” (9). […] Alla luce di essi desidero ora proporre questi quattro principi che orientano specificamente lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune.» (10).
Se si legge il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del 2004, a cui si fa riferimento nel passo che abbiamo citato, non si troverà letteralmente alcuno dei quattro princìpi enunciati dal Papa. Se ne deduce che questi quattro princìpi sono delle sintesi intellettuali opera di Francesco stesso (11). La sola prossimità manifesta tra i due testi si trova esattamente nel riferimento alla nozione di tempo. E si può già fare una constatazione: il Papa si appoggia all’autorità di un testo pubblicato da uno dei suoi predecessori per dare a questi quattro princìpi un valore di riferimento identico a quelli del Compendio. Azzardiamo una piccola comparazione tra i due testi.
Il Compendio cita diversi princìpi: il bene comune, la destinazione universale dei beni, la sussidiarietà, la partecipazione e la solidarietà. Si tratta di idee molto meno generali di quelle enunciate dal Papa, i princìpi del Compendio sono orientati verso la questione della vita sociale e politica. Il Compendio le lega alla visione generale che l’anima: l’umanesimo integrale. I princìpi di Francesco sono affermati di punto in bianco e si fa fatica ad integrarli nell’insieme relativamente coerente del Compendio.
Malgrado tutto, la questione non sta in questo. Noi riteniamo che i princìpi non siano in effetti derivati dal Compendio; e tuttavia, dalla loro buona comprensione si coglierà la coerenza dell’azione dell’attuale pontificato.
Comprensione del significato dei termini tempo e spazio
Tempo e spazio, due termini comuni
Nell’Università francese si designa la fisica matematica di Galileo e di Newton con l’espressione: fisica classica. Essa si oppone alla fisica aristotelica per il fatto che abbandona un certo numero di concetti fondamentali espressi dal filoso antico. Pur conservando sotto un certo rapporto il punto di vista della fisica anteriore, lo studio degli esseri mobili, questa fisica classica si è sforzata di dare conto dei fenomeni, sistematizzando con la matematica la descrizione del movimento dei corpi. I due concetti di base di questa fisica sono lo spazio (l’universo tridimensionale nel quale ci si presenta l’oggetto materiale) e il tempo (il fattore che permette di misurare il movimento nello spazio dell’oggetto in questione secondo una o più costanti).
La filosofia kantiana ha in qualche modo consacrato questa doppia formalità fisica, facendone delle condizioni di ogni conoscenza sensibile. Così che questa coppia di termini è passata nel linguaggio corrente per indicare l’universo comune in cui noi ci muoviamo. A nostro avviso, non bisogna cercare di accostare i termini del Papa all’estetica trascendentale di Emmanuel Kant. Il Papa utilizza questi termini secondo un significato comune, ed è a partire da esso che andremo a cogliere il fondo del problema (12).
Il tempo di fronte allo spazio
Nei diversi interventi del Papa, i due termini sono sistematicamente presentati come opposti, nei diversi interventi del Papa. Nel pensiero di Francesco la stessa nozione di opposizione sembra avere un’importanza per la comprensione dei problemi del mondo e per la loro risoluzione.
Riprendiamo una frase che abbiamo già citata: « Per avanzare in questa costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, vi sono quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale » (13).
Come comprendere questa opposizione? Il testo di Evangelii Gaudium dimostra che il Papa fissa certe attitudini fondate su certe costanti che egli raccoglie sotto il nome di spazio e ne promuove altre che sono più orientate verso il tempo:
« Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici.» (14).
In questo testo, non bisogna cercare delle definizioni formali. Questo non vuol dire che non vi sia una certa forma di sistematizzazione. Il Papa utilizza spazio e tempo come dei simboli a geometria variabile, a seconda del soggetto che analizza. La costante suggerita non è altro che l’affermazione di un’opposizione tra realtà statiche e realtà dinamiche, queste ultime presentate come le sole capaci di creare l’unità tra gli uomini, le sole capaci di dare un valore reale alla vita umana. Il cattivo cammino che gli uomini sarebbero tentati di seguire sarebbe proprio il volersi fermare, il volere organizzare la loro vita in quadri troppo rigidi.
La difficoltà di comprensione che può sorgere dalla lettura dei diversi testi deriva dal fatto che le parole del Papa sono simboliche e si riferiscono soprattutto a delle immagini senza comportare un contenuto profondo e senza cercare la precisione concettuale. Vi è senza dubbio la volontà di esprimere delle sorte di analogie, ma in contrasto con la teologia perenne; tutto questo manca brutalmente di rigore, il che rende più difficile la comprensione.
Tuttavia, una tale imprecisione non impedisce, al lettore attento, di cogliere al di là di certe contraddizioni, una grande coerenza. Questo appare nell’applicazione del principio ai diversi soggetti che il Papa analizza alla luce di questo principio.Tematiche diverse in cui il tempo deve prevalere sullo spazio
Dio e la Sua Provvidenza
Non si può dire che il Papa faccia di Dio un essere in perpetuo divenire. Dio è Colui da cui traiamo la nostra origine (15), come anche il termine del nostro viaggio (16). La fede rivela un Dio amore presente nella vita di ciascuno, nella sua storia, e cioè in ogni tappa della vita. L’uomo deve trarre dal suo passato e costruire il suo avvenire (17) con un Dio presente in ogni momento attuale (18):
« C’è infatti la tentazione di cercare Dio nel passato o nei futuribili. Dio è certamente nel passato, perché è nelle impronte che ha lasciato. Ed è anche nel futuro come promessa. Ma il Dio “concreto”, diciamo così, è oggi. Per questo le lamentele mai mai ci aiutano a trovare Dio. Le lamentele di oggi su come va il mondo “barbaro” finiscono a volte per far nascere dentro la Chiesa desideri di ordine inteso come pura conservazione, difesa.» (19).
In questo messaggio vi è un’interpretazione implicita dell’evoluzione storica che quadra con la celebre sentenza del «segno dei tempi». Il Papa commenta, su invito di Padre Spadaro, il suo discorso a Rio ai giovani riuniti per la GMG. Questo commento va accostato alla tematica precedente affrontata nell’intervista e cioè all’importanza del Vaticano II. Il Papa definisce il concilio come la rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Prendendo l’esempio della liturgia, il Papa mostra l’importanza di questa prospettiva, ed è importante comprendere l’insegnamento implicito di questo passo. La storia, o il tempo, poiché si tratta di sinonimi nel pensiero del Papa, conosce delle evoluzioni alle quali bisogna sapersi conformare. Le forme sacramentali, le dottrine morali, l’agire ecclesiale sono suscettibili di trasformazioni. Dio può manifestarsi in ogni momento di questa storia in perpetua evoluzione. Ogni forma di limitazione dell’azione divina con delle categorie costituisce senza alcun dubbio un’interferenza estranea a Dio:
«Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio. Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva.» (20).
Tuttavia, il Papa sembra intravedere ciò che le sue affermazioni rischiano di comportare:
«Dunque, Dio lo si incontra camminando, nel cammino. E a questo punto qualcuno potrebbe dire che questo è relativismo. È relativismo? Sì, se è inteso male, come una specie di panteismo indistinto. No, se è inteso in senso biblico, per cui Dio è sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro con Lui. Bisogna dunque discernere l’incontro. Per questo il discernimento è fondamentale» (21).
Malgrado la piroetta intellettuale, una cosa è certa: associare Dio al movimento, all’evoluzione, ut sic conduce quasi necessariamente al panteismo, poiché ogni forma di specificità cultuale, di contenuto dogmatico esclusivo del suo contrario è una sorta di tradimento del dinamismo divino, della sua polimorfia d’origine. Lungi dal rivelarci chi è Dio, una tale posizione intellettuale ce Lo rende incomprensibile e l’associa ad ogni possibile delirio dell’umanità in materia di affermazione teologica. In continuità con questa fraseologia – si fa fatica a chiamare pensiero tutto questo - si potrebbe dire che lasciare che il tempo faccia il suo lavoro, permette la conquista di nuovi spazi; guai a colui che cerca di salvaguardare l’eredità del passato; guai a colui che delimita Dio sotto qualsiasi forma e sotto qualche definizione dogmatica.
Che resta dunque del deposito rivelato quando si adottato tali princípi? Che si può dire di Dio se si adotta una tale posizione a rigore dei termini? Niente…
Ma cosa intende dire il Papa quando dichiara che Dio è sempre una sorpresa? In che modo Francesco potrebbe sperare di rassicurare i lettori turbati da queste parole gettate al vento? Senza dubbio la Provvidenza divina non ha risparmiato ai suoi santi le battute d’arresto e i colpi di scena straordinari, manifestando in tal modo il suo potere supremo sul corso della storia. Non si può mettere sullo stesso piano l’agire di Dio in questo mondo, l’effetto che esso imprime sulle sue creature in un dato tempo, con ciò che Egli è in Sé stesso per l’eternità, e nemmeno con l’economia generale della Redenzione, che è anch’essa immutabile.
Si ha così una chiave di interpretazione dell’agire interreligioso di questo Papa (22). Ogni forma di espressione su Dio, per quanto imprecisa, possiede qualcosa di valido, poiché la fede è innanzi tutto cammino:
«Poiché la fede si configura come via, essa riguarda anche la vita degli uomini che, pur non credendo, desiderano credere e non cessano di cercare. Nella misura in cui si aprono all’amore con cuore sincero e si mettono in cammino con quella luce che riescono a cogliere, già vivono, senza saperlo, nella strada verso la fede. Essi cercano di agire come se Dio esistesse, a volte perché riconoscono la sua importanza per trovare orientamenti saldi nella vita comune, oppure perché sperimentano il desiderio di luce in mezzo al buio, ma anche perché, nel percepire quanto è grande e bella la vita, intuiscono che la presenza di Dio la renderebbe ancora più grande.» (23).
Prima di affrontare altri argomenti, possiamo concludere su questo punto con delle affermazioni papali sul Creatore. Anche se non si può sospettare con troppa facilità il Papa di panteismo, il modo in cui egli parla di Dio farà sì che presto o tardi i suoi uditori finiranno col farlo. Per quante precauzioni oratorie – che sono peraltro molto deboli - egli possa prendere, non potrà limitare gli effetti distruttori di un tale ragionare, fin dal momento in cui lo esprime.
Cristo e la Redenzione
Riprendendo un tema classico del pensiero di Sant’Agostino, il Papa mette Cristo al centro della storia, distinguendo tra la fede nel Messia venturo e quella nel Messia già venuto (24). Ma nell’enciclica Lumen Fidei, il punto di vista della temporalità bergogliana caratterizza il discorso sul ruolo di Cristo in una maniera molto singolare, che supera di gran lunga questa giusta osservazione di Sant’Agostino sulla centralità temporale del Messia.
In questa prima enciclica del Papa, molti avranno notato la presentazione un po’ originale della salvezza. In nessun contesto il Papa dice che Cristo è morto per i peccati degli uomini, il Suo ruolo salvifico qui si limita alla rivelazione dell’amore del Padre (25), a rassicurare sulla affidabilità della Parola di Dio nella Rivelazione, al fatto che la Resurrezione è una prova della veracità di questa parola divina (26).
Quanto alla Redenzione soggettiva, essa consiste nel fatto di comprendere questa economia, in questo caso quando ci apriamo all’azione di Gesù che ci rivela da dove veniamo e dove siamo chiamati ad andare. E si presenta di nuovo questa nozione di temporalità:
« La fede sa che Dio si è fatto molto vicino a noi, che Cristo ci è stato dato come grande dono che ci trasforma interiormente, che abita in noi, e così ci dona la luce che illumina l’origine e la fine della vita, l’intero arco del cammino umano.» (27).
Per comprendere questa frase bisogna decriptare un po’ il pensiero del Papa. La vita dell’uomo sulla terra è un pellegrinaggio, un percorso. Dio è all’inizio e al termine. Allora, perché parlare di salvezza?
Su questo percorso, l’uomo può fuorviarsi. Per esempio, quando si ripiega su se stesso egli cade in una forma di idolatria, perché cerca di dare un volto divino alle sue stesse opere, il che comporta un sviamento e una dispersione di energie (28). Inoltre, la fede ci apre verso l’altro, e questo è logico perché essa ci conduce all’amore, ci fa accettare la mediazione dell’altro per raggiungere Dio (29). Cristo, morendo e resuscitando, ci offre la garanzia che Dio è al termine del cammino e questa garanzia a sua volta insegna l’amore del Padre, ma assicura anche la necessaria mediazione di un altro, perché noi non siamo soli sul percorso, in un certo senso Cristo soddisfa al meglio i due criteri della fede, perché Egli è un mediatore e la sua resurrezione è la migliore garanzia della Rivelazione dell’amore di Dio.
Ci sia permesso di constatare che un tale pensiero sviluppa una visione della Redenzione ben lontana dall’insegnamento perenne della Chiesa. Senza dubbio, la persona di Cristo è centrale nella storia, perché ci offre una restaurazione integrale del rapporto con Dio, che era stato interrotto. In tutte le Epistole di San Paolo che il Papa si compiace di citare si parla di una riconciliazione (30) di una distruzione della sentenza di morte che pesava su di noi (31), di una mediazione del Sommo Sacerdote (32).
Non si nega che Cristo ci ha fatto conoscere l’amore misericordioso di Dio, ma dov’è la fede nel valore del Sangue di Cristo? Cristo non è solo una Rivelazione, Egli è anche la Porta per la quale gli uomini devono passare per sperare di raggiungere Dio.
La fede e l’amore
Molti elementi rendono difficile la lettura dell’enciclica Lumen Fidei. Tra questi vi è il partito preso di non dare definizioni chiare della fede, ma piuttosto di descriverla nelle sue mille sfaccettature e di collegarla sistematicamente all’amore. Ma per essere equi nel nostro giudizio bisogna riconoscere che vi sono dei passi che sembrano ispirarsi a delle fonti serie e fanno apparentemente delle buone distinzioni. Ne citiamo due:
«“Crediamo a” Gesù, quando accettiamo la sua Parola, la sua testimonianza, perché egli è veritiero (cfr Gv 6,30). “Crediamo in” Gesù, quando lo accogliamo personalmente nella nostra vita e ci affidiamo a Lui, aderendo a Lui nell’amore e seguendolo lungo la strada (cfr Gv 2,11; 6,47; 12,44).» (33).
«La nuova logica della fede è centrata su Cristo. La fede in Cristo ci salva perché è in Lui che la vita si apre radicalmente a un Amore che ci precede e ci trasforma dall’interno, che agisce in noi e con noi.» (34).
Nella prima, notiamo che Francesco assume una distinzione che deriva dalla teologia latina laddove presenta la sfumatura tra «credere a» e «credere in» (35). Colui che riconosce la veridicità delle parole di Cristo, gli crede, è già nella fede senza entrarvi in maniera perfetta. Egli rimane in una fede morta, senza opere, e offre un’adesione al messaggio evangelico senza trarne delle conseguenze pratiche. Colui che si mette alla sequela di Cristo, crede in Lui, entra nella fede che ama, che fa passare concretamente dalla teoria alla pratica. In sé questa distinzione ha qualcosa di vero, poiché la teologia tradizionale ha sempre associato il credere in alla fede formata, alla fede animata dalla carità. Colui che crede «in Dio» vive già in Lui e deve progredire in questa vita che lo lega a Dio, come il tralcio alla vite.
La seconda citazione potrebbe anch’essa essere ben interpretata. La grazia di Dio è primaria ed è Cristo che ce l’apporta, sapendo che pastoralmente si può sempre identificare grazia e carità allo scopo di toccare il grande pubblico. Ma globalmente è giocoforza constatare una reale imprecisione, per non dire confusione, nella tematica della temporalità e del dinamismo della fede. La fede vivente agisce tramite la carità, la fede trova la sua finalità nell’amore di Dio e del prossimo. Ma l’una non è l’altra. E la confusione che leggiamo in Francesco si ricollega al grande problema della filosofia del divenire abbracciata dall’attuale occupante il Soglio di Pietro. E le conclusioni che possiamo trarre su questa questione sono gravissime.
Si potrebbe dire che la presentazione tradizionale dei rapporti tra fede e carità supponeva in effetti due dinamismi della fede, dinamismi che il Papa attuale continua a confondere riducendo il primo al secondo.
Il primo dinamismo è quello della fede come conoscenza: la fede come conoscenza imperfetta di Dio, in cielo cederà il posto alla visione beatifica, visione de visu della Trinità. Questa tensione dinamica, passaggio dalla potenza all’atto, fa sì che noi possiamo crescere nella conoscenza di Dio e avere una fede sempre più profonda, un’adesione della nostra intelligenza sempre più affermata, costruita, comprensiva dei diversi articoli della fede. Cosa che non vuol dire che Dio di per Sé appaia più chiaro all’anima, come dimostrano le narrazioni dei mistici. L’aumento di questa conoscenza si arresterà con la nostra morte e troverà la sua pienezza nel Regno celeste.
Notiamo che il dinamismo proprio dell’anima del credente, anche se si svolge nel tempo, non si riduce ad esso. L’atto del credere e il suo dinamismo sono di un ordine diverso da quello storico, di modo che il credente può cessare di esserlo, può convertirsi. Non c’è equivalenza tra le due cronologie, quella dell’evoluzione temporale del credente nel mondo e quella del credente in rapporto a Dio. In altri termini, non v’è parallelismo prestabilito tra le due dinamiche.
Il secondo dinamismo è quello della fede come principio dell’azione che ama: infatti ogni amore è frutto di una conoscenza. Riconoscere che il tale o tal’altro oggetto è buono per noi è fondamentalmente un atto cognitivo. Ed è lo stesso genere di azione cognitiva che muove la nostra inclinazione ad una vita d’amicizia in cui noi vogliamo il bene del nostro amico in quanto è il nostro, e nel caso dell’amicizia con Dio più che il nostro. La fede produce normalmente la speranza, movimento amante verso Dio in quanto ci apporta la nostra felicità; e la fede e la speranza hanno come sbocco la carità, in quanto noi viviamo della Sua amicizia accettando la Sua divina beatitudine che Egli ci dona e che ci fa gioire per Lui che la possiede e per noi che possiamo parteciparvi.
Il torto del dinamismo del pensiero del Papa sta nella sua univocità e dunque nel suo riduzionismo. La fede è implicata in un doppio movimento dell’anima. La dinamica intrinseca della fede come conoscenza è specificamente distinta da quella della volontà, che è perfezionata dalla carità. Tuttavia la fede non è estranea a questa seconda dinamica, poiché ne è il principio: e senza la fede la carità soprannaturale non esiste.
Per il Papa, l’affermazione della Trinità come mistero d’amore e di comunione costituisce il centro della fede (36). Ma come si può pretendere di conoscere l’amore di Dio e tendervi se si rifiuta questo insegnamento su Dio? E’ una contraddizione insita nelle stesse affermazioni del Papa. Se un uomo rifiuta che Dio è Trinità, se rifiuta di riconoscere che Dio esiste, come può comprendere l’amore di Dio e come può condursi verso questo amore?
Non è perché l’uomo crede assai vagamente nell’amore, che ha la fede nell’amore del vero Dio. In più la fede è una conoscenza, soprannaturale certo, ma che obbedisce alle stesse leggi generali delle altre conoscenze. Quando affermiamo che Dio è, affermiamo al tempo stesso che coloro che negano questo fatto sono nell’errore. Ora, se qualcuno è nell’errore, se qualcuno rifiuta di credere in Dio, egli non può avere e neanche tendere alla carità, poiché gli manca il principio di essa. Egli non può concretamente andare verso qualcuno di cui non riconosce l’esistenza.
Non solo il Papa non parla di convertire, ma egli ritiene anche che sia necessario che tutti camminino insieme (37). In tal modo, l’amore, il più indefinito, diviene la sola verità distinguibile della fede, a detrimento di tutte le altre:
«Chi si mette in cammino per praticare il bene si avvicina già a Dio, è già sorretto dal suo aiuto, perché è proprio della dinamica della luce divina illuminare i nostri occhi quando camminiamo verso la pienezza dell’amore.» (38).
Tale processo completa quello che la «teoria» di Dio presente nel tempo aveva cominciato ad abbozzare. Lo completa perché lo concretizza, e rende caduca la fede come confessione della verità su Dio e sul Suo Cristo. Dio diventa veramente e definitivamente lo sconosciuto, l’inconoscibile e ben presto l’inesistente. Ogni rivelazione divina è ridotta a niente e ogni discorso su Dio sarà squalificato, anche quello che dice che Dio è amore. La sola cosa che resta sarà la frase: «Credo nell’amore!», come si vede nel video del Papa n° 1 (39). E’ la sola verità che possa essere detta in comune. Questa carità alterata può essere buona solo per questo tempo: quello dell’universo visibile degli uomini da cui Dio sarà bandito per sempre.
La vita morale e sociale
Concludiamo questa analisi con la questione dei rapporti umani. Ricordiamoci che i quattro princípi sono stati presentati in una parte della Evangelii Gaudium dedicata alla questione sociale. In più, non possiamo ignorare questo aspetto perché esso è del tutto complementare alla riflessione sulla carità.
D’altronde è sotto quest’aspetto che l’agire pontificio ha procurato i maggiori commenti in seno alla Chiesa, poiché in effetti è sulla base di questi famosi princìpi che il Papa ha avuto l’audacia di distruggere quello che ancora poteva esserlo.
Una frase che all’epoca è passata senza dubbio inosservata, oggi prende tutto il suo senso, perché ci indica che Amoris Laetitia non poteva essere scritta diversamente da come lo è stata:
«Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo. Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?» (40).
La questione aperta dal Papa non aveva ancora svegliata l’attenzione, che egli metteva già in equilibrio le cose: opponendo falsamente il pentimento della donna a riguardo dell’aborto all’incapacità nella quale ella si trovava di ricevere l’assoluzione a causa del suo secondo matrimonio. In tal modo, il suo primo matrimonio, valido, aveva condotto ad un male terribile a cui ella aveva riparato col suo secondo matrimonio, invalido. E il Papa giunge ad una conclusione senza fornirla, ma solo suggerendola: si potrebbe senza dubbio fare un’eccezione, dandole l’assoluzione sulla base del fatto che ha manifestato pentimento per il suo aborto.
Come comprendere una morale che ignora l’indicazione dell’Apostolo Giacomo?
«Poiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto; infatti colui che ha detto: Non commettere adulterio, ha detto anche: Non uccidere. Ora se tu non commetti adulterio, ma uccidi, ti rendi trasgressore della legge.» (41).
Di fatto, la posizione di Francesco oscilla tra l’affermazione di fedeltà ai comandamenti e l’asserzione di princípi distruttori di essi, con un altalenare dialettico e contraddittorio che fa sì che i più importanti di questi ultimi distruggano i comandamenti che a questo punto si può dire siano meno importanti.
Nessuno può negare che Cristo stesso ha affermato che vi è un ordine nei comandamenti, e che il più importante è quello dell’amore di Dio, e che ve n’è uno di importanza simile: l’amore del prossimo (42). Dunque, alla base il Papa ha ragione a parlare di gerarchia (43). Ma questa gerarchia non può giungere a distruggere la forza di un comandamento inferiore, poiché Cristo stesso ha denunciato la malizia di una tale predicazione:
« Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.» (44).
Il Papa, nella sua enciclica Lumen Fidei ci dà una visione della morale integrandola nella ricerca di Dio amore. Sul fatto che l’amore di Dio sia il fine di tutte le nostre azioni, non abbiamo nulla da ridire, ma il falso dinamismo che abbiamo già messo in luce corrompe necessariamente la presentazione della morale:
«È altrettanto importante, inoltre, la connessione tra la fede e il Decalogo. La fede, abbiamo detto, appare come un cammino, una strada da percorrere, aperta dall’incontro con il Dio vivente. Per questo, alla luce della fede, dell’affidamento totale al Dio che salva, il Decalogo acquista la sua verità più profonda, contenuta nelle parole che introducono i dieci comandamenti: « Io sono il tuo Dio che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto » (Es. 20,2). Il Decalogo non è un insieme di precetti negativi, ma di indicazioni concrete per uscire dal deserto dell’ “io” autoreferenziale, chiuso in se stesso, ed entrare in dialogo con Dio, lasciandosi abbracciare dalla sua misericordia per portare la sua misericordia. La fede confessa così l’amore di Dio, origine e sostegno di tutto, si lascia muovere da questo amore per camminare verso la pienezza della comunione con Dio. Il Decalogo appare come il cammino della gratitudine, della risposta di amore, possibile perché, nella fede, ci siamo aperti all’esperienza dell’amore trasformante di Dio per noi.» (45).
Troviamo qui sintetizzata la presentazione dell’azione umana alla luce della fede. La fede genera una dinamica di incontro con Dio amore, ma una dinamica che nega fondamentalmente le esigenze dell’intelligenza per la non contraddizione e la coerenza. Ora, tutta la complessità della teologia morale si fonda su una sfumatura cognitiva dell’anima umana. Negare la validità della conoscenza umana significa rimuovere ogni discorso morale, perché lo si attacca alla radice.
A riguardo, è molto caratteristico vedere il poco caso che fa Francesco ai comandamenti del Decalogo, da lui ridotti a soli precetti negativi. Non occorre essere dei grandi chierici per constatare che grammaticalmente il Decalogo comporta dei precetti positivi e altri negativi, comandamenti il cui obbligo cambia a seconda della qualità. Si manifesta quindi tutta la sfumatura teologica che distingueva la temporalità degli obblighi morali, poiché il vietato, nella sua osservanza, è di per sé più assoluto dell’obbligo positivo (46). Invece di tenere conto di questo, il Papa preferisce cadere nella caricatura. Secondo lui, la morale consisterebbe solo nei divieti.
Senza alcun dubbio è esistita una certa predicazione morale deleteria di cui non ci si lamenterà mai abbastanza, ma questa predicazione era infedele alle sue fonti e alle distinzioni proposte dai grandi dottori. Non si corregge un errore con un altro errore, e non bisogna addebitare la colpa della stupidità degli uomini a Dio stesso, poiché Egli è l’autore della materialità di queste dieci sentenze, con tutto quello che esse implicano per le nostre vite concrete.
Una cosa passa inosservata ad una prima lettura, ma essa tuttavia è di una grande importanza nel pensiero del Papa attuale. Francesco insegna che il Decalogo ha la funzione di staccarci dalla nostra individualità, dal nostro narcisismo. Al di là di una certa verità nell’affermazione, questo concetto fornisce un’indicazione interessante sulla teoria pratica applicata. Lo scopo dei comandamenti è certo quello di staccarci dall’amore di noi stessi per condurci verso l’amore di Dio e l’amore degli altri. Ma se si intende bene il Papa – e per far questo occorre rifarsi ad altri detti che completano questo passaggio (47) – si coglie un’eredità estranea al cattolicesimo, ma perfettamente assunta come tale: la recente messa in auge di Lutero ce lo prova.
Questa tematica dell’alterità è una risonanza del pensiero luterano in senso lato. Per Lutero, l’individuo è totalmente ripiegato su se stesso (48). Nella condanna dell’individualismo e della reificazione idolatra che si pensa esso comporti, vi è come una sorta di eco deformata della vecchia sfiducia luterana verso l’amore di sé. La salvezza passa per l’altro in quanto altro (49). Esiste una sana e necessaria critica all’individualismo, non è di questo che si tratta. Noi non denunciamo la critica in quanto tale, ma il motivo di questa critica. Spingerci adesso più avanti in questa spiegazione ci porterebbe fuori tema, ma non escludiamo di approfondire la cosa in un'altra occasione. Quello che è certo è che il Decalogo è presentato come un’uscita dal narcisismo, di cui gli idoli sono per esempio una manifestazione (50). Indubbiamente c’è qualcosa di vero in ciò che il Papa dice sull’argomento, ma è la visione d’insieme che è falsa.
Camminare può essere una buona cosa solo se si sa dove si va
Il pensiero e l’agire dell’attuale pontefice non sono immuni da contraddizioni molto profonde, tutt’altro. Noi ci siamo concentrati sulla problematica del movimento perché essa tocca l’agire in generale e quindi tutte le attività umane. L’errore fondamentale risiede in una concezione superficiale del dinamismo postulato come buono in se stesso.
Il dinamismo non è una realtà in sé, ma si definisce per la natura degli esseri che agiscono e per la natura delle potenze che sono implicate in questo agire. I movimenti, dunque, sono differentemente qualificati, e per quanto riguarda l’uomo, i diversi dinamismi che l’animano (corporali, dell’anima, spirituali) devono essere armonizzati e gerarchizzati.
Vi sono dei dinamismi positivi che sfociano nella perfezione di una cosa, di un uomo, di una società, e vi sono dei dinamismi che sfociano nella distruzione. Per comprenderli bisogna possedere una facoltà che permette di discernere una cosa da un’altra: l’intelligenza speculativa. Abolire quest’ultima per fare tutto in nome dell’amore, significa non rendersi conto che si tratta di una catastrofe, poiché l’amore di per sé non ha più senso dell’odio, essendo entrambi fonte di dinamismo.
D’altronde, Eraclito assumeva perfettamente la dialettica come essenza del mondo: col caos come padre di tutte le cose (51). Il Papa non fa sua questa eredità, ma in qualche modo fa sue le conseguenze di essa. Non si nega che l’intenzione del Papa sia pacifica, ma egli non può sfuggire alla logica della distruzione e del caos del pensiero che egli, coscientemente o no, ha fatto suo. Non v’è pace nell’eracliteismo, non v’è posto per un Dio che è amore.
Francesco ha indubbiamente ragione a presentare la carità come la regina dell’agire umano, ma per esprimere con saggezza tutte le implicazioni di una tale idea, le intuizioni di una falsa filosofia non sono solo inutili, ma dannose. Postulare a priori la bontà del dinamismo umano senza far caso alle dottrine che sono all’origine delle azioni umane o al disprezzo di esse, significa inevitabilmente ricadere in una concezione senza regole del movimento. Quando il movimento non può più essere giudicato, esso è buono di per sé o è al di là del bene e del male. Lo scopo fissato alle azioni umane, e cioè all’amore, sarà esso stesso considerato come un limite e dunque come un ostacolo. Il risultato definitivo di una tale concezione non è di iniziare una convergenza delle azioni umane verso il Dio amore, quanto piuttosto di assegnare all’amore un movimento perpetuo, la voglia della ricerca per la ricerca, l’insoddisfazione di ogni stato stabile e definitivo come può essere la carità.
Noi auspichiamo fortemente il ritorno ad una sana metafisica che ci permetta di conservare un discorso sul dinamismo della prassi umana, senza scadere nell’anarchia e nel caos né nell’immobilismo di un idealismo astratto e ingannatore. Il Dio che noi cerchiamo non può avere tutti i volti: non tutti i cammini portano a Lui…
______________________________NOTE
1 – G. Scalese, I postulati di Papa Francesco.
2 – Frammento 142.
3 – Frammento 30.
4 – Come si può leggere nel suo ultimo frammento: «Il niente esiste come qualunque cosa».
5 – Frammento 8.
6 – Frammento 10.
7 – Evangelii Gaudium, n° 228.
8 – Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n° 161.
9 - Evangelii Gaudium, n° 221.10 - Evangelii Gaudium, n° 221.
11 – A credere alle parole di un gesuita argentino, Scannone, il suo confratello Bergoglio si serviva di questi quattro princìpi già negli anni settanta.
12 – La coppia tempo-spazio evoca anche il pensiero di Heidegger e di Sartre, ma le affermazioni del Papa sono in effetti molto lontane dai detti di questi due autori.
13 - Evangelii Gaudium, n° 221. Questo passo va accostato a quanto abbiamo detto prima sull’armonia dei contrarii nel pensiero di Eraclito.
14 - Evangelii Gaudium, n° 223.15 – Lumen Fidei, n° 11.
16 - «La fede, che riceviamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo. Da una parte, essa procede dal passato, è la luce di una memoria fondante, quella della vita di Gesù, dove si è manifestato il suo amore pienamente affidabile, capace di vincere la morte. Allo stesso tempo, però, poiché Cristo è risorto e ci attira oltre la morte, la fede è luce che viene dal futuro, che schiude davanti a noi orizzonti grandi, e ci porta al di là del nostro “io” isolato verso l’ampiezza della comunione.» Lumen Fidei, n° 4.
17 - «È vero che, in quanto risposta a una Parola che precede, la fede di Abramo sarà sempre un atto di memoria. Tuttavia questa memoria non fissa nel passato ma, essendo memoria di una promessa, diventa capace di aprire al futuro, di illuminare i passi lungo la via. Si vede così come la fede, in quanto memoria del futuro, memoria futuri, sia strettamente legata alla speranza.» Lumen Fidei, n° 9.
18 – Noi parafrasiamo un’espressione propria dell’intervista, che parla della presenza di Dio nell’oggi. Ma dal momento che l’agire dell’uomo si svolge nel flusso del tempo, la successione dei giorni, bisogna necessariamente parlare di una presenza di Dio in ogni istante presente.
19 – Intervista di Papa Francesco a Padre Spadaro, del 19 agosto 2013 – sottotitolo: Cercare e trovare Dio in tutte le cose.
20 – Intervista di Papa Francesco a Padre Spadaro, del 19 agosto 2013 – sottotitolo: Certezza ed errori.
21 – Ibidem.22 – Rinviamo al primo video della serie «I video del Papa».
Associato alle affermazioni papali che abbiamo appena riportato, si coglie lo sbocco di una tale attitudine. Piuttosto che condurre alla conoscenza di un Dio che ci ama tutti, gli uomini in genere vi vedranno un segno dell’assurdità della mentalità religiosa, incapace di cogliere le contraddizioni laddove esse si trovano, in nome di un sentimentalismo patologico.
23 – Lumen Fidei, n° 35.24 – Lumen Fidei, n° 5.
25 - «E tuttavia, è proprio nella contemplazione della morte di Gesù che la fede si rafforza e riceve una luce sfolgorante, quando essa si rivela come fede nel suo amore incrollabile per noi, che è capace di entrare nella morte per salvarci. In questo amore, che non si è sottratto alla morte per manifestare quanto mi ama, è possibile credere; la sua totalità vince ogni sospetto e ci permette di affidarci pienamente a Cristo.» Lumen Fidei, n° 16.
26 - Lumen Fidei, n° 17.27 - Lumen Fidei, n° 20.
28 - Lumen Fidei, n° 13.
29 - «La mediazione non diventa qui un ostacolo, ma un’apertura: nell’incontro con gli altri lo sguardo si apre verso una verità più grande di noi stessi.» Lumen Fidei, n° 14.
30 – Rm. 5, 10.31 – Col. 2, 15.
32 – Ebrei 5, 5.
33 - Lumen Fidei, n° 18.
34 - Lumen Fidei, n° 20.
35 – San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II, II, q 2, art. 2.
36 – Cfr. Lumen Fidei, n° 45.
37 - «Non c’è nessuna esperienza umana, nessun itinerario dell’uomo verso Dio, che non possa essere accolto, illuminato e purificato da questa luce. Quanto più il cristiano s’immerge nel cerchio aperto dalla luce di Cristo, tanto più è capace di capire e di accompagnare la strada di ogni uomo verso Dio.» Lumen Fidei, n° 35.
38 - Lumen Fidei, n° 35.39 – Cfr. la nota 20.
40 - Intervista di Papa Francesco a Padre Spadaro, del 19 agosto 2013 – sottotitolo: La Chiesa? Un ospedale da campo…
41 – Gc. 2, 10-11. - E’ divertente notare che il caso esposto dal Papa è quasi identico a quello della Sacra Scrittura. Quindi abbiamo già la risposta cercata dal Papa, basta invertire i termini.
42 – Mt. 22, 35-40.
43 – «Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza.» Intervista di Papa Francesco a Padre Spadaro, del 19 agosto 2013 – sottotitolo: La Chiesa? Un ospedale da campo… Noi pensiamo effettivamente che la legge morale naturale e positiva non sia un elenco di precetti disarticolati e indipendenti gli uni dagli altri. Ma ogni comandamento rientra nella dinamica generale dell’azione umana gratificata. Perciò chi viola un comandamento su una materia importante ostacola l’azione della grazia divina e impedisce alla carità di regnare sulla sua anima.
44 – Cfr. Mt. 5, 19.45 – Lumen Fidei, n° 46.
46 – Ci riferiamo qui ad una distinzione ben nota in teologia morale. Il comandamento negativo obbliga semper et pro semper, il comandamento affermativo semper sed non pro semper. Cfr. François Knittel, Préceptes affirmatifs e préceptes négatifs chez Saint Thomas d’Aquin, Clovis, Étampes, 2012.
47 – Ci si può riferire ai nn° 13 e 14 della stessa enciclica, in cui il Papa parla delle attitudini individualiste come contrarie all’azione della fede.
48 – Per una rapida esposizione di questo problema rinviamo a Georges Bavaud, Luther, commentateur de l’Épître aux Romains¸ pp. 252-253, in Revue de Théologie et de Philosophie, Ginevra, tomo XX (1970, da p. 240 a p. 261).
49 - «Io credo che col precetto [della carità verso il prossimo] “come te stesso”, non si prescrive che l’uomo ami se stesso, ma si mostra l’amore vizioso col quale egli ama se stesso di fatto, e cioè è totalmente rivolto a sé, rivolto verso quell’amore dal quale sarà purificato solo se cessa assolutamente di amarsi, così che dimentico di sé ami il suo prossimo» Martin Lutero, Commento all’Epistola ai Romani, XV, 2.
50 - «Davanti all’idolo non si rischia la possibilità di una chiamata che faccia uscire dalle proprie sicurezze, perché gli idoli “hanno bocca e non parlano” (Sal 115,5). Capiamo allora che l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani. L’uomo, perso l’orientamento fondamentale che dà unità alla sua esistenza, si disperde nella molteplicità dei suoi desideri» Lumen Fidei, n° 13.
51 - «E’ la guerra che è all’origine di tutto e i conflitti quotidiani reggono tutto». Eraclito, frammento 53. [Fonte]
http://formiche.net/blog/2017/07/17/spadaro-civilta-cattolica-trump/
RispondiEliminaUn po' di sano silenzio avrebbe messo lui al riparo da tante corbellerie e avrebbe tenuto noi lontani da questo compito ingrato di supplenza popolare.
RispondiEliminaFinalmente si inizia a installare paratie d'acciaio inox nel magma primordiale a cui sembra esser stata ridotta la dottrina della Chiesa cattolica!
RispondiEliminaP.S.:
salvo miglior vista mi pare manchi l'analisi del concetto del prisma.
Eraclito mi sembra troppo complicato per Tucho e followers. Starei più sulla "new age".
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RispondiElimina# Eraclito è anche il pensatore del logos, del principio che i mortali ricercano al di sotto della "contesa" che caratterizza il divenire e le sue interne opposizioni.
Sì, è considerato il filosofo del "tutto scorre" ma egli non si limita a proporre una piatta filosofia del divenire, come gli odierni epigoni del progresso, né si può dire che la concordanza degli opposti che vede all'opera nella realtà, sia da intendersi alla maniera della dialettica hegelo-marxiana, per così dire, ossia del tutto immanente al reale stesso.
Parte dalla constatazione dei limiti della conoscenza comune poiché, dice, gli uomini il "logos eterno" non sanno riconoscerlo quando se lo trovano davanti, nonostante il logos sia il principio che si mantiene al di là del divenire. Tutte le cose "si producono seguendo il logos". Ma gli uomini discordano, dice, "dal logos col quale hanno di continuo e più che con altro consuetudine, e le cose nelle quali ogni giorno si imbattono a essi appaiono estranee". Pensiero profondo.
E se non siamo capaci di cogliere il principio che regola tutte le cose, nemmeno lo siamo per ciò che riguarda la nostra anima. Infatti: "I confini dell'anima vai e non li trovi, anche a percorrere tutte le strade: così profondo è il suo logos [outo batùv lógon echei]". Pensiero assai profondo anche questo.
Eraclito, oltre al problema del rapporto tra il concetto dell'essere e quello del divenire, pone anche quello del logos rispetto all'essere, del logos come l'Uno che è il principio unificatore del tutto del molteplice. E questo principio non è immanente.
"Chi vuole che la sua parola abbia senso, deve farsi forte di ciò che a tutti è comune, come la città si fa forte della legge, e assai più che la città: le leggi umane traggono tutte nutrimento da un'unica legge che è la legge divina, e tanto può, quanto vuole e a ogni cosa è bastante e a tutte sopravanza".
Nel divenire delle contese umane, punto fermo resta la legge (il nomos), sulla quale riposa la città, ogni vita in comune: "Il popolo deve combattere per la legge come per le mura della città".
Per la legge e per la vera religione, contro quelli che ci imbottiscono la testa di una moltitudine di contrastanti conoscenze, poiché "il sapere molte cose non insegna a pensare", dice sempre il filosofo di Efeso.
PP
Sono d'accordo, Rosa. La gnosi è più consona alla loro mente, comunque la ricerca dell'origine speculativa dell'agire di Bergoglio è un'impresa ardua.
RispondiEliminaGentiloni: "La stabilizzazione della Libia è una nostra priorità"
RispondiEliminahttp://www.ilgiornale.it/news/politica/navi-italiane-andranno-libia-governo-lok-missione-1425778.html
I padrini del mondo , prima la destabilizzano poi la stabilizzano... , poi ?
Sorgerà nei sotterranei della chiesa di Sant'Eustachio dove è imbandita una mensa tra gli altari
RispondiEliminahttp://roma.repubblica.it/hermes/inbox/2016/04/06/news/una_casa_di_lusso_per_i_poveri_nel_tempio_barocco_al_senato-136994014/