Stralciamo da Settimo Cielo – ai fini di continuare a registrare i contenuti interessanti sulla vexata quaestio dell'AL e il relativo dibattito [indice qui] – un intervento critico del filosofo Thibaud Collin, docente di filosofia morale e politica al Collège Stanislas di Parigi ed uno dei sei studiosi laici convenuti a Roma lo scorso 22 aprile per il seminario di studio su "Amoris laetitia" (immagine a lato) dal significativo titolo "Fare chiarezza" [qui - qui], ricordato dal cardinale Carlo Caffarra nella sua ultima – e inascoltata – lettera a papa Francesco [qui].
La casuistica non si è mai trovata così a suo agio
Thibaud Collin
In questi tempi di confusione, tutto ciò che sembra andare nel senso della chiarezza è benvenuto. Grande è dunque la speranza di chi apre il piccolo libro "Une morale souple mais non sans boussole" dei padri Alain Thomasset et Jean-Miguel Garrigues, il primo gesuita e il secondo domenicano. Sotto l'insegna del cardinale Schönborn che firma la prefazione, i nostri due teologi intendono rispondere ai cinque "dubia" esposti dai cardinali, riguardo alla maniera di comprendere certi passaggi dell'esortazione "Amoris laetitia".
Richiudendo il libro, è giocoforza constatare che quei "dubia" non sono scomparsi. Si potrebbe anzi dire che essi escono, malauguratamente, rafforzati, tanto gli argomenti utilizzati per dissolverli producono l'effetto contrario. Non si tratta certo di rallegrarsene, perché il dubbio è un'indeterminazione dolorosa dello spirito. E la materia lì in gioco, la vita morale e sacramentale dei fedeli, è sufficientemente grave per ritenere che la carità debba spingere a dissolverli con la massima urgenza. Come si sa, il Santo Padre non ha ancora ritenuto bene consentire a compiere un simile gesto.
In attesa che il papa si decida, il dibattito continua e la divisione cresce. E più il tempo passa, più è chiaro che la ricezione di "Amoris laetitia" va a incrociare i 50 anni di "Humanae vitae" e i 25 anni di "Veritatis splendor". Ora, l'enciclica di Giovanni Paolo II rispondeva alle obiezioni rivolte all'enciclica di Paolo VI risalendo alle loro radici più profonde. E quando oggi leggiamo tanti testi consacrati ad "Amoris laetitia" si ha l'impressione che la storia si ripeta. Si prova un sentimento strano davanti a questa regressione. I quattro cardinali, con in prima fila il cardinale di Bologna per ragioni storiche evidenti, hanno giustamente preso di mira ciò per cui il capitolo 8 di "Amoris laetitia" sembra essere stato scritto... come se "Veritatis splendor" non fosse mai esistita.
La tesi centrale del libro è comune ai due autori: esiste una complementarità tra "Amoris laetitia" (AL) e "Veritatis splendor" (VS), e i "dubia" non hanno quindi ragione d'esistere. Solo quelli che fanno una lettura intransigente dell'enciclica di san Giovanni Paolo II ritengono che l'articolazione dei due testi pone dei problemi. Padre Alain Thomasset espone in primo luogo le grandi linee di VS ricollocandola nel suo contesto storico: la sfida del relativismo che rimette in questione "i punti di riferimento indispensabili per la coscienza nel momento della decisione" (p. 30); da cui il beneficio di aver riaffermato l'esistenza di atti intrinsecamente cattivi. Due osservazioni: 1) questa collocazione nel contesto non è essa stessa troppo allusiva? Padre Thomasset non presenta in effetti nessuna delle dottrine che VS confuta, e ne ha motivo, perché lui è l'erede di coloro che le hanno sviluppate. 2) Il contesto di oggi è così diverso da quello di ieri? Il seguito del testo va a confermare i nostri timori. Si giudichi sulla base di questi passaggi:
"È sufficiente, per definire e valutare moralmente un atto coniugale che fa ricorso alla pillola, dire che esso cerca di evitare ogni procreazione, quando invece può essere in certi casi il solo mezzo efficace di regolazione delle nascite in vista di una paternità responsabile? […] Allo stesso modo, come prendere in considerazione la differenza tra un atto di adulterio di una persona sposata e una relazione sessuale nel seno di una coppia stabile di persone risposate, dove le circostante e le intenzioni sono differenti? Le definizioni degli atti intrinsecamente cattivi non bastano da sole per questa valutazione morale, restando troppo astratte e generiche. Esse non possono prendere in considerazione tutta la complessità delle situazioni vissute e l'insieme del contesto, divenuto più importante che in passato per giudicare dell'applicazione delle norme. Un'interpretazione troppo immediata bloccherebbe troppo presto l'intervento della ragione e della coscienza per la definizione dell'atto in questione e la sua valutazione morale" (pp. 77-78).
Qui si vede che padre Thomasset, dopo aver aderito alla dottrina di VS affermando l'esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la nega! Non avverte la contraddizione poiché per lui la nozione di intrinsecamente cattivo si sviluppa a una tale altitudine stratosferica e a un tale livello di genericità che non può in quanto tale essere determinante nella pratica. Tocca quindi alla coscienza qualificare l'oggetto dell'atto, cioè dargli un senso riflettendo su di esso nel suo contesto e a partire dalle sue intenzioni. Tutto finisce per dipendere da una questione di vocabolario. La valutazione morale riposa sulla definizione, cioè sulla determinazione del senso per la coscienza situata nel contesto. La nozione di "atto intrinsecamente cattivo" non è più che un guscio vuoto, al massimo un punto di riferimento, un valore formale di orientamento della scelta. Non significa dunque più la stessa cosa che in VS: un atto che non può mai essere scelto quali che siano le circostanze e l'intenzione del soggetto, perché compiendolo la persona negherebbe il suo vero bene, si separerebbe da Dio e dalla propria felicità. Il presupposto di padre Thomasset è che la legge morale è una norma che sta di fronte alla libertà, e la coscienza deve determinarsi arbitrando tra il loro possibile conflitto. Padre Thomasset proietta quindi su VS una "forma mentis" legalista, da cui la contraddizione in cui cade. Ora, secondo san Tommaso, ripreso da VS, la legge morale è una luce che illumina la ragione sul vero bene della persona e le consente di ordinare l'agire verso la sua felicità. L'atto è dunque detto buono o cattivo a seconda che sia conforme o no alla ragione in relazione alle finalità della persona. La coscienza è questa luce di verità sul singolo atto da compiere. Come molti oggi, il teologo gesuita si richiama a san Tommaso per contestare la portata universale della legge naturale, incapace di abbracciare la contingenza e la complessità della vita pratica. Ma la virtù della prudenza non è mai consistita nell'autorizzare degli strappi o nell'arbitrare dei confitti di doveri. Essa è ciò con cui il soggetto determina "hic et nunc" il cammino della realizzazione del suo vero bene. Il giudizio di prudenza è pratico e non sostituisce il giudizio di coscienza. Solo coloro che concepiscono la legge naturale sul modello della legge politica possono appoggiarsi sulla dottrina di san Tommaso per convalidare delle sedicenti eccezioni ai precetti negativi. L'adulterio non sarà mai un atto buono per la persona che si è messa in questa situazione, anche se essa gli dà un nome nuovo. Questa tattica è vecchia come il mondo: ciascuno tende a presentare alla propria coscienza la situazione negli aspetti più vantaggiosi, affinché essa cessi di inquietarlo. La casuistica, ufficialmente oggi così vituperata, non si è mai trovata così a suo agio. E c'è da scommettere che anche la beatificazione di Pascal non cambierà niente in proposito!
Padre Jean-Miguel Garrigues riconosce che i "dubia" attendono una risposta, ma accusa il cardinale Gerhard Müller, "a motivo della sua posizione immobilista", di non aver "reso possibile una collaborazione fruttuosa della congregazione per la dottrina della fede con il papa" (p. 114). Gli si può obiettare che il cardinale prefetto ha fatto quello che ha potuto per preservare la continuità e la coerenza della posizione della Chiesa al riguardo. Non più tardi del 1999 il cardinale Ratzinger nell'introduzione a un libro esplicitamente voluto da san Giovanni Paolo II affermava che la posizione di "Familiaris consortio" n. 84 "è fondata sulla Sacra Scrittura" e che a questo titolo essa "non è una regola puramente disciplinare, che potrebbe essere cambiata dalla Chiesa. Essa deriva da una situazione oggettiva che di per sé rende impossibile l'accesso alla santa comunione". Il successore del cardinale Ratzinger era dunque più che motivato a ritenere che se il papa avesse voluto cambiare una pratica così antica e così consolidata non l'avrebbe fatto con una nota a piè di pagina, nota il cui significato non è chiaro perché non precisa il tipo di fedeli implicati.
Padre Jean-Miguel Garrigues ritiene che gli attuali intoppi sono provocati da "una scuola teologica" che ha contribuito a redigere "Veritatis splendor" ma ha finito per assolutizzarla senza percepire i limiti del suo campo di applicazione. L'enciclica di Giovanni Paolo II affronta principalmente la questione morale sul piano della specificazione oggettiva dell'atto a partire dalla ragione, mentre "Amoris laetitia" lo affronta sul piano dell'esercizio a partire dall'appetito e dunque dai condizionamenti. I due approcci sono complementari, poiché la ragione e la volontà sono tutte e due alla radice dell'atto umano. In breve, l'oggettività dell'atto e l'imputabilità del soggetto agente non devono essere confuse; si tratta quindi di distinguere per unire. Padre Garrigues accusa invece questa "scuola teologica" di rifiutare di tener conto del soggetto nella riflessione morale. I "dubia" sarebbero così dovuti a una rigidità mentale e a una ristrettezza pastorale, divenute manifeste nell'occasione della pubblicazione di "Amoris laetitia". Una lettura non rigida di VS quale quella proposta da padre Garrigues permetterebbe non solo di rispondere ai "dubia" sottolineando la complementarità dei due testi ma anche di denunciare formalmente questo ritorno in auge del "tuziorismo" in piena postmodernità. Tuttavia la tattica che consiste nel separare il buon grano di VS dalla zizzania di questa "scuola teologica" non resiste all'analisi.
E in effetti padre Garrigues non nomina mai questa scuola; e non ne discute mai questo o quel testo. Ciò avrebbe preso troppo tempo e l'avrebbe soprattutto condotto a constatare la vacuità di una simile accusa. Si può certo essere in disaccordo con il cardinale Carlo Caffarra o con monsignor Livio Melina (perché sono evidentemente loro i principali accusati, mai chiamati per nome) ma sembra intellettualmente disonesto ridurre la loro riflessione e il loro impegno pastorale (se si vuole almeno riconoscerne a loro uno) a un "tuziorismo" o a un'infedeltà a Giovanni Paolo II dovuti a un eccesso di zelo! Bisogna davvero non aver mai letto una riga dei loro scritti per accusarli di ignorare il soggetto morale e l'ordine di esercizio dell'atto. Ho ad esempio sotto gli occhi il testo di una conferenza che monsignor Caffarra pronunciò ad Ars all'inizio degli anni Novanta. Riguarda la soggettività cristiana. E giustamente la problematica era (di già!) quella del legalismo morale, di cui il proporzionalismo non è che una variante. Ora, solo una fine analisi della dinamica dell'atto umano colto nell'intenzione volontaria che diviene scelta permette di uscire da un approccio in cui la legge e la coscienza sono viste come due poli concorrenti. Ascoltiamo colui che san Giovanni Paolo II aveva scelto come suo stretto collaboratore su uno dei soggetti pastorali che più gli stavano a cuore, l'etica sessuale, il matrimonio e la famiglia:
"Nell'uomo l'intenzione non può realizzarsi che tramite e dentro la scelta. Nell'esistenza umana, ciò che è più decisivo non è il giudizio di coscienza, ma il giudizio di scelta. Uno non diventa cristiano pensando di diventarlo, così come non esiste pensando di esistere. Io non divento ancor più cristiano pensando con più profondità al cristianesimo: il pensiero dell'uomo non crea l'esistenza. Esiste uno solo mezzo per diventare cristiano: scegliere, decidere di diventare cristiano. Ma il giudizio di coscienza è pratico solo potenzialmente, mentre il giudizio di scelta è pratico realmente: è l'esercizio della ragione nell'atto stesso del scegliere (Ia IIae, Q. 58, a. 2 c). La conoscenza prodotta dal giudizio di coscienza è insufficiente, poiché può essere trascurata dalla persona nel momento della scelta; può essere una conoscenza che non considera la persona in quanto è questo individuo qui, con i suoi desideri e che deve agire in questa data situazione. Se una tale conoscenza non esprime ciò che l'individuo desidera realmente, resta inoperante".
Carlo Caffarra era un fine conoscitore di Newman e di Kierkegaard. Aveva anche assimilato molto bene il personalismo wojtyliano fondato sull'esperienza integrale della persona nel suo atto. Pretendere che questa "scuola teologica" ignori l'ordine dell'esercizio pratico è altrettanto assurdo che isolare il capitolo centrale di VS dal suo primo capitolo che riflette sulla chiamata del giovane ricco, e dal suo terzo capitolo che esorta al martirio per fedeltà alla volontà salvifica di Dio.
Padre Garrigues risponde sì ai cinque "dubia". Il discernimento dei condizionamenti che limitano la coscienza e la volontà del soggetto permette di optare in certi casi per la debole imputabilità del soggetto situato in uno stato di vita in contraddizione con il Vangelo. Ma come molti hanno già sottolineato, ciò non basta per legittimare la ricezione dei sacramenti. A meno di rompere con la forma in cui la Chiesa ha pensato fino ad oggi l'articolazione tra la fede, la vita morale e l'ordine sacramentale. Dire questo non è negare la soggettività a profitto di un'oggettività mortifera. È al contrario rendere possibile una soggettivazione che sia adeguata alla verità integrale dell'essere umano. Questo è il ruolo di ogni pastore. Questa era la preoccupazione più profonda di quel grandioso pastore che fu Karol Wojtyla. Senza dubbio una certa lettura di "Amoris laetitia" può consentire di precisare e di approfondire le modalità di questa soggettivazione. Solo il Santo Padre può determinare la maniera di ricevere correttamente l'esortazione. Allora il testo non sarà più occasione di divisione e di confusione ma di maturazione e di comunione.
Penso che considerando questi temi si potrebbe andare avanti all'infinito cercando sotterfugi più o meno complessi, a seconda della preparazione del suo autore.
RispondiEliminaLa realtà mi sembra semplice ed è quella indicata dal Vangelo. Ora, il problema dei tempi attuali non è tanto non riuscire a stare al passo con il Vangelo (che viene tranquillamente ignorato) ma trovare una giustificazione cristiana alla propria condizione deficitaria, se non peccaminosa.
Una persona fallisce il suo matrimonio e va a vivere con un'altra persona. Non è evidentemente nella situazione precedente. E' libero di farlo ma dovrebbe avere l'onestà di trarne le debite conseguenze: per la Chiesa è in una condizione di peccato. L'uomo in tale condizione può salvarsi a debite condizioni (in fondo tutti siamo in condizione di peccato) basta avere l'umiltà di accettarlo.
Il punto drammatico (sul quale si fanno castelli di discorsi) è quello di giustificare la nuova situazione e di non chiamarla più peccato. Di qui il libero accesso all'Eucarestia.
La stessa cosa si può dire per ogni genere di coppia irregolare, coppie dello stesso sesso incluse. In seno alla società c'è la libertà di stipulare questo patto. In seno alla Chiesa funzionano altre dinamiche. Adeguare le dinamiche della Chiesa alle dinamiche societarie significa alterare la Chiesa, su questo non v'è dubbio.
Nessuno nega che perfino in una coppia omosessuale non ci siano elementi positivi (la mutua assistenza, ad esempio) ma questo non è quello che stabilisce la Chiesa e bisogna serenamente accettarlo. L'accettazione e l'umiltà sono già una via di accesso in grado d'instradare queste famiglie verso la luce di Cristo. Ma se lo stesso clero aiuta i laici in queste situazioni irregolari a non accettare e ad avere orgoglio (da cui il gay pride!) mi chiedo come può la luce di Cristo farsi strada. Anche da queste cose si vede, dunque, la grande apostasia. Un clero che saprebbe cosa fosse la luce di Cristo combatterebbe fino in fondo per permettere che questo dono potesse essere vissuto dall'ultimo degli uomini. Il neoclero non combatte, ha deposto le armi da tempo, ammesso che le abbia avute, e combatte, semmai, la battaglia del nemico: "Non entrate e non fate entrare nel Regno dei Cieli", li ammonirà Cristo.
Segnalo:
RispondiEliminaWEINANDY, STRYNKOWSKI, IL SILENZIO DEL PAPA, LA CONFUSIONE. UN EDITORIALE DI DON TULLIO ROTONDO SU APOLOGETICA CATTOLICA.
http://www.marcotosatti.com/2017/11/06/weinandy-strynkowski-il-silenzio-del-papa-la-confusione-un-editoriale-di-don-tullio-rotondo-su-apologetica-cattolica/
"In attesa che il papa si decida".... Ma il papa ha deciso: Anatema sit a chi non la pensa come me.
RispondiEliminaSe si accettano i principi dell'avversario è logico che si concluderà come lui. Se al contrario non li si accetta, allora non c'è da fare nessun discorso.
RispondiEliminaAlcuni dei gravi problemi della filosofia e teologia moderna è il nominalismo concettuale e una concezione errata della conoscenza umana.
Una polemica come quella dei due religiosi finisce appena cominciata, dal momento che non si accettano le idee universali e dal momento che non si possa coonoscere che l'individuale.
"l’intercomunione con i luterani è promuovere la profanazione”
RispondiElimina(Card. Sarah)
"Questa tattica è vecchia come il mondo: ciascuno tende a presentare alla propria coscienza la situazione negli aspetti più vantaggiosi, affinché essa cessi di inquietarlo."
RispondiEliminaE' il motivo fondamentale per cui molti sono entusiasti di Amoris laetitia e di Papa Francesco in generale.
Ma la Verità? - dirà qualcuno. Beh, quid est veritas? (non ricordo chi lo disse). Carpe diem...
Infine un sorriso amaro: stavolta i domenicani battono i gesuiti per 2 a 1 (il card. Schoenborn è anch'egli domenicano).
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/troppi-alunni-islamici-niente-messa-i-caduti-polemica-malo-1325694.html
RispondiEliminaUna sola precisazione, perché da ciò che scrive il professor Thibaud Collin si potrebbe equivocare.
RispondiEliminaI dubia dei Cardinali sono ovviamente retorici, nel senso che presentano la dottrina cattolica infallibile, che non può che essere ribadita da Papa Bergoglio.
Non è dunque che stiamo aspettando una risposta da Papa Bergoglio per sapere come interpretare ciò che appartiene già irreformabilmente alla Fede cattolica: stiamo invece aspettando che egli dica apertamente e a chiare lettere da che parte sta (anche se l'abbiamo già capito tutti).
Più che altro ormai stiamo aspettando che Burke lo corregga...
EliminaStiamo aspettando che Burke (e non solo) ripareggi pubblicamente con chiarezza la verità.
RispondiEliminaMentre aspettiamo cerchiamo di migliorare noi stessi e la situazione a noi intorno.
RispondiEliminaQualcuno decenni fa mi disse che, se ci fossero stati 12 uomini che avessero pregato realmente, la seconda guerra mondiale non ci sarebbe stata (!?).
D'accordo: io volevo correggere un possibile fraintendimento, perché dalle parole del prof. Thibaud Collin ("solo il Santo Padre può determinare la maniera di ricevere correttamente l'esortazione. Allora il testo non sarà più occasione di divisione e di confusione ma di maturazione e di comunione") si ricaverebbe che stiamo in attesa di un intervento di Papa Bergoglio per sapere come interpretare la dottrina cattolica, mentre questa è già chiarissima e non necessita di chiarimento alcuno.
RispondiEliminaPer questo anche ho parlato di dubia puramente retorici, insomma a risposta obbligata.
Quanto all'intervento del card. Burke: il suo sistema da Fabio Massimo temporeggiatore è non solo snervante ma fallimentare. A forza di temporeggiare, i Quattro sono diventati Due. E continuando così...
Infatti a qualcuno che a Fatima gli chiedeva come mai non agisca pare abbia risposto che siccome sono rimasti in due aspettano che altri (Sarah?) rimpiazzino i deceduti... eh, benedett'uomo, ma se aspetta ancora... un anno fa aveva parlato di "dopo l'Epifania"...
Elimina"Quando sei in Grazia di Dio anche i tortellini sono piu' buoni ." Card.Biffi
RispondiEliminaPer sistema nervosi forti . La realta' rappresentata da Silvana De Mari
https://www.youtube.com/watch?v=QdEm077bSAk