“Quae est vita vestra? vapor est ad modicum parens” (Iac 4,15). Così è scritto nella Sacra Bibbia. La nostra vita è infatti simile ad un vapore, che con un poco di vento sparisce per sempre, non lasciando traccia.
La concezione della morte, però, oggi, è nettamente cambiata: nella società, nel sentire comune e, quel che vi è di peggio, è cambiata anche nel pensiero di coloro i quali dovrebbero farsi pastori del gregge. Inutile soffermarsi a sottolineare quanto i Novissimi, da sempre capisaldi delle meditazioni cristiane, siano diventati un tabù. Si fa di tutto per non pensare, nonostante essa sia sotto i nostri occhi in ogni istante: dalle case di riposo alle strade, dai quotidiani cartacei alla cronaca nera della televisione, capace di assuefare le menti e distogliere da una visione corretta della morte. Vedendola tutti i giorni, si pensa sempre che possa toccare agli altri e mai a noi. Vi è poi un altro dato, probabilmente uno scudo che tende a farci vedere la morte come la fine di un percorso naturale che, in fin dei conti, ci obbligherà ad invecchiare. Si nasce, si cresce, si invecchia e poi si muore. La mente umana, spinta a guardare questo corso – o, per meglio dire, decorso – mette in pace il cuore che si immagina davanti a sé ancora tanti anni da vivere. Ma nei casi in cui questo non avviene, ecco che qualcosa si infrange, qualcosa si spezza lasciando tutti attoniti.
Ed è proprio su questo che vorrei spendere qualche riflessione, in particolare sulla morte del giovane Davide Astori, capitano della Fiorentina venuto a mancare a soli 31 anni. Ho aspettato qualche giorno a scrivere quanto seguirà, per rispettare il dolore della morte ma, soprattutto, per far placare quel clamore mediatico che poi, una volta passato “il grosso”, torna all’immancabile show che giammai deve arrestarsi. Altro motivo per cui ho voluto attendere un breve periodo post-funerali, è perché ero curioso di vedere l’incoerente bestialità del mondo calcistico. E così, puntualmente, è stato: dopo i toccanti momenti allo stadio Franchi di Firenze, la domenica appena scorsa, nella stessa sera si è assistito ad uno spettacolo davvero indecente: dopo il minuto di silenzio per ricordare Astori fatto da Inter e Napoli a Milano – come tutte le squadre prima della partita dell’ultima giornata di campionato trascorsa – le due tifoserie hanno iniziato cori di reciproci ed aggressivi insulti, che per pietà non riporto qui. Segno distintivo di un’incoerenza senza eguali, che ritrae il mondo sportivo in cui, come sempre, anche questi avvenimenti nulla insegnano al dèmone della curva.
Parlo con un passato da milanista abbastanza convinto. Milanista che, da bambino, si vedeva la crescita di Astori nelle giovanili rossonere. La sua morte mi tocca dunque un tantino di più. Va poi da sé che ogniqualvolta si sente o si vede morire un giovane, in ragione di quanto poco sopra detto, è sempre più shoccante. Ora, però, bisogna soffermarsi sulle reazioni del mondo, per comprendere quanto il problema sia grande. Ebbene, se trovarsi dinanzi alla morte è difficile e trovarsi davanti a quella di un giovane lo è ancora di più, non vi è niente di più complicato del trovarsi davanti alla morte improvvisa di un giovane. Ancor peggio quando le cause sono naturali, come nel caso di Astori. Ne L’Imitazione di Cristo, a proposito della meditazione sulla morte, è detto: “Molti muoiono repentinamente ed imprevedibilmente. "Infatti, nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà" (Mt 24,44; Lc 12,40).
Il mondo, i media, gli amici e chiunque si sia trovato a commentare questa triste vicenda, dolorosa quanto difficile da accettare, non ha fatto i conti con il senso della morte perché, di fatto, non sa fare i conti con il senso la vita. La vita che non è orientata alla morte, non sarà mai ben vissuta, non sarà mai vita pronta per accostarsi al tremendo momento della morte, dove a Dio e a nessun altro all’infuori di Lui si dovrà render conto . E chi è pronto per un tale passo? Tremarono i santi pensando alla morte, pianse e sudò sangue il Cristo. Come possiamo, noi, così infimi, così vuoti di spiritualità e assoggettati al mondo, non tremare di paura? Eppure già questa paura, se esistesse nell’uomo moderno, rappresenterebbe un grande traguardo giacché aiuterebbe tutti a comprendere la brevità della vita, l’illusione di questo mondo. E proprio rispetto alla brevità della vita Sant’Alfonso, in quella magistrale opera quale è l’ “Apparecchio alla morte”, così ci istruisce:
"Dies mei velociores cursore" (Iob 9). La morte ci corre all'incontro più presto d'un cursore, e noi in ogni momento corriamo alla morte. In ogni passo, in ogni respiro alla morte ci accostiamo. "Quod scribo (dice S. Girolamo) de mea vita tollitur". Per questo tempo in cui scrivo, più m'accosto alla morte. "Omnes morimur, et quasi aquae dilabimur in terram, quae non revertuntur" (Reg 14,14). Vedi là, come corre quel ruscello al mare, e quelle acque che scorrono, non ritornano più indietro; così, fratello mio, passano i tuoi giorni, e ti avvicini alla morte; passano i piaceri, passano gli spassi, passano le pompe, le lodi, le acclamazioni, e che resta? "Et solum mihi superest sepulcrum" (Iob 17,1). Sarem buttati in una fossa, ed ivi avremo da restare a marcire spogliati di tutto. In punto di morte la rimembranza di tutti i diletti goduti in vita, di tutti gli onori acquistati non ci serviranno che per accrescerci la pena e la sconfidenza di ottenere la salute eterna. Dunque (dirà allora il misero mondano) la mia casa, i miei giardini, quei mobili di buon gusto, quelle pitture, quelle vesti tra poco non saranno più miei? "Et solum mihi superest sepulcrum".
L’uomo non ha spiegazioni davanti al trauma della morte perché vede solo nella vita una ragione d’ essere, una ragione per esistere. Pensiamo a tutto ciò che ha accompagnato questi giorni passati dalla morte del giovane calciatore, fino ad arrivare all’autopsia e poi al funerale. Le domande più frequenti sono state: “Perché? Come è potuto succedere? Cose simili non possono accadere ad un ragazzo di 31 anni allenato”, e via discorrendo. Dio fornisce nel dolore raggi di luce, da cui trarne sempre maggior bene. Certi fulmini a ciel sereno, proprio come questo, servono a fermare il tempo, a far calare il silenzio sul chiasso dell’uomo credulone su se stesso, convinto di essere padrone della propria vita e dimentico, piuttosto, che ogni singolo respiro è un dono. Si è arrivati ad un punto di non ritorno talmente ridicolo, da arrivare persino ad aprire un’indagine di omicidio colposo contro ignoti: che forse questo non sottolinea una non accettazione della morte? Dopo millenni di vita umana su questo povero pianeta, l’uomo moderno non comprende che non c’è un tempo per morire, così come non per forza deve esserci una causa anomala. Ma forse, il dato peggiore, è che nessuno ha ancora capito che la nostra vita non ci appartiene.
Rimane perciò compito del cristiano fare apostolato su di un tema così emarginato. Occorre portare i Novissimi; occorre stare appressi ai moribondi; occorre, talvolta, portare la novella della morte. A questo siamo chiamati in un’epoca in cui tutti pensano alla salute del corpo, ma nessuno – meno che mai i preti – si occupano della salute dell’anima. Infine, non per importanza, la morte va meditata in ogni istante. Solo così potremo essere apparecchiati. Solo così potremo comprendere l’importanza del vero e solo pane quotidiano indispensabile per non perire per sempre: la preghiera, la mortificazione e i sacramenti.
Possa il Buon Dio aver avuto pietà di quel giovane ragazzo. Possa questa precoce morte scuotere gli animi di chi, nella morte, vede la fine invece che l’Eternità: eternità di pene, o eternità di gaudio.
Cristiano Lugli
https://www.maurizioblondet.it/vaccini-fanno-male-anche-ai-militari-lo-dice-parlamento/
RispondiEliminaforse sarebbe bene diffondere....