I Vangeli ci attestano che nostro Signore fu ucciso nel giorno della Pasqua ebraica, ma di venerdì, mentre la sua ultima cena sarebbe avvenuta di giovedì; queste indicazioni tradizionali hanno suscitato vari problemi tra gli esegeti; alcuni mistici hanno complicato queste discussioni, finché poi, fisici e astronomi, attraverso i loro calcoli, svelarono la ragione della coincidenza: nell'anno 34 la Pasqua astronomica ebraica sarebbe caduta eccezionalmente di venerdì e, calcolando i giorni secondo l'attuale nostro calendario, il Signore sarebbe stato crocifisso il 21 aprile dell'anno 34.
Ora c'è un altro fatto da rilevare, ossia che il 21 aprile è la festa del Natale di Roma. Quest'ultimo dato impressionò coloro che, qualche tempo dopo, misero a confronto il terremoto e l'eclissi straordinaria di quel giorno, registrati da vari testimoni estranei con il racconto evangelico; tra questi spicca il Bibliotecario imperiale del Pantheon, che era cristiano. Nostro Signore morì in coincidenza sì, con la Pasqua ebraica, ma anche in coincidenza con il Natale di Roma.
Il giorno stesso in cui il Signore ci riscattava con il Suo sangue sul Calvario, strappandoci all'impero di satana, si festeggiava la fondazione di Roma. La Città Santa della Nuova Alleanza non è più Gerusalemme, ora condannata alle tenebre dalla sua incredulità, ma Roma; "questa città, disprezzando il divino autore dei suoi destini, s'era fatta schiava degli errori di tutti i popoli, nel tempo stesso in cui li teneva quasi tutti sotto le sue leggi, e credeva ancora di possedere una grande religione, perché non respingeva nessuna menzogna; ma più fortemente era tenuta legata dal diavolo e più meravigliosamente fu riscattata da Cristo." (San Leone Magno, PL 54, c. 423-425), ad essa infatti il Dio degli Eserciti e Sovrano dell'universo, nostro Signore Gesù Cristo, vincolò permanentemente la cattedra del Suo gran sacerdote: il Pontefice Romano e, con lui, tutta la Sua Chiesa che è detta Cattolica Apostolica e Romana (cfr: Cajetanus, De Divina Institutione, ed. Lauchert, 1925, cap. XIII, p. 80).
Lo stesso Pontefice Romano assunse il titolo di Pontefice Massimo prima riservato ai cesari, a significare che per decreto divino "Roma continua ad essere regina del mondo, e il Romano Impero non è cessato, ma da materiale si è convertito a spirituale." (La Civiltà Cattolica, serie XIII, vol. II, fasc. 862, 6 maggio 1866)
Se solo si mantenesse il ricordo e la consapevolezza di questi intrecci! Anche gli adulti hanno tutto dimenticato. Viene rinnovata la memoria della miseria morale e scientemente si tace su la ricchezza morale, sul grande disegno divino che preparò, fece nascere e custodì ogni dettaglio. Se questa memoria fosse stata custodita, amata e trasmessa, la storia, e la storia d'Italia in particolare, sarebbe oggi ben diversa.
RispondiEliminaIl prossimo anno, 2019, la Pasqua di Risurrezione sarà il 21 Aprile.
RispondiElimina"Credo nella Santa Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica". Punto. Atteniamoci ai fatti. Non dice nemmeno "Petrina", ma significativamente e semplicemente "Apostolica". Poi uno - o meglio una - se l'aggiusta come vuole. Ma questo dice il Credo. E meno male che è così.
RispondiElimina
RispondiElimina"Poi uno se l'aggiusta come vuole.."
Certo, soprattutto se è un patito delle favole sulla Seconda o Nuova (Costantinopoli) e sulla Terza Roma (Mosca), cristiane tutte e due ma scismatiche ed eretiche, quarda caso.
Forse oggi bisognerebbe rimettere "Romana" nella formula del Credo, proprio per far capire che il Credo non ha nulla a che vedere con l'intruglio ecumenico che ci fanno trangugiare da decenni.
Z.
Bisognerebbe "rimettere"? Nel Credo non c'è mai stata la parola "romana", proprio perchè la Chiesa non è romana ma Cattolica. Che la romanità sia una delle espressioni principi della Chiesa (anzi, la maggiore in quanto vi ha sede l'Apostolo che detiene il primato), siamo d'accordo, ma non si può manipolare il Credo a proprio piacimento, tradendo l'insegnamento dei Padri.
EliminaInoltre, il romanocentrismo talora può portare a gravi errori di ordine teologico ed ecclesiologico. E senza bisogno di tirare in ballo gli scismatici orientali.
Poi uno - o meglio una - se l'aggiusta come vuole. Ma questo dice il Credo. E meno male che è così.
RispondiEliminaNon è una che se l'aggiusta come vuole.
Intanto non si contano i discorsi di Pio XII sulla Roma e il suo ruolo: Si legga quanto segue:
"... la consolazione… di veder affluire intorno a Noi nuovi membri del Sacro Collegio provenienti dalle cinque parti del mondo. Roma apparirà in tal modo veramente come la Città Eterna, la Città universale, la Città Caput mundi, l’Urbs per eccellenza, la Città di cui tutti sono cittadini, la Città sede del Vicario di Cristo, verso la quale si volgono gli sguardi di tutto il mondo cattolico…” Roma è il luogo storico per eccellenza, dove il messaggio cristiano si manifesta creatore di un universalismo, che non è solo di fede, ma anche di cultura e di civiltà. Questo universalismo è ben diverso dall’”imperialismo”, che si è manifestato nella storia del Novecento.
Pio XII insiste sul fatto che il cattolicesimo è universale perché romano: il modello romanooffre la possibilità di aprirsi a tutti i popoli. Infatti “la Chiesa è dovunque – dice -sopranazionale, perché è un tutto indivisibile e universale”. Ma non è prigioniera di unanazione, bensì “è madre, e quindi non è e non può essere straniera in alcun luogo”. Roma manifesta la maternità universale della Chiesa. Il mondo contemporaneo – questa è la ricostruzione di Pio XII- è stato drammaticamente lacerato dall’individualismo, dal “vieto liberalismo”, dal nazionalismo e dal totalitarismo. Da qui è venuta la guerra mondiale. Per il papa ora bisogna ripartire dal messaggio di fede e universalità della Chiesa. La Chiesa, da Roma, si propone come educatrice di uomini e di popoli, mentre si confronta con i nuovi “imperi” delle potenze vincitrici. Il papa afferma, nel discorso ai nuovi cardinali nel 1946, chela potenza della Chiesa e la sua attività sono di natura diversa:
“La Chiesa… non è un Impero, massime nel senso imperialistico che si suol dare a questa parola. Essa segna nel suo progresso e nella sua espansione un cammino inverso a quello dell’imperialismo moderno. Essa progredisce innanzi tutto in profondità, poi in estensione e in ampiezza. Essa cerca primieramente l’uomo stesso; si studia di formare l’uomo, di modellare e di perfezionare in lui la somiglianza divina. Il suo lavoro si compie nel fondo del cuore di ognuno… Con uomini così formati la Chiesa prepara alla società umana una base, sulla quale potrà riposare con sicurezza.”
Roma è un’idea, sorretta da una grande tradizione, ma non qualcosa di utopico; è anche una realtà umana e comunitaria, che si raccoglie attorno al papa. Non si tratta di una sovranità territoriale (né si restringe ai ridotti confini dello Stato della Città del Vaticano), ma di uno spazio ideale, religioso e umano. Negli stessi anni in cui Pio XII rinverdiva l’idea di Roma, un giovane sacerdote di Cracovia, Karol Wojtyla, veniva a studiare nella capitale italiana, provenendo da un paese in cui si cominciava a sentire il preso dell’occupazione sovietica che lo avrebbe separato dall’Europa occidentale e avrebbe reso difficili le stesse comunicazioni con la Santa Sede.
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... segue
RispondiEliminaPer Pio XII, Roma, l’Urbe cattolica, dev’essere esemplare, anzi deve rappresentare un laboratorio dove la vita cristiana forgia un modello sociale conforme ai principi evangelici. Per questo la Chiesa non può restare inerte: mobilitazioni, missioni, appelli si susseguono negli ultimi anni del pontificato, mostrando il carattere appassionato del rapporto del papa con la diocesi di Roma. Per questo nasce il movimento "per un mondo migliore"
“Risveglio che impegni tutti… sul fronte del rinnovamento totale della vita cristiana, sulla linea della difesa dei valori morali, nell’attuazione della giustizia sociale, nella ricostruzione dell’ordine cristiano, cosicché anche il volto esterno dell’Urbe, dai tempi apostolici centro della Chiesa, appaia in breve tempo centro di santità e di bellezza.”
Questa esigenza del papa verso Roma gli pare la realizzazione dell’attesa universale delle nazioni verso la città: “Tanto sperano da lei i popoli cristiani, e soprattutto azione!”.
Infatti Pio XII non crede che la santità o la sacralità si Roma sia legata ai suoi monumenti ealle memorie antiche: “Guai se questi [i romani] lasciassero soltanto ai marmi, alle tele, ai ricordi dell’antico vanto, la cura di conservarlo!” –dice fin dal 1945. Se Roma si lascia investire dal rinnovamento spirituale –questo è l’auspicio di papa Pacelli-, la città tornerà “maestra spirituale delle genti… per l’esempio del suo popolo, tornato fervido nella fede, esemplare nei costumi, concorde nell’adempimento dei doveri religiosi e civili”.
La grande idea di Roma, che il card. Pacelli aveva delineato negli anni del fascismo, quella che Pio XII aveva sostenuto durante la guerra come scudo alla città, che aveva proclamato nel dopoguerra, non era qualcosa di astratto, ma era legata alla qualità della vita religiosa dei suoi cittadini. Questa è la consapevolezza che Pio XII nutre negli anni del secondo dopoguerra, deciso ad imprimere una maggiore dinamicità alle strutture diocesane e a operare per un risveglio religioso dei romani. Nel 1958, alla fine del pontificato, dopo la Crociata della bontà, l’Anno Santo, la mobilitazione del 1952, l’Anno Mariano del 1954…, proclama una missione di Roma.
La romanità di papa Pacelli si muove su più registri: prima di tutto, quello ideale che vede in Roma, erede di un’antica storia, ma soprattutto centro della cristianità, il cuore di un’universalità, a cui il mondo aspira, incapace di raggiungerla con i suoi mezzi e alla ricerca di simulacri di essa. Pio XII, che conosceva l’Europa, che aveva viaggiato negli Stati Uniti e in Sud America, conosceva l’importanza e il fascino dell’immagine di Roma nel mondo cattolico; sentiva come essa potesse rappresentare un messaggio di unità, dopo la crisi della guerra. Il papa sognava che Roma fosse in qualche modo esemplare nella sua vita concreta, quasi un laboratorio di civiltà, pur nel quadro della distinzione tra la vita religiosa e quella civile, il mondo della politica dell’Italia repubblicana.
E poi ancora:
RispondiElimina... La nostra appartenenza a Roma, al Vescovo di Roma, che in Pietro ha scelto Roma a sua sede, come ritiene san Leone Magno, "per divina disposizione" (Diz. eccl. III, 64), "quella Roma onde Cristo è romano" secondo Dante Alighieri (Purg. XXXII, 102). Gesù è nato sotto Cesare Augusto (Lc 2,1), vissuto sotto l'imperatore Tiberio (Lc 3,1), di cui riconobbe l'autorità (Mt 22,21), morto sotto il governatore romano Ponzio Pilato (Credo). Pietro predicò e morì martire a Roma (cfr. At 12,17; 1Pt 5,13), dove si trova la sua tomba. Paolo, cittadino romano (At 22,25-28), morì pure a Roma e vi è la sua tomba: il duplice martirio romano unisce i prìncipi degli Apostoli e questa unità romana viene celebrata in una unica festa apposita (il 29 giugno). Noi tutti, quindi, siamo cittadini romani ed il latino è la nostra lingua materna, lingua della santa Madre Chiesa.
http://www.unavoce-ve.it/om20-02-04.htm
Inoltre:
RispondiElimina"... Siccome poi nell’anno 42 il Principe degli Apostoli e Vicario di Cristo, fissò in Roma la Cattedra definitiva del suo Episcopato, consacrandola infine col suo stesso sangue nel 64, la Chiesa di Gesù Cristo ha – oltre a quelle di Unità, Santità, Cattolicità e Apostolicità – la nota della Romanità. Si badi bene a non considerare quest’ultimo come una carattere minore, esclusivo magari della sola Chiesa Latina o un residuo di una mentalità “esageratamente” romanocentrica, anti-protestante e anti-bizantina: al contrario esso è il carattere che racchiude in sé gli altri poiché essi “si riscontrano solo nella Chiesa che riconosce per capo il Vescovo di Roma, successore di san Pietro”. Pertanto il dottissimo Leone XIII, riprendendo il pensiero di san Cipriano, con lapidaria sentenza ci insegna che “la causa efficiente dell’unità nel Cristianesimo è la Chiesa Romana” e non può essere altrimenti se crediamo fermissimamente con sant’Ireneo (un orientale del II secolo, mica Umberto di Silva Candida!) che con questa Chiesa “per una [sua] più forte supremazia – (potentiorem principalitatem) – è necessario che concordi ogni Chiesa”. Esso è il carattere che maggiormente mette in evidenza come nell’unità del Cristo non vi sia differenza fra Giudeo e Greco, fra circoncisi e incirconcisi, onde al Corpo Mistico di Lui si può applicare ciò che il pagano Claudio Rutilio Namaziano cantava di Roma idolatra: “Fecisti patriam diversis gentibus unam […] urbem fecisti, quod prius orbis erat”. Dopotutto, rigettata che fu Gerusalemme deicida e votata alla distruzione, la Città Santa della Nuova ed Eterna Alleanza è Roma: “Roma è la nuova Sion, e romano è ogni popolo che vive di fede romana”. Pietro quando arrivò a Roma ne iniziò la pacifica conquista, lo aiutò in seguito san Paolo e, migrati essi al Cielo, proseguirono l’opera le schiere dei Martiri che finalmente uscirono dall’oppressione dietro ai labari di Costantino Magno, vittorioso non già per gli auspici dei demoni dell’aria ma per la potente virtù della Croce di Cristo. Lo stesso avvenne in ogni parte dell’impero, senza che le massime autorità di esso ne fossero pienamente consce, quantunque “crescesse per tutto l’Oriente l’antica e costante opinione che fosse scritto nel destino del mondo che dalla Giudea sarebbero venuti, in quel tempo, i dominatori del mondo”. L’Urbe era “ignara dell’autore della sua elevazione” dirà san Leone Magno: eppure tutta la sua grandezza era un dono di Dio, come ben ci spiega sant’Agostino nel De civitate Dei. Augusto non ebbe la minima idea che sotto il suo regno Dio s’era fatto Uomo nascendo dalla Vergine; Tiberio che pure, come ci dice la Tradizione, voleva inserire il Nazareno nel Pantheon, non riconobbe in lui l’unico vero Dio da cui deriva ogni potestà e per cui i re regnano; gli altri, chi più chi meno, perseguitarono la Chiesa. Ma lo stesso santo Pontefice rivolgendosi alla stessa Urbe, ormai liberata dai lacci del diavolo, le ricorda: “[Pietro e Paolo] ti hanno innalzata a tanta gloria, che, divenuta nazione santa, popolo eletto, città sacerdotale e reale e, per la Sede augusta del beato Pietro, la capitale del mondo intero, stendi la tua supremazia, grazie alla religione divina, assai più lontano che non fu per la dominazione terrena” ...
https://www.radiospada.org/2017/06/la-romanita-della-chiesa-da-cesarea-di-filippo-al-dominium-mundi/
RispondiEliminaIl significato di Roma nella storia
DA Rudolf von Jhering, grande giurista tedesco, nella sua classica opera: "Lo spirito del diritto romano" (1852 ss.)[Geist des roemischen Rechts].
"Roma ha imposto leggi al mondo per tre volte, per tre volte ha unito i popoli. La prima volta, quando il popolo romano era nel pieno della sua forza, nell'unità dello Stato; la seconda, scomparso quel popolo, nell'unità della Chiesa; la terza, con la recezione del Diritto Romano nel M. Evo, con l'unità del diritto. La prima volta con il giogo esteriore della potenza delle armi; le altre due con la potenza dello spirito. Detto in breve, il significato e la missione di Roma nella storia mondiale consiste nel superamento del principio di nazionalità in una visione universale. I popoli hanno sofferto duramente sotto il peso del giogo materiale e spirituale con il quale Roma li ha irretiti, giogo che ha potuto esser spezzato solo dpo lotte durissime. Ma il vantaggio che la storia ed essi ne hanno tratto, controbilancia i pesi che hanno dovuto sopportare. Il risultato della prima lotta, sostenuta vittoriosamente da Roma, fu la realizzazione dell'unità del mondo antico. Le correnti della cultura antica dovevano fondersi a Roma, affinché la storia potesse far nascere da questo punto nevralgico la nuova cultura cristiana: il dominio mondiale romano trovò la sua giustificazione nel Cristianesimo, al quale aprì la strada. Infatti, senza la Roma pagana e accentratrice non ci sarebbe nemmeno stata la Roma cristiana.
Il risultato della seconda signoria mondiale esercitata da Roma fu l'educazione religiosa e morale dei nuovi popoli. Il popolo romano era scomparso da molto tempo ma era proprio dal medesimo luogo che il mondo riceveva per la seconda volta le proprie leggi, le quali nulla avevano in comune con le leggi della Roma antica. Ma la terza volta, quando i nuovi popoli presero da Roma le loro leggi,era la Roma antica che le dava. Era una parte dell'autentica vita e mentalità romane che ritornava a nuovo splendore, la parte più valida e originale di tutto ciò che il popolo romano ha lasciato ai posteri nell'arte e nella scienza [...] Un fenomeno veramente singolare! Un diritto morto che rinasceva a nuova vita; un diritto in lingua straniera, accessibile solo ai dotti, che incontrava dappertutto resistenza e che tuttavia riusciva ad aprirsi la strada con forza e a trionfare [...] All'inizio non era altro che una grammatica giuridica per gli istruiti; poi si innalzò rapidamente a codice per giungere alla fine, una volta contestata e limitata la sua autorità esteriore, a tramutarsi in canone del nostro pensiero giuridico...".
[PP]
Sui legami con Roma non si può che essere d'accordo. Basti solo vedere come spesso, all'estero, la Chiesa Cattolica venga definita "Roman Church". O come Scott Hahn abbia racchiuso la sua conversione al cattolicesimo nel titolo/gioco di parole del suo libro "Rome sweet home".
RispondiEliminaEgoisticamente spero però che non venga mai aggiunto nel Credo perché io, di rito ambrosiano, mi sentirei un po' "figlia di un Dio minore".
Anonimo 14,51,
RispondiEliminaper gli altri , cioè i Protestanti e gli Ortodossi, noi siamo “Roman Carholic”.
Per noi veri cattolici è implicito.
E cosi pure nel “Credo”.
RispondiEliminaRomana la Chiesa, in che senso.
Chiedo venia, la parola "romana" effettivamente nel Credo non credo ci sia mai stata. Lapsus. Però questa aggiunta "romana" non veniva mai utilizzata nel descrivere la Chiesa cattolica, anche in documenti ufficiali? Appunto: Una, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana, perché Roma è la sede dei successori degli Apostoli e custode della vera dottrina cattolica, unica vera Chiesa di Cristo? Dove "Roma" è già un luogo dello spirito nel senso che la "romanità" della Chiesa si identificava con la sua legittimità storica (la discendenza da Pietro, nella stessa sua sede) e la sua purezza dottrinale. Non era tanto Roma come città quanto Roma in quanto centro spirituale della cattolicità, rappresentato dal Vicario di Cristo in terra.
Ragion per cui, anche i milanesi non hanno motivo di sentirsi estranei a questa "romanità", che non è geografica, anche se collegata per forza ad un luogo fisico, ma appunto spirituale, dottrinale, religiosa. Non vedo il conflitto tra l'esser "romani" (nel senso detto) in quanto cattolici e l'esser, in quanto geograficamente milanesi, partecipi del rito ambrosiano (che certo non è "qualitativamente" diverso dall'OV). Nel senso che ho cercato di illustrare credo si sentisse "romano" mons. Lefebvre, che pure era francese.
Questa sembra la sfaccettatura più importante della "romanità" in quanto riferita al Cattolicesimo come sua caratteristica base. Altri aspetti si possono poi mettere in rilievo dal punto di vista storico, se si indaga quanto sia potuto sopravvivere dei migliori aspetti della classe dirigente romana antica nella gerarchia della Chiesa. Penso a S. Gregorio Magno, di un'antica famiglia dell'aristocrazia romana, soprannominato "Consul Dei", per l'appunto.
Ma quali sarebbero "i gravi errori di ordine teologico ed ecclesiologico del romanocentrismo"? Così, tanto per sapere.
z.
RispondiEliminaGli Anglicani chiamano i cattolici "Roman Catholics" per distinguerli dal loro stesso "cattolicesimo". Infatti, da Enrico VIII in poi, hanno declassato il vero cattolicesimo a religione solo "romana", cioè del vescovo di Roma, cui negano il diritto di esser considerato capo della Chiesa universale. Il cattolicesimo "romano" è per loro una dottrina eretica, espressione di una setta, il cui capo sta a Roma. Invece, il cristianesimo scismatico ed eretico elaborato da loro, sarebbe il vero "cattolicesimo", rappresenterebbe cioè il cristianesimo nella sua universalità (in greco: cattolicità), liberato dalle supposte deviazioni "papiste" e ritornato alle pure fonti evangeliche [sic]. I veri valori sono qui capovolti.
Enrico VIII non pretese di introdurre mutamenti dottrinali. Personalmente non amava affatto Lutero. Anzi, vi scrisse un modesto libello contro, prima di rompere con Roma. A causa dei suoi problemi con la moglie e con le donne in generale, si impuntò sulla questione della dichiarazione di nullità del suo matrimonio, perfettamente legittimo. Non riuscì a ottenerla, nonostante avesse (si dice) distribuito notevoli quantità di zecchini nella Curia. Allora fece una cosa gravissima: si dichiarò lui capo della Chiesa, che sarebbe stata , per quanto solo Chiesa d'Inghilterra, la vera Chiesa "cattolica". Diventò scismatico. Il capo della Chiesa era ora il Re. Ancor oggi il monarca è a capo della Chiesa, ma solo nel senso di capo o n o r a r i o (della Chiesa d'Inghilterra e, credo, anche della massoneria inglese, originatasi nel 1717 dal ramo razionalistico-deista del protestantesimo).
RispondiEliminaI Romani antichi, un nome
Il bene e il male sono mescolati negli individui, allo stesso modo nei popoli.
Così trovi dappertutto la contraddizione poichè l'uomo è imperfetto e già nel fare
disfa, e sfacendo fa.
Nei Romani antichi il senso della gerarchia, della tradizione, delle virtù militari,
della dedizione alla patria. Ma anche la passione per gli spettacoli cruenti, in
origine come condanna a morte per i malfattori (il Circo). La dedizione alla
Res Publica ma anche la faziosità politica, le lotte civili, le guerre civili
che causarono la fine della Repubblica.
La sapienza politica nei rapporti con gli alleati, che costruisce un saldo sistema,
la federazione italica che, nonostante qualche defezione, resiste per anni ad un
avversario del calibro di Annibale, calato in Italia per liberarla dai Romani, diceva, e
insediatosi con una guerra distruttiva. Se avesse vinto, l'Italia sarebbe diventata una
colonia africana. Ce la vogliono far diventare adesso ed infatti detestano anche il nome
dell'antica Roma, per non parlare di quella che le è succeduta, la cristiana.
Sapienza politica ma anche cecità politica da parte della classe senatoria, che si oppose alla giusta estensione della cittadinanza romana a tutti gli italici, cecità che fu la causa principale delle guerre civili del I sec. a. C.
I Romani: una città, un popolo e poi un nome: degli italici, degli etruschi, dei greci del Meridione, dei Galli della pianura padana, dei Veneti...
Il senso del diritto, la cosa più importante lasciataci dai Romani. Quello bisogna soprattutto recuperare. Furono i primi a costringere i giudici a motivare le loro sentenze.
Il matrimonio: nasce dal consenso delle parti a prescindere dalla forma.
C'è oggi tutta una letteratura di terz'ordine sulla Roma della decadenza, che poi si riversa in filmacci inguardabili, soprattutto nei paesi anglosassoni. Ristudiamo l'ascesa dell'antica Roma, come hanno unificato l'Italia, come siano riusciti a creare un vero impero, nel quale ad un certo punto tutti erano cittadini.
21 aprile, data beneaugurante. 25 aprile, data buona per l'anniversario di S. Marco, patrono di Venezia; cattiva invece per la ricorrenza della c.d. Liberazione, festa di parte, dell'odio, della guerra civile, del massacro del nemico che si è arreso e della disfatta militare; dovrebbe invece esser trasformata in giornata di espiazione nazionale per tutti i nostri peccati in quanto popolo.
H.
Il 22 aprile 1073 san Gregorio VII viene esaltato al Sommo Pontificato
RispondiElimina"Se la Sede apostolica [...] giudica le cose spirituali, perché non potrebbe giudicare anche le temporali? Chi può dubitare che i sacerdoti di Cristo siano da reputarsi come padri e maestri dei re, dei principi e di tutti i fedeli? Se l’esorcista comanda i diavoli, a più forte ragione il Papa è giudice dei peccati dei re!"
(Prima lettera a Ermanno vescovo di Metz)
All'impero caduco fondato da Augusto, subentrò l'impero perenne della Chiesa universale, cioè «cattolica», che per un singolare concorso di eventi, troppo singolare per non dover essere considerato provvidenziale, il Cristianesimo vi aveva fondata. Ma qual è il motivo e,insieme la garanzia della universalità e perciò della perenne vitalità di Roma? Credo di non errare pensando alla presenza in Roma della tomba e delle reliquie eccezionalmente autentiche di Pietro,cioè dell'Apostolo sul quale Cristo stesso dichiarò di voler fondare la sua Chiesa, promettendo che le forze del male non avrebbero prevalso su di essa. Ecco - io credo - il segreto per cui Roma, «città predestinata», ha resistito e resiste all'usura del tempo e degli errori umani.
RispondiElimina(Margherita Guarducci,Il primato della Chiesa di Roma. Documenti, riflessioni,conferme, Rusconi, 1991, p. 141)
RispondiEliminaI sacerdoti di Cristo padri e maestri dei Re
Certamente, ma sempre come "sacerdoti di Cristo", cioè come "segno di contraddizione" che fa valere le superiori esigenze della religione e della morale cristiana, di fronte alle quali i re devono piegarsi. Se invece i sacerdoti di Cristo si immergono nel Temporale alla stessa
maniera dei re, si mettono sul loro stesso piano e cessano di essere padri e maestri per diventare solo dei concorrenti in politica, più o meno abili, più o meno astuti e così via.
PP
http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2014/02/cattolicita-e-romanita-della-chiesa.html
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