È uscito il secondo numero del Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa, dal titolo: “A vent’anni dalla Fides et Ratio”, per i tipi Cantagalli. Di seguito il saggio di Silvio Brachetta dal titolo:
“San Tommaso e San Bonaventura: il rapporto tra carità e verità nella diversità del linguaggio”
San Tommaso d’Aquino e san Bonaventura da Bagnoregio sono la dimostrazione storica che la mente umana può raggiungere la sapienza, così come la intende e la descrive l’enciclica Fides et Ratio di san Giovanni Paolo II. Scrive infatti il Papa polacco, citando san Tommaso, che esiste un livello sapienziale superiore alla sapienza «posta tra le virtù intellettuali» . Esiste cioè una sapienza, alla portata della mente umana, che ha la «priorità» sulle altre «due complementari forme di sapienza»: quella «filosofica» e quella «teologica» . C’è, in altre parole, un livello epistemico superiore anche alla teologia e alla filosofia, di cui vi è traccia in molti degli autori medievali. Il Dottore Angelico e il Dottore Serafico , in modo esemplare, resero ragione di questo livello sommo e indicarono la via per raggiungerlo, ciascuno con argomenti, capacità, metodologia e stile propri.
I due però, quanto all’esposizione della verità, non sono affatto sullo stesso piano: il magistero, in generale, e la Fides et Ratio, in particolare, indicano in san Tommaso una via privilegiata per la consultazione e l’accessibilità alle questioni filosofiche o teologiche. L’Angelico – scrive Giovanni Paolo II – «è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia» . La Summa Teologica tomista, a proposito di questa metodologia insuperata, è un archetipo di speculazione scientifica e sistematica, nonché uno strumento da cui è facile reperire il chiarimento su una certa questione, vista la disposizione quasi enciclopedica degli argomenti. Nell’enciclica, dunque, si parla estesamente dell’Aquinate, quale «apostolo della verità», soprattutto perché riconobbe l’«oggettività del suo realismo» e «raggiunse vette che l’intelligenza umana non avrebbe mai potuto pensare» .
Ascesa e discesa
Per san Bonaventura, il discorso cambia. L’enciclica lo nomina due volte, di sfuggita. Nel primo caso si parla dei Dottori medievali, «tra i quali emerge la grande triade di sant’Anselmo, san Bonaventura e san Tommaso d’Aquino» . Più avanti, Giovanni Paolo II invita i teologi a tenere «sempre presente l’indicazione di un grande maestro del pensiero e della spiritualità, san Bonaventura», secondo cui «non è sufficiente il sapere separato dalla carità» o «la riflessione senza la sapienza ispirata da Dio» . Bonaventura è sì nella «grande triade» medievale. Lo è però a modo suo, quasi nascosto. Perché?
Principalmente per il fatto che la vocazione di san Bonaventura è diversa da quella di san Tommaso. L’Angelico ascende, come il pittore sacro occidentale. Il Serafico discende, come l’iconografo orientale. L’Angelico è l’uomo che guarda Dio dal basso, con la propria vista, come nella pittura occidentale. Il Serafico è chiamato a spiegare come Dio guarda e parla agli uomini dall’alto, come nell’iconografia orientale. L’Angelico percorre l’«arte della salita», di cui parlò Pavel Florenskij, simile a chi sogna all’inizio della notte. Il Serafico compone l’«arte della discesa», archetipo dei sogni prima dell’alba. Eppure il Serafico non è più sapiente dell’Angelico: semplicemente guardano entrambi la Luce di Dio da due prospettive diverse, per vocazione, non per prossimità all’episteme. Tommaso, colto da esperienza mistica, non scrive più e si blocca («tutto ormai mi sembra paglia» – esclama). Bonaventura, dopo l’esperienza della Verna , non solo continua a scrivere, ma valuta quello che gli è capitato come «un pensiero tra gli altri»!
E tali peculiari vocazioni non possono che rivelarsi anche nel linguaggio. L’Angelico è un autore impegnativo, ma non contorto al modo dei moderni, che ostentano intelligenza con il parlare difficile. Il Serafico richiede uno sforzo d’impegno e di fatica maggiore, anch’egli non perché contorto o difficile, ma per via di un linguaggio che va quasi memorizzato, parola per parola, per essere sicuri di comprendere la conclusione. La differenza tra i due è simile a quella dello scalatore, che alle volte ascende in salita, alle volte è di fronte a un pericoloso ghiacciaio: si tratta di una diversità di lettura legata alla fatica.
Il fine della teologia
Giunto alla quarta collazione del suo Hexaëmeron, un anziano e sorprendente Bonaventura comincia a predicare deciso sulla verità. Non solo, ma sottolinea – da subito – che «super omnia enim praevalet veritas», «la verità prevale su tutto» . Non sono parole sue, ma è una citazione tratta da un testo apocrifo: il Terzo libro di Esdra, menzionato spesso in patristica, ma mai divenuto canonico. È significativo il contesto nel quale la sentenza fu pronunciata. Presso la corte d’Assiria si questionava su quale fosse la cosa più forte al mondo. Nonostante i molti pareri, tutti si trovarono d’accordo su di un punto fondamentale: «Allora il popolo esclamò e disse: Grande è la verità e prevale sopra ogni cosa» .
Come mai Bonaventura cita qua un apocrifo? Non poteva scegliere un passo biblico? Forse non trovò nel canone biblico un’autorità altrettanto esplicita, o giudicò elegante la sentenza. L’intenzione del Dottore Serafico sembra, comunque, lo stabilire qualcosa di simile a un primato della verità. Tutta la Collazione ha il medesimo tenore. Poco prima aveva detto che «la verità è la luce dell’anima e questa luce non conosce tramonto» . E poco dopo espone la dottrina della «triplice verità», secondo quanto afferma l’Ecclesiastico: «Il sole brucia i monti per tre volte». L’Hexaëmeron, inoltre, proprio perché è l’ultimo scritto riconducibile al Dottore, ne manifesta il pensiero compiuto.
Alle volte, i commentatori del Serafico trascurano tutto ciò e considerano piuttosto in lui un primato della carità, della volontà, della prassi, dell’«affectus». Che Bonaventura abbia trattato ampiamente (e francescanamente) della carità e abbia una dottrina originale sulla volontà, non significa però che ne abbia celebrato un privilegio rispetto alla ragione . Il termine «volontarismo bonaventuriano» è usato, ma improprio. Lo spiega bene Inos Biffi, tra molti, quando mette a confronto la teologia di Tommaso e Bonaventura . Scrive Biffi che entrambi i Dottori ritengono essere la teologia una «scienza pratica». L’Angelico, però, aggiunge che essa è «più speculativa che pratica», poiché la beatitudine eterna è legata alla «perfetta conoscenza di Dio». Secondo il Serafico, invece, certamente nella teologia vi è un momento iniziale in cui essa «consiste nella “scienza teologica speculativa”», come uno dei suoi fini. Non però il suo «fine ultimo», che è quello di diventare buoni («ut boni fiamus»). Per il Bonaventura francescano, insomma, non si dà teologia senza applicarla, cioè «occorre che la scienza e l’azione si congiungano nella forma “affettiva”». In altre parole, è necessario alla teologia «che l’intelletto susciti l’amore».
Carità e verità: una descrizione complementare
San Tommaso – sempre a parere di Biffi – non crede che il fine ultimo della teologia sia di diventare buoni, ma piuttosto «si deve essere buoni per fare teologia». Sarebbe però sbagliato dire che l’Angelico sia a favore della ragione e il Serafico tenda alla fede: l’Angelico è in fondo «più coraggioso e teologico», mentre il Serafico si limita ad aggiungere – e lo sostiene con forza – che fede e ragione, carità e verità, sono inseparabili. Nemmeno questo, tuttavia, è completamente esatto. Anche san Tommaso le presenta come inseparabili: «Vi è una duplice perfezione – afferma l’Aquinate –: la prima relativa all’intelletto, e si ha quando uno possiede un intelletto capace di giudicare e di discernere rettamente su quanto gli viene proposto. La seconda perfezione è quella dell’affetto, e questo proviene dalla carità, che uno possiede quando si trova totalmente unito a Dio» . Si direbbe che ognuno, a modo suo, restituisca alla «caritas in veritate» la corretta interpretazione, la quale non può che essere una sintesi, concepita nella sapienza.
La carità, secondo Tommaso, è una «virtù speciale» e «unica», per cui tutte le altre virtù dipendono da essa . L’atto della carità, in particolare, è volontario, nel senso che lo Spirito Santo aggiunge alla potenza naturale umana una «forma che la pieghi all’atto dell’amore» . Una dottrina simile è in Bonaventura, che definisce la carità come «radice, forma e fine delle virtù», così come i due comandamenti evangelici dell’amore includono tutti gli altri . E qua c’è un approfondimento. Quanto alla verità, è nota la definizione tomista: «veritas est adaequatio rei et intellectus». Meno noto è che la definizione bonaventuriana della verità è identica alla tomista, come si legge ad esempio nell’Hexaëmeron . E, a seguire, nelle pericopi successive, vi è un ulteriore approfondimento secondo cui è anche da tenere presente che «ogni creatura è menzogna», come afferma sant’Agostino. Da qui la necessità di riferirsi costantemente al Verbo, in quanto «similitudine» di comparazione.
È, quindi, abbastanza evidente che spesso si scambia per differenza di pensiero tra i due Dottori, quello che è solo un approfondimento o un’integrazione. È del tutto evidente che lo stesso albero apparirà diverso, se guardato da posizioni differenti: i rami e le foglie possono, per questo motivo, essere descritte in modo complementare. Vi sarebbe, al contrario, opposizione di dottrina nel caso uno dei due osservatori riferisse una realtà che contrasta quella dell’altro.
La filosofia cristiana
La teologia di Bonaventura è fortemente cristologica. Gesù Cristo è l’«esemplare» («exemplum»), il centro («centrum») e il «medio» («medium») . Esemplare di tutto ciò che è creato, centro sferico della creazione e medio metafisico della Ss. Trinità, orientata dal Padre allo Spirito Santo. Il Logos, nella speculazione del Serafico, è dunque centrale, soprattutto in quanto veritas. Il Dottore realizza il pensiero di Clemente Alessandrino, citato dalla Fides et Ratio: il Vangelo è «la vera filosofia» . Anche per Bonaventura Gesù Cristo illumina la ragione e la volontà, poiché Egli «è tutta la nostra metafisica» . A maggior ragione, a san Tommaso e alla sua teologia si possono applicare i sostantivi di «filosofo» e di «filosofia cristiana». Abbiamo dunque a che fare con due teologi che, per la quantità degli argomenti trattati, per la capacità d’investigare ogni settore della realtà e per l’uso massiccio delle categorie filosofiche, possono essere considerati anche filosofi e la loro teologia può essere ribattezzata «filosofia cristiana».
Nella Fides et Ratio è specificato che la filosofia cristiana è un «filosofare cristiano», ovvero «una speculazione filosofica concepita in unione vitale con la fede» . Non si tratta, viceversa, di una «filosofia ufficiale della Chiesa, giacché la fede non è come tale una filosofia». Vi sono dunque due aspetti, nella filosofia cristiana: «uno soggettivo, che consiste nella purificazione della ragione da parte della fede» e «uno oggettivo, riguardante i contenuti», le «verità», che «pur non essendo naturalmente inaccessibili alla ragione», forse «non sarebbero mai state da essa scoperte, se fosse stata abbandonata a sé stessa». I due poli – ragione e fede, verità e carità, teoria e prassi – non possono allora essere separati, né confusi, per poter parlare di una teologia autentica, che non può fare a meno della ragione, o di una filosofia cristiana, che non è mai mortificata dalla Rivelazione.
Sapienza come “sapida scientia”
Anche un domenicano come san Tommaso, orientato verso la ragione, è in grado di scrivere pagine molto belle sulla carità. «Nessuno per ignoranza» – scrive – può «ritenersi scusato» dal conoscere e osservare «la legge della divina carità». E «questa legge dell’amore divino produce nell’uomo quattro effetti»: genera «in lui la vita spirituale», promuove «l’osservanza dei comandamenti divini», costituisce «un aiuto contro le avversità» e conduce «alla felicità». Sono effetti legati alla prassi, in modo che l’uomo possa acquistare meriti e non si limiti a una conoscenza teorica di Dio e della sua Parola. Quella stessa prassi cara ai francescani, per cui la verità intellettiva si unisce alla verità attiva.
Nel commentare le Sentenze di Pietro Lombardo, san Bonaventura s’imbatte in alcune questioni sullo Spirito Santo. Mary Melone scrive, in un suo saggio, che Bonaventura dimostra il duplice aspetto della carità, «come dono» e come «guida alla verità». Il dono della carità produce il frutto dell’«amor caritatis», cioè la capacità di amare che orienta a Dio, superando l’aspetto puramente sentimentale. La carità, secondo il Serafico, pur non rivestendo un primato assoluto, ha comunque un «primato complexionis, cioè un primato che va ricondotto alla sua funzione di compimento e perfezionamento di ogni virtù». E anche l’Angelico è dell’opinione – lo si è visto sopra – che tutte le virtù dipendano, in qualche modo, dalla carità.
Proprio per il fatto – continua Melone, interpretando Bonaventura – che la carità ci rende «deiformi», da ciò consegue che «la presenza dello Spirito Santo attiva nell’uomo la capacità di amare in verità». Se veramente nell’uomo c’è la carità, essa non potrà mai manifestarsi in maniera cieca, indifferente, ma risanerà dalla ferita del peccato originale anche altre facoltà umane, come la ragione. Il Dottore non si ferma qui: resta da commentare il passo di Giovanni in cui è detto che «quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera […]» (16, 13). Si tratta, beninteso, non solo di una verità intellettuale. C’è infatti una «triplicità della verità», che è «causa dell’essere, ragione del capire e ordine del vivere». In questa definizione vi è tutto: verità oggettiva, soggettiva e verità dell’atto (etica, morale).
Così pure la conoscenza è di due tipi: quella «speculativa» e quella di «esperienza e di pietà». La speculativa è riferita al Figlio e la pratica procede dallo Spirito Santo, per cui «la verità “tutta intera” va intesa non come completezza di erudizione, ma come assimilazione di quella verità “di vita, di dottrina e di giustizia” a cui l’azione dello Spirito può condurre».
Pian piano s’intuisce che la teologia di Bonaventura è sì del tipo cristologico, ma che sfocia inevitabilmente in un approccio trinitario. Non vi è infatti, insegna la dogmatica, attività ab extra di Dio che non sia operazione di tutta la Ss. Trinità, perché le tre Persone sono unite nella stessa sostanza. Non deve quindi stupire se anche lo Spirito Santo conduce alla verità, che è un’appropriazione del Verbo. Dice dunque san Bonaventura che «vi è nello Spirito Santo una verità infallibile; poi una verità munifica; poi ancora un’invincibile potenza». Quanto l’unione tra le Persone sia profonda – osserva il Serafico – lo si evince anche dall’episodio della Pentecoste, nella quale fu elevata l’«intelligenza degli apostoli». Non solo la potenza, non solo la fede, ma anche la ragione.
I dottori, oltre all’opera speculativa e scientifica a loro affidata dalla vocazione, trovarono il sentiero della sapienza, che Teodorico Moretti-Costanzi chiama «sapida scientia», cioè quella scienza «che ha congiunto con sé il sapore» . Il Moretti-Costanzi, inoltre, esclude che un pagano possa accedere all’autentica sapienza, perché ad essa si può giungere solo attraverso la santità pre-adamitica, che è realizzabile solo dopo avere abbandonato il peccato.
_________________________________1 Promulgata il 14/09/1998. Indico la Fides et Ratio con FeR.
2 FeR n. 44.
3 Ivi.
4 San Tommaso d’Aquino. Creato Dottore con la Bolla Mirabilis Deus di San Pio V, 11/09/1567.
5 San Bonaventura da Bagnoregio. Creato Dottore con la Bolla Triumphantis Hierusalem di Sisto V, 14/03/1588.
6 FeR n. 43.
7 Ibidem n. 44.
8 Ibidem n. 74.
9 Ibidem n. 105.
10 Cf. Pavel Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, 1977.
11 Gli si presenta alla mente il Serafino alato, lo stesso delle stimmate a san Francesco d’Assisi. Cf. Bonaventura da Bagnoregio, Itinerarium mentis in Deum, prol., n. 2.
12 Ivi.
13 Le Collationes in Hexaëmeron, sive illuminationes Ecclesiae (Collazioni sull’Esamerone, ovvero le illuminazioni della Chiesa), sono l’ultima opera di San Bonaventura. Si tratta di una serie di conferenze o predicazioni, tenute dal santo nel 1273, un anno prima della morte. Non sono redatte dall’autore: si tratta di rapporti o resoconti, trascritte dagli uditori e rilegate in volume.
14 Bonaventura da Bagnoregio, In Hexaëm., coll. IV, n. 1. Citazione di 3 Esd 4, 41.
15 «Et omnes populi clamaverunt et dixerunt: Magna est veritas et praevalet», 3 Esd 4, 41. Bonaventura riporta il giudizio leggermente modificato, ma con il medesimo senso.
16 In Hexaëm., cit., ivi.
17 Ibid., n. 3.
18 «Tripliciter sol exurens montes», Sir 4, 41, cit. in Hexaëm., ibid., n. 2.
19 Quest’opinione è condivisa da Jacques Guy Bougerol e dai suoi collaboratori, che hanno curato l’edizione dell’opera omnia di san Bonaventura per Città Nuova, come si evince dalle loro opere. Dello stesso parere anche altri studiosi bonaventuriani come, ad esempio, Leone Veuthey e Vincenzo Cherubino Bigi.
20 Inos Biffi, “L’intelligenza non basta. Bonaventura e Tommaso a confronto”, in L’Osservatore Romano, 15/07/2009.
21 Tommaso d’Aquino, Super Epistolam ad Hebraeos, c. 5, l. 2. Citato sempre da Biffi nel suo articolo.
22 «La carità nella verità», secondo il titolo che Benedetto XVI dette ad una sua Enciclica del 2009.
23 Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 23, aa. 4-5.
24 Ibid., a. 2.
25 Bonaventura da Bagnoregio, Breviloquium, p. V, c. 8.
26 «La verità è la corrispondenza tra la cosa e l’intelletto». San Tommaso, De veritate, q. 1 a. 2 s. c. 2.
27 In Hexaëm., cit., coll. 3, n. 8.
28 Ivi.
29 In varie sue opere, tra cui l’Hexaëmeron.
30 FeR n. 38.
31 «Hoc [Gesù Cristo] est medium metaphysicum reducens, et haec est tota nostra metaphysica […]», In Hexaëm, cit., I, 17.
32 FeR n. 76.
33 Tommaso d’Aquino, Opuscula theologica, II, nn. 1137-1154, ed. Marietti, 1954.
34 Mary Melone, “Lo Spirito, dono di carità e guida alla verità, in san Bonaventura”, in Doctor Seraphicus, a. LVIII (2010), pp. 57-73.
35 Bonaventura da Bagnoregio, Sermone 27, (OSB, X, pp. 320-331).
36 Cf. Teodorcico Moretti-Costanzi, “L’attualità della filosofia mistica di San Bonaventura”, in: Teodorcico Moretti-Costanzi, San Bonaventura, Armando Editore, 2003.
"... «super omnia enim praevalet veritas», «la verità prevale su tutto»..."
RispondiElimina"...«Vi è una duplice perfezione – afferma l’Aquinate –: la prima relativa all’intelletto, e si ha quando uno possiede un intelletto capace di giudicare e di discernere rettamente su quanto gli viene proposto. La seconda perfezione è quella dell’affetto, e questo proviene dalla carità, che uno possiede quando si trova totalmente unito a Dio» ...."
1) la verità prevale su tutto»
2) la carità, che uno possiede quando si trova totalmente unito a Dio»
Bellissimo, grazie di cuore a chi lo ha scritto e a chi lo ha postato!
RispondiEliminaLe righe finali (relative al pensiero di Moretti Costanzi) sarebbero, poi, da affiggere al centro di piazza San Pietro per ricordare ai Dotti-Ignoranti modernisti, vestiti di bianco, di rosso e di rosa, come si fanno Teologia e Verità.
Grazie Maria per questa condivisione.
RispondiElimina4 ottobre, San Francesco d'Assisi, "il più santo tra gli italiani, il più italiano tra i santi", Patrono d'Italia e delle Isole; festa patronale, un tempo civile e nazionale...
RispondiElimina...il sospetto che il gesuita più importante di tutti faccia un uso un tantinello strumentale del diavolo. Insomma, lo usi per distogliere l’attenzione dal fatto che oggi, 4 ottobre 2018, è il quarantesimo giorno che il Pontefice regnante non ha dato risposta alla semplice domanda posta sull’aereo da Dublino: quando ha saputo che McCarrick era un predatore seriale omosessuale? È vero che il 23 giugno 2013 mons. Viganò l’ha avvertito con chiarezza di questo? Da notare, a margine del silenzio (ma non c’è anche un “Diavolo muto”?) pontificale, che nessuno in Vaticano o altrove ha smentito Vigano. Insultato sì, denigrato, a iosa, immaginato complotti quanti se ne vuole. Ma smentito, nessuno. Curioso, vero?
RispondiEliminaPreghiera Omnipotens
RispondiElimina(S.Francesco)
Onnipotente, eterno, giusto
e misericordioso Iddio,
concedi a noi miseri di fare,
per tuo amore,
ciò che sappiamo che vuoi,
e di volere sempre ciò che a te piace,
affinché, interiormente purificati,
interiormente illuminati
e dal fuoco dello Spirito Santo accesi,
possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto,
il Signore Nostro Gesù Cristo,
e per tua sola grazia
giungere a te, o Altissimo,
che nella Trinità perfetta e in
semplice Unità
vivi e regni e sei glorificato,
Dio onnipotente
per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
(Fonti Francescane 233)
https://www.uccronline.it/2018/10/04/santi-ambrogio-gervaso-e-protaso-la-scienza-conferma-la-tradizione-cattolica/
RispondiEliminaC'è da imparare:
RispondiElimina《L’intervistatore suggerisce di allentare un po’ la dottrina, e rendere il messaggio più popolare. “Dimenticalo. Questo non aiuta affatto. Questa è un'illusione. Dagli anni '60 in poi, la gente ha cercato di mettere l'acqua nel vino e rendere il messaggio più facile, in modo che scivolasse più facilmente. Ma vediamo che le parrocchie che esplodono sono le parrocchie che sono esplicite nella catechesi e praticano una buona liturgia, secondo la Tradizione della Chiesa; sono proprio le parrocchie più frequentate. Punto. Non puoi farlo con la litografia fantasy e la liturgia sperimentale.》
http://www.lanuovabq.it/it/olanda-il-canto-del-cigno-del-vescovo-di-utrecht
http://www.lanuovabq.it/it/san-francesco-tutti-i-miti-da-sfatare-su-poverta-e-ambiente
RispondiEliminaQualcuno di voi ha notato l'orrido pastorale del vdr all'apertura del sinodo? Chiamarlo ferula è un eufemismo per nascondere la verità, è una schifezza!!!!
RispondiEliminaRiguardo alla "ferula", fate una ricerca su images.google.com con i termini
RispondiEliminastang witchcraft
la forma di questa ferula è veramente inquietante…
RispondiEliminahttp://blog.messainlatino.it/2018/10/s-messa-di-apertura-del-sinodo-ferule.html?m=1
Estratto dall' “Instrumentum laboris” della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 19.06.2018
RispondiElimina--- 197. Per esempio, nel SI alcuni esperti hanno fatto notare come il fenomeno migratorio possa divenire un’opportunità per un dialogo interculturale e per il rinnovamento di comunità cristiane a rischio di involuzione. Alcuni giovani LGBT, attraverso vari contributi giunti alla Segreteria del Sinodo, desiderano «beneficiare di una maggiore vicinanza» e sperimentare una maggiore cura da parte della Chiesa, mentre alcune CE si interrogano su che cosa proporre «ai giovani che invece di formare coppie eterosessuali decidono di costituire coppie omosessuali e, soprattutto, desiderano essere vicini alla Chiesa». ---
È la prima volta in assoluto che un acronimo ideologico trova spazio in un documento ufficiale della Chiesa, non esistono i "giovani LGBT", esistono i giovani che abbisognano null'altro della Verità.
Scrivere inoltre che alcune Conferenze Episcopali si interrogano su che cosa proporre «ai giovani che invece di formare coppie eterosessuali decidono di costituire coppie omosessuali e, soprattutto, desiderano essere vicini alla Chiesa» è sconcertante e rivelatrice del fatto che si è perso il senso del vero, del giusto, di ciò e di Colui che tutto sazia.
Se queste sono le premesse, direi che è doveroso da parte di tutti i battezzati invocare continuamente lo Spirito Santo sull'assemblea, per dipanare ogni nebbia che offusca la mente e lo spirito.
In effetti, la strana 'ferula' di Papa Bergoglio, nonostante qualcosa che sembra il volto di Cristo verso il centro ed un lungo chiodo trasversale, assomiglia molto al 'bastone delle streghe'... Inquietante.
RispondiElimina“Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell'umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l'umanità pur di combattere la Chiesa”.
RispondiElimina(G. K. Chesterton)
RispondiEliminaInquietanti anche queste, sulla testa del papa e dei vescovi:
https://www.google.com/search?client=firefox-b&biw=1675&bih=944&tbm=isch&sa=1&ei=gGG3W4GxD47xrgTx27e4DQ&q=meeting+famiglie+dublino+mitra+papa+&oq=meeting+famiglie+dublino+mitra+papa+&gs_l=img.3...17398.17398.0.17680.1.1.0.0.0.0.126.126.0j1.1.0....0...1c.1.64.img..0.0.0....0.dqbCmWqcQRs#imgrc=7rBtAktEC9jCLM:
Anna
Con quale diritto questa donna si e' investita del titolo di imperatrice !?!
RispondiEliminaLa Merkel ci scarica gli immigrati. Ma Salvini: "Chiudo agli aeroporti"
http://www.ilgiornale.it/news/politica/merkel-ci-scarica-immigrati-salvini-chiudo-agli-aeroporti-1585065.html
Se le cose stanno così , dopo l'atterraggio fategli il pieno di propellente e rispeditelo al mittente .