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lunedì 11 marzo 2019

Equivoci sulla Dottrina Sociale della Chiesa di Riccardo Zenobi con una appendice

Nell’esperienza di tutti i giorni quando si tocca il tema del rapporto società/Chiesa si suscitano reazioni spesso sdegnose, in quanto anche negli interlocutori non cattolici più benevoli la Fede viene considerata tutt’al più una questione di scelte personali o di piccoli gruppi, del tutto irrilevante per la società e addirittura un vulnus per la politica, ritenuta laica per eccellenza.

Tutti questi equivoci nascono dalla visione della realtà sociale impostasi dal 1789 ed espressa pienamente nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, il cui articolo 6 dichiara “la legge è l’espressione della volontà generale”, senza alcun riferimento alla verità o al bene comune oggettivo. Lo scarto tra la visione cattolica e la visione contemporanea della realtà sociale è il riferimento ultimo che legittima la varie scelte politiche; poiché non molti sono consapevoli di ciò, nascono continuamente equivoci sulla DSC quand’anche venissero usati dei termini comuni ai vari interlocutori.

Lo stesso termine bene comune ha sensi molto differenti: per la dottrina cattolica esso è una realtà oggettiva che in ultima analisi non dipende dalla libera scelta del singolo o dei gruppi, e la politica è finalizzata a permetterne l’accesso a quante più persone possibile; per la visione moderna esso è invece dipendente dalla volontà, e la politica si riduce a gestire un gioco di forze tra volontà discordanti. Anche il termine diritto ha referenti diversi: nel dibattito odierno esso indica ciò che qualcuno deve avere il permesso di fare senza interferenze[1] (il riferimento alla volontà è palese), mentre fino all’alba della modernità esso indicava ciò che è dovuto ad un altro; fondamento della giustizia nel primo caso è la volontà del singolo o della maggioranza, nel secondo caso è invece qualcosa di ulteriore e di oggettivo: il bene.

Alla base della DSC vi è la riflessione sul bene comune, che investe non solo la dimensione sociale dell’uomo ma riguarda anche la domanda su cosa sia veramente l’uomo e dunque quale sia il bene a cui tendere, il quale fonda una base di convivenza civile più stabile rispetto alla gestione degli equilibri di forza basati sulle percentuali di chi vuole cosa. In quest’ultimo caso vale quanto espresso da Jean-Pierre Michel (senatore socialista francese): “ciò che è giusto è ciò che dice la legge. Tutto qui. E la legge non fa riferimento ad un ordine naturale. Si riferisce ad un bilancio di forze di un dato momento. E questo è tutto”[2]. In tal modo anche la nozione di “laicità” perde significato oggettivo, e ciò spiega perché in alcuni paesi europei sorgono dei movimenti teocratici che si rifanno alla sharia: se tutto è soggetto al libero gioco delle varie volontà, perché escludere chi vuole negare apertamente tutto ciò? Se infatti non c’è un bene comune oggettivo da perseguire, se non c’è riferimento alla verità, tutto perde consistenza, anche mostri sacri della politica come democrazia, partecipazione popolare e laicità, i quali si riducono al bilancio di forze del momento.

Quando una società non pone chiaramente le caratteristiche del bene che vuole perseguire otterrà come unico fine possibile barcamenarsi tra diverse correnti politiche e gruppi dei quali si cerca il consenso. La DSC studia il bene comune che una società di cristiani persegue, gli aspetti che esso assume nei vari frangenti storici e le forme politiche che permettono al maggior numero possibile di membri l’accesso alla fruizione di tale bene, il quale non si esaurisce né in giochi politici, né in questioni temporanee, ma rappresenta un ponte d’accesso a qualcosa che supera sia i singoli che i gruppi, e fonda l’uomo stesso nel suo agire morale e sociale. È necessario tenere in mente questa base per poter affrontare e chiarire gli equivoci che sorgono nel dibattito sulla DSC.

Il primo e più ricorrente fraintendimento riguarda appunto il rapporto con la laicità. Molto spesso si è accusati di “teocrazia” e il dibattito viene chiuso dall’interlocutore che accomuna la DSC alla sharia e sbatte la porta affermando “il peccato non è reato”. Qui l’equivoco nasce dalla confusione di diverse questioni che, prese singolarmente, diramano questo tipo di accusa. La teocrazia rappresenta un termine che nella quasi totalità delle volte è usato come spauracchio e senza definizioni precise; in generale esso richiama alle menti il collimare dei poteri temporale e spirituale, anche se propriamente parlando in questo caso si tratta di una ierocrazia; partiamo da qui per la disanima. L’equivoco di fondo sta nel presunto “collimare”, che può comprendere sia una fusione che una non distinzione tra il potere civile e quello spirituale. Che tale distinzione sia invece fondamento del Vangelo è esplicito nelle parole di Cristo: “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”[3], frase che fonda non solo la distinzione tra i poteri ma anche tra gli ambiti temporale e spirituale. La differenza è fondamentale: non solo il potere di Cesare è distinto dal potere dei rappresentanti di Dio, ma anche l’ambito in cui tale potere si applica è distinto. Nelle parole della Quadragesimo anno:

“Certo alla Chiesa non fu affidato l’ufficio di guidare gli uomini a una felicità solamente temporale e caduca, ma all’eterna. Anzi “non vuole né deve la Chiesa senza giusta causa ingerirsi nella direzione delle cose puramente umane” (Enciclica Ubi arcano, 23 dic. 1922). In nessun modo però può rinunziare all’ufficio da Dio assegnatole, d’intervenire con la sua autorità, non nelle cose tecniche, per le quali non ha né i mezzi adatti né la missione di trattare, ma in tutto ciò che ha attinenza con la morale. Infatti in questa materia, il deposito della verità a Noi commesso da Dio e il dovere gravissimo impostoci di divulgare e di interpretare tutta la legge morale ed anche di esigerne opportunamente ed importunamente l’osservanza, sottopongono ed assoggettano al supremo Nostro giudizio tanto l’ordine sociale, quanto l’economico.”[4]

La distinzione di ambiti fonda la distinzione dei poteri, poiché la DSC è l’estrinsecazione del bene comune che rappresenta un punto di riferimento al di fuori della politica; quest’ultima si occupa di organizzare i mezzi e dirimere questioni di governo contingente con lo scopo di attuare il bene comune per tutti. Cesare dunque è Cesare, è preposto alla direzione di cose puramente umane in vista del Bene che si intende realizzare, e il potere spirituale può intervenire su di esso quando sta sconfinando negli ambiti che non gli sono propri, ad esempio per questioni bioetiche o per decisioni che costituiscono un male oggettivo. Oltre a ciò è fondata anche la diversità di fonti di diritto: il Vangelo non ha un codice legale, e perciò ammette le leggi secolari in vista dei frangenti politici che si presentano nella storia, cosa invece non permessa in certe scuole giuridiche islamiche che ammettono come fonte di diritto unicamente ciò che è rivelato.

Le distinzioni che ho esposto finora possono sembrare chiare e ragionevoli a degli uditori che abbiano una qualche infarinatura sul tema, eppure non sono conosciute al grande pubblico, anche cattolico, ed è alla radice di grandi incomprensioni nel dibattito, spesse volte più dei contenuti stessi della DSC, i quali possono venir fraintesi anche dagli esperti se non viene adeguatamente concettualizzata la differenza tra il diritto che discende dal bene comune e il senso moderno o postmoderno dello stesso. È quindi opportuna una esposizione preliminare su quali siano le basi e il fondamento stesso dell’agire politico, umano e sociale dell’uomo, a prescindere dai contenuti dello stesso.
R.Zenobi
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[1] Questo slittamento semantico è ben evidenziato al link https://thejosias.com/2019/01/16/the-declaration-of-the-rights-of-man-and-of-the-citizen-against-natural-law , nota 1.
[2] Dichiarazione rilasciata il 13 febbraio 2013, vedi https://en.wikipedia.org/wiki/Jean-Pierre_Michel
[3] Mt 22, 21.
[4] Pio XI, lettera enciclica Quadragesimo anno, 15 Maggio 1931, § 41.

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 Appendice (a cura dell’Osservatorio)

Degli equivoci che Riccardo Zenobi giustamente ricorda in questo articolo il nostro Osservatorio si è occupato in molte occasioni e si sta occupando tuttora.

Sugli equivoci circa il BENE COMUNE e la SUSSIDIARIETÀ è appena uscito il nostro volume:
Le chiavi della questione sociale – Bene comune e sussidiarietà: storia di un equivoco”, [qui] curato da Stefano Fontana e con contributi di Castellano, Cecotti, Crepaldi, Padre Arturo Ruiz, Giovanni Turco (edizioni Fede & Cultura, Verona 2019). Si tratta di un volume molto istruttivo proprio su alcuni “equivoci” segnalati da Zenobi.
Inoltre vi avevamo dedicato il fascicolo del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” di gennaio-marzo 2017 dal titolo “Le ragioni del bene comune”.
Il fascicolo del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” di gennaio-marzo 2018 era dedicato agli equivoci sul principio di sussidiarietà col titolo: “Sussidiarietà: un principio da recuperare”.
S. Fontana, Il bene comune: criteri per il discernimento.
S. Fontana, Non perdiamo di vista la densità del concetto di bene comune.
F. Trevisan (a cura di), Le ragioni del bene comune, audio della trasmissione a Radio Maria.
F. Trevisan (a cura di), Il principio di sussidiarietà: natura fini e problemi, audio della trasmissione a Radio Maria.

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Sul problema degli equivoci sulla LAICITÀ, pure segnalato da Zenobi, il nostro Osservatorio ha prodotto moltissime riflessioni che qui è perfino impossibile riportare. Ne elenco alcune:
G. Crepaldi, Laicità e verità. Cosa ci sta insegnando Benedetto XVI, Fede & Cultura, Verona 2007.
G. Crepaldi, Alcune note sulla laicità secondo Benedetto XVI, in Id., Dio o gli dèi. Dottrina sociale della Chiesa: percorsi, Cantagalli, Siena2008, pp. 65-80.
G. Crepaldi, Laicità e verità nella Dottrina sociale della Chiesa, Conferenza all’Universidad Católica de Cuyo – San Juan – Argentina.
S. Fontana, Il rapporto Chiesa-mondo e la corretta laicità della politica.

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Sul problema della COSCIENZA per il pensiero cattolico e per la modernità:
Giampaolo Crepaldi, La coscienza come primario problema politico. Osservazioni a margine del Messaggio del Cardinale Pietro Parolin al Centro Studi Livatino.

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Sugli equivoci indotti dalla “NUOVA TEOLOGIA”:
S. Fontana, La nuova Chiesa di Karl Rahner. Il teologo che ha insegnato ad arrendersi al mondo, Fede & Cultura, Verona 2016.
S. Fontana, La teologia di Karl Rahner e le difficoltà della Dottrina sociale della Chiesa
S. Fontana, Chiesa gnostica e secolarizzazione. L’antica eresia e la disgregazione della fede, Fede & Cultura, Verona 2018.
[A cura di Benedetta Cortese]

3 commenti:

  1. Il primo equivoco è quello sulla Dottrina Cattolica nella quale il fedele avrebbe dovuto essere formato e nella quale avrebbe dovuto sforzarsi di restare e vivere. A fronte vi è un clero per lo più raccogliticcio, senza vocazione, in cura esistenziale delle sue voglie. L'apoteosi dell'equivoco,eretto a dottrina, sono i due papi, il resto ne è l'esemplificazione.

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  2. Questo concetto erroneo di legge è precisamente il motivo principale per ignorare i termini di canone 332 §2 https://vericatholici.wordpress.com/2019/01/22/come-e-perche-le-dimissioni-di-papa-benedetto-xvi-non-sono-valide-secondo-il-diritto-canonico/

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  3. OT

    Vorrei invitare alla prudenza con le vie dell'alta velocità e con quelle della seta; il nostro rischio, non remoto, è quello di venir sepolti da flussi continui di uomini, merci e mezzi. Buona grazia se sarà lasciato nelle nostre mani la regolamentazione del traffico in entrata ed in uscita, mentre autostrade, ruote e rotaie cancelleranno ogni traccia della nostra memoria identitaria e, saremo ricoperti, presumibilmente, di indesiderati. Le nostre infrastrutture devono rispondere alle nostre necessità civili, economiche, militari, non a necessità di altri per le loro politiche espansionistiche politiche economiche e di altro tipo. Questo concetto di priorità tra le nostre necessità e le necessità degli altri non mi sembra che sia chiaro nella mente dei più. Il far ripartire l'economia significa avere una chiara nozione delle potenzialità reali del paese ed accompagnarle, vigilando che ritornino e rimangano in mani italiane competenti.
    Un'altra nota riguarda i nuovi ministri laureati, è necessario che questi ragazzi, anche quarantenni, ed anche quelli più anziani, capiscano che la loro laurea oggi garantisce di un percorso di istruzione portato a termine, non garantisce assolutamente di un'educazione avviata e in via di miglioramento, cioè non garantisce della loro indipendenza di giudizio. Non essendo stati allenati a conquistarsi un giudizio indipendente, inevitabilmente saranno portati ad appoggiarsi alla mentalità loro contemporanea. La quale, pur presentandosi divertente e gioiosa, ha in se stessa, accanto ad intuizioni a volte felici, vaghezze, ipotesi, narrazioni stranianti che portate in essere sono perniciose, velenose, mortali.

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