Signore Dio onnipotente, che ci hai fatto arrivare all’inizio di questo giorno, salvaci oggi con la tua potenza, affinché in questo giorno non deviamo verso alcun peccato, ma i nostri discorsi siano sempre orientati, i nostri pensieri e le nostre azioni sempre diretti ad operare la tua giustizia (dall’Ufficio Divino).
La santità consiste, in negativo, nell’assenza di ogni peccato; in positivo, nella somiglianza a Cristo. È evidente che, per ottenere la seconda, occorre anzitutto raggiungere la prima. Nella pratica, i due processi sono correlativi e reciprocamente proporzionali. Un’incipiente conformazione al Signore presuppone certamente l’eliminazione di tutti i peccati mortali (che privano l’anima della grazia santificante), ma non ancora quella di tutti i peccati veniali e di tutti i difetti. Fra questi ultimi, anzi, ci possono essere debolezze involontarie da cui Dio, per mantenerli umili, non libera nemmeno i più progrediti, nonostante le loro insistenti richieste. Perché vi sia peccato, del resto, è necessario il deliberato consenso, che di solito manca quando una persona sottoposta a profonde purificazioni o agli effetti di ferite del passato cede, suo malgrado, a qualche imperfezione.
La crescita nella santità è dunque possibile anche in condizioni di disagio o di sofferenza interiore, purché ci sia fede viva e buona volontà. Se riceviamo regolarmente la grazia mediante i Sacramenti, ce ne lasciamo impregnare nella preghiera e la esercitiamo in opere suscitate dalla carità, a poco a poco essa ci trasforma con la nostra collaborazione. Possiamo però anche frapporle ostacoli (per esempio, con l’ostinazione in un’opinione erronea, l’orgoglio di non riconoscere i torti inflitti agli altri, la pigrizia nel combattere un difetto o una cattiva abitudine) oppure mancare di corrisponderle (per esempio, trascurando una buona ispirazione del Cielo od omettendo l’adempimento di un dovere che la coscienza ci impone). Può persino accaderci di dilapidare, con ricadute in vecchi peccati o cedimenti a tendenze malsane, i tesori spirituali che il Signore ci ha elargito. È per questo che la tradizione ascetica ha sempre raccomandato una continua attenzione a sé stessi, piuttosto che ai difetti e alle mancanze altrui.
La via della perfezione cristiana non è impossibile, né è riservata in modo esclusivo a determinati ceti della Chiesa, sebbene la vita consacrata ne rappresenti la forma più radicale ed esemplare. Chi, per via del suo stato, è posto in evidenza davanti al popolo deve indicargli la strada da percorrere in modo convincente, facendogli da guida e modello. Oggi è invalsa una concezione secondo la quale i religiosi, per adempiere bene la propria missione, dovrebbero essere e agire il più possibile come tutti gli altri, anziché distinguersene. In tal modo molti di loro hanno snaturato la propria vocazione, rendendola insignificante, e in molti casi, di conseguenza, l’hanno pure abbandonata. Le rinunce che la caratterizzano vanno sì intese in chiave positiva (come incentivo all’amore soprannaturale), ma non le si può reinterpretare fino ad annullarle. La perfetta continenza, il rifiuto di ogni possesso e la sottomissione ai superiori mostrano ai laici l’esigenza comune della castità (anche nell’uso del matrimonio), del distacco (affettivo o effettivo) dai beni di questo mondo e dell’obbedienza alla volontà di Dio (manifestata mediante chi Lo rappresenta sulla terra).
Nel Breviario tradizionale, i testi dell’Ora Prima – per ignoti motivi abolita in quello “riformato” – contengono un vero e proprio programma per tutta la giornata del cristiano che desidera davvero seguire il suo Maestro. Già nell’inno si chiede a Dio la grazia di esser preservati da quanto può nuocere all’anima: la lingua sia frenata onde evitare liti; la vista distolta dalle inconsistenti attrattive del mondo; il cuore, esente da stoltezza, purificato nell’intimo; l’arroganza della carne domata dalla moderazione di cibo e bevande. Così, al calar della notte, i fedeli potranno cantare gloria a Dio puri per l’astinenza dai peccati, risultato, questo, cui mira in particolar modo il tempo di Quaresima, ma che deve diventare un impegno stabile: sarebbe derisorio effettuare certi sforzi per soli quaranta giorni, lasciandosi poi andare per il resto dell’anno.
In questa palestra quotidiana, in cui è necessario esercitarsi per tutta la vita, senza interruzione, una vigile e costante ascesi non può esser sostituita da nient’altro. Il criterio onnicomprensivo ci è fornito dall’orazione riportata in apertura, che segue la salmodia e il capitolo: secondo i due aspetti della santità (in negativo e in positivo), oltre che per evitare il peccato l’aiuto divino è chiesto al fine di indirizzare pensieri, parole e azioni alla realizzazione della giustizia di Dio, cioè della Sua volontà. Dopo il Pater, un versetto salmico domanda al Signore di volger lo sguardo ai Suoi servi, che sono opera Sua, e di guidare i loro figli; la Sua luce risplenda su di noi e sia Lui a regolare le opere delle nostre mani (cf. Sal 89, 16-17). Segue una preghiera che al tempo stesso specifica e compendia lo spirito di questo ufficio: «Dégnati, o Signore Dio, Re del cielo e della terra, di dirigere e santificare, reggere e governare, oggi, i nostri cuori e i nostri corpi, i nostri pensieri, discorsi e atti nella tua legge e nelle opere dei tuoi comandamenti, affinché ora e in eterno, con il tuo aiuto, meritiamo di esser salvi e liberi, o Salvatore del mondo».
L’unica condizione della vera libertà, in vista della salvezza definitiva, è l’osservanza della Legge donata da Colui che ci ha non solo creati, ma anche redenti e chiamati alla Sua gloria: è del tutto logico che le nostre opere debbano esser conformi al volere di Colui del quale siamo opera noi stessi, nel quale siamo salvi e col quale siamo chiamati a regnare per sempre dando gloria senza fine al Padre, Re immortale dei secoli (cf. 1 Tm 1, 17). Per questo, durante l’anno, l’Ora Prima si conclude, ampliandolo, con un auspicio in cui san Paolo tutto riassume: «Il Signore diriga i nostri cuori e i nostri corpi nella carità di Dio e nella pazienza di Cristo» (cf. 2 Ts 3, 5). L’originale greco suggerisce l’idea che il cuore sia raddrizzato così da poter essere introdotto in quell’amore di agape che è la Trinità stessa e in quella capacità di sopportazione che è propria del Redentore: ecco la sintesi del cammino di santificazione.
Per due volte è invocato il Re della creazione visibile e invisibile, quasi a rammentare all’orante il giudizio e la mèta che lo attendono; la vita eterna è altresì esplicitamente indicata nella benedizione finale. Tutto ciò che faremo durante la giornata, dunque, riceve in tal modo la retta norma e il giusto orientamento: il pensiero di dover rendere conto, un giorno, di ogni pensiero, parola e azione ci aiuta a respingere le tentazioni e ad osservare i Comandamenti, confortandoci al tempo stesso con l’attesa della ricompensa riservata a coloro che avranno lottato secondo le regole (cf. 2 Tm 2, 5). Quanto più aspro è il combattimento, tanto più ricchi sono i meriti acquisiti e più elevato il grado di gloria in Paradiso. Ciò che dobbiamo patire quaggiù, se accettato e offerto volentieri, riduce la pena temporale del Purgatorio e rende l’anima più capace di beatitudine. Questa certezza ci induce a ringraziare la Provvidenza per le avversità che dispone per noi in questa vita e a rallegrarcene in spirito di fede, anziché lamentarcene con impazienza. Le nostre pene interiori sono sensibilmente aggravate dal fatto che le viviamo con un cuore non rettificato.
Un’ultima annotazione si impone. La vera partecipazione attiva alla Messa [vedi] – quella interiore – consiste nell’associarsi, con la mediazione del sacerdote, al Sacrificio redentore di Gesù, offrendo al Padre, in Lui, con Lui e per mezzo di Lui, la propria persona e la propria esistenza, gioie, fatiche e dolori. Nulla, tuttavia, può esser deposto sull’altare, nel calice e sulla patena, che non sia degno di Dio. Ecco allora la ragione ultima per cui ogni nostro pensiero, parola e azione deve risultargli gradito: non possiamo certo presentargli qualcosa che Lo offenda o Lo rattristi. Partecipare alla Messa in questo modo è dunque un potentissimo atto di perseguimento della perfezione cristiana, in quanto ci fa tendere ad essa ad ogni istante in tutto ciò che siamo e facciamo, facendo poi scaturire torrenti di grazia su ciò che saremo e faremo, in vista della successiva offerta. Questa dinamica pulsante della vita spirituale ci eleva, giorno per giorno, nella santità di Cristo e abbraccia di carità il mondo intero, vicini e lontani, aspirandolo nel vortice dell’amore trinitario mediante l’opera della Chiesa che prega, celebra, annuncia, converte e santifica.
Per l’Ufficio Divino bilingue, consultare:
https://divinumofficium.com/
(selezionare: Desktop oppure Mobile, poi Rubrics 1960, poi Italiano)
Preghiere di guarigione e di liberazione dell'albero genealogico:
RispondiEliminahttps://www.arcsanmichele.com/index.php/preghiere-e-devozioni/224-preghiere-di-liberazione/12014-preghiere-di-guarigione-e-liberazione-dell-albero-genealogico
Rifletti o donna che segui la moda:
RispondiEliminahttps://www.arcsanmichele.com/index.php/apologetica/251-formazione/12013-rifletti-o-donna-che-segui-la-moda-libera-rifletti-sullo-scandalo-che-dai-a-chi-ti-guarda-e-sulla-tremenda-responsabilita-di-cui-ti-carichi
Fuori argomento ma di particolare interesse.
RispondiElimina"Ortodossi" ucraini, concelebrano con preti cattolici in Ucraina.
Vedi: http://orthochristian.com/120282.html
Da un po' di tempo mi intrattengo ad osservare la nuova creazione del patriarca Bartolomeo (finanziato generosamente per ciò): la creazione di una Chiesa autocefala ucraina, andando contro tutte le regole previste nel mondo Ortodosso e imponendo, in modo personalistico e dispotico, le sue decisioni.
In tal modo ha creato una "Chiesa" in Ucraina, di fatto sotto le sue dipendenze, che fa quel che vuole. Questa "Chiesa", non riconosciuta da nessuno nel mondo Ortodosso, è la testa di ponte tra l'Ortodossia (o ciò che di essa resta) e il Cattolicesimo (modernista). Si parla sempre più insistentemente che l' "Unione" tra i due è prevista per il 2025, data simbolo perché anniversario del I Concilio di Nicea (325). Nel frattempo le due Chiese concelebrano già.
Ieri la prima lettura ha fornito uno spunto molto provocatorio: quando gli israeliti, superato il Giordano, giunsero a Galgala, non lontano da Gerico e vi celebrarono la pasqua, poterono quello stesso giorno cibarsi di azzimi e di grani abbrustoliti.
RispondiEliminaIl giorno seguente, mangiati i prodotti della terra, la manna dal cielo cessò di cadere.
C'è un cibo del cielo e c'è un cibo terreno. Anche se ci piacciono i prodotti della terra (e Dio stesso ci promette una terra ricca all'inverosimile di prodotti gustosi) dobbiamo stare molto attenti a non attaccarci solo a quelli, opera delle nostre mani e delle nostre conquiste, quasi che il cibo celeste, che ha operato miracoli garantendo la sopravvivenza in condizioni impossibili per decenni, ci abbia stufato e non serva più a nulla.
Serve un esodo a rovescio per comprendere il valore della manna dal cielo.
Serve un rientro prima in se stessi e poi nella casa paterna, come accadde al figlio che se ne era andato chiedendo al Padre la parte di eredità spettante (trattandolo come se fosse morto) per dilapidarla nel peccato, salvo poi provare invidia per il cibo che dava lui ai porci di cui era diventato un addetto al mangime...
Per l'uomo che vive "di pancia" e si stanca del cibo degli angeli, il rientro nell'esperienza della dipendenza da Dio -che è Padre- è salutare (non nel senso della beauty farm, ma della salvezza invece della morte). Mentre l'esperienza dell'indipendenza da Dio, per arrangiarci da soli, può presto tradursi in farsa e poi in tragedia.
Ed è una tragedia, fatta di uno spirito triste, anche l'essere in casa ma viverlo nel tedio spirituale. Ogni atto di amore (vero amore) è sempre sacrificio e dunque ha in sé un ambito sacro. Ma non ogni sacrificio è un atto di amore. Può essere idolatria. E quindi rovina tutto, perdendo la presenza di Dio.
Il dramma di tanti figli intristiti nella casa del Padre oggi non consiste solo di uno smodato desiderio di uscire di casa per spassarsela, né di un moralistico sdegno verso chi sbaglia e ritorna. Piuttosto a mettere tristezza è l'idea sbagliata che si ha del Padre, l'idea sbagliata che si ha del suo cibo, sempre quello, ma l'unico che dà la vita (eterna).
Se c'è chi crede che raggiungere una terra promessa (geografica o ideale, che siano le nostre cose o le nostre idee, il nostro culto o i nostri conciliaboli, comunque TERRA) possa consistere nel farsi gli affari propri rispetto a Dio, beh il CIELO un segnale lo dà: la manna smette di essere disponibile. Perdere la Grazia non impedisce di sfamare le brame terrene, anche in abbondanza. Abbiamo "solo" escluso Dio, anche dicendo di celebrarlo.
Qui una mia riflessione sulla deriva ecclesiologica ucraina e sulle concelebrazioni di questa pseudo chiesa con i cattolici: https://traditioliturgica.blogspot.com/2019/04/ortodossi-ucraini-concelebrano-con.html
RispondiElimina«Papa Francesco è probabilmente più preoccupato di avere molti piccoli gruppi all’interno della Chiesa cattolica che di affrontare un singolo gruppo al di fuori della Chiesa»
RispondiEliminahttp://www.totustuus.it/una-riserva-indiana-per-i-tradizionalisti/
https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-03/conferenza-stampa-papa-aereo-papmar.html
RispondiElimina
RispondiEliminaDe conciliabulis modernistarum cum Scitiae Moscoviaeque sectarum factoribus,
quid ad nos?
G.
Alla fine degli anni novanta ebbe una discreta diffusione un breve libro dal titolo: “In cosa crede chi non crede”. Gli autori a confronto erano il Card. Martini e Umberto Eco. Il dialogo tra i due coinvolge altri intellettuali, tra i quali Montanelli e Scalfari, nella ricerca di un fondamento dell'etica che ciascuno degli interlocutori afferma di agire, con o senza il ricorso all'Assoluto di Dio.
RispondiEliminaNel breve volgere di un quarto di secolo sarebbe interessante chiederci, soprattutto alla luce della parabola ecclesiale in atto, "a che cosa (o a chi) crede chi dice di credere".
Il Card. Martini cercava di far trasparire il terreno comune tra credenti e non credenti in quel cortile dei Gentili (caro ad altri pensatori più o meno narcisisticamente impegnati a seminare tulipani e violette per abbellirlo) da abitare di valori condivisi in relazione alla morale e all’etica e da colorire di evidenti differenze (allora) in tema di vita e di morte o di santità e di vizio.
Oggi pare che quel che resterebbe da credere siano l'uomo e la filantropia, la fratellanza e il progresso immanente, derubricato l'Assoluto e il trascendente, sdoganato il peccato e bollato di integrismo ed alzar muri ogni dogma, dicendo "pontificare" il rinunciare ad ogni credo che affermi una qualsivoglia verità, tranne quella di chi è giusto per il mondo.
Dal dialogo sull'aereo ritornando dal Marocco, segnalato da anonimo 14:24 :
RispondiEliminaCristiana Caricato, Tv2000: Lei ha appena parlato di paure e del rischio di dittature che possono generare. Proprio oggi un ministro italiano, in riferimento al convegno di Verona, ha detto che più della famiglia bisogna avere paura dell’islam. Siamo a rischio dittatura?
Francesco: "L’altra domanda: io di politica italiana non capisco. Ieri mi è stata fatta una domanda sul raduno delle famiglie, non so cosa sia, davvero, so che è uno dei tanti che si fanno. So anche che ho letto la lettera del cardinale Parolin e sono d’accordo, è pastorale, di buona educazione. Ma di politica italiana non domandarmi, non capisco»
Un capo di stato che vive a Roma ma non capisce la politica italiana?
Sull'Islam non risponde, ma la risposta l'ha data in Marocco quando per entrare nell'edificio musulmano ha dovuto togliersi le scarpe. San Francesco era già scalzo, ed è entrato dal sultano come un re.
(ANSA) - NAPOLI, 30 MAR - Il Tribunale di Roma ha condannato la Congregazione dei Francescani dell'Immacolata e l' erede del Commissario Apostolico,Padre Fidenzio Volpi,ad adempiere a quanto concordato nel 2014 in sede di mediazione con i familiari del fondatore dell'Istituto,Padre Stefano Manelli, nel giudizio per diffamazione da loro promosso. La Congregazione dei Ffi, che è nata a Frigento (Avellino), è stata condannata anche al pagamento delle spese legali. La controversia era cominciata nel 2013, con il Commissariamento dei Ffi deciso dal Vaticano e l' estromissione di Padre Manelli, fondatore dell' Istituto e nota figura di religioso. Il contenuto della mediazione era stato disatteso da P. Volpi, che si era giustificato con la comparsa di un articolo su un Blog in cui si affermava che aveva commesso il reato di calunnia. Di qui la decisione di familiari e laici vicini a Padre Stefano Manelli di rivolgersi nuovamente al Tribunale e la condanna della Congregazione dei Francescani dell' Immacolata e dell' erede di Padre Volpi.
RispondiEliminaIl titolo è fuorviante, ad essere condannati sono stati i falsi Francescani dell'Immacolata, usurpatori al soldo di Bergoglio
RispondiEliminaOggi la cristianità si inebria dell'odore di santità di un grande uomo, figlio della terra di Calabria, San Francesco di Paola, fondatore dei Frati Minimi che a Roma sono a Sant'Andrea delle Fratte.
RispondiEliminaAl santo eremita il Signore ha permesso cose umanamente impossibili. Esempio di vera fede e amore al nostro Dio.
Sulle risposte fornite in aereo da papa Bergoglio alla giornalista:
RispondiEliminaNO COMMENT!
E anche per quest’ultimo pronunciamento di Bergoglio – Esortazione “Christus vivit” – non ci siamo proprio.
RispondiEliminaUna sola volta ricorre la parola “castità” e solo per criticare la prassi d’insegnarla.
Quasi non si riesce a credere che un papa abbia potuto disapprovare la formazione sulle questioni dottrinali e morali (“sulla dottrina sociale, sulla castità, sul matrimonio, sul controllo delle nascite e su altri temi”).
Ecco un estratto del paragrafo 212:
“[…] vengono loro [ai giovani] proposti incontri di “formazione” nei quali si affrontano solo questioni dottrinali e morali: sui mali del mondo di oggi, sulla Chiesa, sulla dottrina sociale, sulla castità, sul matrimonio, sul controllo delle nascite e su altri temi. Il risultato è che molti giovani si annoiano, perdono il fuoco dell’incontro con Cristo e la gioia di seguirlo, molti abbandonano il cammino e altri diventano tristi e negativi. Plachiamo l’ansia di trasmettere una gran quantità di contenuti dottrinali e, soprattutto, cerchiamo di suscitare e radicare le grandi esperienze che sostengono la vita cristiana. […]”.
Si afferma, nella “Christus vivit”, che i giovani si annoiano nell’apprendere i contenuti dottrinali.
La verità è opposta: i giovani si annoiano a leggere questi documenti vuoti, del tutto fondati sull’astrazione. E, a seguito della noia, scappano dalla Chiesa.
Silvio Brachetta
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20190325_christus-vivit.html
https://www.riscossacristiana.it/quello-che-devi-fare-fallo-presto-di-francesco-lamendola/
RispondiEliminaA proposito di Francescani dell'Immacolata
RispondiEliminaPadre Stefano Manelli, il tribunale gli dà ragione
Condannata la nuova gestione dei Francescani dell'Immacolata voluta da Bergoglio
https://gloria.tv/article/6k2WQcDotUBK2EnzGAGf3fWZ1
http://itresentieri.it/ordinare-anziani-sposati-risolvere-la-crisi-delle-vocazioni-piuttosto-perche-non-ci-si-chiede-il-motivo-di-questa-crisi/
RispondiEliminahttp://www.famigliacristiana.it/articolo/come-si-riceve-la-comunione-in-ginocchio.aspx
RispondiEliminahttp://www.famigliacristiana.it/articolo/due-modalita-di-ricevere-la-comunione.aspx
Ma che parlate a fa'
Ma che parlate a fa'
Qui dentro ce sta solo infamit?.
10 – Ecco un’altra tentazione che si presenta come le altre sotto apparenza di zelo e di virtù, per cui bisogna conoscerle bene e procedere con molta precauzione. Consiste nell’inquietarsi per i difetti e i peccati che si vedono negli altri. Il demonio fa credere che sia soltanto per la brama che non offendano Dio e per il dispiacere del suo onore vilipeso, tanto che si vorrebbe subito riparare. Ma intanto l’angustia è così viva che impedisce di fare orazione, con l’aggiunta anche di credere,per nostro maggior danno, che ciò sia virtù, perfezione e grande amore di Dio. – Non parlo della pena per i peccati pubblici passati in costume in una Congregazione, o per i mali che cagionano alla Chiesa le eresie con la perdita di tante anime, perché questa pena è molto buona e, come tale, non inquieta. Il più sicuro per l’anima che comincia a fare orazione è di dimenticare tutto e tutti per non attendere che a sé stessa e a contentare il Signore. Questo è così importante, che non finirei tanto facilmente se volessi narrare tutti gli sbagli che ho visto commettere da chi si fidava della propria buona intenzione. Procuriamo di vedere nel nostro prossimo nient’altro che le virtù e le buone opere, e di coprire i loro difetti con la considerazione dei nostri peccati. Anche se da principio questa condotta non è molto perfetta, conduce a poco a poco a una grande virtù, a quella cioè di considerare gli altri migliori di noi: virtù che comincia sempre da qui, ben intesi con l’aiuto di Dio, senza del quale non possiamo far nulla, tanto ci è necessario. Preghiamolo perché ci dia quella virtù, sicuri che se da parte nostra faremo il possibile per meritarla, Egli non si rifiuta a essuno, ce la darà senza dubbio.
RispondiEliminaS. Teresa di Gesù - Vita scritta da lei stessa -
"L' amore autentico si eleva al di sopra delle creature e si immerge in Dio: in Lui , per Lui e per mezzo di Lui ama tutti, buoni e cattivi, amici e nemici. A tutti tende una mano piena d' amore, per tutti prega, per tutti soffre , a tutti augura il bene, per tutti desidera la felicità, poiché é Dio che lo vuole!... Colui che, con la preghiera all' Immacolata (....), purificato dalla sofferenza e infiammato di un ardente fuoco d ' amore verso Dio, spinto da questo stesso amore, fa quel che è nelle proprie possibilità per guadagnare il maggior numero di anime a Dio (....), costui e solo costui celebrerà il trionfo"
RispondiEliminaSan Massimiliano M. Kolbe
SK 1075- III 161.
http://www.lanuovabq.it/it/viva-la-sinodalita-diocesi-in-ginocchio-dal-pd-delrio
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