Gli appunti scritti da Benedetto XVI [qui] sulle radici della crisi morale nella Chiesa Cattolica in vista dell’incontro vaticano sugli abusi dello scorso febbraio (1) hanno destato costernazione tra alcuni e speranza tra altri. Costernazione tra chi ha letto la “mossa” di Ratzinger come un attentato alla libertà magisteriale di Francesco, rispondendo così indirettamente ai dubia sollevati qualche anno fa da quattro cardinali. Speranza tra coloro che invece chiedono di capire come mai sia stato possibile che una un’onda d’immoralità del clero dalle proporzioni indecifrabili si sia abbattuta in modo così veemente sulla Chiesa. Con queste riflessioni il discorso si fa sostanziale e finalmente si passa da un generico “clericalismo” all’esame delle cause degli abusi sessuali, andando alle radici di ciò che viene ora definito «un collasso della teologia morale cattolica». Questa situazione d’afflosciamento della dottrina morale è stata un humus favorevole al proliferare degli abusi sessuali da parte del clero.
Il Concilio Vaticano II viene chiamato in causa ripetutamente da Benedetto XVI, in un modo sicuramente nuovo rispetto ai suoi discorsi ufficiali da pontefice, sia quello della «riforma nella continuità» del 22 dicembre 2005, sia il discorso a braccio pronunciato poco dopo le sue dimissioni, quale ricordi e note personali sulla sua partecipazione al Concilio, del 14 febbraio 2013. In queste note, Joseph Ratzinger, ormai spoglio dei panni ufficiali, può parlare più apertamente e riflettere con più libertà teologica, favorendo un’intelligente critica anche se allo stadio iniziale. Alcuni punti infatti andrebbero sviluppati ulteriormente. Tuttavia, dall’analisi seppur succinta risulta che sia stato il riassetto dottrinale dell’ultimo Concilio che, nel propiziare un cambiamento teologico generale, ha avuto delle conseguenze non irrilevanti sia per la Teologia che per la vita morale. Sembra che tra le righe si dica che non è (più) l’ermeneutica ad essere il problema, ma l’in sé oggettivo e documentale per cui esse nascono e proliferano.
La disamina delle radici dottrinali della crisi morale nella Chiesa viene sviluppata da Benedetto XVI seguendo tre filoni:
- il nuovo assetto teologico-morale a partire dalla Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II;
- il fattore “conciliarità” come discrimen di ciò che era ormai veramente accettabile, fino a portare alcuni vescovi a rifiutare la tradizione cattolica;
- la scarsa consistenza del diritto penale nel nuovo Codice considerando “conciliare” solo il garantismo e dimenticando di tutelare in primis la fede.
Analizziamo più sistematicamente questi tre ambiti, offrendo una pista d’analisi che può essere a sua volta ulteriormente sviluppata.
Una morale fondata esclusivamente sulla Bibbia
Il discorso entra nel vivo quando Joseph Ratzinger, dopo aver descritto la rivoluzione sessuale del 1968 come un evento inaudito, espone la principale causa del «collasso della teologia morale cattolica che ha reso inerme la Chiesa di fronte a quei processi nella società». La radice di questa impotenza va ricercata in ultima analisi in una svolta. Scrive Benedetto XVI:
«Sino al Vaticano II la teologia morale cattolica veniva largamente fondata giusnaturalisticamente, mentre la Sacra Scrittura veniva addotta solo come sfondo o a supporto. Nella lotta ingaggiata dal Concilio per una nuova comprensione della Rivelazione, l’opzione giusnaturalistica venne quasi completamente abbandonata e si esigette una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia».
In Dei Verbum infatti si passò dalle fonti della Rivelazione alla Rivelazione stessa, in cui nell’intreccio Scrittura e Tradizione si privilegiò la Scrittura e il momento orale della trasmissione della Rivelazione – la Tradizione apostolica – fu visto in larga parte in funzione di quello scritto. Si tacque, in una posizione neutra, sul ruolo costitutivo della Traditio per la fede della Chiesa, privilegiando il suo ruolo interpretativo. La Scrittura divenne così predominante per evitare il rischio, a giudizio di alcuni periti, di una sola Traditio. La predicazione fu vista come preparatoria alle Sacre Scritture e le stesse Scritture come il momento della pienezza della trasmissione orale della Rivelazione (2). In tutto ciò giocò un ruolo importante l’evento ecumenico che si stava celebrando in particolare nel dialogo con il mondo protestante; ciò fino al punto di ritenere l’insufficienza materiale delle Scritture, dato di fede divina e unanime tra i teologi, almeno da Trento e dal Catechismo Romano (3) in poi, come una questione ancora disputata. Fu poi il Decreto conciliare sulla formazione dei sacerdoti, Optatam totius (n. 16), a chiedere una fondazione più biblica della Teologia morale con queste parole:
«Si ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale, in modo che la sua esposizione scientifica, più nutrita della dottrina della sacra Scrittura, illustri la grandezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo».
Si venne però a creare una spaccatura tra legge morale naturale e libertà. L’esigenza di rifondare la Teologia morale sulla Bibbia, con notevole difficoltà e anche con qualche consapevole insuccesso, come nota Ratzinger nel caso di Bruno Schüller, approdò di fatto a un abbandono della vecchia morale etichettata come etica della norma o della legge a favore di una nuova morale della responsabilità fondata sulla precedenza della libertà e della coscienza. Con la riflessione teologica rinnovata che attinse al nuovo del Vaticano II si stagliò subito una frattura tra la morale tradizionale e la nuova morale, all’origine però dei disastri contemporanei. A giudizio di Karl-Whilhelm Merks co-autore di un recente libro che esalta Amoris lætitia come punto di svolta per la Teologia morale, la morale tradizionale, profilandosi soprattutto come morale della legge incorre inevitabilmente nella casuistica, minimizzando il ruolo della coscienza e inducendo a un perfezionismo morale-normativo. I punti-forza di questa morale vecchio stampo vengono individuati da Merks in ciò che segue:
«- una certa forma del pensiero giusnaturalistico, in cui la natura è vista come fonte normativa di conoscenza;- l’ancoraggio a una filosofia neoscolastica, specialmente nella sua metafisica che guarda all’essenza immutabile delle cose e al significato morale che vi risplende come un saldo, estremo punto di riferimento dell’argomentazione normativa;- la vicinanza al diritto canonico come modello esemplare per un linguaggio normativo nel quale concetti morali (come legge, colpa, castigo, peccati gravi, lievi, ecc.) si mutano in categorie del diritto;- la competenza sovrana del magistero in ambito morale come sicuro garante della giusta morale;- infine il pensiero barricato contro la corruttela dell’età moderna come humus socio-psicologico di una perseveranza sociale e culturale cattolica» (4).
La morale giusnaturalista, in ragione della fissità della natura, porterebbe inevitabilmente a una visione negativa della sessualità e per lo meno diffidente perché ci si scontra con norme proibitive e senza eccezioni. La nuova morale, più biblica, è invece un’etica della persona umana e dell’auto-responsabilità. La si può definire a ragione, con Bernhard Häring, una morale della responsabilità quale “libertà creativa” e “fedeltà creativa”, dando luogo queste ultime a una “corresponsabilità creativa”. Le norme, a giudizio di Häring, Redentorista tedesco, perito al Concilio e grande protagonista della svolta conciliare della morale,
«sono diverse quando formano una parte essenziale di una morale dell’alleanza da quando sono espresse all’interno di una morale della difesa. La morale cristiana è realizzare un’alleanza, e pertanto è una morale della fedeltà creativa» (5).
Creatività è anzitutto adesione libera alla fede in un’epoca post-conciliare di transizione. Scrive il Padre redentorista:
«Viviamo in una dolorosa transizione da un’era costantiniana della “chiesa dell’impero” dove le persone diventavano soggetti della Chiesa mediante la nascita, a un’era di fede mediante una decisione libera e un impegno verso la comunità di fede come membri attivi e co-responsabili» (6).
Corresponsabilità divenne una “parola d’ordine” (7) negli anni successivi al Vaticano II. Si registra così un cambio fondamentale di prospettiva (o ciò che di recente è stato detto “cambio di paradigma”): i criteri e le norme non sono già fissati da qualche parte, magari nella natura dell’uomo o nella ragione che si apre alla verità, ma sono piuttosto oggetto di una ricerca creativa. È la vita nel suo scorrere che pone la norma e non la norma che dirige la vita.
A giudizio di Merks,
«la morale è intesa piuttosto come oggetto di un processo di ricerca e di compito per l’uomo che pone la domanda sul senso della vita e da qui conferisce una forma a ciò che fa, o non fa» (8).
I valori umani, compresi quelli morali, sono frutto di un processo culturale, della libertà dell’uomo e non sono più norme che l’uomo trova scritte dentro di sé. Tutto può cambiare quindi in un’ottica della storicità e mutabilità della norma morale. Soprattutto ci si prefiggeva di superare senza condizioni il fissismo di azioni morali intrinsecamente malvagie.
Per questo, ci ricorda Benedetto XVI, Franz Böckle si batté senza pari perché il Magistero non ribadisse il principio dell’intrinsece malum. Venne a mancare però prima che Veritatis splendor venisse alla luce il 6 agosto 1993. Böckle in realtà aveva puntato tutto sulla necessità che la norma fosse comprensibile, spostando il baricentro dalla verità in se stessa (comprensibile a ogni uomo che con la ragione la cerca sinceramente) alla verità in quanto afferrabile dal soggetto che conosce. A suo giudizio,
«un atto etico, in quanto tale, deve essere ragionevole e comprensibile per principio. In modo corrispondente anche le norme devono [...] per principio essere aperte alla comprensione» (9).
In realtà, l’atto morale è ragionevole proprio perché etico e non il contrario, quando cioè è conforme alla verità dell’agire umano, verità poi non da ricercare chissà dove ma dentro di sé, nella propria coscienza. Con la morale della responsabilità il rapporto s’inverte: prima l’uomo, prima la conoscenza e la coscienza, poi la verità, che risulta perciò relativamente buona o cattiva in ragione di un giudizio personale e delle circostanze morali. Non ci sono più atti buoni o cattivi e con ciò l’uomo non sa più cos’è il bene e cosa il male. In realtà, come ribadisce Benedetto XVI:
«Ci sono beni che sono indisponibili. Ci sono valori che non è mai lecito sacrificare in nome di un valore ancora più alto e che stanno al di sopra anche della conservazione della vita fisica. Dio è di più anche della sopravvivenza fisica. Una vita che fosse acquistata a prezzo del rinnegamento di Dio, una vita basata su un’ultima menzogna, è una non-vita. Il martirio è una categoria fondamentale dell’esistenza cristiana. Che esso in fondo, nella teoria sostenuta da Böckle e da molti altri, non sia più moralmente necessario, mostra che qui ne va dell’essenza stessa del cristianesimo».
Le conseguenze della separazione tra legge e libertà furono davvero drammatiche fino a postulare in tanti chierici una libertà per il male giustificata come bene. Tali conseguenze furono esaminate con molta acutezza dalla Veritatis splendor di Giovanni Paolo II. La legge naturale viene disprezzata perché la natura umana viene ridotta a mero materiale biologico o sociale sempre disponibile e il corpo a un involucro che non è l’uomo. Il vero uomo è lo spirito, la sua libertà, capace di scelte propriamente morali che includono il corpo ma solo come pre-condizione morale e mai come dimensione dell’unico soggetto umano responsabile nella scelta. I valori umani, anche quelli morali, sono frutto del potere dell’uomo, della sua libertà. Così la legge naturale è declassata a legge biologica, che regolerebbe il “materiale” pre-morale.
Dice così Veritatis splendor:
«La natura umana e il corpo appaiono come dei presupposti o preliminari, materialmente necessari alla scelta della libertà, ma estrinseci alla persona, al soggetto e all’atto umano. I loro dinamismi non potrebbero costituire punti di riferimento per la scelta morale, dal momento che le finalità di queste inclinazioni sarebbero solo beni “fisici”, detti da taluni “pre-morali”. Farvi riferimento, per cercarvi indicazioni razionali circa l’ordine della moralità, dovrebbe essere tacciato di fisicismo o di biologismo. In un simile contesto la tensione tra la libertà e una natura concepita in senso riduttivo si risolve in una divisione nell’uomo stesso» (n. 48).
Eppure alla disamina precisa non si accompagnò un’azione capace di arrestare lo scempio d’immoralità dilagante. La nuova morale della corresponsabilità non mobilitò i vescovi perché vigilassero sul comportamento dei chierici e agissero di conseguenza. È proprio questa responsabilità dei vescovi che fallendo o addirittura occultando ripetutamente i misfatti ha indotto alcuni ad avanzare l’ipotesi di un organo esterno al controllo clericale che possa fungere da garante presso le autorità giudiziarie.
La conciliarità quale nuovo criterio di verità
Il discorso sulla nuova morale della responsabilità come libertà creativa ci porta a considerare un secondo problema sollevato dagli appunti di Benedetto XVI. L’assenza di corresponsabilità ormai palese e diffusa ha delle radici teologiche che affondano in un problema nato con il Vaticano II e si potrebbe dire connaturale ad esso: la “conciliarità”.
Così la descrivono gli appunti:
«Poiché dopo il Concilio Vaticano II erano stati cambiati pure i criteri per la scelta e la nomina dei vescovi, anche il rapporto dei vescovi con i loro seminari era differente. Come criterio per la nomina di nuovi vescovi valeva ora soprattutto la loro “conciliarità”, potendo intendersi naturalmente con questo termine le cose più diverse. In molte parti della Chiesa, il sentire conciliare venne di fatto inteso come un atteggiamento critico o negativo nei confronti della tradizione vigente fino a quel momento, che ora doveva essere sostituita da un nuovo rapporto, radicalmente aperto, con il mondo».
Vi furono vescovi che rifiutando la Tradizione cattolica nel suo complesso provarono – come sottolineano gli appunti – a «sviluppare una specie di nuova, moderna “cattolicità”». Ma una cattolicità nel suo complesso molto “fai-da-te”. Conciliarità ebbe uno spettro semantico molto ampio. Investiva tutti gli ambiti della vita della Chiesa. Poteva voler dire a volte ammodernamento pastorale della dottrina di fede, altre volte libertà morale nel superare gli stereotipi del passato, altre volte coraggio nel prendere le distanze da un Cristianesimo formale e normativo. Era ed è ancora come una sorta di patente per poter essere riconosciuti membri della Chiesa, parte di un gruppo costituitosi al Vaticano II. Era vivere secondo la mens del Concilio Vaticano II, che però spesso non risultava dagli atti e dai fatti, ma dalle posizioni dei singoli, dalle ermeneutiche che si moltiplicavano. Ciò che questa “operazione-conciliarità” palesò era il fatto che spesso tale nuova mens non risultasse più dalla Chiesa nel suo insieme, non attingesse più alla sua perenne tradizione, ma esclusivamente all’ultimo Concilio: ciò ha causato la conciliarità come problema dogmatico con ripercussioni morali.
“Conciliarità” può facilmente divenire sinonimo di “stile del Vaticano II”. A giudizio dello storico Gesuita americano che ha sviluppato questo concetto, John W. O’Malley, il Vaticano II fu fondamentalmente un Concilio ecclesiologico in cui la domanda fondamentale che si pone non è tanto “cos’è” la Chiesa, ma “com’è” la Chiesa (10). Il “come” è lo stile che di fatti è più importante dell’essenza. Per O’Malley, Michelangelo è un grande artista non per quello che ha scolpito ma per come lo ha fatto. Il suo stile è ciò che lo identifica non il suo essere un artista e un pittore. Mutatis mutandis, ciò che fa sì che il Vaticano II si affermi come Concilio unico nella storia è il suo “stile invitante”: più che imporre l’assenso al suo insegnamento cerca di conquistarselo con un modo di esporre che non è censorio ma dialogico. Il problema, volendo rispondere al Gesuita americano, è che lo stile ha finito con l’imporsi sull’insegnamento e quest’ultimo è stato ritenuto, in un clima di conciliarità esasperante, come l’unico insegnamento della Chiesa. Ad ogni buon conto, Michelangelo è grande per le opere che ha fatto. Se non avesse scolpito la Pietà vaticana o la Pietà rondanini, Michelangelo sarebbero meno di ciò che è. Lo stile è un accidente, la Pietà è la sostanza. È incluso nell’opera. Se questa manca, manca anche lo stile. Eppure qui si vede tutto il nodo del problema: viviamo in un tempo in cui gli accidenti sono superiori alla sostanza, ma il cui risvolto morale è un ribaltamento immorale degli accidenti nella sostanza. La morale è il banco di prova della propria metafisica.
Dalla conciliarità al garantismo
C’è un terzo elemento che emerge dagli appunti. Vediamolo più in breve. Come ci fu una scissione tra norma e vita, tra legge e libertà, così ci fu una separazione tra fede come diritto da garantire e garantismo della persona. Ciò in virtù del nuovo posizionamento giuridico nel nuovo Codice di Diritto Canonico, dipendente per lo più dal Concilio Vaticano II.
Così scrive Benedetto XVI nei suoi appunti:
«Un rinnovamento e un approfondimento del diritto penale, intenzionalmente costruito in modo blando nel nuovo Codice, poté farsi strada solo lentamente. A questo si aggiunse un problema di fondo che riguardava la concezione del diritto penale. Ormai era considerato “conciliare” solo il così detto “garantismo”. Significa che dovevano essere garantiti soprattutto i diritti degli accusati e questo fino al punto da escludere di fatto una condanna».
La fede che è il bene massimo sembrava che non dovesse essere garantita. Solo lentamente e con la stessa richiesta di Ratzinger e della sua CDF a Giovanni Paolo II si riuscì a rafforzare le pene per i chierici che incorrono nei «Delicta maiora contra fidem», così che apparisse chiaro che, nel caso di un abuso in materia sessuale, non c’è solo la sfera biologica coinvolta (come insegna in gran parte la nuova morale), ma tutta la persona e in primis una mancanza di fede che è il bene più grande sia per il chierico che per tutti gli altri fedeli. Quando si offusca la presenza di Dio anche nella Chiesa, si può arrivare non solo ai crimini più scellerati, ma soprattutto a giustificarli e a coprirli in un clima di connivenza con il male.
Conclusione
La soluzione prospettata dalle riflessioni di Benedetto XVI sulle cause degli abusi sessuali nella Chiesa è la riscoperta di Dio, della fede in Lui. Solo così la Chiesa può ritornare ad essere se stessa, rimanendo tuttavia una rete con pesci buoni e cattivi. Non si tratta di cambiare la Chiesa ma di cambiare noi riscoprendo la vera fede. Si tratta di fare un esame di coscienza teologico e di vedere se le nuove teorie morali ancorate a un falso o ambiguo presupposto dogmatico rappresentino una speranza perché la fede si consolidi o non siano invece la sua ecatombe, con conseguenza immorali sempre più drastiche. Giorno dopo giorno le notizie si rincorrono circa la complicità di alti prelati in questa faccenda degli abusi sessuali del clero. La “conciliarità” ovvero la giustapposizione del Concilio Vaticano II alla Chiesa nel suo momento sincronico e diacronico non funziona. Pone uno scorretto presupposto aletico che porta a un vicolo cieco. Prima la Chiesa con la sua Tradizione apostolica, con una tradizione teologico-morale ben consolidata, poi il Concilio Vaticano II.
Si potrebbe mai postulare una separazione tra legge (naturale e positiva) e Bibbia? Il Signore Gesù Cristo, che ha portato la “legge nuova”, ha ripudiato quella veterotestamentaria tra cui il Decalogo? Gesù non ha abolito la legge ma l’ha perfezionata facendola diventare dono d’obbedienza interiore. Egli ci ha dato come suo compimento un comandamento nuovo: «Amatevi gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). L’amore è la pienezza della legge non il suo rinnegamento o inveramento. Per amare bisogna seguire l’esempio di Cristo. È necessario cioè avere una “misura” che è l’amore di Cristo; una misura che è la verità, e questa verità è la legge dell’amore.
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[1]Queste riflessioni di Benedetto XVI, concepite in vista dell’incontro vaticano sugli abusi sui minori e sulle persone vulnerabili, tenutosi dal 21 al 24 febbraio 2019, prima di essere pubblicate dal mensile tedesco Klerusblatt, furono lanciate in esclusiva per l’Italia dal Corriere della Sera, l’11 aprile 2019. Lo stesso Corriere nel cappelletto introduttivo definisce lo scritto «un’analisi approfondita e impietosa su come è nato e si è diffuso questo crimine anche nel mondo ecclesiastico». Citando l’autore di questi appunti con il titolo “Benedetto XVI” intendiamo unicamente attribuire la paternità allo scritto, senza indulgere in teorie pullulanti che vorrebbero Benedetto XVI ancora papa. Né tantomeno ci sembra corretto a livello teologico e canonistico definire Benedetto XVI “papa emerito”. Questo però è oggetto di un’altra discussione.
[2]Cf S. M. Lanzetta, Il Vaticano II, un Concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari, Cantagalli, Siena 2014,pp. 238-240.
[3]Cf Idem., La Tradizione come regola della fede, in Fides Catholica XIII (2/2018) 380-381.
[4]K.-W. Merks, Steccati pieni di buchi? Sulla validità generale delle norme morali, in S. Goertz- C. Witting, Amoris lætitia. Un punto di svolta per la teologia morale, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017, pp. 136-137.
[5]B. Häring, Free and Faithful in Christ. Moral Theology for Priests and Laity, vol. I (General Moral Theology), St. Paul Publication, Middlegreen1978, p. 339. Si tratta di un’opera in cui Häring tenta di nuovo di offrire una visione comprensiva della morale cattolica, dopo la sua prima opera in tre volumi Das Gesetz Christi. Moraltheologie für Priester und Laien, Eric Wewel Verlag, Freiburg 1954(trad. it.: La legge di Cristo, 3 voll., Morcelliana, Brescia 1967-1968).
[6]B. Häring, Free and Faithful in Christ. Moral Theology for Priests and Laity, pp. 345-346.
[7]Una corresponsabilità a tutti i livelli della Chiesa perché idea centrale del Vaticano II: cf. L. J. Suenens, Corresponsabilità nella Chiesa d’oggi, Edizioni Paoline, Roma 1968 (orig. fr.: Co-responsabilité dans l’église d’aujourd’hui, Desclée De Brouwer, Bruges 1968).
[8]K.-W. Merks, Steccati pieni di buchi?, p. 144.
[9]F. Böckle, Fundamentalmoral, München 1977, p. 291, cit. in K.-W. Merks, Steccati pieni di buchi?, p. 159.
[10]J. W. O’Malley, The Style of Vatican II, in America188 (6/2003) 12-15.[Fonte: Fides Catholica, Editoriale 1/2019]
Non si ferma il fenomeno dell’”autocombustione” delle chiese in Europa.
RispondiEliminaIeri è andata distrutta la chiesa di Hoogmade, in Olanda.
Noi cattolici fedeli alla vera Chiesa Cattolica, quella preconciliare, speravamo nella guida di alcuni alti prelati, ma siamo rimasti profondamente delusi: dal cardinal Sarah, il rottamatore del miracolo della traslazione della Santa casa di Loreto (che ci invita ad accettare in silenzio tutte le eresie, apostasie, idolatrie di Bergoglio, senza aprire bocca), dal cardinal Burke, che a suo tempo annunciò di avere l’intenzione di ammonire apertamente Bergoglio, ma non lo ha mai fatto, ed ora se ne esce con questa confessione di indiscussa obbedienza a Bergoglio “ora mi trovo a essere definito nemico del papa, cosa che non sono. Non mi troverete mai a criticare personalmente il papa”
RispondiEliminahttps://www.aldomariavalli.it/2019/11/11/cardinale-burke-mi-chiamano-nemico-del-papa-ma-non-lo-sono/
RispondiEliminaSulla dichiarazione ultima del cardinale Burke
Ha detto bene. Nemmeno noi, che siamo costretti a criticarlo severamente, siamo e
ci consideriamo nemici del Papa.
Siamo, in quanto credenti e milites Christi, nemici implacabili degli errori che
lui, Papa Francesco, purtroppo ormai propala a pie' sospinto. E ci sentiamo in dovere
di denunciarli. Dicendoglielo in faccia, come dall'esempio de S. Paolo ad
Antiochia e per obbligo di lealtà. IN faccia, senza nascondere nessuna delle
possibili conseguenze negative per lui, in quanto Papa, se continua a perseverare
nell'errore, come purtroppo sta facendo.
Cerchiamo, quindi, di mantenere sempre le necessarie distinzioni.
Anche se siamo costretti a criticare ad personam, nelle dovute forme, noi combattiamo
contro gli errori e l'Errore, che ammazza le anime e tradisce Cristo NS, non combattiamo
contro le persone in quanto tali.
Nell'intervista recentissima al NYTimes (forse bisognerebbe se si può tradurre le righe
essenziali) Burke ha detto che Bergoglio, se firmasse il documento finale del Sinodo per
l'Amazzonia, firmerebbe un documento scismatico e diventerebbe (di fatto) scismatico.
E molto onestamente ha aggiunto che, di fronte ad una situazione del genere e così inaspettata, non saprebbe che cosa fare. Almeno al momento non saprebbe che soluzione suggerire.
Ma questa presa di posizione non lo qualifica, appunto, come "nemico del Papa".
I sostenitori di Bergoglio cercano sempre di mettere la questione sul piano personale
perché intuiscono che su quello dottrinale non hanno argomenti.
PP
ora se ne esce con questa confessione di indiscussa obbedienza a Bergoglio
RispondiEliminaNon ho niente di personale contro chi ha scritto questa frase, ma devo confessare che inizio ad essere piuttosto stufo di certi commenti, quasi quasi mi danno sui nervi più di quelli degli apostati. Perché da quelli la mala fede me la aspetto.
Sotto c'è scritto:
Ma se il papa dovesse mettere il suo timbro su quel documento? La gente dice che se non lo si accetterà saremo nello scisma, ma io sostengo che non sarei nello scisma perché il documento contiene elementi che difettano rispetto alla tradizione apostolica. Quindi per me è il documento che sarebbe scismatico, non io.
Questa sarebbe "indiscussa obbedienza a Bergoglio"?
Caro Fabrizio, ricorda la vecchia massima cattolica " l' azione conferma la volontà?", ebbene, in Burke e Sarah non la troviamo, questa coerenza, c'è poco da girarci attorno. Se il papa è eretico bisogna avere il coraggio di dirlo, non come fanno questi due "principi" della Chiesa, che ribadiscono la retta dottrina a parole, ma poi seguono un apostata che vuole rovinarci, distruggere la fede dei nostri avi.Militia Christi richiede maggior coerenza. Pace e bene, e non se la prenda per me, non ne vale la pena.
RispondiEliminaMi trovo d'accordo con Catholicus: L'AZIONE CONFERMA LA VOLONTA' !
RispondiEliminaInoltre bisogna dire che l'intervista di Burke in alcuni punti non è affatto coerente: non tiene in considerazione che sono gli eretici e gli apostati che sono fuori dalla Chiesa Cattolica: l'unica cosa da fare è PRENDERE ATTO di ciò e capire che gli scismatici sono loro.
Inoltre Burke sembra dimenticare che Sant'Atanasio si comportò ESATTAMENTE COME FECE LEFEBVRE: consacrò nuovi vescovi e resistette all'autorità deviata (e ignorò le INVALIDE scomuniche).
Bergoglio è molto più eretico di Papa Liberio (che cedette in un solo punto e solo per paura): se ai nostri tempi ci fosse un vescovo del calibro di Sant'Atanasio non esiterebbe a prendere atto della situazione e a consacrare nuovi vescovi per poter conservare un clero che professi la dottrina cattolica.
Circa il tema proposto dall'articolo, alle radici della crisi della morale c'è sempre una crisi di fede da cui la morale discende.
RispondiEliminaDella dichiarazione del Cardinale Burke, pubblicata stamane, stiamo discutendo su altre due pagine...
RispondiEliminaLa crisi morale presuppone una crisi di fede - c'è anche una crisi culturale
Giusta affermazione. Un altro aspetto da considerare, per chi
lo voglia, sarebbe io credo quella della crisi culturale che
ha investito il cristianesimo, contribuendo poi alla crisi
della fede.
E' un tema importante che qualcuno dovrebbe approfondire.
Crisi culturale: scissione tra scienza e fede. Sino alle
scoperte geografiche e astronomiche, non ci poteva essere
contrasto tra le due. Si utilizzava la cronologia biblica
per far iniziare da essa il mondo e la storia umana. Ma
con la scoperta della cultura cinese, si venne a contatto
con cronologie scientificamente attendibili che non coincidevano
con quelle bibliche. Poi si studiarono i costumi dei tanti
popoli nuovi dei quali si era venuti a conoscenza. Il risultato
fu (a prescindere dai miti fasulli ricavati, come quello del
'buon selvaggio') che la cronologia della storia basata sulla
Bbbia crollò completamente. La Bibbia cominciò allora a perdere
parte della sua autorità.
Questa perdita aumentò dopo le note vicende seguite alla scoperta
del sistema eliocentrico, cosiddetto. Cosa si doveva fare della
"inerranza" della Bibbia in tutto quello che dice, cosa che è
dogma di fede? Una risposta è che la Bibbia presenta certi fatti
naturali così come li vede l'uomo comune, non fa discorsi scientifici.
Allora Dio non avrebbe fermato il corso del sole,nel famoso episodio
biblico, ma rallentato il moto di traslazione della terra oppure
prodotto dei fenomeni luminosi tali da dar l'impressione che la luce
del sole fosse durata più a lungo. E uno di questi fenomeni l'autore
sacro l'avrebbe appunto reso secondo l'impressione soggettiva che ne
ebbero gli ebrei del tempo.
E'una risposta. UNn'altra risposta è che i calcoli della scienza
potrebbero anche esser sbagliati, trattandosi di opera umana. Quest'
affermazione andrebbe però dimostrata.
Tutto ciò accennato solo per dire che c'è anche quest'aspetto, culturale,
nella perdita della fede. Dalla rivoluzione geografica-scientifica in poi
il cattolicesimo in particolare soffre di un complesso d'inferiorità nei
confronti della cultura moderna andata, grazie alla scienza, per la sua
strada - complesso che portava i modernisti ad escludere dalla Bibbia tutto
ciò che apparisse in contrasto con la scienza moderna. Il che non si può
ammettere, ovviamente.
Ma il discorso a mio avviso resta aperto e al momento la posizione del
cattolicesimo sembra esser quella di chi si sente in posizione d'inferiorità,
subendo l'iniziativa dell'avversario.
PP
Mater Divini Amoris
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/channel/UCGdM_RDbA37zaTHDPFzmFVQ/videos
Ciclo di "Catechesi per adulti sul Trattato della vera devozione a Maria di San Luigi Maria Grignion de Montfort.
Don Vilmar Pavesi
Parrocchia SS.Trinita' dei Pellegrini - Roma -
Grazie Madre mia , per Vostra compassione alla fine ci ottenete sempre tutto cio' di cui abbiamo piu' bisogno .
"...la posizione del cattolicesimo sembra esser quella di chi si sente in posizione d'inferiorità..."
RispondiElimina"...è che i calcoli della scienza potrebbero anche esser sbagliati, trattandosi di opera umana..."
"...Crisi culturale: scissione tra scienza e fede.."
A mio parere, la scissione tra scienza e fede inizia con il rinascimento.
Non so se i calcoli della scienza son sbagliati, quello che so per certo che la scienza guarda solo il meccanismo, che poi viene imitato nella tecnica.
Il cattolicesimo si sente in inferiorità perché si è lasciato alle spalle buona parte della sua identità. E la sua identità tutta intera era nella Fede connessa alla Scienza. Questa identità completa la Chiesa l'ha vissuta realmente nel Monachesimo Medievale, dove l'ORA si articolava nella preghiera delle Ore, della Santa Eucarestia e nella meditazione personale e il LABORA adempiva il lavoro nei campi, nelle stalle, allo scrittoio, nel confessionale con l'osservazione attenta, l'ascolto partecipe e con la riflessione scritta, quando richiesto, su quanto si era visto, udito, studiato.
Col tempo la preghiera si è via via diradata fino ad essere quasi dimenticata ed il lavoro ha preso contenuti e scopi sempre più e solo mondani, mentre la scienza meccanica passava nelle sole mani del mondo.
La scienza della Chiesa era intrisa di preghiera e di meditazione quotidiana ed era in grado di comprendere quello che oggi non si è più in grado di comprendere malgrado i grandi progressi della scienza del meccanismo.
...la posizione del cattolicesimo ...in posizione d'inferiorità…. i calcoli della scienza potrebbero essere sbagliati…. Giustamente se c'è stata evoluzione allora la Bibbia dice il falso, e quindi la chiesa è solo umana, quindi giusto è anche il doppio papato attuale e pure la pachamama, i tempi evolvono. Il nodo della vittoria nemica sta qui: è stato tutto un gioco di squadra nella promozione di certe idee e non di altre, guarda caso per giungere a negare Dio. Prova della fede che deve fidarsi di Dio e non si è fidata. Però l'uomo non è causa di sé stesso, quindi un'intelligenza superiore deve esistere. Che sia un puntino o due che hanno fatto big bang rinvia ancora alla causa di quei 2 puntini.La dott.sa Cenci ha scritto vari libri dimostrando la tesi del non salto di speci, e tale salto mai è stato dimostrato se non con resti fossili manipolati. Pure vero che , pur esistendo solo dimostrata l'evoluzione nell'ambito delle possibilità contenute nel dna (per adattamento all'ambiente), esistono resti autentici di ominidi che quindi una causa la devono avere. Pio XII infatti sostiene la possibile origine umana da materiale pre-esistente (la metaforica terra della genesi) in un'enciclica. Si deve prendere atto che la conseguenza del peccato originale è genetica e che il cap.3 della Genesi parla di un animale creato da Dio. Si deve prendere atto che l'involuzione genetica fu causata da un'involuzione genetica che dovette avere una causa fisica materiale. Quindi le visioni di don Guido Bortoluzzi spiegherebbero tale origine. Volersi rifugiare in sogni dorati non serve che ad aumentare la confusione.
RispondiElimina@ Anonimo
RispondiElimina12 novembre 2019 15:55
Quando ha tempo le spiace fare uno schemino, grazie.
RispondiElimina"Quindi le visioni di don G. Bortoluzzi spiegherebbero tale origine.."
Confesso la mia ignoranza in relazione al citato sacerdote. In generale e in particolare in questa materia (rapporto tra scienza e fede, crisi della cultura cattolica) ci andrei con i piedi di piombo prima di citare a sostegno "visioni" private.
Mi limito ad enucleare dei punti su cui riflettere, se lo si ritiene opportuno.
La scissione tra scienza e fede inizia con il Rinascimento? Non sembrerebbe, se il Rinascimento termina entro la prima metà del Cinquecento. La rottura comincia a delinearsi con le conseguenze delle scoperte geografiche, che non furono però immediate, e soprattutto con la rivoluzione astronomica. La visione statica del cosmo, con la terra ferma al centro e l'occhio di Dio posato su di essa, aveva contribuito in modo fondamentale alla visione gerarchicamente ordinata della società e della vita durante il Medio Evo (parlo di visione, la realtà politica era tutt'altro che ordinata). Con la rivoluzione astronomica, quell'ordine scompare, comincia la solitudine dell'individuo, il tormento esistenziale della coscienza individuale ("to be or not to be, that is the question.."). Una reazione sbagliata, certamente, ma tant'è. Nella religione non si trova più il conforto di prima.
Ma una grave crisi morale e politica il mondo cristiano l'aveva già subita ben prima del Rinascimento, nella lotta accanita tra Papato e Impero, lotta che rappresentò appunto la crisi dell'ideale medievale, quello dell'unione felice e armoniosa dei due poteri, temporale e spirituale, Papa e Imperatore. La crisi politica comportava anche una grave crisi morale.
Il LIber Gomorrhianus S. Pier Damiani non lo scrisse all'epoca di Machiavelli ma nel 1049, quasi cinque secoli prima. La Chiesa si riformò e risanò ma la crisi poi riprese, si ebbero la Cattività Avignonese e il Grande Scisma. Nel Quattrocento l'Umanesimo accentua la mondanizzazione della Gerarchia, non la crea dal nulla. In certe prediche di Savonarola, alla fine del Secolo, si sentono risuonare gli stessi accenti di un san Pier Damiani...
Su un cattolicesimo in piena crisi per la ribellione protestante, che stava ancora una volta risanandosi, con la Controriforma, arrivarono gli sconvolgenti mutamenti nella visione del mondo provocati da astronomi e matematici...
PP
La ringrazio per la scansione temporale di alcuni fatti. Tuttavia il Monachesimo caratterizzò un'intera cultura che non si limitò al convento ma, diede forma ad una civiltà, ad un modo di vivere pienamente cattolico i cui frutti furono raccolti anche oltre le classiche suddivisioni di cui la storia si serve per comodità didattica. Ed anche le scissioni non sono mai nette, cominciano, si fermano, si approfondiscono col tempo. Il libro di S. Pier Damiani dice di un vizio presente, forse anche diffuso ma non che fosse la regola, come neanche oggi è possibile parlare di regola. Astronomi e matematici erano attivi in tutte le grandi civiltà precedenti l'era cristiana, nei conventi entrarono, attraverso la lingua latina, molti saperi di cui i latini erano venuti a conoscenza nel contatto con altre culture e con la cultura greca. Questi saperi furono poi conosciuti, filtrati, trasmessi attraverso la Fede Cattolica dei consacrati, questo non era certo una novità in quanto nelle grandi civiltà precedenti l'era cristiana la scienza in senso lato ed alto fu quasi sempre maneggiata dai sacerdoti. In forza proprio dell'aspetto sacrale che il sapere ha in sé. Quando viene meno questo aspetto sacrale si cade nella magia, nella superstizione, nel contatto con potenze infere, oppure per mantenersi lontani da Dio e dal diavolo uno si limita al meccanismo e al numero, come poi avvenne. Se non ricordo male fino a tutto l'800, mi corregga se sbaglio, la lingua della scienza fu il latino, il che vuol dire che i concetti scientifici furono forgiati nella lingua latina, che è anche la lingua ufficiale della Chiesa, il latino ecclesiastico. La forma mentis della Religione Cattolica, della Scienza, dell'Arte hanno nel latino la loro madre lingua anche quando i termini latini sono stati ritagliati sul greco o sulle altre lingue dei precedenti popoli italici. Questo per dire, come posso e so, che la scissione tra Fede e Scienza è una ferita temporanea che può, come credo, essere risanata quando la Fede tornerà ad essere tale e molti esseri umani torneranno a credere nel Signore Gesù Cristo e conformeranno la loro vita a Lui e da Lui si faranno guidare anche nell'attività conoscitiva.
RispondiEliminaRispondo ad anonimo 17,18 che mi chiede uno schemino, non capisco bene cosa intende,cerco di riassumere in sintesi.Don Bortoluzzi è nato a Belluno nel 1907, Sacerdote nel 1932,deceduto nel 1991. Compagno di scuola di Albino Luciani ricevettero entrambi profezie sul loro futuro. Notizie tutte che si trovano in rete. In obbedienza al Vescovo non pubblicò le visioni ricevute che lasciò in eredità a chi le pubblicò alla sua morte, con certe deviazioni,a mio parere, di interpretazione su Adamo che sarebbe Satana. Il personaggio visse modestamente e fu persona credibile e sacerdote autenticamente cattolico anche nella vita.In rete chi vuole trova il materiale relativo con studi medici che confermano la tesi dell'ibridazione come peccato originale che causa tare genetiche, conseguenze genetiche lo stabilisce pur e il concilio di Trento e Humani generis di Pio XII (cercare don Guido Bortoluzzi genesi biblica Renza Giacobbi). La cultura ebraica risale a 2 mogli di Adamo, Lilith ed Eva, la prima viene citata in Isaia come demone di posti bui. Dall'Alfa del primo giorno della creazione il sacerdote vede susseguirsi i vari giorni creativi dal big bang in poi sino all'uomo su cui si soffermano le visioni. Capire il peccato originale è essenziale oggi che abbiamo gli strumenti scientifici necessari, scienza e Genesi divengono compatibili totalmente grazie a queste visioni, e non solo, anche molti altri interrogativi che tormentano gli odierni uomini trovano risposta, quale l'origine della morte, delle malattie e del dolore innocente, nonché la questione dell'evoluzione che comunque esiste proprio a causa dell'involuzione del peccato primo.Anche la Genesi che ho analizzato riga per riga nei primi capitoli, conferma in toto queste visioni e diventa motivo di stupore le meraviglie che la Parola di Dio svela con poche parole.Persino i miracoli eucaristici e la Sindone diventano conferma. E' veramente tutta una concatenzazione di fatti e dati che sorprende e conferma l'inerranza della Sacra Scrittura (versione san Girolamo, non le ultime che continuano ad essere modificate), conferma il peccato originale causa del male, toglie la sudditanza ed il complesso d'inferiorità dei cattolici causato dalla nostra mancanza di fede fiducia in Dio e ciò che ci ha rivelato. In questa sede è impossibile riportare il tutto. Cerco ancora di riassumere sinteticamente il gioco della gnosi che è nata nel giardino terrestre (continuo).
RispondiElimina(continuo) L'uomo non evolve dalle scimmie e non esiste evoluzione nel senso spacciatoci oggi nelle scuole. La dott. Anna Maria Cenci ha scritto svariati libri sull'argomento dimostrando come dall'esame del dna emerga l'impossibilità dell'evoluzione, inoltre altri studi sugli strati geologici lo negherebbero. Certi reperti fossili sono stati manipolati per dimostrare la tesi evolutiva. Esiste l'adattamento all'ambiente iscritto a priori nel dna, per cui la creazione per salti dal minore al maggiore come nei giorni biblici è esatta. Le stesse specie di passeri ad esempio tendono a mantenere la propria specie a meno di carenza di elementi, cioè la natura salvaguarda persino le diversità nella stessa specie. Esiste però indubbiamente un'evoluzione ma questa è causata dalla prima involuzione del peccato originale che da figlio di Dio ci ha condotti ad essere figli degli uomini (il cap.3,1 della Genesi ed il cap.6 sono lampanti, la stessa Maria Valtorta conferma). La Genesi parla di due stirpi (anche le genealogie sono 2 ,una per Caino che non è considerato come figlio da Adamo ma è Eva che gli dà il nome cioè lo riconosce lei, il mangiare nel linguaggio semitico è anche atto sessuale come conoscere), la stirpe della donna e la stirpe del serpente che era un animale. La stirpe di Eva (eva vuol dire anche serpente)che è la nostra, e la stirpe della donna che è quella di Maria, ma sono 2 stirpi umane come si vede nella condanna alle 2 stirpi e poi anche all'uomo (le condanne sono 3). Eva fu un essere unico, una donna "mongoloide" potremmo definirla, che don Guido presuppone con 47 cromosomi, unico anello di congiunzione posto da Dio come prova per la fedeltà della prima coppia. Adamo poteva procreare cioè con lei e con la donna, lei poteva procreare con Adamo e con la specie animale (dei serpenti, la specie callidior tra le create). Adamo aveva il veto di incesto (non era la madre ma la nutrice però lo aveva cresciuto dal concepimento) e lo rompe per cui nasce un ibrido Caino, non sarà considerato nella stirpe di Adamo che verrà continuata dal solo Set in sostituzione di Abele senza stirpe. Dicasi che il primo peccato viene poi ripetuto ad oltranza nei secoli iniziando dal cap.6 che è causa del diluvio. Oggi abbiamo un chiaro esempio con madri biologiche, effettive, e portatrici, nonché robot sostitutivi. L'involuzione che ha condotto a tante speci di ominidi quali i reperti fossili autentici dimostrano essere esistiti è stata causa della successiva ri-evoluzione che effettivamente c'è stata, ma causata dal primo peccato di ibridazione. (continuo)
RispondiEliminaLa gnosi dunque è nata nel giardino dell'eden (la terra era stata creata come un paradiso terrestre), nel luogo tra Eufrate e Tigri, medio oriente, Babilonia. Melchisedec senza antenati e senza discendenza, si spiega come un sacerdote del Dio vero, della stirpe della donna, forse ultimo. Anche Ietro, suocero di Mosè ancora era vero sacerdote del vero Dio (è la Bibbia a dirlo se ben ricordo). Quindi è tutto concatenato e la Bibbia è autenticamente vera.
RispondiEliminaAnche il serpente nel deserto simbolo di Cristo è conferma. Ora la gnosi si è sempre basata sulla magia, in combutta cioè col diavolo, Lucifero, l'angelo decaduto. E' iniziata col primo serpente, probabilmente il padre di Eva, ed è continuata fino ad oggi, vestendo negli ultimi tempi i panni della massoneria per infiltrarsi. Ma come scrive mons.Benigni all'inizio del XX secolo a capo di tutte le massonerie mondiali ci stanno i 12 patriarchi giudei o pseudogiudei di "sangue blu" con un patriarca universale sommo. Babilonia è tornata pagana dopo il diluvio (di nuovo il primo peccato di Cam è sessuale e causa un figlio di cui non ricordo ora il nome, ma che viene riconosciuto come figlio di Noè),a causa della continuazione delle pratiche magiche, durante la permanenza in Egitto ci sono state infiltrazioni se ben ricordo in particolare nella tribù di Dan, che non è considerata tra le tribù dei salvati dell'apocalisse (l'anticristo dovrebbe essere dei loro), durante la permanenza in Palestina sempre ci sono state le congiunzioni con i popoli vicini gnostici coi baal e moloch vari. Poi nell'esilio babilonese è probabile che la gnosi si sia infilata nei vertici in qualche modo e sia arrivata al sommo sacerdozio del sinedrio del tempo di Gesù che infatti arriva al deicidio. La lotta della sinagoga di satana contro i cristiani mai è cessata, nascosta oaperta, attraverso persone interposte o diretta e col rinascimento ri-inizia la vittoria della gnosi che ci ha condotti alla situazione attuale. La Salette ce lo disse nel 1846 che Dio avrebbe permesso questo per castigare i peccati impuri del clero e dei religiosi-e, nonché loro amore ai soldi e agli onori. Per cui Roma avrebbe perso la fede e sarebbe diventata la sede dell'anticristo. Il segreto di Fatima di cui è stata detta la sola visione e non il testo relativo lo conferma. Siamo tornati come ciclicamente avvenuto al regno della gnosi sul trono del sommo sacerdozio. Questo è lo schema della lotta contro Dio iniziata nell'eden di cui il primo adam si fece causa.
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RispondiEliminaTutta questa cosa genetica non solo è un pasticcio da far venire il mal di testa, e ricorda varie cervellotiche speculazioni di ambito protestante, ma puzza anche terribilmente di gnosi.
RispondiElimina@ Anonimo
RispondiElimina13 novembre 2019 10:48
Grazie per la fatica di cui si è fatto carico. Difficile fare una valutazione così a freddo, senza sapere inoltre se queste connessioni, da lei riportate, nascono da una riflessione personale, da una meditazione della pagina del Genesi, dalla sintesi di altre fonti ebraiche, protestanti, cattoliche che siano. Mi preme dirle riguardo alla gnosi che Don Ennio Innocenti divide la gnosi in due: quella pura, che è la conoscenza cattolica completamente essoterica alla portata di tutti ed a loro beneficio; quella spuria nella quale confluiscono, fin dall'antichità, una gamma varia di conoscenze anche segrete, esoteriche, che procede sotterranea e raccoglie gli apporti più vari. Grazie ancora.
Condivido l'osservazione di Fabrizio. Ho pubblicato con un anticipo di fiducia ripromettendomi di leggere a posteriori. Ogni tanto mi càpita...
RispondiElimina
RispondiEliminaParafrasando il titolo di un romanzo di Gadda, un tempo celebre, direi
che tutta la volonterosa esposizione-spiegazone del peccato originale
è "un pasticciaccio brutto", come del resto ha già detto FG.
Adamo con due mogli, una delle quali porta il nome di un demone veterotestamentario?
Eva che si accoppia col Serpente? Via...
Non si può che rinnovare l'invito a lasciar perdere le rivelazioni private o
presunte tali. Anche almanaccare su quelle poche riconosciute dalla Chiesa non fa bene.
La nozione poi di "aspetto sacrale" del sapere, che dovrebbe inerirgli come necessaria, non sembra affatto chiara.
La rivouzione astronomica, che senza volere ha finito con il far tanto male alla religione,
è nata da mezzi molto prosaici: dal telescopio, ben usato. Se Aristotele lo avesse avuto a disposizione, sarebbe arrivato alle stesse conclusioni di Galileo e avrebbe modificato la sua nozione del moto, almeno in relazione ai gravi o corpi solidi e la sua stessa concezione dell'universo.
PP
Non a caso ho distinto tra gnosi pura e spuria, per segnare un discrimine tra le due; l'aver risposto all'Anonimo che gentilmente ha cercato di essere così esauriente mi par che sia il minimo che educazione richiede; il conoscere, il sapere hanno un aspetto sacro, tant'è che è proprio sulla conoscenza del bene e del male che rende come Dio che, inciampa Eva, l'aver dato oggi tutto a tutti non ha giovato a nessuno, né al sapere, né a tutti; l'astronomia la conoscevano perfettamente anche i Magi senza telescopio; e inoltre da Carl B. Boyer,Storia della matematica, p.16, Mondadori, 2019 :
RispondiElimina"...Gli egiziani si erano interessati all'astronomia fin da tempi molto antichi e avevano osservato che lo straripamento annuale del Nilo aveva luogo quando Sirio, la stella della Costellazione dl Cane, sorgeva ad Est poco prima del Sole. In base alla constatazione di queste levate eliache di Sirio, il messaggero dello straripamento, erano separate l'una dall'altra da 365 giorni, gli egiziani costruirono un soddisfacente calendario solare..."
"...La rivoluzione astronomica, che senza volere ha finito con il far tanto male alla religione..."
Il male che la rivoluzione astronomica ha fatto alla religione è, a mio parere, proporzionale a quanto la Chiesa aveva dimenticato del sapere che le era arrivato attraverso i Padri e attraverso i monaci che avevano letto e tradotto e compreso codici e libri che ebbero la ventura di trovarsi tra le mani e/o di averli potuti cercare, comprare o avere.
Non a caso ho distinto tra gnosi pura e spuria, per segnare un discrimine tra le due
RispondiEliminaE io infatti parlavo di gnosi spuria, se si vuole usare quella terminologia. Ha un odore caratteristico. E - ora mi astraggo dal contributo specifico di cui stiamo parlando - la vedo sempre più abbondante, in questo periodo, proposta e subita da persone che sono giustamente schifate da quel che sta succedendo. Vedo gente giustamente preoccupata (in certi limiti) dai vaccini e che poi cade nei metodi di cura teosofici; gente che non vuol mangiare schifezze industriali e va a cercarsi prodotti da agricoltura biodinamica; circoli di intellettuali che criticano il neoliberismo e poi ti ci trovi quello che parla di saggezza orientale... Un bell'inganno di Satana.
RispondiEliminaGli egiziani e i magi conoscevano perfettamente l'astronomia..."
Se è per questo i babilonesi erano migliori (Morris Kline, Mathematical Thought from Ancient to Modern Times, 3 voll., vol 1, p. 22, Oxf. Univ. Press, 1972). Come si fa a negare che ci sia stata una "rivoluzione nel modo di concepire l'astronomia" ad opera di quello che chiamiamo il pensiero moderno? Si possono negare i fatti?
Si può, evidentemente, se si professa una concezione c.d. "sacrale" del sapere, come (a quanto sembra) insieme di conoscenze tendenzialmente mistico-magiche costituenti una tradizione che conterrebbe in sé già tutto lo sviluppo successivo della conoscenza.
Quale sapere era arrivato alla Chiesa attraverso i Padri e i monaci, relativamente all'astronomia? Era un sapere diverso da quello che aveva portato alla preminenza dell'immagine del mondo di origine aristotelica, del De Coelo? Un'immagine che già nell'antichità era stata per certi aspetti criticata e anche nel Medio Evo, a quanto pare.
In realtà i francescani come un Grossatesta e poi i Gesuiti studiavano con metodi scientifici, fondati su Aristotele ma anche sulle capacità loro, tant'è vero che l'eliocentrismo lo ammettevano come ipotesi (e se non ci fossse stato di mezzo il fatto che questa ipotesi sembrava contraddire la Scrittura, l'avrebbero forse accettato già al tempo di Galileo).
Sta venendo di moda, mi sembra, una immagine del monachesimo quale fucina di saperi di
tipo "sapienziale", non meglio identificati, comunque di tendenza esoterica - immagine che credo assai lontana da quello che è stato il monachesimo storico, da noi in Occidente. Parlo del monachesimo non eretico, ovviamente.
PP
Proprio perché la confusione è tanta bisogna setacciare con cura, non fare di tutta l'erba un fascio ed evitare di gettare con cesta il bambino.
RispondiEliminaSi sta solo cercando di sottolineare che i pensiero moderno deve forse qualcosa anche al pensiero antico, il qual forse tanto male non era se è potuto arrivare a tante conoscenze senza gli strumenti moderni rivoluzionari e noi quelle capacità le abbiamo perse, come stiamo perdendo ed i nostri discendenti stanno perdendo la capacità di far di conto, di conoscere le tabelline, se non hanno la calcolatrice. E così per tante altre meccanizzazioni che hanno fatto scomparire capacità che erano proprie dell'essere umano, come il semplice camminare, ad esempio. Il così detto sapere sacrale, l'ho detto io perchè tale lo ritengo e l'ho anche scritto sopra. In una disputa tra cluniacensi e cistercensi, questi ultimi riprendevano i cluniacensi per il loro vivere ormai lasso e puntavano il dito al loro mangiare ricercato che aveva modificato il loro gusto tanto da non essere più in grado di apprezzare il sapore della semplice carota coltivata nell'orto. Cioè il palato dei cluniacensi si era ispessito. Ed è quello che è accaduto alla Chiesa ed anche a noi, in modo particolare con la modernità; non si tratta caro Professore di fare dell'ironia a poco prezzo sulle tendenze sapienziali esoteriche magiche ed eretiche, si tratta di riaffinare i nostri sensi e le capacità che il buon Dio ha donato tutti e che abbiamo perduto, come abbiamo perduto la fede in Lui che svela ai piccoli e vela ai grandi.
RispondiElimina
RispondiEliminaNon si tratta caro Professore etc
Si tratta di recuperare la semplicità perduta, nella fede, nel modo di vivere, in tutto?
Sono d'accordo. Ma questo cosa c'entra con l'argomento che stavamo trattando,cioè con il
rapporto tra scienza e fede? La fede e i costumi si intorpidirono e corruppero nei monaci e nei preti, e nella società, perdendo la primitiva e necessaria "semplicità" ben prima del Rinascimento e dell'avvento della moderna astronomia, con i suoi metodi di indagine.
La prima grave crisi venne quando crollò l'impero carolingio e ripresero le invasioni barbariche mentre i Saraceni dilagavano nel Mediterraneo e tentavano di conquistare l'Italia, partendo da Sud. Però anche nel mezzo della crisi morale (ai tempi di Alberico e Marozia, per intenderci) ci furono validi Papi, papi guerrieri che riuscirono ad organizzare la difesa dell'Italia dalle orde musulmane (allestimento di una buona flotta, battaglia del Circeo, di Ostia, distruzone del vasto campo trincerato maomettano del Garigliano etc). La Gerarchia poi si riprese grazie all'opera di certi imperatori e degli ordini di frati e monaci.
Ma ricominciò la crisi a causa della lotta tra Papato e Impero, che minò alla base la visione e la consistenza del mondo medievale.....
PP