Il Presidente della Regione Marche, il piddino Ceriscioli, con una mossa sganciata dalle pastoie governative, insieme ad altri provvedimenti di apertura si è dichiarato disponibile al ripristino delle Messe coram populo sin dalla prossima settimana.
Il Vescovo di Pesaro, Mons. Coccia, Presidente della Conferenza Episcopale Marchigiana, ha rifiutato l’offerta, perché vuole attendere le indicazioni della C.E.I., che rappresenta un organo di coordinamento che non dovrebbe ledere la sua autonomia né tanto meno quella di alcun altro vescovo!
Naturalmente la sua rinuncia ha suscitato reazioni negative, da parte dei fedeli marchigiani mentre, non solo nelle Marche ma anche altrove, l'insofferenza e il rammarico per la privazione del culto cui i fedeli sono stati assoggettati a causa dell'inerzia e della impropria subordinazione dei vescovi alle autorità civili è estremamente alta.
manco se i Bravi gli dicono che sarebbero disposti a fargli celebrare il matrimonio, i don Abbondio non si schiodano.
RispondiEliminaAlberto Lacchini
A Sua eccellenza card. Robert Sarah
RispondiEliminaLaudétur Iésus Chrístus
"Sine Dominico Non Possumus"!
DI FRONTE AL BENE ED ALLA SALVEZZA DELLE ANIME
NON CI SONO SCUSE DAVANTI A DIO!
Dal punto di vista canonico i singoli Vescovi di ogni singola Diocesi hanno una giurisdizione ed un’autonomia che prescinde anche dalle Conferenze Episcopali.
In particolare:
► “Spetta al Vescovo diocesano governare la Chiesa particolare a lui affidata con potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria, a norma del diritto” (Can. 391).
► “Compete al Vescovo diocesano nella diocesi affidatagli tutta la potestà ordinaria, propria e immediata che è richiesta per l’esercizio del suo ufficio pastorale, fatta eccezione per quelle cause che dal diritto o da un decreto del Sommo Pontefice sono riservate alla suprema oppure ad altra autorità ecclesiastica” (Can. 381).
► “La Conferenza Episcopale può emanare decreti generali solamente nelle materie in cui lo abbia disposto il diritto universale, oppure lo stabilisce un mandato speciale della Sede Apostolica” (Can.455, §.1).
■ “Nei casi in cui né il diritto universale né uno speciale mandato della Sede Apostolica abbiano concesso alla Conferenza Episcopale la potestà di cui al §.1, la decisione compete ai singoli Vescovi diocesani per la propria diocesi e la Conferenza Episcopale o il suo presidente non possono agire validamente in nome di tutti i Vescovi, a meno che tutti i singoli i Vescovi non abbiano dato il loro consenso” (can.455).
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segue
RispondiEliminaUNA CHIESA IRRICONOSCIBILE: quale sarà il giudizio davanti a Dio?…
LA CHIESA NON DEVE PATTEGGIARE E NON DEVE CHIEDERE NESSUN PERMESSO, MA APPLICARE CIO’ CHE E’ GIA’ STABILITO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA E NEI PATTI CONCORDATARI!…
E’ una umiliazione intollerabile anche per tutti i laici cattolici che si adoperano per far rispettare la Costituzione e i Patti Lateranensi e vedono vanificati i loro diritti e i loro sforzi con questo SERVILISMO CLERICALE CON UNO STATO ATEO!…
► L’art. 7 della Costituzione italiana dichiara, infatti, che “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi”.
E il nuovo Concordato firmato nel 1984 disponeva che:
■ Art.1: “La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.
■ Art.2: “La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”.
■ Art.5: “Gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica; salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica”.
Tali norme sanciscono che lo Stato e la Chiesa cattolica sono enti indipendenti e sovrani e ciò si traduce nel divieto per l’uno di interferire nell’ordinamento dell’altra e viceversa; non solo: tra le altre cose viene assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione e di pubblico esercizio del culto. Ne deriva che all’interno degli edifici di culto la Chiesa ha il potere di decidere ciò che ritiene giusto.
Inoltre, l’art.19 della Costituzione italiana proclama che “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.
Pertanto, diversamente da quanto prevede l’art. 16 della Costituzione relativamente alla libertà di movimento (“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”), l’art. 19 della Costituzione (di rango costituzionale, il che comporta che non può essere modificato, abrogato o derogato da leggi ordinarie) dispone che il diritto di esercitare in privato o in pubblico il culto può essere limitato soltanto qualora si tratti di riti contrari al buon costume.
In proposito, la stessa Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.), dopo l’ultimo DPCM del 26 aprile 2020 aveva emanato un comunicato, in cui aveva apertamente espresso il proprio disaccordo denunciando che “i Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto” e che “Alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia”…
Perché ora si torna a mendicare un diritto ed una modalità che sono già posseduti per legge costituzionale?… E’ una umiliazione continua a Cristo ed alla sua Chiesa!… VERGOGNA!…
Sono legati totalmente al governo e stanno contrattando soluzioni che stravolgono parti della liturgia, facendola divenire un banchetto e non il Sacrificio Salvifico. Ad iniziare dal sacerdote che porta l'Eucarestia delivery all'assemblea (parole che nemmeno si possono sentire).
RispondiEliminaMentre la Regione Autonoma della Sardegna,.dispone che: "Sono sospese le cerimonie religiose ma non le funzioni ed esiste una netta distinzione tra funzione e pratica religiosa, consentiamo nel territorio regionale le Messe ordinarie con obbligo di distanziamento delle persone e con mascherine. Abbiamo demandato ai Vescovi l'appropriazione di appropriate linee giuda di contingentamento degli accessi"
RispondiEliminaAnche in Sardegna i vescovi hanno declinato la stessa offerta concessa dal loro presidente regionale. No comment.
RispondiEliminaInvece io comment, dicendo CHE SCHIFO ATROCE!!!!!!!!!!!!!
EliminaIl presidente della regione Sardegna ha emanato un decreto che "reintroduce il culto coi fedeli"...e indovina indovinello la reazione degli eccellentissimi: grazie ma non compete all'autorità civile tale prerogativa. Grazie ma si declina tale concessione....Con tanto di comunicato del presidente della Conferenza episcopale sarda. Ora si ricordano che non compete all'autorità civile tale decisione!!!! Ora????!!!! E prima col governo centrale?!
RispondiEliminaIn Sardegna in ogni chiesa parrocchiale ci si sta comodamente in 15 x 3 col resto di 2, tanto sono ampie e tanto pochi sono ormai i Sardi praticanti.
RispondiEliminaLA "PROFEZIA" DI Giovannino GUARESCHI.
RispondiElimina“Lei è rimasto all’altro secolo, reverendo. Oggi la Chiesa si adegua ai tempi, si meccanizza. E, a Ferrara, nella Chiesa di S. Carlo, sulla « Tavola calda » è in funzione la macchinetta distributrice di Ostie. All’Offertorio, il fedele che intende comunicarsi, depone la sua offerta in un piatto vicino alla macchinetta, preme un pulsante e, annunciata da un festoso trillo di campanello, un’Ostia cade nel Calice.
E, creda, non è improbabile che, nei Laboratori sperimentali Vaticani, si stiano studiando macchinette più complete, le quali, introdotta una moneta e schiacciato un pulsante da parte del comunicando, caccino fuori una piccola pinza che porge l’Ostia consacrata elettronicamente, alle labbra del fedele.”
(“Il Borghese” del 19 maggio 1966. – Lettera di Giovannino Guareschi
a Don Camillo)