Sede del Parlamento scozzese |
In un articolo pubblicato il 29 luglio 2020, i vescovi della Scozia (Regno Unito) si sentono scossi dal fatto che il futuro disegno di legge per condannare i crimini d'odio e la discriminazione, potrebbe criminalizzare la Bibbia oltre che l'insegnamento della Chiesa in materia morale.
Esiste già una legge che protegge le minoranze in Scozia che si limita ai crimini di natura razzista. Ma i parlamentari scozzesi vogliono ampliarlo, criminalizzando discorsi o scritti ritenuti discriminatori sulla base dell'orientamento sessuale, in altre parole tutto ciò che va sotto l'acronimo LGBT.
Il governo scozzese sostiene che questo nuovo progetto, presentato il 23 aprile - che abolisce anche il reato di blasfemia - mira a consolidare e modernizzare una normativa ritenuta obsoleta.
Dal canto loro, i vescovi scozzesi temono che la vaghezza mantenuta nei termini della futura legge avrà come conseguenza di criminalizzare alcuni passaggi della Sacra Scrittura, persino intere sezioni dell'insegnamento tradizionale della Chiesa, quando questo difende la famiglia come società di diritto naturale e divino, fondata sull'unione di un uomo e una donna legittimamente uniti dal matrimonio.
Inoltre, il 29 luglio, la Conferenza episcopale scozzese ha espresso le sue preoccupazioni: "Temiamo che l'articolo 5 del disegno di legge, preso in senso lato, possa creare un'infrazione per chiunque possieda e utilizzi la Bibbia, il Catechismo della Chiesa Cattolica, o anche alcuni testi episcopali".
Denunciando l'abisso "orwelliano" in cui sembra sprofondare il Regno Unito, i vescovi scozzesi hanno finalmente iniziato a denunciare il sorgere di una "cultura della cancellazione" in cui sono sistematicamente cacciati tutti quelli che rifiutano la doxa dominante, con l'intenzione di eliminarli dal dibattito pubblico".
Un'osservazione che dovrebbe logicamente essere seguita da un'autentica predicazione della regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.
(Fonte: Catholic News Agency - FSSPX.Actualités)
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Da altra fonte:
L'Hate Crime Bill of Scotland ha in sé molti rischi per la libertà dei cristiani.
Si comincia con la proposta di legge Zan sull’omotransfobia e si finisce con l’Hate Crime Bill of Scotland, ossia la proposta di legge sul reato d’odio presentata dal governo scozzese, che sta scatenando una serie di reazioni indignate da parte di vari settori della società, tra cui anche la Conferenza Episcopale cattolica di quel Paese.
I vescovi scozzesi, infatti, hanno preso carta e penna e hanno scritto alla Commissione giustizia del Parlamento.
Dopo aver premesso che non vi è alcun dubbio sul fatto che l’incitazione all’odio sia moralmente riprovevole, i vescovi hanno voluto precisare che, a loro detta, l’introduzione di un nuovo reato dovrebbe tener conto di tre fattori essenziali.
Primo, «non si può prescindere dalla legislazione esistente». Secondo, «è necessaria un’attenta valutazione circa le ricadute che il nuovo reato può eventualmente avere sui diritti fondamentali come la libertà di parola, la libertà di espressione e la libertà di pensiero, coscienza e religione». Terzo, «occorre verificare che siano utilizzati termini in grado di definire in maniera inequivocabile e precisa l’eventuale condotta oggetto di reato», in quanto «la legge deve anche essere sufficientemente chiara affinché i cittadini la possano comprendere e la magistratura la possa applicare». Quest’ultima considerazione di buon senso integra, peraltro, quello che viene chiamato principio di legalità, pilastro fondamentale di uno Stato di diritto.
Fatta questa precisazione, i vescovi scozzesi nel loro cahier de doléances hanno evidenziato una serie di perplessità, a partire dal fatto che «la mancanza di una chiara definizione del concetto di “odio” è destinata a creare un ampissimo margine di interpretazione» da parte delle vittime, delle forze dell’ordine e dei magistrati. Gli stessi vescovi si dichiarano anche preoccupati del fatto che la nuova legge possa generare il fenomeno della cosiddetta “cancel culture” – con relativa censura e gogna mediatica – nei confronti di tutti coloro che non intendano sottomettersi all’ideologia dominante del politicamente corretto. Paventano il rischio di una sorta di caccia alle streghe nei confronti di chi osi dissentire rispetto al Pensiero Unico e di qualunque voce controcorrente.
Serie preoccupazioni vengono, inoltre, evidenziate dai vescovi sullo stesso «concetto di persona umana che ha il magistero della Chiesa cattolica, il quale sancisce il principio che sesso e genere non sono fluidi e mutevoli, e che l’uomo e la donna sono complementari e funzionali alla procreazione». Qualora venisse approvata la legge, sostengono sempre i vescovi scozzesi, «tali dichiarazioni potrebbero essere percepite da alcuni come un’offesa alla propria visione personale del mondo e suscettibili di incitare odio».
Sono tutte questioni che ben conosciamo e di cui stiamo dibattendo in Italia.
Quello che, invece, mi ha particolarmente colpito è la denuncia dei vescovi scozzesi circa il rischio che persino la Bibbia possa essere considerata «inflammatory material», ossia materiale provocatorio il cui possesso sarebbe punito dalla nuova legge.
Scrivono i presuli: «Siamo anche preoccupati che l’art. 5 del disegno di legge introduca il reato di possesso di materiale provocatorio che, considerando la bassa soglia di punibilità in esso prevista, potrebbe rendere illegale persino la Bibbia, il Catechismo della Chiesa cattolica e altri testi ufficiali della Conferenza episcopale inviati alle autorità pubbliche».
Incuriosito da questa nuova ipotesi di reato, sono andato a leggermi per intero l’art.5 della proposta di legge, anche per verificare se le apprensioni dei vescovi scozzesi fossero fondate o frutto di esagerazione. In realtà, viene effettivamente punito il possesso di «materiale minatorio, offensivo e ingiurioso» quando si ha l’intenzione di diffonderlo, o l’intenzione di suscitare odio nei confronti di una categoria di persone definita in riferimento ad alcune caratteristiche, tra cui l’orientamento sessuale e l’identità di genere, o quando è probabile che la diffusione determini un odio nei confronti della predetta categoria.
Già solo il primo presupposto, ossia quello di avere intenzione di diffondere il materiale, crea oggettivamente un problema: per i cristiani la Parola di Dio deve essere annunciata in tutto il mondo fino agli estremi confini della terra. L’annuncio del Vangelo, ovvero la diffusione del “materiale” che va sotto il nome di Bibbia, non è un optional ma il presupposto fondamentale della fede cristiana. Basterebbe questo fatto per dare ragione ai vescovi scozzesi. Per quanto riguarda gli altri presupposti si torna alla casella inziale: l’eccessiva genericità del concetto di odio, non chiaramente definito, crea oggettivamente un problema. È anche probabile che qualcuno possa sentirsi offeso per alcune affermazioni sull’omosessualità contenute nell’Antico Testamento o per alcuni passi rinvenibili nelle epistole di Paolo di Tarso, come la lettera ai Romani o ai Corinzi. Ma in questo caso occorrerebbe essere espliciti circa il bilanciamento tra il diritto fondamentale alla libertà religiosa e quello della tutela della dignità personale. Cosa che il disegno di legge non fa.
Continuando a scorrere il testo dell’art. 5, mi imbatto nel quarto comma, il quale precisa che non si considera reato il possesso di materiale, quando questo appaia, per le particolari circostanze del caso, «ragionevole». Qualcuno potrebbe pensare: «Ecco la soluzione per i vescovi scozzesi». In effetti, cosa c’è di più ragionevole che utilizzare e diffondere un testo sacro come la Bibbia per un credente? Ma non è così semplice, perché il successivo quinto comma spiega quando debba considerarsi «ragionevole» il possesso. Sono contemplate solo due ipotesi: «a) quando le prove fornite sono sufficienti a sollevare la questione della ragionevolezza; b) quando l’accusa non prova oltre ogni ragionevole dubbio l’irragionevolezza del possesso».
Non proprio un capolavoro di chiarezza. Anzi. Con simili testi normativi possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che le preoccupazioni dei vescovi scozzesi sono più che fondate. Anche alla luce delle sanzioni contemplate nel progetto di legge che non possono certamente essere definite lievi. La pena massima per il possesso di «inflammatory material» prevede, infatti, la reclusione non superiore a sette anni. I vescovi scozzesi, però, si possono consolare guardando il bicchiere mezzo pieno e pensando che esistono sempre situazioni peggiori. Nella Repubblica Democratica della Corea del Nord, per esempio, il possesso della Bibbia è punito con tredici anni di carcere. In casi particolarmente gravi, poi, è prevista pure la tortura e persino la pena capitale.
Si comincia con la proposta di legge Zan sull’omotransfobia e si finisce con l’Hate Crime Bill of Scotland, ossia la proposta di legge sul reato d’odio presentata dal governo scozzese, che sta scatenando una serie di reazioni indignate da parte di vari settori della società, tra cui anche la Conferenza Episcopale cattolica di quel Paese.
I vescovi scozzesi, infatti, hanno preso carta e penna e hanno scritto alla Commissione giustizia del Parlamento.
Dopo aver premesso che non vi è alcun dubbio sul fatto che l’incitazione all’odio sia moralmente riprovevole, i vescovi hanno voluto precisare che, a loro detta, l’introduzione di un nuovo reato dovrebbe tener conto di tre fattori essenziali.
Primo, «non si può prescindere dalla legislazione esistente». Secondo, «è necessaria un’attenta valutazione circa le ricadute che il nuovo reato può eventualmente avere sui diritti fondamentali come la libertà di parola, la libertà di espressione e la libertà di pensiero, coscienza e religione». Terzo, «occorre verificare che siano utilizzati termini in grado di definire in maniera inequivocabile e precisa l’eventuale condotta oggetto di reato», in quanto «la legge deve anche essere sufficientemente chiara affinché i cittadini la possano comprendere e la magistratura la possa applicare». Quest’ultima considerazione di buon senso integra, peraltro, quello che viene chiamato principio di legalità, pilastro fondamentale di uno Stato di diritto.
Fatta questa precisazione, i vescovi scozzesi nel loro cahier de doléances hanno evidenziato una serie di perplessità, a partire dal fatto che «la mancanza di una chiara definizione del concetto di “odio” è destinata a creare un ampissimo margine di interpretazione» da parte delle vittime, delle forze dell’ordine e dei magistrati. Gli stessi vescovi si dichiarano anche preoccupati del fatto che la nuova legge possa generare il fenomeno della cosiddetta “cancel culture” – con relativa censura e gogna mediatica – nei confronti di tutti coloro che non intendano sottomettersi all’ideologia dominante del politicamente corretto. Paventano il rischio di una sorta di caccia alle streghe nei confronti di chi osi dissentire rispetto al Pensiero Unico e di qualunque voce controcorrente.
Serie preoccupazioni vengono, inoltre, evidenziate dai vescovi sullo stesso «concetto di persona umana che ha il magistero della Chiesa cattolica, il quale sancisce il principio che sesso e genere non sono fluidi e mutevoli, e che l’uomo e la donna sono complementari e funzionali alla procreazione». Qualora venisse approvata la legge, sostengono sempre i vescovi scozzesi, «tali dichiarazioni potrebbero essere percepite da alcuni come un’offesa alla propria visione personale del mondo e suscettibili di incitare odio».
Sono tutte questioni che ben conosciamo e di cui stiamo dibattendo in Italia.
Quello che, invece, mi ha particolarmente colpito è la denuncia dei vescovi scozzesi circa il rischio che persino la Bibbia possa essere considerata «inflammatory material», ossia materiale provocatorio il cui possesso sarebbe punito dalla nuova legge.
Scrivono i presuli: «Siamo anche preoccupati che l’art. 5 del disegno di legge introduca il reato di possesso di materiale provocatorio che, considerando la bassa soglia di punibilità in esso prevista, potrebbe rendere illegale persino la Bibbia, il Catechismo della Chiesa cattolica e altri testi ufficiali della Conferenza episcopale inviati alle autorità pubbliche».
Incuriosito da questa nuova ipotesi di reato, sono andato a leggermi per intero l’art.5 della proposta di legge, anche per verificare se le apprensioni dei vescovi scozzesi fossero fondate o frutto di esagerazione. In realtà, viene effettivamente punito il possesso di «materiale minatorio, offensivo e ingiurioso» quando si ha l’intenzione di diffonderlo, o l’intenzione di suscitare odio nei confronti di una categoria di persone definita in riferimento ad alcune caratteristiche, tra cui l’orientamento sessuale e l’identità di genere, o quando è probabile che la diffusione determini un odio nei confronti della predetta categoria.
Già solo il primo presupposto, ossia quello di avere intenzione di diffondere il materiale, crea oggettivamente un problema: per i cristiani la Parola di Dio deve essere annunciata in tutto il mondo fino agli estremi confini della terra. L’annuncio del Vangelo, ovvero la diffusione del “materiale” che va sotto il nome di Bibbia, non è un optional ma il presupposto fondamentale della fede cristiana. Basterebbe questo fatto per dare ragione ai vescovi scozzesi. Per quanto riguarda gli altri presupposti si torna alla casella inziale: l’eccessiva genericità del concetto di odio, non chiaramente definito, crea oggettivamente un problema. È anche probabile che qualcuno possa sentirsi offeso per alcune affermazioni sull’omosessualità contenute nell’Antico Testamento o per alcuni passi rinvenibili nelle epistole di Paolo di Tarso, come la lettera ai Romani o ai Corinzi. Ma in questo caso occorrerebbe essere espliciti circa il bilanciamento tra il diritto fondamentale alla libertà religiosa e quello della tutela della dignità personale. Cosa che il disegno di legge non fa.
Continuando a scorrere il testo dell’art. 5, mi imbatto nel quarto comma, il quale precisa che non si considera reato il possesso di materiale, quando questo appaia, per le particolari circostanze del caso, «ragionevole». Qualcuno potrebbe pensare: «Ecco la soluzione per i vescovi scozzesi». In effetti, cosa c’è di più ragionevole che utilizzare e diffondere un testo sacro come la Bibbia per un credente? Ma non è così semplice, perché il successivo quinto comma spiega quando debba considerarsi «ragionevole» il possesso. Sono contemplate solo due ipotesi: «a) quando le prove fornite sono sufficienti a sollevare la questione della ragionevolezza; b) quando l’accusa non prova oltre ogni ragionevole dubbio l’irragionevolezza del possesso».
Non proprio un capolavoro di chiarezza. Anzi. Con simili testi normativi possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che le preoccupazioni dei vescovi scozzesi sono più che fondate. Anche alla luce delle sanzioni contemplate nel progetto di legge che non possono certamente essere definite lievi. La pena massima per il possesso di «inflammatory material» prevede, infatti, la reclusione non superiore a sette anni. I vescovi scozzesi, però, si possono consolare guardando il bicchiere mezzo pieno e pensando che esistono sempre situazioni peggiori. Nella Repubblica Democratica della Corea del Nord, per esempio, il possesso della Bibbia è punito con tredici anni di carcere. In casi particolarmente gravi, poi, è prevista pure la tortura e persino la pena capitale.
Una volta, quelle lande, Scozia, Irlanda, Inghilterra erano cattoliche, e fucina di Santi, il Nemico si è ormai insediato e furoreggia, la Storia si avvia a grandi passi al suo tragico e glorioso epilogo.
RispondiEliminaAnche la vicenda umana di Nostro Signore, la sua Santa Passione, se fu terribilmente atroce, si compì in 15 ore.
"Amico, quello che devi fare, fallo presto".
Kathy Hoffman, antitrump, ministro dell'istruzione dell'Arizona, giura su un libro di fumetti perché schifa la Bibbia. Suo programma x gli asili: masturbazione e kamasutra
RispondiEliminaComincio a capire perché si son formati questi circoli di super ricchi debosciati che vogliono organizzare il mondo in modo 'diverso', perché l'essere umano prima che pensante è imitativo.
RispondiEliminaPensare stanca, pochissimi sono quelli che cercano di pensare e pensare con la propria testa, ancor meno sono quelli che avendo cercato di pensare secondo verità cercano di essere conseguenti, pochissimi sono quelli che accorgendosi di aver sbagliato sono capaci e vogliono correggersi.
Molto più facile imitare i più che, erroneamente, si ritiene che siano nel giusto solo perché più numerosi, cioè sono 'troppi per sbagliare'. E invece novanta casi su cento sbagliano, in particolare se sottoposti ad una propaganda che ribalta minuto per minuto il bene nel male, il giusto nell'ingiusto, il bello nel brutto, il vero nel falso.
L'imitazione di Cristo è l'unico esempio buono, bello, vero da cui tutti gli altri esempi proponibili dovrebbero giustamente discendere, ma non è così. Gesù Cristo viene oscurato ed al suo posto non solo viene posto l'uomo, ma l'uomo corrotto e corruttore.
Dall'accidia mentale discende il male presente di una società che ha fatto del solo movimento la sua sua ragion d'essere. Mi muovo dunque sono.
Ancora sull'imitazione di Cristo. Giorni fa un Anonimo ha chiesto lumi su un libro, un manuale di pedagogia cattolica. Non ricordo che abbia ricevuto risposta. Credo che l'unica risposta sensata, vera, sia la lettura del Vangelo. E' nel Vangelo che abbiamo, che troviamo la traccia da seguire, quella esemplare. Determinante, chiarificatore l'episodio di Gesù tra i dottori del Tempio quando aveva dodici anni.
RispondiEliminaA dodici anni, età prepubere, Gesù conosce la Scrittura, conosce le preghiere, conosce la liturgia ed è in grado di praticare quello che ormai conosce. Ma sarà solo alla soglia dei trenta anni che Lui inizierà l'attuazione della sua missione. Questo vuol dire che le fondamenta della sua formazione erano già state gettate quando Lui si trovava a fanciullezza quasi compiuta. Tuttavia il suo lavoro di approfondimento, di messa in pratica, di lavoro manuale, di vita sociale entro l'ambito della famiglia, dei parenti, degli amici, continua nel 'nascondimento' di una vita semplice, seria direi.
Basta per il momento concentrarsi su questa preparazione già bene, benissimo, impostata a dodici anni. Certo Lui è Gesù e i suoi genitori sono Maria Santissima e San Giuseppe, tuttavia ciò non toglie che questo episodio sia l'esempio imprescindibile per ogni pedagogia che tale voglia essere: cioè una vita familiare seria e non seriosa, giornate nelle quali la religione è vissuta con spontaneità dal padre e dalla madre. Vissuta con naturalezza perché creduta e verificata nella sua verità in ogni istante della vita dai singoli e dalla famiglia intera, senza tante chiacchiere.
Se lo 0,01 dei battezzati avesse avuto un'infanzia di molto inferiore a quella di Gesù Cristo ma, con quell'esempio nel cuore la storia sarebbe stata completamente altra.
Ancora sull'imitazione di Cristo. Giorni fa un Anonimo ha chiesto lumi su un libro, un manuale di pedagogia cattolica. Non ricordo che abbia ricevuto risposta. Credo che l'unica risposta sensata, vera, sia la lettura del Vangelo. E' nel Vangelo che abbiamo, che troviamo la traccia da seguire, quella esemplare. Determinante, chiarificatore l'episodio di Gesù tra i dottori del Tempio quando aveva dodici anni.
RispondiEliminaA dodici anni, età prepubere, Gesù conosce la Scrittura, conosce le preghiere, conosce la liturgia ed è in grado di praticare quello che ormai conosce. Ma sarà solo alla soglia dei trenta anni che Lui inizierà l'attuazione della sua missione. Questo vuol dire che le fondamenta della sua formazione erano già state gettate quando Lui si trovava a fanciullezza quasi compiuta. Tuttavia il suo lavoro di approfondimento, di messa in pratica, di lavoro manuale, di vita sociale entro l'ambito della famiglia, dei parenti, degli amici, continua nel 'nascondimento' di una vita semplice, seria direi.
Basta per il momento concentrarsi su questa preparazione già bene, benissimo, impostata a dodici anni. Certo Lui è Gesù e i suoi genitori sono Maria Santissima e San Giuseppe, tuttavia ciò non toglie che questo episodio sia l'esempio imprescindibile per ogni pedagogia che tale voglia essere: cioè una vita familiare seria e non seriosa, giornate nelle quali la religione è vissuta con spontaneità dal padre e dalla madre. Vissuta con naturalezza perché creduta e verificata nella sua verità in ogni istante della vita dai singoli e dalla famiglia intera, senza tante chiacchiere.
Se lo 0,01 dei battezzati avesse avuto un'infanzia di molto inferiore a quella di Gesù Cristo ma, con quell'esempio nel cuore la storia sarebbe stata completamente altra.
Aggiungo come particolare che è San Luca che tratta di questo episodio. Ricordiamo che San Luca era medico di professione, non stupisce quindi che si interessi anche della fanciullezza e della giovinezza di Gesù, cioè che guardi allo sviluppo spirituale e fisico del Signore, all'ambiente in cui è vissuto, alla famiglia nella quale è nato. Cosa che per i medici 'un tempo' era parte imprescindibile della anamnesi
RispondiEliminaN.B. Siccome stiamo attraversando l'epoca della cancellazione sistematica di Gesù Cristo nostro Signore, non c'è da stupirsi che anche gli scrittori del Vangelo siano sottoposti a cancellazione e discredito, quindi più sì che no che siano esistiti, che la loro vita sia quella trasmessa dalla tradizione e naturalmente, nel nostro caso ora, San Luca non fu medico, certamente non santo, sicuramente non ha scritto nulla...Estote parati.
E poi accusano la Chiesa cattolica di essere stata contro la lettura della Bibbia.
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