Cari amici, mentre l'Europa vive ore drammatiche a causa dello scontro in atto causato dagli Stati Uniti a guida democratica, Vi propongo un mio scritto del 2006 quando mi fu chiesto dalla Società Editrice Athesis e dal Guardian - giornale di sinistra - di commentare la successione fra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Allora mi pubblicavano perché avevo l'onore e l'onere di essere Alto Commissario per il Kosovo. Un caro saluto. Gian Pietro Caliari
Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI:
una successione nel “segno dei tempi” *
Aprile 2006
* Versione originale: Italiano, pubblicato in: Omaggio a Benedetto XVI, Edizioni Athesis, Verona, 2006
Nella celebrazione eucaristica, che precede l’inizio di un
Conclave, la Chiesa di Roma più volte invoca il dono di “un
pontefice a Dio accetto, interamente consacrato al servizio del Suo
popolo” e “il dono di un papa secondo il cuore di Dio” e di “un
pastore santo che illumini il tuo popolo con la verità del Vangelo”1.
La stessa liturgia, all’Antifona d’ingresso richiama poi la promessa di
Dio al vecchio e morente sacerdote Eli, nell’Antico Testamento:
“Farò sorgere al mio servizio un sacerdote fedele, che agirà secondo
i desideri del mio cuore, io gli darò una casa stabile”2.
Per il credente, in verità, la Successione Apostolica è ”un
grande dono della Misericordia Divina alla Chiesa”3, tuttavia, ogni
Pontefice – soprattutto ai nostri tempi – appare anche prescelto,
ineluttabilmente, per rispondere al contesto socio-culturale e “ai
segni” – avrebbe detto lo stesso Gesù4 - del suo tempo. Ne era
certamente convinto il cardinale austriaco Franz König che nel 1976
– ben due anni prima dell’elezione alla Cattedra di Pietro del polacco
Karol Wojtyla, il 16 ottobre 1978 – dichiarava: “Sono convinto che
il rinnovamento dei valori e della stessa religione cristiana verrà
dall’Europa, dalla stessa Russia, da quella parte del mondo
attualmente a regime comunista, e nella quale l’ateismo di Stato non
è riuscito a fare breccia. In ogni caso, ci si deve rivolgere ormai a
gente che ha più familiarità col l’ateismo che con la religione” 5.
Non c’è dubbio, che durante la sua lunga e indefessa missione,
Giovanni Paolo II fu energico e profetico nell’indicare il male
profondo dell’Europa e del mondo contemporanei “nel fatto che
l’intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etica e
religiosa, ormai si limita alla produzione di beni e servizi”6
e che la Chiesa, pur non avendo un proprio modello sociale o economico da
proporre, “non potrai mai tacere, dinnanzi a tutti, quando è in gioco
la vita, la libertà, la dignità della persona umana, di tutti gli uomini, in tutte le latitudini, di qualsiasi etnia, condizione sociale o credo religioso”7.
Con “il figlio della Nazione Polacca”, come lui stesso amava
definirsi, la Chiesa del XX secolo aveva attraversato la Cortina di
Ferro e, con il suo personale carisma, proiettato l’Urbs Romana
nell’Orbe multiforme, multi-culturale e pluri-religioso del nostro
tempo, attualizzando per il Papato l’antico appellativo di Pontifex,
quale ponte verso il superamento di una modernità annichilita nelle
idealità spirituali e morali e ipertrofica nel possesso materiale e
venale.
“Con Wojtyla cambia tutto; si oltrepassano le Alpi” -
pronosticò il cardinale Achille Silvetrini nel 1993, parlando di un
Conclave al di là da venire per altri 15 anni, “Credo che conterà
sempre più la persona, la personalità del futuro candidato con i suoi
carismi”8.
Joseph Ratzinger non era personalità nota per il suo fascino
personale, ma – di certo, lo era - per le sue convinzioni profonde: il
suo carisma, caso mai, sfugge all’emotivo per dar forma al razionale;
la sua spiritualità non si rivela nel flusso lirico dei periodi, ma lascia
che la parola seduca per se stessa; i suoi gesti non danno ritmo al
messaggio, ma – misurati – ne indicano il cuore e l’essenza: “Noi
invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo” –
disse alla vigilia della sua elezione - “É lui la misura del vero
umanesimo. Adulta non è una fede che segue le onde della moda e
l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata
nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che
è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra
inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa
fede dobbiamo guidare. Ed è questa fede - solo la fede - che crea
unità e si realizza nella carità”9.
Benedetto XVI fu, forse, scelto per questa misura,
provvidenzialmente da una terra e a sessanta anni dopo che, proprio
dalla Germania, s’erano levato il Leviatano dell’Überman e del suo
Lebensraum – del Superuomo e del suo Spazio Vitale - e dopo che la
cultura europea aveva ampiamente cercato di sradicare le sue radici
cristiane, avviandosi all’inesorabile, come già nel 1918 Oswald
Spengler intuì, Untergang des Abendlandes: il declino dell’Occidente10.
La fede cristiana sfugge alle mondane categorie del progresso e
del regresso: contempla solo quella coraggiosa e appassionata della
missione. Elude anche quelle del pessimismo e dell’ottimismo,
perché “il cristiano sa che la Storia è già stata salvata e che, dunque,
l’esito sarà, infine, positivo”11. Non conoscendo, tuttavia,
anticipatamente le traversie dei tempi e della Storia, al credente la
fede domanda d’accogliere la logica nuova, ma non irrazionale,
ardita ma non impossibile, esigente ma non deludente del Verbo
cristiano, del Logos rivelato che, nell’Uomo-Dio ha riconciliato per
sempre il Divino e l’Umano: “Infatti, nel disegno sapiente di Dio il
mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto
a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Noi
predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i
pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci,
predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio”12.
Nel ricercare una linea di continuità fra l’insegnamento di
Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI, appare in tutta la sua
evidenza il posto che il futuro dell’Europa e delle sue radici socioculturali e religiose occupano nel magistero pontificio. Wojtyla fu del Vecchio Continente un cantore appassionato e proprio i temi
europei sembravano muovere le corde più intime, liriche e mistiche
del Papa polacco: “Io, Giovanni Paolo, figlio della Nazione polacca;
io, successore di Pietro; io, Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa
universale; grido con amore a te, antica Europa: Ritrova te stessa! Sii
te stessa! Riscopri le tue origini! Ravviva le tue radici! ” – e, quasi in
un sussulto d’ineguagliabile ardire, aggiungeva – “Tu puoi essere
ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te e da te si attendono la risposta che San Giacomo diede a Cristo: Lo posso!”13.
Per i primi dieci anni del suo Pontificato (1978 – 1989),
Wojtyla fu “il Padre dell’Europa odierna”14, ma anche il
propugnatore di un’unità continentale che – agli occhi dei più –
sembrava, al contrario, eternamente cristallizzata nella separazione e
nella contrapposizione socio-politica ed economica del Sistema
Bipolare, risultato del Secondo Conflitto Mondiale15; non
diversamente – sul piano religioso – l’antica Christianitas Europae
appariva un’ideale inconciliabile da quando, come disse “i due
polmoni della memoria cristiana”16 – quello occidentale e quello
greco-slavo-orientale – avevano cessato di respirare all’unisono “per
rivelare, al Vecchio Continente, i contenuti che la sapiente
Provvidenza divina vi inscrisse, per svelarli in una nuova pienezza
nella nostra epoca e per portare nuovi frutti”17.
La mistica religiosa di Wojtyla non gli impediva, da un lato, di
rivendicare l’eminente ruolo sociale del cristianesimo europeo, come
fece con fermezza parlando al Parlamento Europeo, l’11 ottobre
1988: “Se il sostrato religioso e cristiano di questo continente
dovesse essere emarginato dal suo ruolo ispiratore dell’etica e dalla
sua efficacia sociale, non è soltanto l’eredità del passato che verrebbe
negata, ma è ancora un avvenire all’uomo europeo – parlo di ogni
uomo, credente o non credente – che verrebbe gravemente
compromesso”18. E dall’altro – con una preveggenza ante litteram –
d’ammonire che alla perdita d’identità collettiva degli europei si
sarebbe contrapposto l’acuirsi del confronto fra identità continentali,
culturali e religiose diverse: “È necessario orientare le mentalità, prima ancora che cambiare i sistemi politici o le strutture. Come si fanno formando modi di ragionare per continenti geografici, così
vanno emergendo e confrontandosi i continenti dello spirito, che sono
le grandi religioni e le culture di più forte tradizione”19.
Negli scritti di Benedetto XVI, ancor prima della sua elezione
alla Cattedra di Pietro, appaiono due interrogativi che sembrano
articolare nuovamente la riflessione culturale e religiosa europeista
del suo Predecessore. Il cristianesimo, innanzi tutto, ha trovato la
sua forma più efficace in Europa, eppure, proprio nel vecchio
Continente s’è sviluppato una cultura “che costituisce la
contraddizione in assoluto più radicale non solo del cristianesimo,
ma delle tradizioni religiose e morali dell’umanità”20.
Di fronte a quello che Giovanni Paolo II, già nel 1986,
indicava come il confronto (non lo scontro!) fra i continenti dello spirito,
Papa Ratzinger s’interroga sulla pericolosa miscela culturale che
sembra caratterizzare l’Europa contemporanea: “Oggi viviamo” –
da una parte - un'ondata di nuovo drastico illuminismo o laicismo,
comunque lo si voglia chiamare. Credere è diventato più difficile,
poiché il mondo in cui ci troviamo è fatto completamente da noi
stessi e in esso Dio, per così dire, non compare più direttamente. Gli
uomini si sono ricostruiti il mondo loro stessi, e trovare Lui dietro a
questo mondo è diventato difficile” - dall’altra – “L'Europa oggi
viene toccata fortemente da altre culture, in cui l'elemento religioso
originario è molto forte, e che sono inorridite per la freddezza che
riscontrano in Occidente nei confronti di Dio”21.
Wojtyla fu, da principio, “il Padre” di un’Europa mutilata, dagli
scismi ideologico-politici del XIX secolo e, poi, quello di un
Continente ritrovato in un’unità spaziale, ma agnostico delle sue
radici e irretito nelle sue capacità di percepirsi come “comunità di
destino”; pertanto, incapace d’uscire dalla sua sindrome
contemporanea “d’eterna crisalide”22.
Ratzinger osa richiamare apertamente l’apostasia intellettuale,
prima ancora che religiosa, della cultura europea; e denuncia il
pericolo che – anche sotto spinte esterne sempre più radicali e
aggressive – gli europei sprofondino in quella “secolare crisi di
pensiero e di coscienza” nella quale Benedetto XV aveva, già agli
inizi del secolo scorso, profeticamente intravisto l’origine, non solo,
“dell’inutile strage” del 1914-1918, ma anche del “suicidio
dell’Europa civile” e la fine della sua “vocazione universale”, umana,
intellettuale, sociale e, infine, religiosa23.
Il segno dei tempi che Giovanni Paolo II coraggiosamente
affrontò fu quello d’indicare le radici profonde e unitarie, ma
dimenticate, di un’Europa scissa nel suo esistere e divisa nel suo
destino; quello di Benedetto XVI appare, invece, con pari audacia
quello d’additare le ragioni ultime, ma spesso ignorate, di un
Continente, smarrito nella sua ricerca di significato e incapace –
pertanto – d’affrontare l’epocale sfida del confronto fra i continenti
della cultura e della fede, che ancor prima di quelli della politica,
segnano la geografia umana del nostro tempo e il futuro della Storia.
Gian Pietro Caliari______________________________
1 Orationes della Missa pro Eligendo Pontefice (Ordo Pontificalis Romanus)
2 Ibidem, (cfr. 1 Samuele 2,35)
3 Congregazione per la Dottrina della Fede, Sul Primato del Successore di Pietro, 1988, 2 4 Cfr. Vangelo di Matteo, 16,1-4
5 Intervista a F. König, citata in: G. ZIZOLA, Il Conclave: Storia e Segreti, Roma, 1993, p. 300
6 Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, 39
7 Idem, Discorso a Natal (Brasile, 1991)
8 A. Silvestrini, in Limes, III, 1993, p. 27
9 J. Ratzinger, Omelia, Missa pro Eligendo Pontifice, 18 Aprile 2005
10 O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes, Berlino, 1918-1921
11 J. Ratzinger, in V. Messori, Entretien sur la Foi, Paris, 1985, p. 11
12 1 Lettera di Paolo ai Corinti, 1, 22-25
13 Giovanni Paolo II, Discorso a Santiago de Compostella, (Spagna, 1982) 14 Cfr. François Mitterand, Discorso di Benvenuto a Giovanni Paolo II a Strasburgo (Francia, 1988)
15 Cfr. Gian Pietro Caliari, Iglesia Cotólica e integración europea. Contribución an análisis politológico, in: AA.VV. Europa una realidad en camino, Jaén-Granada, 1991, pp. 154-55. Sullo stesso argomento si veda anche, più, ampiamente: Idem, Le Chiese Cristiane e l’Integrazione Europea, in S. Fontana (e altri), Il futuro dell’Europa:le sue radici cristiane, Venezia, 1996, pp. 33-54
16 Il Papa slavo riprende qui la felice metafora del letterato e poeta russo Vjačeslav Ivanovič Ivanov che convertitosi al cattolicesimo, dopo aver pronunciato per la prima volta il Credo nella Basilica di San Pietro a Roma il 17 marzo 1926, scriveva a Charles du Bos, di sentirsi “per la prima volta ortodosso nella pienezza dell’accezione di questa parola, in pieno possesso del tesoro sacro, che era mio dal battesimo, e il cui godimento non era stato da anni libero da un sentimento di malessere, divenuto a poco a poco sofferenza, per essere staccato dall’altra metà di questo tesoro vivo di santità e di grazia, e di respirare, per così dire, come un tisico, che con un solo polmone”
17 Giovanni Paolo II, Slavorum Apostoli, 3
18 Idem, Discorso al Parlamento Europeo a Strasburgo (Francia, 1988)
19 A. Silvestrini, commentando il Discorso al Corpo Diplomatico di Giovanni Paolo II del 12 gennaio 1986, in: Civiltà Cattolica, I, 1987, pp. 288- 289 (l’enfasi è stata aggiunta dall’autore di questo saggio)
20 Parole di Benedetto XVI, Roma, 2005, p. 6 21 Benedetto XVI, Intervista in preparazione del Viaggio Apostolico a München, Altötting e Regensburg, (Castelgandolfo 2006)
22 Le due incisive espressioni sono di E. Morin, Penser l’Europe, Parigi, 1987, pp. 162-163
23 Cfr. G. P. Caliari, La pace positiva di Benedetto XV, Padova, 1989, 33-48
L'Europa, con i suoi pensieri, parole, opere ed omissioni essendosi tagliata, da SOLA, le radici greco/ romane/ cristiane, non è più stata, naturalmente, in grado di dare alcun frutto capace di confrontarsi con i frutti di altri continenti che le radici proprie le hanno mantenute e curate.
RispondiEliminaDetto romano: 'ognuno s'ammazza come je pare'.
Questa ue è morta e sepolta. E così questo governo, emanazione ue, seminatore unicamente di morte.
L'Europa ha messo in cantina le sue raffinate radici per abbeverarsi nell'acqua stagnante americana dei quiz, s'e' fatta ammaliare/ "intortare"dalle fronde similverde americane. Non piu'"va bene" ma.."occhei". Tempo fa seguivo in televisione la procedura di una ricetta di cucina e l'autrice era tutt'un "occhei": Mettiamo la farina (occhei),mettiamo il latte (occhei),mettiamo lo zucchero (occhei)...ho dovuto spengere tanto era stucchevole tutto 'sto occhei.
RispondiEliminaUna delle scene più emblematiche dei film di Peppone e Don Camillo è quella del sindaco rosso che si reca in chiesa di notte per accendere un cero alla Madonna. Per ogni uomo radicato nella sua terra qualsiasi internazionalismo non cancella quello che ha imparato da piccolo.
RispondiEliminaCi sono storici (riferito da Vittorio Messori) che hanno appurato che lo stesso Stalin, nel 1941, rispolverò i suoi studi da seminarista dopo essere stato avvertito da un'anima mistica: mentre la guerra infuriava e Hitler avanzava, le chiese furono riaperte, le processioni permesse e la devozione alla Madonna di Kazan fece miracoli.
Storia, non romanzo.
L'Europa prima di Karol Wojtyla e poi di Joseph Ratzinger è un'anima confusa che viene ripresa per i capelli mentre scivola nell'indistinto, educata da uno spirito insano a cancellare ciò che è.
Oggi anche un prete fa più fatica ad accendere un cero, per timore del riscaldamento del pianeta. Anche un presidente cattolico ride se gli dicessero che un mistico ha chiesto processioni: e il distanziamento? E poi per portare il baldacchino con l'icona serve il green pass.
Ignorati Woytjla e Ratzinger siamo arrivati ai devastanti effetti della cancel culture. Non abbiamo più Guareschi, Peppone e neppure un assassino come Stalin. Abbiamo il diritto di aborto, l'eugenetica, rigurgiti di nazismo, qualche tentazione di internare chi fa troppe storie, il genderismo come morale, le idee del WEF per bussola, considerando filantropi Soros e Bill Gates. L'Europa è diventata la UE, cioè un'emanazione dello stato profondo, molto giù, ad inferos.
E' consolante sapere che Cristo scese persino lì, dopo aver accettato di morire per redimere l'umanità. Però adesso basta cancellare.
La primavera vede il risveglio della natura. Torna la Luce.
Ricominciamo a scrivere, anche sui muri del cuore: Gesù ti amo!
Nei Padri della Chiesa si può trovare un commento sorprendente circa il canto con cui gli angeli salutano il Redentore. Fino a quel momento – dicono i Padri – gli angeli avevano conosciuto Dio nella grandezza dell’universo, nella logica e nella bellezza del cosmo che provengono da Lui e Lo rispecchiano. Avevano accolto, per così dire, il muto canto di lode della creazione e l’avevano trasformato in musica del cielo.
RispondiEliminaMa ora era accaduta una cosa nuova, addirittura sconvolgente per loro. Colui di cui parla l’universo, il Dio che sostiene il tutto e lo porta in mano – Egli stesso era entrato nella storia degli uomini, era diventato uno che agisce e soffre nella storia. Dal gioioso turbamento suscitato da questo evento inconcepibile, da questa seconda e nuova maniera in cui Dio si era manifestato – dicono i Padri – era nato un canto nuovo, una strofa del quale il Vangelo di Natale ha conservato per noi: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini".
Possiamo forse dire che, secondo la struttura della poesia ebraica, questo doppio versetto nei suoi due brani dice in fondo la stessa cosa, ma da un punto di vista diverso. La gloria di Dio è nell’alto dei cieli, ma questa altezza di Dio si trova ora nella stalla, ciò che era basso è diventato sublime. La sua gloria è sulla terra, è la gloria dell’umiltà e dell’amore.
(Papa Benedetto XVI - dall’Omelia pronunciata il 25 dicembre 2008, Solennità del Natale)
Per riportare il sacrificio della Messa, è indispensabile che i preti si rivolgano al Signore, ha detto il vescovo Schneider a CrisisMagazine.com (18 marzo).
RispondiEliminahttps://gloria.tv/post/rk8hYDCfLTuR38PDDEjDMUPHx
Ingrandendo l'immagine si puo'contemplare piu' da vicino l'incontro dei due amori
RispondiEliminahttps://gloria.tv/post/jA4qZ3rkNrHJ3XXbnqagwrQ8T
Don Luca Paitoni
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=45n2aTi1GNk
I 10 Comandamenti
6° Comandamento: Non commettere adulterio - atti impuri
20.30: S. Rosario
21.00: Catechesi