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domenica 24 luglio 2022

Dominica VII. post Pentecosten ("Omnes gentes")

Dominica VII. post Pentecosten ("Omnes gentes")

Introitus
Ps 46:2.
Omnes gentes, plaudite manibus: jubilate Deo in voce exsultationis.
(Ps.ibid.3)
Quoniam Dominus excelsus, terribilis: Rex magnus super omnem terram.
Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto.
Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculorum. Amen
.
– Omnes gentes (usque ad Ps.).

Oratio
Orémus. Deus, cujus providéntia in sui dispositióne non fállitur: te súpplices exorámus; ut nóxia cuncta submóveas, et ómnia nobis profutúra concédas.
Introito
Ps 46:2.
O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di esultanza.
Ps 46:3
Poiché il Signore è l’Altissimo, il Terribile, il sommo Re, potente su tutta la terra.
V. Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo.
R. Come era nel principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.
O popoli tutti...

Preghiamo
O Dio, la cui provvidenza non fallisce mai nelle sue disposizioni, Ti supplichiamo di allontanare da noi quanto ci nuoce, e di concederci quanto ci giova.

Il ciclo domenicale del Tempo dopo la Pentecoste completa oggi il suo primo settenario. Prima della traslazione generale che dovettero subire le letture evangeliche in questa parte dell'anno, il Vangelo della moltiplicazione dei sette pani dava il suo nome alla settima Domenica e il mistero che esso racchiude ispira ancora in vari punti la liturgia di questo giorno.

La sapienza divina.
Ora, questo mistero è quello della consumazione dei perfetti nel riposo di Dio, nella pace feconda dell'unione divina. Salomone, il Pacifico per eccellenza, viene ad esaltare oggi la Sapienza divina, e a rivelare le sue vie ai figli degli uomini. Negli anni in cui la Pasqua tocca il punto più alto in aprile, la settima Domenica dopo la Pentecoste è infatti la prima del mese di agosto, e la Chiesa vi inizia, nell'Ufficio della notte, la lettura dei libri Sapienziali. Diversamente continua, è vero, quella dei libri storici, che può seguitare così ancora per cinque settimane; ma anche allora la Sapienza eterna conserva i suoi diritti su quella Domenica che il numero settenario le consacrava già in una maniera così speciale. Infatti, in mancanza delle istruzioni ispirate dal libro dei Proverbi, vediamo Salomone in persona dare il buon esempio nel terzo libro dei Re, preferire la Sapienza a tutti i tesori, e farla assidero con sé come la sua ispiratrice e la sua nobilissima Sposa sul trono di David padre suo.
Anche David - ci dice san Girolamo interpretando la Scrittura di questo giorno in nome della Chiesa stessa (II Notturno) - anche David, sulla fine della sua vita guerriera tormentata, conobbe le attrattive di quella incomparabile Sposa dei pacifici; e le sue caste carezze, che non accendono i fuochi della concupiscenza, vinsero divinamente in lui il ghiaccio dell'età.
"Sia essa dunque anche mia - riprende poco più avanti il solitario di Betlemme; - riposi nel mio seno questa Sapienza eternamente pura. Senza mai invecchiare, sempre feconda nella sua eterna verginità, è agli ardori della sua divina fiamma che si accende nel cristiano il fervore dello spirito richiesto dall'Apostolo (Rm 12,11); è per il venir meno del suo impero che alla fine dei tempi si raffredderà la carità di molti".

Messa
La Chiesa, lasciando la sinagoga nelle sue città condannate a perire, ha seguito Gesù nel deserto. Mentre gli Ebrei infedeli assistono senza vedere a quella trasmigrazione per essi tanto fatale, Cristo convoca i popoli e li conduce a ranghi serrati sulle tracce della Chiesa. Dall'Oriente e dall'Occidente, dal Nord e dal Sud essi arrivano e prendono posto con Abramo, Isacco e Giacobbe al banchetto del regno dei cieli (Mt 8,11).
EPISTOLA (Rm 6,19-23). - Fratelli: Parlo a mo' degli uomini, a motivo della debolezza della vostra carne: come dunque deste le vostre membra al servizio dell'immondezza e dell'iniquità per l'impurità, così date ora le vostre membra al servizio della giustizia per la santificazione. Quando eravate servi del peccato eravate liberi dalla giustizia; ma qual frutto aveste allora dalle cose di cui ora vi vergognate? Certamente la fine di esse è la morte. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per fine la vita eterna, essendo paga del peccato la morte, e grazia di Dio la vita eterna in Gesù Cristo nostro Signore.
La vera libertà.
"La vita del battezzato, che gli deriva dalla sua adesione a nostro Signor Gesù Cristo mediante la fede, è pace con Dio, è gaudio, è libertà. È doppiamente libertà: a motivo di ciò che il battesimo ha distrutto e di ciò che ha edificato in noi. Per comprendere ciò, occorre definire esattamente la libertà e il suo contrario, la servitù. Vi è per me servitù, quando sono tenuto sotto la dipendenza di chi non dovrei, quando il tiranno agisce su di me con la forza esterna e con la costrizione, quando mi associa mio malgrado alle sue opere meschine, quando una parte di me, la più nobile, protesta contro le angherie che adopera il suo potere dispotico. Allora sì vi è servitù.
Ma quando sono sotto la dipendenza di chi devo; quando il potere che si esercita su di me agisce sull'intimo, si rivolge all'intelletto e alla volontà; quando esso mi fa attendere con sé ad opere alte e degne; quando mi associa al lavoro di Dio stesso e sotto il suo influsso interiore mi fa collaborare a un programma di alta moralità; quando ho coscienza che non è soltanto Dio ma sono anche tutte le parti più nobili della mia anima che plaudono all'opera che compiamo insieme il Signore ed io; chiamate pure ciò servitù; io dirò da parte mia, che è la somma libertà, l'assoluta indipendenza. Appartenere all'intelletto è libertà; appartenere all'intelletto di Dio è la più sublime libertà che vi sia" [1].
VANGELO (Mt 7,15-21). - In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi travestiti da pecore; ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li conoscerete. Si coglie forse dell'uva dalle spine, o dei fichi dai triboli? Così ogni albero buono dà buoni frutti, ed ogni albero cattivo dà frutti cattivi. Non può l'albero buono dar frutti cattivi, né l'albero cattivo dar frutti buoni. Ogni pianta che non porta buon frutto vien tagliata e gettata nel fuoco. Voi li riconoscerete dunque dai loro frutti. Non chi mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi entrerà nel regno dei cieli
I discepoli della sapienza.
"Li riconoscerete dai loro frutti", dice il Vangelo; e la storia giustifica le parole del Salvatore. Sotto le vesti dell'agnello con cui vogliono ingannare i semplici, gli apostoli della menzogna esalano odore di morte. Le loro abilità dialettiche e le loro interessate vanterie non dissimulano il vuoto delle loro opere. Non abbiate dunque nulla in comune con essi. I frutti inutili o impuri delle tenebre, gli alberi d'autunno e doppiamente morti che li portano sui loro rami secchi, saranno destinati al fuoco. Se siete stati anche voi una volta tenebre, ora che siete divenuti luce nel Signore mediante il battesimo o il ritorno d'una sincera conversione, mostratevi tali: producete i frutti della luce in piena bontà, giustizia e verità (Ef 5,8.9). A questa sola condizione potrete sperare il regno dei cieli, e dirvi fin da questo mondo i discepoli di quella Sapienza del Padre che esige per sé oggi il nostro amore.
Infatti - dice l'Apostolo san Giacomo quasi per commentare il Vangelo di questo giorno - può il fico dare dell'uva e la vite dei fichi? Così nemmeno l'acqua salata può farne della dolce. Chi è sapiente e scienziato tra voi? Lo dimostri colla bontà della vita, colle sue opere fatte con quella mansuetudine che è propria della sapienza. Perché non è questa la sapienza che scende dall'alto, questa è sapienza terrena, animalesca, diabolica. Invece la sapienza che vien dall'alto prima di tutto è pura, poi è pacifica, modesta, arrendevole, dà retta ai buoni, è piena di misericordia e di buoni frutti, aliena dal criticare e dall'ipocrisia. Or il frutto della giustizia è seminato nella pace da coloro che procurano la pace (Gc 3,11-18 passim).

Preghiamo
O Dio, che provvedi a tutte le cose in modo ineffabile, allontana da noi tutto ciò che è nocivo e concedici tutto ciò che è di aiuto.
__________________________
[1] Dom Delatte, Epîtres de Saint Paul, I, 643.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 454-457

3 commenti:

  1. Ricevere degnamente la santa Comunione24 luglio, 2022 22:50

    La più antica prassi di distribuzione della Comunione è stata, con tutta probabilità, quella di dare la Comunione ai fedeli sul palmo della mano.
    La storia della liturgia evidenzia, tuttavia, anche il processo, iniziato abbastanza presto, di trasformazione di tale prassi.
    Sin dall’epoca dei Padri, nasce e si consolida una tendenza a restringere sempre più la distribuzione della Comunione sulla mano e a favorire quella sulla lingua.
    Il motivo di questa preferenza è duplice: da una parte, evitare al massimo la dispersione dei frammenti eucaristici; dall’altra, favorire la crescita della devozione dei fedeli verso la presenza reale di Cristo nel sacramento.
    All’uso di ricevere la Comunione solo sulla lingua fa riferimento anche san Tommaso d’Aquino, il quale afferma che la distribuzione del Corpo del Signore appartiene al solo sacerdote ordinato.
    Ciò per diversi motivi, tra i quali l’Angelico cita anche il rispetto verso il sacramento, che «non viene toccato da nessuna cosa che non sia consacrata: e quindi sono consacrati il corporale, il calice e così pure le mani del sacerdote, per poter toccare questo sacramento.
    A nessun altro quindi è permesso toccarlo fuori di caso di necessità: se per esempio stesse per cadere per terra, o in altre contingenze simili» (Summa Theologiae, III, 82, 3). Lungo i secoli, la Chiesa ha sempre cercato di caratterizzare il momento della Comunione con sacralità e somma dignità, sforzandosi costantemente di sviluppare nel modo migliore gesti esterni che favorissero la comprensione del grande mistero sacramentale. Nel suo premuroso amore pastorale, la Chiesa contribuisce a che i fedeli possano ricevere l’Eucaristia con le dovute disposizioni, tra le quali figura il comprendere e considerare interiormente la presenza reale di Colui che si va a ricevere (cf. Catechismo di san Pio X, nn. 628 e 636).
    Tra i segni di devozione propri ai comunicandi, la Chiesa d’Occidente ha stabilito anche lo stare in ginocchio.
    Una celebre espressione di sant’Agostino, ripresa al n. 66 della Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI, insegna: «Nessuno mangi quella carne [il Corpo eucaristico], se prima non l’ha adorata. Peccheremmo se non l’adorassimo» (Enarrationes in Psalmos, 98,9). Stare in ginocchio indica e favorisce questa necessaria adorazione previa alla ricezione di Cristo eucaristico.
    In questa prospettiva, l’allora cardinale Ratzinger aveva assicurato che «la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall’adorazione» (Introduzione allo spirito della liturgia, Cinisello Balsamo, San Paolo 2001, p. 86).
    Per questo, egli riteneva che «la pratica di inginocchiarsi per la santa Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate» (cit. nella Lettera This Congregation della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, del 1° luglio 2002: EV 21, n. 666).
    Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, Ecclesia de Eucharistia, ha scritto al n. 61: «Dando all’Eucaristia tutto il rilievo che essa merita, e badando con ogni premura a non attenuarne alcuna dimensione o esigenza, ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono. Ci invita a questo una tradizione ininterrotta, che fin dai primi secoli ha visto la comunità cristiana vigile nella custodia di questo “tesoro”. [...] Non c’è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero, perché “in questo Sacramento si riassume tutto il mistero della nostra salvezza”».

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  2. Omnes gentes

    https://m.youtube.com/watch?v=tvVluWTwpwM&feature=youtu.be

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  3. Mese del Preziosissimo Sangue: i Santi, al Sangue di Cristo, uniscono il loro sangue (venticinquesimo giorno)

    Esempio

    San Gaspare del Bufalo stava predicando una Missione e gli fu riferito che un gran peccatore, ormai in punto di morte, rifiutava i Sacramenti.

    Immediatamente si recò al suo capezzale e, col crocifisso fra le mani, gli parlò del Sangue che Gesù aveva versato anche per lui. La sua parola era così accesa che ogni anima, benché ostinata, si sarebbe commossa. Ma il moribondo restò indifferente.

    Allora san Gaspare si denudò le spalle e, inginocchiatosi presso il letto, cominciò a disciplinarsi a sangue. Neppure questo valse a smuovere quell’ostinato.

    Il Santo non si scoraggiò e gli disse: “Fratello, non voglio che tu ti danni; non smetterò finché non avrò salvata l’anima tua“; e ai colpi dei flagelli unì la preghiera a Gesù Crocifisso.

    Allora il moribondo, toccato dalla Grazia, scoppiò in pianto, si confessò e morì fra le sue braccia.

    Riflessione

    I peccati non sono una sciocchezza.

    Oggi li abbiamo ridotti a “burletta” con il nostro cristianesimo “ateo”, dove al posto di Dio abbiamo messo l’uomo.

    I Santi, invece, ragionano in modo diverso. Ragionano secondo il Cuore di Dio; e, per pagare i peccati, al Sangue di Cristo uniscono il loro sangue.

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